Casa Alzal- Me ne sono andata
Casa Alzal: Una casa accoglienza per ammalati di demenza
senile.
Sono in anticipo, aspetto il mio papà, stiamo facendo varie
prove affinché lui si abitui a venire qui, da quando lo abbiamo disperso nella
nebulosa degli atti di riconoscere, di orientarsi. Certo è ancora autonomo, si
fa per dire, è autonomo fin quanto regge una solida rete familiare, un sostegno
di accudimento, di pazienza, di rinunce.
Seduta sulla cassapanca li guardo mangiare, un grande
tavolo, molti anziani.
Accanto a loro tavolo gli operatori, giovani, entusiasti,
partecipativi.
Un uomo dall’età del mio papà mi saluta, un uomo elegante.
Vestito blu a righe sottili, cravatta, gilè, camicia.
Molto ben vestito, curato, un uomo gentilissimo.
Mi parla con distinzione, io lo interrompo, non capisco, poi
cerco di orientarmi anche io.
Guardo l’operatrice, ascolto lei, mi distraggo, faccio le
foto, sfocate, ai ragazzi, ritorno a sedermi accanto a lui, a Gerardo, il suo
nome.
Mentre ascolto, mentre guardo i visi di uomini, di donne
smemorate, una grande tristezza, una infinita malinconia, e la voglia di
urlare, di piangere, è forte.
Lui continua a parlarmi, io ne sono rapita.
Accanto a me un libro di poesie.
Lo ha portato lui, è il libro del maestro Francesco Sisca.
Lo sfoglio, lo leggo.
Poesie delicate e dedicate alla sua terra. Una sezione è di narrativa, con il ricordo di chi non c’è più, per fissare la loro
vita sul foglio.
Alunni scomparsi troppo presto, amici, conoscenti, alcuni, noti a tutti in città, li ricordo anche io
Leggendo non mi accorgo che hanno finito di mangiare,
che tutti ci siamo persi, noi, loro, che anche la mia città ha assunto i tratti di
una demenza svaporante e ormai da troppo tempo vaga nelle nebbie brumose di un
inverno di sentimenti.
Leggo e rileggo poi alzo gli occhi e rivedo gli occhi belli
e fiduciosi di Gerardo, sento il suo saluto, ne sono felice, mi sento
vicinissima ora a lui, a loro, alla mia città
Prendo in macchina un libro, appena comprato, Seneca, La
vita beata, lo regalo a lui, e prometto che mi siederò e racconterò anche io di
loro, di noi, affinché il foglio viva per noi,
affinché il foglio fissi su carta, su web, sul blog, la
grande avventura di ogni vita, la grande illusione di essere almeno presenti,
almeno un momento, nell’affetto di un altro.
Per non dimenticare, per non essere dimenticati, per non
dimenticarsene.