prima puntata
C’era una volta in un mondo lontano una città molto strana, senza più
gente che camminava per strada.
Avevano avuto i cittadini in regalo una gabbietta con dentro un
oggetto animato.
Era arrivata come pacco postale da una agenzia molto nuova che
offriva tanti servizi.
E fra questi uno in particolare.
La consegna a domicilio della gabbietta con dentro un nick.
Era questo un esserino molto carino, innocuo e gentile.
Non faceva la cacca, e nemmeno pipì, non mangiava e beveva, non
aveva freddo e nemmeno caldo, non doveva essere lavato, non puzzava perché non
sudava.
Tutti felici i cittadini portarono in casa quell'esserino.
Lo sistemarono nel salotto buono, in cucina, in bagno, vicino al letto.
Il nick era bello, era senza corpo, ognuno poteva immaginare, era un
drago, un cigno, una torta, o anche e soltanto una scatola di latta.
Il nick aveva nella sua casetta tante maschere di carnevale, ne poteva
indossare una o più di tre insieme o da sole come lui più gradiva.
Tante figure e fra queste anche visi, visi di uomini e donne più giovani,
somiglianti almeno un po’ al cittadino a cui era assegnato.
Visi di sbieco, o visi frontali, formato tessera e sorridenti, visi
oramai stereotipati e fermi in un solo click.
Questo per rendere più familiare l’approccio al cittadino più
conservatore, più all'antica, di quel gioco nuovo e tanto carino.
-Non ti preoccupare,- sembra che dica l’esserino- lo vedi? sono
come te, ti assomiglio, certo sono più giovane, sono più carino, ma sono il tuo
viso di un tempo che fu-
- Ora stai tranquillo ed inizia a giocare, anzi a giocare gioco solo io,
tu stai solo a guardare, guardi soltanto e ti distrai dal tuo mondo cattivo,
solitario o troppo pieno, fatto di incontri, di lavori stressanti, di
vigliaccherie da mandare giù-
-Stai tranquillo, mio caro, -sembra dica ancora lui al suo
proprietario, ma questa è solo una illusione, perché il nick voce non ha.
Gioca soltanto mattina e sera ad indossare quelle figurine, quei
piccolissimi vestitini fatti di fogli, di colori, di nomi fatati.
Luce del mattino, onda del mare, niente e nulla, senza e tanto, marte e
giove. Quante maschere per un solo nick!
Urano e saturno e poi le stelle, galassie intere dopo la flora, la fauna,
il mondo minerale e vegetale.
Una gabbietta dottissima, ricchissima di travestimenti, come se un
fregoli dovesse esibirsi
Ma dove?
La gabbietta era proprio piccina ma dentro era una meraviglia, si poteva
guardare perfettamente il nick all’opera a far passare il tempo.
Si accorsero così, tutti, che il nick solo non era, aveva in mano una
connessione, un tablet, uno schermo e poteva pigiare dei tasti neri.
Davanti aveva uno schermo bianco che cambiava al pigiare dei tasti, che
si animava e riportava fatti misfatti del mondo di là.
Il cittadino si accorse che su quello schermo passava il suo mondo, ma
era un mondo più variegato, un mondo vasto vastissimo pieno di opportunità.
Giornali in rete, e poteva sbirciare, incontri on line e spogliarelli,
donne donnine di tutte le taglie, uomini forti e muscolosi, lisci, liscissimi e
depilati, giochi di ruolo, di sadomaso, di offerte varie, finanche un biscotto.
Guardava il suo nick pigiare e pigiare dopo aver indossato ogni mattina
il vestitino più carino, il travestimento per l’occasione e si accorse che quell'esserino pigiava e tante paroline poi si scrivevano a lato in un riquadro
accanto in basso a destra
Era la chat, così c’era scritto.
Ma con chi chattava? Ma con chi scriveva se lui era in una
gabbietta e in quella stanzetta c’erano solo il cittadino che guardava ed il
nick che pigiava ?
seconda puntata
Il cittadino, che era all'inizio
consapevole di essere solo nella sua stanza e di guardare quell'esserino,
cominciò ad essere molto curioso.
Molto curioso di quel mondo fatato
con cui il suo piccolino si divertiva.
Sembrava veramente un altro mondo,
un altrove dove donne giovani, profumate e nude, si offrivano solo per
puro piacere senza nemmeno chiedere il nome.
Dove uomini giovani, dolci e
romantici offrivano carezze, baci e quant’altro a donne sole o malmaritate, o
maritate ma non eccitate.
Un mondo fatato dove ognuno poteva
essere quello che aveva sempre sognato, uno scrittore, un seduttore, una
odalisca, una troia perfetta.
Un mondo incantato, senza problemi e
senza nemmeno aprire portafogli, bastava soltanto stare a guardare il nickname
pigiare e sognare con lui.
Il mondo di fuori pian piano sparì,
sembrava noioso, sembrava scialbo, senza nemmeno un’offerta, se non di un
caffè.
Il mondo di fuori era sempre lo
stesso, il traffico intenso, la banca, la posta, il cane da portare a
passeggio, la gatta incinta, il pappagallino, la suocera da invitare quel dì.
Le ricevute e la spazzatura, le
figlie in crisi adolescenziale, il figlio ancora disoccupato, la moglie o il
marito sullo stesso divano.
Nemmeno un fremito, nemmeno un
attesa, nessuna emozione, nessun batticuore.
Era proprio una noia, una noia
perfetta, anche se urlavi con il vicino, anche se poi suonavi agli incroci,
anche se litigavi con la fidanzata, con l’amante, con il tuo postino.
Cominciò cosi il cittadino, tutti i cittadini, a correre in
tondo, dapprima impercettibilmente poi sempre più visibilmente, cominciarono a
voler tornare a casa, sempre più in fretta, sempre di corsa per guardare con grande affetto quel piccolino che pigiava e pigiava.
terza puntata
Il cittadino, ma tutti con lui, ormai cominciarono a non vivere più, ma
no, ma che dico? A vivere una vita straordinaria.
Nell’altrove!
Ridevano sempre, parlavano da soli, guardavano il sedile della loro
automobile e prendevano per mano l’immaginario incontrato laggiù, nella stanza
fatata dove il loro nick pigiava e pigiava.
Chissà chi aveva incontrato stamane! Chissà che cosa era successo su
quello schermo tanto intrigante, tanto volubile, tanto cangiante.
Parlavano intanto i cittadini nella loro mente, per giorni e giorni, con
l’altro da loro, uguale preciso, identico e solo, una vera affinità, due anime
gemelle.
Magari non erano sempre le stesse, tutto mutava al sorger del sole, tutto
veloce tornava a rinascere al tramontar del sole.
Ma, mentre in quella stanza il piccolo si dava tanto da fare, la
realtà si polverizzava, uomini adulti lasciavano le mogli e donne
incazzate cercavano altrove, nel gioco degli incontri e degli scontri, del
togli uno e metti un po’ quello, restando alla fine scornate e deluse
dell’ennesimo giro in una giostra infernale.
Tutti oramai non vivevano più o vivevano troppo, prendendo per vero
quello che faceva quell’esserino che stava con loro.
Urgeva trovare di corsa un rimedio.
Chi aveva per primo inventato il gioco non aveva pensato alle
conseguenze, voleva distrarre, voleva ingannare, ma leggermente per un solo
momento, voleva soltanto vendere un sogno, un tanto al tempo, con la durata,
convinto che poi chiunque avrebbe potuto svegliarsi di colpo e senza pretese.
Ma i sogni sono pericolosi, sono più disturbanti di una realtà, i sogni
ti portano sempre per mano e non ti lasciano andare di là
I sogni ci nutrono e ci danno lo slancio per dismettere un vivere
che non piace più
Così in quella città una grande malia invase le case, un girovagare per
un aldilà che portava tutti di qua e di là
Il rimedio, il rimedio, ma quale?
Dove trovare una risposta ad una domanda così impellente, così urgente?
Decisero dunque di rivolgersi tutti a quell'esserino che intanto pigiava
quarta puntata
Interrogato, il nickname non rispose.
Era intento sui tasti, era troppo impegnato.
Nessuna risposta alleviò l’ansia, il tormento di cuori affranti, di amori
spezzati.
Nessuna risposta ci fu in quel vuoto di attese, speranze, frustranti bip.
Qualcuno si ricordò di favole antiche, di mostri cattivi coperti di lana,
di lupi vestiti di agnelli, di streghe che offrivano mele odorose, del gatto e
la volpe che rubavano monete, di invidiosi calunniatori, di perfide sorellastre
e di matrigne odiose … qualcuno si accorse che bastava toccare con un
bastoncino il piccolino nella gabbietta ed avrebbe avuto i contorcimenti
e gli stessi spasmi della vita di fuori.
Dalle favole alla realtà.
Tutto ruotava eppur stava fermo, non c’erano storie, non c’erano mai
state, non c’era neppure il castello incantato, non c’era nessuno, nemmeno
un soldato.
Eppure tutto quel fermento, quel
correre intorno, quel grande da fare aveva distrutto famiglie e legami, aveva
portato un freddo nel cuore, più freddo di quello che c’era stato fino ad
allora.
Qualcuno provò a dirlo in giro, qualcuno provò a chiudere in cantina, in
soffitta ,quella gabbietta tanto carina.
Qualcuno provò poi ad usare un tablet, un pc in modo normale, dicendo
nome cognome ed età allo sconosciuto che trovava di là.
Parlando parlando con amici e parenti, con figli lontani, con soci
e clienti.
Avevano perso la fiaba e la fantasia però …
Riuscirono a vincere quella malia.
Molti non tutti e le strade di quella città, di tante città, di troppe
città continuarono ancora per giorni ad essere sempre troppo deserte.
quinta puntata
Ma che favola è?-direte voi- senza i buoni e senza cattivi, senza un
nemico da andare a stanare, senza un drago da addormentare?-
Sono tutti buoni, sono tutti cattivi, sono soltanto dei cittadini, manca
Pinocchio ma non le bugie, manca Peter Pan ma c’è capitan Uncino.
Manca la bella fanciulla rapita e tenuta prigioniera nella torre lassù. Rapunzel
con le sue trecce aspetta invano il cavaliere che salirà abbracciando i capelli
prima di darle la libertà.
Qui non c’è nessun cavaliere.
Qui non c’è nessuna torre.
Qui c’è soltanto una gabbietta, una minuzia, una cosa innocua che
invece imprigiona e porta via, peggio di una strega cattiva, peggio di un
sortilegio , un incubo strano che ingabbia e ti porta lontano.
Sembra di essere dietro il pifferaio che tutti i topi fece annegare … mi
sembra che fossero però solo i bambini ad annegare.
E dopo i bambini seguirono gli adulti .
E senza i bambini, una città diventa una scatola, una gabbietta.
Moltissimi adulti continuarono ad andare al lavoro, ma anche lì,
scoprirono presto che potevano restare connessi e non interrompere il mondo
fatato fatto di incontri, di concerti, di musiche, di maccheroni.
Un mondo di video gustosi, di immagini erostiche, cotte a puntino, salate
e pepate…
Che cosa importava sbrigare una pratica, guardare un referto, controllare
un registro?
Che cosa importava se un ospedale andava in frantumi, se si era rotto
l'ecografo, se il personale era ridotto?
Che cosa importava se la città tornava ad essere sporca e puzzava
di buste, di rifiuti, di fumi neri, di gomme bruciate?
Quel che importava invece urgentemente era andare a vedere che cosa
faceva
quell’esserino che intanto da solo pigiava e pigiava sui tasti
neri.
sesta puntata
Gli anni passarono, molti anni passarono.
Il tempo inesorabile cambiava i connotati, usurava le cose, rovinava le
strade.
Divenne pericoloso mettersi in viaggio su sentieri oramai impraticabili
Tanto a cosa serviva viaggiare e spostarsi se bastava soltanto
raggiungere casa e andare a guardare felici e irretiti il nostro piccolo che
intanto pigiava?
E mentre gli adulti facevano così, i ragazzi e i bambini sul computer
vero, sul loro cell, scambiavano mess sgrammaticati a mille amici che non
conoscevano, messaggi in bottiglia come una volta, messaggi di un tempo ormai
dilatato senza più attesa, senza sorpresa.
Insoddisfatti ed un po’ ingrugniti, alcuni bimbi facevano oh, facevano
pio pio come You tube aveva insegnato loro proprio quel dì.
E fu bellissimo per grandi e piccini restare a girare su quella giostra,
la giostra nuova dei nuovi rapporti, invisibili, insensibili, immaginari, con i
quali andare a spasso, al cinema, in parrocchia e ai quali poter chiedere
aiuto certi, certissimi di avere risposta.
Scoprirono infatti i cittadini che se il piccolino cercava aiuto perché
era solo, perché era triste, perché aveva un malessere strano, tutto lo schermo
altruista, sollecito rispondeva in coro:- Ma noi siamo qui. Siamo vicini a te.
Siamo dentro di te. Siamo solo per te. Preghiamo per te. Non ti scordiamo.
Meglio di una Crocerossa, meglio di una mamma, del pronto soccorso, della
mia amica più cara.
Ma nessuno arrivava dallo schermo bianco, certo i ragazzi sostenevano che
era tutto più facile, era tutto lì, sicuramente lo era, però poi bisognava
spostarsi ed andare a vedere se c’era davvero quello che veniva offerto di là.
Perché è vero al nick bastava pigiare e pigiare per essere a posto, era
il suo gioco, ma agli esseri umani dopo un bel po’ che stanno a guardare poi
viene sempre la curiosità di andare a vedere se ci sia mai quel mondo
dell’offerte e dell’amore senza problemi.
Si misero così tutti in viaggio, portando con loro la gabbietta,
portandola sotto un mantello, come i pellegrini di un tempo che fu.
Portandola cara e guardando ogni tanto le coordinate del loro incanto per
giungere infine in quel paradiso che loro avevano visto lassù su uno
schermo bianco dove il loro esserino pigiava e pigiava sui tasti neri.
settima puntata
Durante il viaggio, per mari, per
valli, per terre lontane, attraversarono
i cittadini, a loro volta, altre città, anch'esse deserte, anch'esse in
silenzio, senza bambini correr per strada, senza un adulto con un giornale.
Durante il viaggio però i cittadini sui mezzi, sui treni, sui mille
tranvai, incontrarono tanti altri con un mantello, con in mano un involto strano,
con un far circospetto, come se nascondessero un segreto vitale, un
tesoro, una gabbietta.
Durante il viaggio i cittadini cominciarono ad accorgersi che, chi stava
con loro in quell’andare, erano uomini, donne, vecchi e bambini, tutti con
quell’involto strano, tutti con uno sguardo perso come lo sguardo
delle persone che passeggiano nei vari centri
commerciali.
Furono costretti, loro malgrado, a coabitare su aerei, su bus, su frecce
del sud, che veramente di freccia aveva soltanto il nome.
Furono costretti a consultare carte, a guardare dove mai fosse
localizzato quel mondo incantato con cui si connetteva il loro esserino
da sera a mattina e da mattina a sera.
Furono costretti a parlarsi, a dirsi qualcosa, malgrado il sudore, la
puzza, i capelli in disordine.
Furono costretti a guardarsi col doppio mento, con la pancetta, con una
macchia sul pantalone.
Furono costretti a sorbirsi le lagne di bimbi irrequieti, col naso
impastato, con le lagne, le bizze di affamati di un sandiwch, di un solo
biscotto.
Basta così – avete capito- si accorsero che tutti cercavano lo stesso
luogo, che tutti avevano in mano un oggetto, un solo oggetto inanimato, unico e
solo, uguale per tutti, e che non c’era nessuna magia.
E che non c’era nessun incanto se non quello creato da loro stessi con il
loro potere immaginativo.
E che l’esserino sapeva fare solo una cosa, una soltanto, pigiare e
pigiare sui tasti neri nella gabbietta dell'immaginario.
ottava e ultima puntata
La droga
ammaliatrice che per giorni e giorni li aveva oscurati, la droga che alcuni,
che tanti avevano bevuto, la droga lasciava una dipendenza strana e tutti
iniziarono di nuovo ad accendere, vogliosi e ansiosi di sapere ancora che cosa
facesse, con chi parlasse, perché era così felice quell’esserino che intanto
pigiava.
Doveva
esserci da qualche parte quel mondo senza psicofarmaci, senza paure, solo di
offerte, doveva esserci da qualche parte solo per noi, solo per loro, solo per
tutti, un mondo nuovo, un mondo fatato. Ma come raggiungerlo?
Di là dallo schermo potevano tutti vederlo
trasmesso in una gabbietta a portata di mano di un essere strano ma nessuna
coordinata, nessuna mappa su Google maps esisteva ancora.
Guardandosi
in faccia e vedendosi alfine prevalse il momento del mettersi insieme, a
cercare, dopo essersi dapprima nascosti l’un l’altro con la vergogna di farsi
vedere, con il sospetto di essere fregati, con la diffidenza e con la
malevolenza di voler essere ognuno per primo il solo ad essere arrivato lassù o
… laggiù.
Così nel cercare
insieme, nel parlare, nel mostrarsi ognuno quella gabbietta, scoprirono con
vero orrore che quell’esserino era uguale per tutti, che scimmiottava un mondo
vero, che ripeteva all’infinito quello
che vedeva fare di qua.
Scoprirono
anche che non esisteva proprio nessuno al di là, che certo era solo e soltanto
un gioco e che c’era sotto la gabbietta un foglio con le istruzioni, un foglio
che loro non avevano visto e che avvertiva in neretto l’uso di non protrarsi
oltre due settimane e mezza altrimenti la gabbietta avrebbe potuto nuocere
gravemente alla salute … psichica, ahahahah, dell’utente!
Erano
stanchi, stanchi e avviliti, tutti i viandanti dell’anno duemila, erano tutti
con il foglietto in mano e leggevano, delusi, quel foglietto strano che
continuava a dire che, all’improvviso la batteria, all’improvviso la
connessione, si sarebbe esaurita di colpo quando loro stessi avrebbero smesso
di guardare fissi, di desiderare .
Erano loro
stessi a dare la carica alla gabbietta,
null’altro c’era.
Non c’è mai
nulla oltre noi stessi, oltre il nostro coraggio ,la nostra viltà, oltre il
nostro anelare ad un essere amato che ci guardi un po’.
Strapparono
rabbiosi quello strano foglietto, lo appallottolarono e lo lanciarono via dai
treni, dai bus, da navi e traghetti e poi di nuovo, ma ora con grande umiltà,
si guardarono fra loro e tutti insieme in un moto corale sollevarono la
gabbietta, la agitarono in aria e cominciarono a farla danzare in alto
lanciandosi uno la gabbietta dell’altro.
Un nuovo
gioco corale, dicevo, perché l’individuo, perché gli individui possano di nuovo
salvarsi e guarirsi con l’unica pillola che ci salva davvero
Uscire dal
guscio, uscire per strada, parlare e parlare con i nostri simili, tirargli
persino i capelli e far loro gli sgambetti ma poi di nuovo riderne insieme.
E mentre la
gabbietta volteggiava in aria all’esserino si staccò la connessione e si
ripiegò, si afflosciò, si sgonfiò, si asciugò, scomparve quasi, restando
soltanto nella gabbietta un po’di colla appiccicosa… umida e leggermente
grigiastra come una caccola che togliamo ai bambini dal loro nasino nei giorni invernali.
Così le gabbiette finirono buttate, lanciate e
schiacciate nei cassonetti della raccolta differenziata
Ma dove?
Nella
plastica, nel vetro, nella carta?
Nella
raccolta dei sogni inevasi, dei grandi imbrogli, delle illusioni che solo nelle
favole verranno scoperte senza dolore e senza soffrire come avviene sempre nella vita
vera.
Nella nostra
vita, la vita vera, noi tutti, però, continuiamo a pigiare a pigiare a pigiare sui
tasti neri convinti di avere nelle nostre mani il nostro domani, il nostro
sogno
Convinti per
sempre di essere sempre homo faber fortunae suae, sia col computer e con le
connessioni, con il teletrasporto e con un solo chip.
Avranno
tutti i cittadini nelle loro mani il loro destino e finalmente avranno capito che questa volta saranno loro, loro e
soltanto a risiedersi davanti un pc a pigiare e pigiare dei tasti neri senza lo
schermo dell’illusorio.
E vissero tutti felici e contenti
E vissero tutti infelici e scontenti
E vissero tutti in un modo o nell'altro ...
Ippolita Luzzo