mercoledì 31 dicembre 2014

2015 Giornalista



Il saluto  dell’Annunciazione- Il Lavoro
Al tavolo e ai tavoli
Alla mensa dell’ultima cena
Nel declino del capitalismo, occhi aperti, spalancati, orecchie pronte e bocche cucite, decifrando tutte le mistificazioni…
Sembra quasi in codice, questo mio augurio, nel tempo difficile che non premia il merito, la bravura, la professionalità.
Asservire l’altro, sembra sia l’imperativo di questo sociale e politico, imbruttito e imbrattato.

La camera del lavoro con i tavoli del lavoro.
 Sedie del lavoro e stoviglie del lavoro.
Portate del lavoro. Pietanze, voglio dire. 
Ai tanti commensali che mangiano con gusto i loro stessi teoremi, i piani contrattuali, gli articoli da azzerare. Mangiano le sigle, sempre più spirituali, mangiano le piattaforme e gli ordini professionali. Il lavoro deve essere snello, non professionale, bisogna cambiare spesso di quadro e di cornice. Non devi saper far niente, se femmina sculettare, mettere tacco 15 ed essere carina, se maschio avere muscoli, solo per estetica, non devi avere etica, ma dire sempre sì.
All’alba fredda di un divenire, che sia un anno oppure una era, che sia  un giovane  compleanno, proviamo ancora con le parole a scardinar tante menzogne. Diamo valore a comunicazione che sia però informazione, diamo valore ai tanti perché che aspettano da sempre risposte vere.
Diamo valore a quella fiducia che si dà sempre alle cose serie, come quel noto carosello su provole, formaggi e latticini vari, " La fiducia è una cosa seria"- è la fiducia che sta alla base dei nostri rapporti, del nostro civile.
Rispolveriamo parola -Civile- che tanto ricorda la civiltà e seppelliamo parola cultura ormai infognata nella ortodossia.
Questo possiamo noi dire ora, con tutto il rammarico di consegnare una mappa senza più punti di orientamento a  chi oggi compie gli anni, una mappa che possa però servire a raggiungere quel porto, non sicuro, che sicurezza non è il destino dell’uomo, ma almeno un lavoro, un lavoro vero, dignitoso e remunerato, libero, e non servile.
E con gli editti che abbiamo fatto per tutto un anno sulle parole, bistrattate, usate e mistificate, sulle parole fastidiose, buttate al vento della conversazione come un orpello con cui farsi belli, con tutti gli editti contro le reti ed i materassi che dir si voglia, contro i tavoli e le tavolate che tanto piacciono ai convitati, ci auguriamo che questo sia l’anno dei non invitati al pranzo del re.
Un augurio caro a te, che resti sempre un giornalista vero.
Noi ti auguriamo che  possa fare la professione per cui ha tanto studiato ed i suoi genitori  investito, credendoci. Ed é il Credere l'altra parola cha sta di base ad un vivere sano.  

2014 L'anno di Alessandro Bozzo- Giornalista



L’anno di Alessandro Bozzo- Giornalista
Quando una negazione afferma e dà coraggio.
Alessandro si è ucciso nel marzo del 2013, lasciando i suoi scritti, il suo malessere, ed il suo je accuse verso un giornalismo troppo cattivo. Editori che impongono cosa scrivere, denunce e minacce, precarietà nei contratti lavorativi.
Un vero inferno.
Da tutto questo lui è andato via, ritornando nei suoi amici e colleghi, nei suoi splendidi familiari, in Don Tommaso Scicchitano.
L’anno di Alessandro Bozzo Il 2014
Sacro fuoco- Storie di libertà di stampa, Il libro che viene presentato un po’ dovunque in Calabria, contiene articoli di giornalisti bravi  che continueranno a fare il lavoro di giornalisti con necessità e ragione, come diceva Leucippo, nel V Secolo. Il libro parla di Alessandro, delle cose che a lui piacevano, il tennis, il Canada, non essere un santino da mostrare come garante.

Vado a memoria eppure emozionata del coraggio che hanno i suoi amici. Fondano questa estate La Alessandro Editori S.R.L. e creano un giornale, a colori, cartaceo, un quotidiano, La Provincia di Cosenza, ricordando, nel primo articolo dell’editoriale di Francesco Graziadio, Derrida, l’inerme.

Colui che non ha mezzi finanziari, di ricatto, coercitivi per imporre le sue ragioni. Colui che non può difendersi con le armi usuali dell’insulto, dello sporcare, dello sputo. Colui che ha solo principi e onestà, dignità e consapevolezza e sa  che non bisogna accettare per forza di adeguarsi e che anche il rifiuto è lotta.
Sa tutto questo Alessandro, lo sa, e stamattina da lassù mi manda, sorridendo, il suo anno, per tutti noi che lo amiamo.

martedì 30 dicembre 2014

Libiam nei lieti calici- Giancarlo Paola







Giancarlo Paola- Melodie e racconti a Palazzo Nicotera
“Se il mio nome saper voi bramate” di Rossini
Inizia serata alla Biblioteca di Lamezia Terme, con una sorpresa, almeno per me. Sono venuta per presentazione, condotta da Salvatore D’Elia,  di un libro di Claudio Metallo, " Come una foglia al vento" e ascolto, prima,  una  piacevole voce cantare questa romanza.
Bravo- penso fra me. Giancarlo ripone educatamente chitarra e aspetta. Giovanissimo, Giancarlo è tenore,   conseguito diploma in canto nel 2013.
Modi garbati, e misurati, insieme fanciullo, perché felice. 
Felice di stare a suonare e cantare e recitare per noi, per i suoi cari, ho visto la nonna, per tutti noi che l’abbiamo applaudito, chiedendo contenti ancora un altro, dopo " La donna é mobile" " A Spuntunera" e " Mattinata".
E lui ha intonato” Libiamo ne' lieti calici” il  brindisi in tempo di valzer del primo atto della Traviata di Giuseppe Verdi
Ed è sentendo questa aria, cantata da Maria Callas, che scrivo questi miei appunti su una bellissima serata in biblioteca. Una delle più sorprendenti.
Giancarlo non è solo un bravo tenore, ma anche un fine dicitore, ha letto con voce pulita e con partecipazione, a volte ironica, a volte incuriosita, i racconti di Saverio Strati, ”Gianni e la zappa”,” Il Prete e la pioggia”, “ Il contadino e le fate” racconti scelti da lui, per dirci che nessuno deve scordare le sue origini, nessuno si mette d’accordo per un benessere generale e nessuno è felice se non si accontenta e non smette di chiedere.
Adesso ascolto ”Libiam dai lieti calici” cantata da Pavarotti, Carreras e Domingo e auguro a questo ragazzo  una carriera luminosa come l’entusiasmo  e l’amore che ha lui verso il canto.


“Se il mio nome saper voi bramate”
Solo alla fine so che lui è figlio di Elio, un carissimo uomo, anch’esso entusiasta e sempre sorridente, presenza solare nella  nostra adolescenza lontana e idealmente fiduciosa di poter creare  giustizia e  parità.
La fiducia non ci ha lasciato, malgrado ora sappiamo che non siamo noi a forgiare gli avvenimenti… però crederci non ci abbondonerà.
Credere in sé stessi è già una fortuna immensa, coltivare le passioni e i doni che abbiamo ricevuto sarà l’impegno di una vita.
Libiam nei lieti calici e brindando all’anno che verrà auguriamo a tutti i ragazzi,  qui presenti,  un avvenire di sole.

lunedì 29 dicembre 2014

Anche il denaro è un'opera d'arte





Anche il denaro è un’opera d’arte.

"Il denarius, moneta d’argento, valeva dieci asses (assi), e l’asse era l’unità di misura del sistema monetario in bronzo. All’inizio dell’Impero dieci asses facevano un denarius; poi, nei secoli successivi, con la svalutazione, ce ne vollero fino a sedici: ecco gli antenati dei nostri problemi finanziari. As, assis significava in latino anche “il tutto”, “l’intero”. Di qui, espressioni entrate nella nostra lingua come asse ereditario, asse patrimoniale."

Ahah Risata amara.
 Stamattina mia mamma è dal notaio, deve firmare non so cosa per un asse familiare con suo fratello defunto. Unica occasione per incontrare nipoti.
asse di legami dispersi nell'infrequentanza.

Di asse in asse il denaro avvelena e crea legami.

Di asse in asse il denaro fa storia di imperi, nazioni, città, villaggi, case, e famiglie.

Mi ero seduta canticchiando, pensando a Nuccio Ordine sull’Utilità dell’inutile e sulla gratificazione dell’arte, sul valore che ha per ciascuno di noi fuggire via dalla corda corta del bisogno, del pagare, delle inutili carte che rifuggo guardare.
Altra situazione, avvocato, questa volta.

Sono stata interrotta e ripiombata in luoghi bui, dove soltanto i tribunali credono ancora di servire a qualcosa.

Un film lunghissimo stiamo tutti girando, Il film, L’avvocato del diavolo,  Paint it black, mi risuona nella testa.

Mi risuona associando film sulla guerra Full Metal Jacket e sull’avidità che avvolge e distrugge, sul deserto intorno.

Se dobbiamo ripensare all’arte come creazione, allora il denaro crea, divide e massacra, compra ed eleva, realizza bellissime chiese e bruttissimi carceri, con la stessa immensa capacità di tutti i più grandi ideali dell’uomo, essendo lui, l’ideale necessario per concretizzare viaggi, case, strade e famiglie.

Anche il denaro è un’opera d’arte. La più grande. Purtroppo.  

domenica 28 dicembre 2014

Lamezia Wine Fest- Guida Slow Wine 2015





Tutto il vino che ho vissuto. Da astemia
Lunghi filari, negli anni settanta, cantavano al sole i grappoli amati, magliocco, malvasia, greco e terracina, filari bianchi e neri, nella campagna dei miei.
Nella vigna le donne riempivano panieri di vimini,  ed il mio compito era di riaccompagnarle a fine lavoro a Maida, il loro paese. 
 Vendemmia coi piedi a pestare quegli acini, ed il torchio, la pressa e le botti di rovere. Di tante misure. Ogni botte il suo vino. 
Poi la grande sconfitta, nessuno vinse in quella guerra, il vino non si vendeva, non si sapeva vendere, nessuno lo voleva e si offriva quasi regalato ai grossi rivenditori che lo usavano per tagliare, diceva papà, le schifezze vere.
 Costretti, avvenne la grande estirpazione di vigneti autoctoni l’impianto di produzione diretta, uva scadente, incoraggiata dalla regione Calabria, che diede soldi ai suoi vignaioli per distruggere il tesoro che avevano.
Due mondi- Lucio Battisti.
Voglio quel mondo che non esiste più.
Guardo Danila Lento, giustamente orgogliosa di produrre vino con il magliocco, ascolto Stefania Mancuso, spostata su anfore e cratere, su corredo che dimostra una lunghissima storia di trasporto e produzione del vino, una storia  offesa dalle tante scellerate decisioni in anni passati.
Negletta e vilipesa la campagna è stata, difficile la vita di proprietari e contadini, di operai e venditori insieme, difficilissima, troppe competenza in una sola figura e tutto sparì.
Ora Slow Wine rilancia eccellenza, dignità e sentore, con antenne fatte di relazioni umane, sul vino, in generale e sul vino  calabro che tanto ha sofferto.
Presentazione di Guida Slow Wine 2015  a Palazzo Nicotera stasera, Lamezia Wine Fest quarta edizione.
Giancarlo Rafele ha curato la parte relativa alle aziende calabre che fanno vino, buono, pulito e giusto.
Dei 223 additivi che sono permessi per fare vino ci auguriamo che ne usino cinque, quelli che bastano, puntualizza Danila, e  Giancarlo  chiede vi siano etichette obbligatorie  su ogni bottiglia.
Il vino è un vivente, il vino ha un volto, diceva il mio papà, ogni botte dà un sapore e un profumo diverso per tempo e per legno. Non vini ingessati, ogni vino è unico, continua Giancarlo Rafaele, contro omologazione, contro massificazione.
Sembra di sentire papà e mio zio, ed allora cosa ci vinse? Il litigio, sicuro, fra coltivatori, lo sparlare, il non esser coesi, non aver fiducia.
Valorizziamo, come fa lui, ora i Cirò boys, i ragazzi di Cirò che hanno riportato  il loro vitigno, valorizziamo Librandi ed il moscato di Saracena, e poi ancora fino al Greco di Bianco.  
Vado a memoria non ho preso appunti, non ricordo i premi, ma non ha importanza, conta soltanto quell’entusiasmo che avremmo dovuto avere negli anni settanta e che ora vedo negli occhi e nei gesti dei protagonisti della serata.