Conosco Valentina Di Cesare dai suoi primi libri. Conosco lei personalmente per un incontro conservato gelosamente nella mia memoria. Il 6 febbraio ne annunciava la nascita “Oggi esce "Gli istrici" per la Casa Editrice Caffè Orchidea, diretta da Giuseppe Avigliano. L'editing è di Francesco Borrasso ( che ringrazio per la cura) e la copertina è di Stefano Marra. Il primo editing, quando questo libro era ancora un manoscritto, è di Dafne Munro."
"L’emigrazione è uno dei grandi tabù italiani, lo è da due secoli e temo lo sia ancora adesso" dice l'autrice in una intervista ed è ciò che più ci accomuna, noi del Sud, nel vedere abbandonati paesi, case, strade. Nel vedere chiudere scuole, ospedali, guardie mediche, nel vedere senza servizi interi quartieri ormai abitati da anziani o da nuovi immigrati, totalmente estranei al territorio, e che non serberanno alcuna memoria dei luoghi.
Nel mio personale #salonedellibro2025 stanno Gli istrici di Valentina Di Cesare e con lei e con loro dico ciò che leggo nella quarta di copertina: “Resistere? Loro resistono, vorrai dire. Io non resisto a nulla, io sto qui, sono nato qui.” E ancora a pagina 11 “Piano piano erano partiti in tanti, le case si chiudevano, il vicinato si sfoltiva come un tronco potato da gigantesche forbici, che scartavano tanto le gemme a legno quanto le gemme a fiore. Gli anni intanto continuavano a trascorrere, sfrontati, riverenti alle trasformazioni, ossequiosi ai mutamenti. Poi, un giorno, i superstiti iniziarono a guardarsi intorno e si accorsero di essere sempre meno, sempre più piccoli, soli, sparpagliati, stanchi di commemorare. Fu così che i ricordi si ammutolirono e nessuno ebbe più voce per loro. Il passato era talmente distante che recuperarlo costava troppa fatica; chi se n'era andato lo aveva fatto per mille ragioni e chi era restato, invece, lo aveva fatto quasi senza domandarsi il perché, procedendo in una vita senza impeti, sollevandosi ogni giorno su quelle piccole strade come una pianta selvatica infilata nelle fessure dell'asfalto. Senza parole, il paese era appassito, respirava ancora, sì, si teneva in piedi, ma niente più, oltre a quell'irrequieta stanchezza. I mesi si avvicendavano fiacchi. Il tempo si disfaceva così tutti i giorni, trascorreva con indolenza innaturale.”
Leggendo leggendo ritrovando nella protagonista tutti noi che abbiamo visto scomparire i vicini di casa, il quartiere ora disabitato, le saracinesche chiuse, i negozi scomparsi. Benché io viva in una cittadina di pianura ho visto molti quartieri del centro storico subire la sorte di questo piccolo centro dell’Abruzzo aquilano: Castel di Ieri, piccolo paese della Valle Subequana, un antico bacino dell’Abruzzo interno, in provincia de L’Aquila. Il paese si trova lungo il tracciato romano della Tiburtina Valeria. La città più vicina, Sulmona, dista circa venticinque chilometri. Dalla seconda metà del XIX secolo, il paese ha assistito a una progressiva diminuzione dei suoi abitanti.
“I cambiamenti si scorgono col tempo, quando un fatto accade non significa niente, ma alle strade e a quella piazza deserta Francesca non si era ancora abituata. Tanto vi aveva udito voci e visto gente transitarvi, che certi giorni aveva un senso di straniamento e si domandava dove fossero finiti il passato che aveva vissuto e il futuro che aveva immaginato. Guardandosi intorno come una turista di passaggio, scopriva di tanto in tanto un lavoro iniziato e mai finito intorno a un tetto, la porta di un vecchio fienile sfondata (da chi? E per quale motivo?), un cartello con su scritto vendesi', una gettata di cemento sopra una buca. Il paese era suo, lì era nata e aveva trascorso ogni giorno, eppure da un po' lo scrutava smarrita come se appartenesse al vento o a un mago maldestro che lo distruggeva lentamente, nell'indifferenza dei pochi rimasti. “
Un libro per riflettere su ciò che stiamo diventando, senza passato, senza futuro, senza nulla da conservare. Un libro può, scrissi un tempo, un libro come questo può far conoscere ciò che giornalmente viene sottratto al territorio denudandolo nella tristezza infinita dei tempi presenti.
Gli Istrici: Benché sia il titolo noi questo mammifero, presente in quasi tutta l’Italia centro-meridionale, lo vediamo una volta soltanto nel testo e il suo destino è ingrato, nonostante gli aguzzi aculei a difenderlo.
Ippolita Luzzo
Valentina Di Cesare vive a Milano, dove insegna Lettere nella Scuola Secondaria di Primo Grado e lingua italiana a studenti stranieri.
Ha pubblicato i romanzi “Marta la sarta” (Tabula Fati, 2014) tradotto in lingua tedesca, romena e araba, “L’anno che Bartolo decise di morire” (Arkadia, 2019, “Tutti i soldi di Almudena Gomez” (Polidoro, 2022). I suoi racconti sono presenti in diverse antologie di narrativa italiana contemporanea. Ha curato con Michela Valmori l’antologia “E c’erano gerani rossi dappertutto. Voci femminili della diaspora italiana in Nord America” pubblicata da Radici Edizioni, e per la stessa casa editrice cura la collana “Strade dorate” dedicata
alla letteratura della Diaspora italiana e italofona.