Io lo chiamo giornalismo di sciagura il giornalismo che si compiace dei morti e delle calamità alla maniera di Bruno Vespa che negli anni ottanta domandava con gusto ad ogni disgrazia:- Quanti morti? Quanti Morti?- felicissimo se le cifre fossero esorbitanti e lui potesse continuare la diretta televisiva assaporandone il trionfo e i milioni di telespettatori incollati al suo dire.
Era veramente sconcio e purtroppo ha fatto scuola continuando lui imperterrito a fare uguale e a creare una scuola di suoi epigoni che, ora dalle pagine del "giornale Libero" e dalle televisioni con Barbara D'Urso che si lava le mani e ci spiega come si intreccino le dita, seminano il panico nell'intera nazione italiana su un virus influenzale, contagioso e da tenere sotto controllo con gli strumenti adeguati della medicina.
In pochissimi giorni il circo mediatico ha messo in piedi uno sciocchezzaio continuo e martellante tale da far intervenire il Presidente dell'Ordine dei Giornalisti.
Credo che però i vari untori della parola dovrebbero essere messi in quarantena e chiusi, loro, in un luogo senza microfoni, per almeno un anno. Chissà se capirebbero! Non credo.
I danni arrecati poi dalla congiunzione fra un giornalismo scorretto e una classe politica incompetente si ritorceranno purtroppo sui tanti che hanno dovuto chiudere spettacoli teatrali e tour di presentazioni libri e sono questi gli incolpevoli a trovarsi in mezzo.
Mi auguro che i giornalisti forieri di sciagure tacciano per sempre e che siano messi nell'impossibilità di creare ulteriori danni. L'anatema del Regno della Litweb ricada su di loro e impedisca loro di nuocere ancora. Amen
giovedì 27 febbraio 2020
L'Imitazione del Vero di Ezio Sinigaglia
Il libro è candidato al Premio Strega, segnalato da Lorenza Foschini. Ne siamo molto felici noi che leggiamo Ezio Sinigaglia e riconosciamo a lui uno stile originale e un raccontare che andrà oltre il momento attuale delle patrie lettere.
Da Il Pantarei a Eclissi, ed ora a L'Imitazione del Vero, Ezio ci stupisce con la diversità del racconto, sempre però ancorato alla bellezza della letteratura. Nell'Imitazione del Vero lui fa suo il linguaggio del Boccaccio e a tratti dell'Ariosto, una lingua antica e musicale, per darci l'idea di stare in un altro luogo, quello dei sensi incantati.
" Viveva un tempo nella città di Lopezia un artefice di grandissimo ingegno donde la fama oltre le mura della città ed i confini medesimi del Principato volava tanto che nei più remoti angoli della Cristianità l'eco se ne coglieva"
e poi giungiamo leggendo a considerazioni siffatte " È ben vero che, fra le diverse cose umane, le quali tutte di leggierissimo momento sono, e di strettissimi confini, talché sempre dall'una sponda l'opposta si può vedere e dall'imboccatura il fondo e dal principio la fine, la potestà che più di ogni altra l'umana natura alla divina fa simigliante e le finite cose alle infinite e le mortali alle immortali è la virtù che ciascuno ha d'amare"
Nel Regno senza tempo e senza luogo della Litweb il racconto di Ezio sorride nel gioco amabile di una imitazione, nella seduzione che ciascuno di noi attua come forma di stare in vita per essere riconosciuti e sentirsi desiderati desiderando. Il linguaggio come una botte, una botte che ci aspetta tutti, fatta di suoni e di piacevolezze, di gioia e di grazia inaudita. La vogliamo tutti quella botte, costruita da mastro Landone per irretire Nerino, e costruita da Ezio per irretirci tutti nelle belle letture.
Gustiamo questa prosa inusuale e tanto desiderata da far dire nelle motivazioni a Lorenza Foschini"«L’imitazion del vero colpisce per l’eleganza e la ricercatezza della scrittura e per l’originalità del soggetto: un racconto amorale che ricorda per lo stile, l’ironia e la bellezza della prosa una novella di Boccaccio. In questo libro Sinigaglia mostra inoltre la sua singolare capacità di camuffare il lessico contemporaneo facendolo “sembrare” antico, sfruttando un’elegante sintassi e una prosodia della musicalità incantevole. É grazie a questi elementi stilistici e al ritmo serrato della narrazione che prende vita il racconto: una storia d’amore licenziosa e originalissima, un conte philosophique sulla natura misteriosa e oscura dell’amore “socratico” e sulle leggi del desiderio.
L’imitazion del vero è un libro che sorprende dal principio alla fine.»
Nel Regno della Litweb Ezio ha già vinto.
Ippolita Luzzo
Da Il Pantarei a Eclissi, ed ora a L'Imitazione del Vero, Ezio ci stupisce con la diversità del racconto, sempre però ancorato alla bellezza della letteratura. Nell'Imitazione del Vero lui fa suo il linguaggio del Boccaccio e a tratti dell'Ariosto, una lingua antica e musicale, per darci l'idea di stare in un altro luogo, quello dei sensi incantati.
" Viveva un tempo nella città di Lopezia un artefice di grandissimo ingegno donde la fama oltre le mura della città ed i confini medesimi del Principato volava tanto che nei più remoti angoli della Cristianità l'eco se ne coglieva"
e poi giungiamo leggendo a considerazioni siffatte " È ben vero che, fra le diverse cose umane, le quali tutte di leggierissimo momento sono, e di strettissimi confini, talché sempre dall'una sponda l'opposta si può vedere e dall'imboccatura il fondo e dal principio la fine, la potestà che più di ogni altra l'umana natura alla divina fa simigliante e le finite cose alle infinite e le mortali alle immortali è la virtù che ciascuno ha d'amare"
Nel Regno senza tempo e senza luogo della Litweb il racconto di Ezio sorride nel gioco amabile di una imitazione, nella seduzione che ciascuno di noi attua come forma di stare in vita per essere riconosciuti e sentirsi desiderati desiderando. Il linguaggio come una botte, una botte che ci aspetta tutti, fatta di suoni e di piacevolezze, di gioia e di grazia inaudita. La vogliamo tutti quella botte, costruita da mastro Landone per irretire Nerino, e costruita da Ezio per irretirci tutti nelle belle letture.
Gustiamo questa prosa inusuale e tanto desiderata da far dire nelle motivazioni a Lorenza Foschini"«L’imitazion del vero colpisce per l’eleganza e la ricercatezza della scrittura e per l’originalità del soggetto: un racconto amorale che ricorda per lo stile, l’ironia e la bellezza della prosa una novella di Boccaccio. In questo libro Sinigaglia mostra inoltre la sua singolare capacità di camuffare il lessico contemporaneo facendolo “sembrare” antico, sfruttando un’elegante sintassi e una prosodia della musicalità incantevole. É grazie a questi elementi stilistici e al ritmo serrato della narrazione che prende vita il racconto: una storia d’amore licenziosa e originalissima, un conte philosophique sulla natura misteriosa e oscura dell’amore “socratico” e sulle leggi del desiderio.
L’imitazion del vero è un libro che sorprende dal principio alla fine.»
Nel Regno della Litweb Ezio ha già vinto.
Ippolita Luzzo
lunedì 24 febbraio 2020
Andrea D'Urso Il Viaggio
"Rossana camminava senza sapere dove, non poteva fermarsi, doveva solo allontanarsi, il più possibile... Cercò nella borsa, cercò l'antidoto, quella poesia che si portava sempre con sé ormai e che ogni giorno andava a leggersi e a rileggersi. La curva della strada...La curva della strada dove semplicemente non si è visti, dove puoi metterti lì e aspettare, dove puoi essere aspettato, dove ci si ritroverà, dove non esiste l'ultima volta"
Da non credere: leggo Il viaggio di Andrea D'Urso e vi ritrovo una mia amica, o almeno io leggo per qualche tratto di somiglianza, una storia quasi conosciuta. Anche la mia amica ha il glaucoma, anche la mia amica è di Trapani.
Io poi mi sento partecipe come se avessi già letto "Il viaggio" in un altro momento della mia vita e forse sarà così.
Scritto con sensibilità e vicinanza Il viaggio commuove e conquista per il peregrinare interiore che ognuno di noi fa avanti e indietro sulle strade e sui bivi che percorriamo.
La protagonista avrà più o meno la mia età e mi ritrovo quasi a darle una mano e a dirle che il vivere può essere fantasia se c’è l’entusiasmo di voler cambiare.
Insieme a lei vediamo e non vediamo i coprotagonisti, i genitori di lei, il marito, i figli e poi un altro, un altro amore finito, finiti, nel giro dei giorni senza chiarore.
E allora non ci resta che piangere e così faccio io, io che aspetto a mia volta risposta da una Tac, io che mi metto in viaggio verso una letteratura amatissima che possa starci vicino nell'attesa.
A cosa ci si abitua? Sarà la domanda che ci faremo leggendo questo racconto che è una perla. Una mia amica mi ha detto di recente che la perla è il dolore dell'ostrica e credo che anche la produzione artistica alcune volte è il dolore dell'autore che percepisce la sofferenza dei personaggi che lo visitano. Ha conosciuto Rossana l'autore? non ci interessa. Sappiamo che tutto può cambiare. Sappiamo che Rossana si mette in viaggio in un viaggio chiamato amore
Nel Regno della Litweb accogliamo Andrea D'Urso con tutti i nostri applausi.
Andrea D'Urso ha fatto l'esperienza del Premio Calvino lo stesso anno in cui ho partecipato io, in cui ha partecipato Domenico Dara, lui ha poi pubblicato il romanzo Just a gigolò con Edizioni E/O, 2014, finalista al Premio Calvino l’anno precedente con il titolo Nomi, cose e città, e poi ha continuato a scrivere bei romanzi come La strada è un libro aperto (Vydia Editore, 2017), La società delle ombre (Rayuela Edizioni, 2018), Inevitabile Follia, (Stampa Alternativa, 2018) e le raccolte poetiche Occidente Express.
Da non credere: leggo Il viaggio di Andrea D'Urso e vi ritrovo una mia amica, o almeno io leggo per qualche tratto di somiglianza, una storia quasi conosciuta. Anche la mia amica ha il glaucoma, anche la mia amica è di Trapani.
Io poi mi sento partecipe come se avessi già letto "Il viaggio" in un altro momento della mia vita e forse sarà così.
Scritto con sensibilità e vicinanza Il viaggio commuove e conquista per il peregrinare interiore che ognuno di noi fa avanti e indietro sulle strade e sui bivi che percorriamo.
La protagonista avrà più o meno la mia età e mi ritrovo quasi a darle una mano e a dirle che il vivere può essere fantasia se c’è l’entusiasmo di voler cambiare.
Insieme a lei vediamo e non vediamo i coprotagonisti, i genitori di lei, il marito, i figli e poi un altro, un altro amore finito, finiti, nel giro dei giorni senza chiarore.
E allora non ci resta che piangere e così faccio io, io che aspetto a mia volta risposta da una Tac, io che mi metto in viaggio verso una letteratura amatissima che possa starci vicino nell'attesa.
A cosa ci si abitua? Sarà la domanda che ci faremo leggendo questo racconto che è una perla. Una mia amica mi ha detto di recente che la perla è il dolore dell'ostrica e credo che anche la produzione artistica alcune volte è il dolore dell'autore che percepisce la sofferenza dei personaggi che lo visitano. Ha conosciuto Rossana l'autore? non ci interessa. Sappiamo che tutto può cambiare. Sappiamo che Rossana si mette in viaggio in un viaggio chiamato amore
Nel Regno della Litweb accogliamo Andrea D'Urso con tutti i nostri applausi.
Andrea D'Urso ha fatto l'esperienza del Premio Calvino lo stesso anno in cui ho partecipato io, in cui ha partecipato Domenico Dara, lui ha poi pubblicato il romanzo Just a gigolò con Edizioni E/O, 2014, finalista al Premio Calvino l’anno precedente con il titolo Nomi, cose e città, e poi ha continuato a scrivere bei romanzi come La strada è un libro aperto (Vydia Editore, 2017), La società delle ombre (Rayuela Edizioni, 2018), Inevitabile Follia, (Stampa Alternativa, 2018) e le raccolte poetiche Occidente Express.
Sete di Amélie Nothomb
"Sono qui.Non ho mai smesso di essere qui. In un'altra maniera, certo, ma sono qui.
Non c'è bisogno di credere in qualcosa per sondare il mistero della presenza. È esperienza comune. Quante volte siamo qui senza essere presenti? Non è necessario sapere a cosa sia dovuto.
"Concentrati" diciamo. E il vero significato è: "Richiama la tua presenza"...Il fatto è questo: qualcuno presente per davvero non lo si incontra tutti i giorni. La mia tripletta vincente - amore, sete, morte - insegna a ben guardare anche tre modi di essere incredibilmente presente."
Con un linguaggio aderente ai nostri tempi deliranti Amélie Nothomb ci racconta il calvario di Gesù nella notte precedente alla sua crocifissione.
Il racconto si apre con i testimoni dei miracoli, anzi con coloro che hanno ricevuto benefici dai miracoli. Costoro, chiamati da Pilato sono i primi ad accusare Gesù. Ed ecco il funzionario del re che parla con riluttanza del miracolo che gli ha salvato il figlio, cavandosela con un: e che ci vuole? Con la sua magia, a quello basta una parola.
Assistiamo sgomenti al bene trasformato in male, ad atti di generosità mistificati e deviati nella testimonianza vile di mediocri, tutti pronti a puntare il dito.
Una parabola lunga, sembra questo monologo interiore di Gesù umano, una parabola in cui noi tutti ci riconosciamo alle prese con le nostre paure, con un corpo che è causa di gioie e tormento, di presenza e assenza, con un corpo oscuro che ci permette di pensare e di pensarlo nostro amico, nostro nemico.
Ho iniziato l'anno chiedendomi cosa il mio corpo sta cercando di dirmi, aspetto anche io impaurita una risposta, ma nello stesso tempo riesco a dialogare con il libro di Amèlie, con Daniela Di Sora, che pubblica con la Voland le opere della Nothomb, leggo la splendida traduzione di Isabella Mattazzi e pigio i tasti scordando il mio malessere, la mia paura.
"Non lo ripeterò mai abbastanza: un corpo è quanto di più bello possa mai capitare" afferma il Gesù di Amélie e noi con lui.
La riflessione di Amélie giunge in momenti di psicosi di massa che addirittura fanno spostare le date del suo arrivo in Italia, così come vi era una psicosi di massa nelle folle che gridarono Barabba, lasciando libero il ladro e crocifiggendo Gesù. Gesù era solo come sono ancora soli i buoni, le persone che credono.
Nell'immensa solitudine dei buoni, di chi si sacrifica per una causa, nell'immensa solitudine vi sta il credo. Credere che tutti possiamo diventare leve, tutti possiamo avere una missione, tutti abbiamo un potere rilevante.Diffondere un'altra maniera di amare. Bere, avere sete. Lo slancio che ci spinge a bere, lo chiama Amélie.
Nell'abbraccio che ci sospinge verso la lettura chiediamo riflessione ed empatia e restiamo insieme a Daniela, ad Amélie, ad Isabella, nel grande regno della letteratura.
Aspettando Amélie nel Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
Non c'è bisogno di credere in qualcosa per sondare il mistero della presenza. È esperienza comune. Quante volte siamo qui senza essere presenti? Non è necessario sapere a cosa sia dovuto.
"Concentrati" diciamo. E il vero significato è: "Richiama la tua presenza"...Il fatto è questo: qualcuno presente per davvero non lo si incontra tutti i giorni. La mia tripletta vincente - amore, sete, morte - insegna a ben guardare anche tre modi di essere incredibilmente presente."
Con un linguaggio aderente ai nostri tempi deliranti Amélie Nothomb ci racconta il calvario di Gesù nella notte precedente alla sua crocifissione.
Il racconto si apre con i testimoni dei miracoli, anzi con coloro che hanno ricevuto benefici dai miracoli. Costoro, chiamati da Pilato sono i primi ad accusare Gesù. Ed ecco il funzionario del re che parla con riluttanza del miracolo che gli ha salvato il figlio, cavandosela con un: e che ci vuole? Con la sua magia, a quello basta una parola.
Assistiamo sgomenti al bene trasformato in male, ad atti di generosità mistificati e deviati nella testimonianza vile di mediocri, tutti pronti a puntare il dito.
Una parabola lunga, sembra questo monologo interiore di Gesù umano, una parabola in cui noi tutti ci riconosciamo alle prese con le nostre paure, con un corpo che è causa di gioie e tormento, di presenza e assenza, con un corpo oscuro che ci permette di pensare e di pensarlo nostro amico, nostro nemico.
Ho iniziato l'anno chiedendomi cosa il mio corpo sta cercando di dirmi, aspetto anche io impaurita una risposta, ma nello stesso tempo riesco a dialogare con il libro di Amèlie, con Daniela Di Sora, che pubblica con la Voland le opere della Nothomb, leggo la splendida traduzione di Isabella Mattazzi e pigio i tasti scordando il mio malessere, la mia paura.
"Non lo ripeterò mai abbastanza: un corpo è quanto di più bello possa mai capitare" afferma il Gesù di Amélie e noi con lui.
La riflessione di Amélie giunge in momenti di psicosi di massa che addirittura fanno spostare le date del suo arrivo in Italia, così come vi era una psicosi di massa nelle folle che gridarono Barabba, lasciando libero il ladro e crocifiggendo Gesù. Gesù era solo come sono ancora soli i buoni, le persone che credono.
Nell'immensa solitudine dei buoni, di chi si sacrifica per una causa, nell'immensa solitudine vi sta il credo. Credere che tutti possiamo diventare leve, tutti possiamo avere una missione, tutti abbiamo un potere rilevante.Diffondere un'altra maniera di amare. Bere, avere sete. Lo slancio che ci spinge a bere, lo chiama Amélie.
Nell'abbraccio che ci sospinge verso la lettura chiediamo riflessione ed empatia e restiamo insieme a Daniela, ad Amélie, ad Isabella, nel grande regno della letteratura.
Aspettando Amélie nel Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
venerdì 21 febbraio 2020
Come una barca sul cemento di Roberto Saporito
"In un giardino pubblico di Milano viene rapito un bambino"
Mi fisso sulla notizia in apertura del radiogiornale con cui inizia "Come una barca sul cemento" e ne seguo gli svolgimenti capitolo per capitolo, abbandonando quel “tu” che sarebbe il protagonista principale del racconto.
Il narratore infatti si rivolge al suo protagonista chiamandolo “Tu”.
Tu guardiano notturno di un deposito di rimessaggio barche, tu professore universitario che hai dovuto lasciare il tuo lavoro e trovarne un’altro.
Raccontato col tu, in seconda persona, sembra quasi vedere l’autore mostrarcelo con un dito, come nell'immagine divina del Dio michelangiolesco che indica l’uomo e si rivolge a lui col suo “tu” che dona anima e vita.
“Tu” chi sei? Ci interroghiamo leggendo
Come una barca sul cemento: nel racconto che leggerete troverete fra le righe il caso di cronaca che seguirà le peripezie del protagonista come se fosse sullo sfondo. Un dietro le quinte, un modo per dire che l’informazione fa congetture e più ci darà informazioni e meno ne sapremo. Si insinua in noi lo straniamento che è lo stesso del protagonista nel suo girare quasi predestinato a fare ciò che non ha deciso lui. Restiamo insieme al caso di cronaca come se noi stessi fossimo stati rapiti, rapiti e allontanati dai nostri cari, intenti anche loro in telefonate o in altri incontri, come se noi stessi ora immemori accettassimo quella cioccolata che ci farà dimenticare chi noi siamo. O almeno chi eravamo, chi erano i nostri genitori, come ci chiamiamo. E continueremo a chiederci Come una barca sul cemento i tanti perché che non ci fanno muovere più come vorremmo
Le due storie, quella del professore universitario e quella del bambino rapito da Ludovica, si intrecciano e ritorno indietro nella lettura per cercare cosa le unisca, quale la connessione.
Intanto sono troppo commossa dalla lettura di questo avvincente romanzo di Roberto Saporito e rimango nell'atmosfera dei luoghi e degli incontri consapevole di come ogni gesto possa perderci o salvarci irreparabilmente.
"Come una barca sul cemento" i personaggi sono guidati nelle loro azioni da qualche disegno che sembra appartenere al loro passato e seguono come una barca sul cemento, da fermi quasi, guardando le conseguenze dei loro gesti da lontano. Lo rileggo ancora stupefatta e plaudo ad Arkadia Editore e alle loro scelte di qualità.
Nel caso di Roberto è una conferma. Lui scrive benissimo
Un grande plauso dal Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
sabato 8 febbraio 2020
Le affacciate
"Sopra la mia testa i chiodi oggi sono settantuno, né uno di più né uno di meno. E tanti saranno nei giorni a venire."
Arriva a Febbraio in libreria questo libro intrigante raccontato dalla protagonista nel momento in cui lei viene licenziata. Perdere un lavoro e ritrovarsi senza aver nulla da fare se non ritornare nella appartamento dove un tempo aveva convissuto con il suo ragazzo. E diventa protagonista del racconto anche tutto lo stabile, le altre donne che abitano nel palazzo condominiale. Metto qualche stralcio per far assaggiare lo stile con cui viene raccontato un difficile cambiamento, come si riesce a scrivere di difficoltà mantenendo la scioltezza e l'ironia.
A volte la positività diventa un esercizio complicato, eppure bisogna trovare un modo per non farsi piantare troppi chiodi. Il modo come viene gestita oggidì la malattia, la disoccupazione, la vecchiaia, la perdita di un lavoro, presuppone sempre quel sorriso stampato come se tutto fosse un evento.
Ed è su questo che ci fa riflettere Caterina Perali con Le affacciate.
“Contare i chiodi permette contemporaneamente di scrivere qualche commento generico sui social network senza che nessuna depressione da like s’impossessi di me, perché, grazie a loro e alle travi, i miei post sono positivi e ironici e piacciono a tutti. A chi non piace la positività?”
Cominciamo a conoscerla così che conta i chiodi, lei che ha organizzato eventi e curato pubblicità, ora a casa “Sono a casa, come tutti quelli che vengono lasciati a casa.”
"Mi accorgo che il mondo va avanti, che tutto ha un ritmo, tranne me. Costruisco, allora, una scatola di cartone immaginaria per nascondermi dentro e spiare tutti da vicino senza farmi vedere. Come da bambina, piego le gambe e appoggio la testa sulle ginocchia per diventare invisibile. Con le dita faccio due buchini sul cartone, avvicino gli occhi e inizio a guardare tutto quello che succede davanti."
" Il malessere che sento sono diventata io stessa. Non c’è un nemico. Non c’è nessuna lotta da intraprendere. O almeno io non sono in grado di sostenerne una. Il nobile tentativo di creare valore ovunque, in ogni istante e con tutti, non fa per me.. Ognuno cerca il suo modo per sopravvivere. Nel dominio dell’apparenza, ognuno ha il diritto di giocare come gli pare.
Nonostante la vita degli altri, nonostante le loro lotte, i loro esempi, nonostante il razzismo e i ricordi di questa casa di rin- ghiera, la nostalgia, la tua bicicletta rossa, il collega buono, le tre grazie, i loro successi, i loro insuccessi, nonostante il sapore amaro dei giudizi sui social, io la mia vita non voglio cambiarla. Non adesso, almeno. La mia rivoluzione può attendere."
Impariamo anche noi che la rivoluzione può attendere.
Un semplice augurio dal Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
Arriva a Febbraio in libreria questo libro intrigante raccontato dalla protagonista nel momento in cui lei viene licenziata. Perdere un lavoro e ritrovarsi senza aver nulla da fare se non ritornare nella appartamento dove un tempo aveva convissuto con il suo ragazzo. E diventa protagonista del racconto anche tutto lo stabile, le altre donne che abitano nel palazzo condominiale. Metto qualche stralcio per far assaggiare lo stile con cui viene raccontato un difficile cambiamento, come si riesce a scrivere di difficoltà mantenendo la scioltezza e l'ironia.
A volte la positività diventa un esercizio complicato, eppure bisogna trovare un modo per non farsi piantare troppi chiodi. Il modo come viene gestita oggidì la malattia, la disoccupazione, la vecchiaia, la perdita di un lavoro, presuppone sempre quel sorriso stampato come se tutto fosse un evento.
Ed è su questo che ci fa riflettere Caterina Perali con Le affacciate.
“Contare i chiodi permette contemporaneamente di scrivere qualche commento generico sui social network senza che nessuna depressione da like s’impossessi di me, perché, grazie a loro e alle travi, i miei post sono positivi e ironici e piacciono a tutti. A chi non piace la positività?”
Cominciamo a conoscerla così che conta i chiodi, lei che ha organizzato eventi e curato pubblicità, ora a casa “Sono a casa, come tutti quelli che vengono lasciati a casa.”
"Mi accorgo che il mondo va avanti, che tutto ha un ritmo, tranne me. Costruisco, allora, una scatola di cartone immaginaria per nascondermi dentro e spiare tutti da vicino senza farmi vedere. Come da bambina, piego le gambe e appoggio la testa sulle ginocchia per diventare invisibile. Con le dita faccio due buchini sul cartone, avvicino gli occhi e inizio a guardare tutto quello che succede davanti."
" Il malessere che sento sono diventata io stessa. Non c’è un nemico. Non c’è nessuna lotta da intraprendere. O almeno io non sono in grado di sostenerne una. Il nobile tentativo di creare valore ovunque, in ogni istante e con tutti, non fa per me.. Ognuno cerca il suo modo per sopravvivere. Nel dominio dell’apparenza, ognuno ha il diritto di giocare come gli pare.
Nonostante la vita degli altri, nonostante le loro lotte, i loro esempi, nonostante il razzismo e i ricordi di questa casa di rin- ghiera, la nostalgia, la tua bicicletta rossa, il collega buono, le tre grazie, i loro successi, i loro insuccessi, nonostante il sapore amaro dei giudizi sui social, io la mia vita non voglio cambiarla. Non adesso, almeno. La mia rivoluzione può attendere."
Impariamo anche noi che la rivoluzione può attendere.
Un semplice augurio dal Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
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