L’efebo di Mozia nel maggio 2011
29 maggio a Mozia. All'imbarcadero saliamo, il mare è piatto, una laguna, la laguna dello Stagnone. I pescatori sembra che ti diano un passaggio sulle loro chiatte, addirittura in tempi recenti un carretto trainato da un cavallo percorreva il tracciato della strada fenicia che collegava l’isola alla città di Marsala. Solo sei stadi la distanza fra l’isola e la costa. Qui i fenici tessevano le stoffe e le tingevano di rosso con la porpora, Mozia-filanda, l’isola era una filanda, qui i commerci erano lucrosi, arrivavano, compravano, ripartivano i mercanti, prima che le guerre e le rivalità portassero morte e distruzione. Agli inizi del novecento l’intera isola fu acquistata da Joseph Whitaker, archeologo, erede di una famiglia inglese arricchitasi con la produzione e la vendita del Marsala e dal 1971 l’isola è stata donata dalla figlia Delia alla fondazione che porta il nome del papà. Nella loro casa vi è ora il museo dell’isola ed in una stanza abita lui, da solo. L’efebo, la statua ritrovata nel 1970 coperta da detriti nella zona kappa, giaceva in quel luogo probabilmente dal momento in cui l’intolleranza religiosa decapitò teste vere e simboli di altre religioni. Non so chi sia, se il dio punico Melquart oppure Nikomachos, uno splendido atleta, un auriga alla guida del suo cocchio direttamente Apollo, o soltanto un bellissimo ragazzo molto amato dallo scultore, chissà. L’emozione di aver ritrovato l’efebo, nel suo peplo plissettato, nel suo nuovo e integro corpo, ricomposto, malgrado la decapitazione, malgrado il seppellimento, malgrado l’incuria degli uomini, era fortissima. L’efebo ora era davanti a me, aveva attraversato i secoli, sempre bellissimo, elegante, divino, è diventato il simbolo dei giochi olimpici della città di Atene ,dei giochi invernali di Torino. Ha sorvolato cieli, continenti, mari, dopo aver trascorso millenni senza testa sotto una spessa coltre di terra in un tempio, forse dedicato a lui, ormai devastato dalla furia degli eventi umani, naturali. L’efebo era lì a rammentarmi che la bellezza resiste, non ha paura, che la bellezza classica conforta e concilia un’armonia vera fra uomo e uomo, uomo e natura, uomo e divino. La sua postura leggermente sensuale stordiva un po', il movimento del suo braccio, ripiegato indietro, sulla spalla, come se reggesse un’elsa, increspava le pieghe del peplo, l’altra mano, poggiata sul fianco, spostava leggermente il suo baricentro. Sinuoso, ma fermo, ci aspettava, si offriva al nostro sguardo con l’atteggiamento distaccato di chi ne ha viste e non ne ha viste tante da ritenerle tutte importanti ma superflue. La storia fenicia, la porpora, gli elimi, popoli appena precedenti la classicità greca, regalavano serenità e consolazione a viaggiatori presenti nel maggio 2011.
Ippolita Luzzo
mercoledì 27 giugno 2018
martedì 26 giugno 2018
Facebook blues di Laura Bettanin
Conoscere Laura su Facebook e leggere i suoi post, vedere i suoi video. Far entrare Laura a casa come se fosse una amica, anzi di più, perché le amiche non le vedo più mentre vedo Laura ogni giorno insieme a me, a noi.
Facebook Blues mi arriva come una conferma. Il libro di Laura è una summa facebook, del vario mondo degli incontri e degli scontri, del vivere normale e uguale nel mondo reale, solo che su facebook si vede tutto. Ed io che, per trovare come e quando, per trovare dove e perché, sto su facebook, leggo e leggo divertita come Laura abbia composto il tutto variegato mondo degli utenti facebook facendone una storia da mille storie. Storia dalle mille e una storie questo è Facebook blues. Mitologia del contemporaneo. La storia e le storie sono inframezzate da lettere a Ginger, una fantomatica Donna Letizia dei nostri tempi sgraziati, una donna ironica e spiccia che cerca di non farsi catturare dal dramma dei suoi interlocutori e offre una soluzione più che un consiglio, una soluzione di buon senso, a modo suo. Filo conduttore, legame che porta da una parte all'altra dell'oceano mare, è la storia di una lei, del figlio Eligio, del marito Franco, della sua amica Renata, e di Jeremy il suo amore, la storia del primo amore che non si scorda mai, la storia del primo amore ritrovato. Una storia romantica ai tempi di facebook, sempre romantica è. Cambiano le dinamiche ma il risultato, come negli addendi scambiati dell'addizione, è sempre lo stesso. Cambiano le modalità. Si sta su questa piattaforma e si mandano messaggi, si aspettano risposte e si guarda intanto cosa fanno tanti altri, sconosciuti.
"Sento che questo pollaio in cui mi sono infilata per gioco a volte diventa una trappola per topi. Topi in un pollaio. Una tagliola che ti tiene per la coda. Tu cerchi di sganciarti ma ti tiene attaccata perché se tiri, se ti muovi, ti fa male. Non un gran male, diciamo un disagio. Fastidioso, ossessivo. La sensazione che se non stai attivo poi vieni dimenticato."
Come stiamo cambiando restando sempre uguali, questa riflessione mi sovviene leggendo, ridacchiando a volte nel momento in cui riconosco tantissimi, in cui vedo i vizi e i vezzi nei quali cadiamo un po' tutti, ridacchio a volte allegra a volte triste ma rido ricordando tanto: le mille mail scritte a chi non si conosce, i messaggi a chi non vedrai mai, ed insieme ai mille libri che arrivano puntuali alla mia posta portandomi il messaggio vero del mondo che mi risponde così, con loro.
Si diventa altro restando su un social? Non lo so, di certo si legge tanto, si viene a conoscenza della vita, supposta o inventata, di tantissimi, si scambiano opinioni e ci si affeziona, essendo l'affetto un bisogno imprescindibile dell'essere umano.
Facebook blues, quel suono del blues, del ricordare, della nostalgia, canaglia o meno, quel suono sotterraneo che attraversa le nostre vite, ricordando tempi belli e meno belli, scordando tempi brutti, scordando e selezionando gli stessi ricordi, per abbellire, per conservare noi stessi, noi, il tempo presente fatto di ciò che ci portiamo in tasca.
Facebook blues suona e come il blues possiede la struttura ripetitiva di dodici battute e nella melodia, dell'uso delle cosiddette blue, così nel libro suonano le note nel blu del cielo sempre più blu, di Rino Gaetano. Ed il cielo è sempre più blu, scappando via da paesi, città e situazioni che non ci vogliono più. Da Facebook a chi di noi canta ancora un blues fatto di sentimento e ricordo, di gioia e dolore, di voglia di esserci ancora.
Chi vive in baracca, chi suda il salario
Chi ama l'amore e i sogni di gloria
Chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria
Chi mangia una volta, chi tira al bersaglio
Chi vuole l'aumento, chi gioca a Sanremo
Chi porta gli occhiali, chi va sotto un treno
Chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori
Chi legge la mano, chi regna sovrano
Chi suda, chi lotta, chi mangia una volta
Chi gli manca la casa, chi vive da solo
Chi prende assai poco, chi gioca col fuoco
Chi vive in Calabria, chi vive d'amore
Chi ha fatto la guerra, chi prende il sessanta
Chi arriva agli ottanta, chi muore al lavoro
Con Laura e i suoi video, con Laura e il suo esserci vero, con Laura e il suo amore a cui dedica il libro, con Laura e noi, nel tenderci la mano, oltre Facebook e con Facebook, noi stiamo in blues.
Ippolita Luzzo
Facebook Blues mi arriva come una conferma. Il libro di Laura è una summa facebook, del vario mondo degli incontri e degli scontri, del vivere normale e uguale nel mondo reale, solo che su facebook si vede tutto. Ed io che, per trovare come e quando, per trovare dove e perché, sto su facebook, leggo e leggo divertita come Laura abbia composto il tutto variegato mondo degli utenti facebook facendone una storia da mille storie. Storia dalle mille e una storie questo è Facebook blues. Mitologia del contemporaneo. La storia e le storie sono inframezzate da lettere a Ginger, una fantomatica Donna Letizia dei nostri tempi sgraziati, una donna ironica e spiccia che cerca di non farsi catturare dal dramma dei suoi interlocutori e offre una soluzione più che un consiglio, una soluzione di buon senso, a modo suo. Filo conduttore, legame che porta da una parte all'altra dell'oceano mare, è la storia di una lei, del figlio Eligio, del marito Franco, della sua amica Renata, e di Jeremy il suo amore, la storia del primo amore che non si scorda mai, la storia del primo amore ritrovato. Una storia romantica ai tempi di facebook, sempre romantica è. Cambiano le dinamiche ma il risultato, come negli addendi scambiati dell'addizione, è sempre lo stesso. Cambiano le modalità. Si sta su questa piattaforma e si mandano messaggi, si aspettano risposte e si guarda intanto cosa fanno tanti altri, sconosciuti.
"Sento che questo pollaio in cui mi sono infilata per gioco a volte diventa una trappola per topi. Topi in un pollaio. Una tagliola che ti tiene per la coda. Tu cerchi di sganciarti ma ti tiene attaccata perché se tiri, se ti muovi, ti fa male. Non un gran male, diciamo un disagio. Fastidioso, ossessivo. La sensazione che se non stai attivo poi vieni dimenticato."
Come stiamo cambiando restando sempre uguali, questa riflessione mi sovviene leggendo, ridacchiando a volte nel momento in cui riconosco tantissimi, in cui vedo i vizi e i vezzi nei quali cadiamo un po' tutti, ridacchio a volte allegra a volte triste ma rido ricordando tanto: le mille mail scritte a chi non si conosce, i messaggi a chi non vedrai mai, ed insieme ai mille libri che arrivano puntuali alla mia posta portandomi il messaggio vero del mondo che mi risponde così, con loro.
Si diventa altro restando su un social? Non lo so, di certo si legge tanto, si viene a conoscenza della vita, supposta o inventata, di tantissimi, si scambiano opinioni e ci si affeziona, essendo l'affetto un bisogno imprescindibile dell'essere umano.
Facebook blues, quel suono del blues, del ricordare, della nostalgia, canaglia o meno, quel suono sotterraneo che attraversa le nostre vite, ricordando tempi belli e meno belli, scordando tempi brutti, scordando e selezionando gli stessi ricordi, per abbellire, per conservare noi stessi, noi, il tempo presente fatto di ciò che ci portiamo in tasca.
Facebook blues suona e come il blues possiede la struttura ripetitiva di dodici battute e nella melodia, dell'uso delle cosiddette blue, così nel libro suonano le note nel blu del cielo sempre più blu, di Rino Gaetano. Ed il cielo è sempre più blu, scappando via da paesi, città e situazioni che non ci vogliono più. Da Facebook a chi di noi canta ancora un blues fatto di sentimento e ricordo, di gioia e dolore, di voglia di esserci ancora.
Chi vive in baracca, chi suda il salario
Chi ama l'amore e i sogni di gloria
Chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria
Chi mangia una volta, chi tira al bersaglio
Chi vuole l'aumento, chi gioca a Sanremo
Chi porta gli occhiali, chi va sotto un treno
Chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori
Chi legge la mano, chi regna sovrano
Chi suda, chi lotta, chi mangia una volta
Chi gli manca la casa, chi vive da solo
Chi prende assai poco, chi gioca col fuoco
Chi vive in Calabria, chi vive d'amore
Chi ha fatto la guerra, chi prende il sessanta
Chi arriva agli ottanta, chi muore al lavoro
Con Laura e i suoi video, con Laura e il suo esserci vero, con Laura e il suo amore a cui dedica il libro, con Laura e noi, nel tenderci la mano, oltre Facebook e con Facebook, noi stiamo in blues.
Ippolita Luzzo
venerdì 22 giugno 2018
La verità del Freddo Raffaella Fanelli Intervista Maurizio Abbatino
"Cerco gli assassini perché loro sanno la verità, sono loro a conoscere i nomi dei mandanti." Raffaella Fanelli a Trame con Antonio Chieffallo su La Verità del Freddo inizia in questo modo la serata nel chiostro del Palazzo Nicotera. Un libro frutto di due anni di richieste, due anni di messaggi, una intervista raggiunta per sfinimento, per aver conquistatola fiducia.
Raffaela Fanelli racconterà a noi per quanto tempo ha cercato le tracce e il collegamento con Maurizio Abbatino, il boss della Banda della Magliana, per quanto tempo abbia chiesto l'intervista e come questa sia iniziata con un incontro su una piazzola di un parcheggio, lei che arriva in ritardo per problemi non di sua volontà, lui che aspetta da due ore e poi lei sale sulla sua auto e lui sgomma veloce verso il luogo dell'intervista. Quella fu la volta in cui Raffaella viaggiò in apnea fino al ristorante. Lei registra tutto. Registra sempre ad ogni incontro, nelle interviste fatte nel corso della sua professione di giornalista professionista, di giornalista che cerca la verità di fatti ancora oscuri attraverso le interviste agli assassini. "Cerco gli assassini perché loro sanno la verità, sono loro a conoscere i nomi dei mandanti." La Verità Del Freddo è il racconto e la storia della banda della Magliana, fatta con perizia giornalistica, cercando intrecci e collegamenti, relazioni, con molte interviste mettendo in relazione le risposte alle domande e le dichiarazioni sulle incongruenze riportate in atti e verbali. trovando riscontri e tracce in dichiarazioni di altri, verificando le fonti, intersecando, direbbe Simona Zecchi, nostra amica comune e grande giornalista d'inchiesta.
Raffaella Fanelli continua a raccogliere una storia oscura di pezzi di Stato collusi, di alcuni prelati dello Stato Vaticano a conoscenza dei segreti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, di Pasolini, di Aldo Moro.
Per le dichiarazione fatte da Abbatino, a suo tempo, ci fu l'Operazione Colosseo, furono condannati solo alcuni mentre Massimo Carminati,forse in possesso di chissà quali documenti, è libero.
Maurizio Abbatino è stato estromesso dal programma di protezione, non può più godere dell'identità nascosta che gli permetteva di accedere alle cure sanitarie ed è un uomo lasciato solo dallo Stato. Lui sa che quando si spegneranno le luci della scorta mediatica che lo protegge sarà ucciso. Sarà ucciso però con la connivenza di quelli che non vogliono più sentire le sue accuse, scomode per i poteri forti.
La verità del Freddo arriva chiedendo quindi attenzione su fatti manipolati e confusi, su collaboratori di giustizia a volte usati a volte bloccati quando il livello delle rivelazioni giunge dove non deve arrivare.
Un grande ringraziamento della Litweb a Raffaella Fanelli per il suo coraggio, per il suo caparbio desiderio di cercare nei fatti e negli assassini la verità dove sta, presso chi sa chi siano i mandanti.
Ippolita Luzzo
Raffaela Fanelli racconterà a noi per quanto tempo ha cercato le tracce e il collegamento con Maurizio Abbatino, il boss della Banda della Magliana, per quanto tempo abbia chiesto l'intervista e come questa sia iniziata con un incontro su una piazzola di un parcheggio, lei che arriva in ritardo per problemi non di sua volontà, lui che aspetta da due ore e poi lei sale sulla sua auto e lui sgomma veloce verso il luogo dell'intervista. Quella fu la volta in cui Raffaella viaggiò in apnea fino al ristorante. Lei registra tutto. Registra sempre ad ogni incontro, nelle interviste fatte nel corso della sua professione di giornalista professionista, di giornalista che cerca la verità di fatti ancora oscuri attraverso le interviste agli assassini. "Cerco gli assassini perché loro sanno la verità, sono loro a conoscere i nomi dei mandanti." La Verità Del Freddo è il racconto e la storia della banda della Magliana, fatta con perizia giornalistica, cercando intrecci e collegamenti, relazioni, con molte interviste mettendo in relazione le risposte alle domande e le dichiarazioni sulle incongruenze riportate in atti e verbali. trovando riscontri e tracce in dichiarazioni di altri, verificando le fonti, intersecando, direbbe Simona Zecchi, nostra amica comune e grande giornalista d'inchiesta.
Raffaella Fanelli continua a raccogliere una storia oscura di pezzi di Stato collusi, di alcuni prelati dello Stato Vaticano a conoscenza dei segreti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, di Pasolini, di Aldo Moro.
Per le dichiarazione fatte da Abbatino, a suo tempo, ci fu l'Operazione Colosseo, furono condannati solo alcuni mentre Massimo Carminati,forse in possesso di chissà quali documenti, è libero.
Maurizio Abbatino è stato estromesso dal programma di protezione, non può più godere dell'identità nascosta che gli permetteva di accedere alle cure sanitarie ed è un uomo lasciato solo dallo Stato. Lui sa che quando si spegneranno le luci della scorta mediatica che lo protegge sarà ucciso. Sarà ucciso però con la connivenza di quelli che non vogliono più sentire le sue accuse, scomode per i poteri forti.
La verità del Freddo arriva chiedendo quindi attenzione su fatti manipolati e confusi, su collaboratori di giustizia a volte usati a volte bloccati quando il livello delle rivelazioni giunge dove non deve arrivare.
Un grande ringraziamento della Litweb a Raffaella Fanelli per il suo coraggio, per il suo caparbio desiderio di cercare nei fatti e negli assassini la verità dove sta, presso chi sa chi siano i mandanti.
Ippolita Luzzo
giovedì 21 giugno 2018
W il giornalismo: Non lasciamoli soli
I corridoi umanitari del giornalismo vero.
Ieri sera a Lamezia ospiti del Festival Trame Francesco Viviano presenta il libro di Simona Zecchi La criminalità servente nel Caso Moro e alle 21 ci racconta qualche episodio del suo libro scritto con Alessandra Ziniti: Non lasciamoli soli. Voci dall'inferno della Libia. Quello che l'Italia e l'Europa non vogliono ammettere.
Francesco Viviano mi arriva subito con l'urgenza della situazione e il gesto vero dei fatti.
Sul libro di Simona ci confessa: Io non sarei stato capace di scriverlo. Tante fonti, tante ricerche. Lei ci ha provato. Io sono un cronista.
Francesco Viviano ripete più volte la parola cronista, e Simona Zecchi a quel punto aggiunge che lui è cronista di mafia e sa di cosa lei si è occupata ricercando. La Commissione Moro ha acquisito alcune ricerche fatte da lei incrociando, intersecando atti giudiziari e testimonianze di collaboratori di giustizia.
Giornalismo d'inchiesta serio.
"Ci aiuteranno a trovare una rotta", sento presentare più tardi così Giulia Veltri il libro di Francesco Viviano.
" Io faccio il giornalista da 35/40 anni e mi occupo di mafia e migrazione." Lo dice con i gesti, con lo sguardo e con il tono serio del ruolo, di chi ha una funzione utile in un consesso civile, di chi è voce di un giornale e di una coscienza.
Ci fa partecipi del suo orrore e del suo impegno, del lavoro del giornalismo che trasforma i numeri in fatti, in storie. E del movimento di disperati che dall'Africa arrivano sulle coste italiane dice:" Finora sono stati trattati solo come dei numeri, e sono come noi, esseri umani, che vengono lasciati annegare, che vengono lasciati nei campi di concentramento libici. La Libia è un inferno." Una moltitudine di uomini scappano dall'Africa avvelenata e sfruttata, dall'Africa dove dittatori terribili privano i loro sudditi di un passaporto, dall'Africa depredata e sconvolta dalle grandi compagnie commerciali cinesi americane europee. Scappano i sudditi, pagano per scappare, pagano e sperano di arrivare in Europa. Dovranno attraversare quel mare color del vino, quel mare solcato da navi commerciali, dalla Marina Militare, da Ong. I soccorsi in mare... il soccorso in mare è solo un cerotto. Con la lucidità della conoscenza Francesco Viviano lega tutti i ministri che si sono succeduti, nello stesso filo di incapacità di gestire un fenomeno storico di entità immensa. Dal ministro Moroni a Salvini, passando per Minniti, lo stesso inutile fare, anzi dannoso. Lo stesso pagare i libici per tenere lontani gli schiavi, i sudditi. Li chiamo così perché mi rifiuto di chiamarli diversamente. Sono privi di passaporto, quindi schiavi. A questi uomini, costretti nelle carceri libiche bisognerà ridare dignità. Bisognerà appellarsi al Regolamento internazionale, ci saranno ancora in vigore un codice di auto regolamento, un pronunciamento della Corte europea, e ci sarà impellenza di una contronarrazione.
"Io sono un cronista, il mio giornale La Repubblica, mi ha permesso di fare lavorare, faccio il cronista, mi occupo di verificare, indago sui fatti ed a volte chi fa questo mestiere dà fastidio. Ora invece nei giornali arrivano solo comunicati,ed i video sono della guardia di finanza, della polizia, dei carabinieri, e inondano di comunicati i giornali." Giornalisti usati solo come diffusori di comunicati.
L'inondazione crea distorsione.
Una grande empatia mi lega a questo giornalista, mi lega a tutti i giornalisti che perseguono con tenacia il riscontro dei fatti, che vanno a vedere, che oltre ad informare vorrebbero dare un aiuto.
Il momento che viviamo è un'antitesi della civiltà, permette schiavismo e razzismo, ignominia e violenza, permette privilegi e disprezzo.
W il giornalismo di Francesco Viviano, W il giornalismo di Simona Zecchi, ed evviva chi fa ancora della sua professione un corridoio umanitario.
Ippolita Luzzo
lunedì 18 giugno 2018
La folle storia del kamikaze che non voleva morire di Claudio Marinaccio
"La vera pornografia è la sofferenza degli sconosciuti."
I racconti di Claudio Marinaccio iniziano con la metafora del sarto di Brecth
Un sarto sosteneva di poter volare con un apparecchio che si era costruito da solo e un giorno si presentò dal vescovo della sua città, dicendogli: “Ora posso volare”.
Il prelato non si emozionò. Con semplicità disse all'artigiano: “Allora provaci”. Il sarto si lanciò dall'alto e finì spiaccicato sul selciato. Un sarto creativo, curioso. Il suo fu un peccato di curiosità. Trovarlo qui come incipit della storia del folle kamikaze che non voleva morire mi sembra una vera goduria. Sorrido anche io al referto dei medici che scrivono di aver appurato che il sarto sia morto di paura prima dell'impatto col terreno. Ricordo quando morì Lucio Magri si parlò molto di quel suo libro del 2009 Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci, terribilmente profetico,ed io scribacchiavo pezzi sulla vicenda triste della fine di Magri e di un sarto che voleva volare.
Brecht scrisse “dopo alcuni secoli gli uomini riuscirono effettivamente a volare”.
Io però non credo che il volo e la morte del sarto siano stati necessari nella storia del volo
La folle storia del kamikaze che non voleva morire sono racconti di un umorismo nero. Deliranti, alcuni. Ho iniziato a leggere il primo racconto, sono saltata, giuliva, e per problemi di vista, ai ringraziamenti e ho trovato Claudio ad aspettarmi e a dirmi che sapeva quello che avrei fatto. Ridendo sono andata indietro, giorno per giorno fino a che ho capito che Claudio sa ogni cosa, ci conosce tutti, come conosce l'arte del narrare. Nei racconti lo preferisco, così come mi piacciono i suoi bozzetti sul giornale, sulla Stampa, i suoi post su facebook, mi piace il suo sguardo surreale e di amicizia, attento agli affetti, ma senza quella pornografia dei sentimenti tanto in voga, senza quella terribile autofiction spiattellata da scrittori venduti al servizio di un melenso mulino bianco. In Claudio c'è il cinismo con affetto, l'amore per gli altri autori e il distacco giusto per non cadere nella pornografia dello zucchero "Se siete arrivati fin qui significa che avete letto tutto il libro oppure che avete saltato tutti i racconti e ora vi ritrovate a leggere dei ringraziamenti. Se fate parte di questa seconda categoria e leggendoli vi viene voglia di leggere tutto il libro, be’ tanto meglio Alessandro De Vito, Fabio Mendolicchio e Davide Reina sono Miraggi e li creano, ma sono anche e soprattutto persone vere (vere per davvero). Grazie a loro perché mi danno la libertà di scrivere quello che mi piace e, in più, mi pubblicano pure.Luca Garonzi disegna. E lo fa così bene che è un onore avere i suoi disegni all’interno del mio libro. Ognuna di queste tavole è una storia nella storia."
Delirio di negazione
FooG
Una giornata da dimenticare
Una barba lunga un mese
Il tragico inizio di una storia non banale
Pelle
Amore farmacologico
Un viaggio mentale in una terra desolata
La folle storia del kamikaze che non voleva morire
Così diversamente uguali
La ballata del ladro di anime:"Il deserto è un luogo strano. Un posto dove l’uomo soffre di solitudine visiva. Il paesaggio è sempre lo stesso, immobile. C’era un’enorme distesa di pietre e sabbia, interrotta da cespugli secchi che sembravano sfoghi della terra, come nei pelosi sui volti dei vecchi,così fastidiosi da calamitare lo sguardo. A volte l’orrido attrae. Il gusto del macabro è insito dentro di noi." Leggerete Claudio con il piacere di vedere storie che hanno un senso vero così anche noi facciamo con la vita come questo vecchio che ha perso la moglie "Al principio fui colto da tristezza poi rabbia poi delusione e poi da una strana forma di accettazione. Fino a quando non capisci che la morte non è altro che una fase della vita. Come lo è per esempio l’adolescenza, non puoi accettarla e perciò capirla." Capendo aleggerà il sorriso sul tutto.
Ippolita Luzzo
"David Foster Wallace e Bret Easton Ellis, dopo anni, si chiariscono."
Claudio Marinaccio è nato a Torino nel 1982. Collabora con diverse riviste tra cui GQ, Il Mucchio, Donna Moderna, Io donna e Linus e sulla chat dei genitori... Nel 2016 esce il suo romanzo Come un pugno (Aliberti) e nel 2017 una raccolta di dialoghi e racconti dal titolo Non disturbare (Miraggi). Ha condotto un programma radio dal titolo I fuorilegge. Scrive su La Stampa.
I racconti di Claudio Marinaccio iniziano con la metafora del sarto di Brecth
Un sarto sosteneva di poter volare con un apparecchio che si era costruito da solo e un giorno si presentò dal vescovo della sua città, dicendogli: “Ora posso volare”.
Il prelato non si emozionò. Con semplicità disse all'artigiano: “Allora provaci”. Il sarto si lanciò dall'alto e finì spiaccicato sul selciato. Un sarto creativo, curioso. Il suo fu un peccato di curiosità. Trovarlo qui come incipit della storia del folle kamikaze che non voleva morire mi sembra una vera goduria. Sorrido anche io al referto dei medici che scrivono di aver appurato che il sarto sia morto di paura prima dell'impatto col terreno. Ricordo quando morì Lucio Magri si parlò molto di quel suo libro del 2009 Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci, terribilmente profetico,ed io scribacchiavo pezzi sulla vicenda triste della fine di Magri e di un sarto che voleva volare.
Brecht scrisse “dopo alcuni secoli gli uomini riuscirono effettivamente a volare”.
Io però non credo che il volo e la morte del sarto siano stati necessari nella storia del volo
La folle storia del kamikaze che non voleva morire sono racconti di un umorismo nero. Deliranti, alcuni. Ho iniziato a leggere il primo racconto, sono saltata, giuliva, e per problemi di vista, ai ringraziamenti e ho trovato Claudio ad aspettarmi e a dirmi che sapeva quello che avrei fatto. Ridendo sono andata indietro, giorno per giorno fino a che ho capito che Claudio sa ogni cosa, ci conosce tutti, come conosce l'arte del narrare. Nei racconti lo preferisco, così come mi piacciono i suoi bozzetti sul giornale, sulla Stampa, i suoi post su facebook, mi piace il suo sguardo surreale e di amicizia, attento agli affetti, ma senza quella pornografia dei sentimenti tanto in voga, senza quella terribile autofiction spiattellata da scrittori venduti al servizio di un melenso mulino bianco. In Claudio c'è il cinismo con affetto, l'amore per gli altri autori e il distacco giusto per non cadere nella pornografia dello zucchero "Se siete arrivati fin qui significa che avete letto tutto il libro oppure che avete saltato tutti i racconti e ora vi ritrovate a leggere dei ringraziamenti. Se fate parte di questa seconda categoria e leggendoli vi viene voglia di leggere tutto il libro, be’ tanto meglio Alessandro De Vito, Fabio Mendolicchio e Davide Reina sono Miraggi e li creano, ma sono anche e soprattutto persone vere (vere per davvero). Grazie a loro perché mi danno la libertà di scrivere quello che mi piace e, in più, mi pubblicano pure.Luca Garonzi disegna. E lo fa così bene che è un onore avere i suoi disegni all’interno del mio libro. Ognuna di queste tavole è una storia nella storia."
Delirio di negazione
FooG
Una giornata da dimenticare
Una barba lunga un mese
Il tragico inizio di una storia non banale
Pelle
Amore farmacologico
Un viaggio mentale in una terra desolata
La folle storia del kamikaze che non voleva morire
Così diversamente uguali
La ballata del ladro di anime:"Il deserto è un luogo strano. Un posto dove l’uomo soffre di solitudine visiva. Il paesaggio è sempre lo stesso, immobile. C’era un’enorme distesa di pietre e sabbia, interrotta da cespugli secchi che sembravano sfoghi della terra, come nei pelosi sui volti dei vecchi,così fastidiosi da calamitare lo sguardo. A volte l’orrido attrae. Il gusto del macabro è insito dentro di noi." Leggerete Claudio con il piacere di vedere storie che hanno un senso vero così anche noi facciamo con la vita come questo vecchio che ha perso la moglie "Al principio fui colto da tristezza poi rabbia poi delusione e poi da una strana forma di accettazione. Fino a quando non capisci che la morte non è altro che una fase della vita. Come lo è per esempio l’adolescenza, non puoi accettarla e perciò capirla." Capendo aleggerà il sorriso sul tutto.
Ippolita Luzzo
"David Foster Wallace e Bret Easton Ellis, dopo anni, si chiariscono."
Claudio Marinaccio è nato a Torino nel 1982. Collabora con diverse riviste tra cui GQ, Il Mucchio, Donna Moderna, Io donna e Linus e sulla chat dei genitori... Nel 2016 esce il suo romanzo Come un pugno (Aliberti) e nel 2017 una raccolta di dialoghi e racconti dal titolo Non disturbare (Miraggi). Ha condotto un programma radio dal titolo I fuorilegge. Scrive su La Stampa.
sabato 16 giugno 2018
Luigi Lollini La Controfigura Edizioni Alegre
Direttamente da Cabaret Bisanzio ora sul blog la mia lettura del libro di Luigi Lollini La Controfigura
"Cadrà una pioggia tremenda e definitiva a cancellare forse una volta per tutte le macchie fetide della vergogna di tutti voi pennivendoli politici prostituti europei e mediocri pacifisti". Le poesie di Eduardo, come questa della raccolta Lealtad, forse mai data alla stampa, si offrono in uno spazio e in un tempo preciso.
Eduardo Ròzsa Flores viene ucciso a Santa Cruz, in Bolivia, nel 2009. A trenta anni è dirigente del partito socialista dell’Ungheria, e partecipa nel 1988 al IX Centenario dell’Università di Bologna dove si tiene un meeting di giovani. Qui lo incontra Alberto, studente dell’Alma Mater e voce narrante del libro, inesausto investigatore della sorte di Eduardo, suo amico, anche se con brevi incontri. Attraverso le indagini e la ricerca incessante di Alberto ricostruiamo tasselli di storia, di avvenimenti, cerchiamo di capire le ragioni di come sia stato possibile che Eduardo diventasse altro, se mai lo sia diventato e di come i fatti vengano manipolati e offesi. Distorti. Ripercorriamo il crollo del socialismo reale, la terribile guerra del Kosovo, un mondo bipolare, un mondo diviso prima in due blocchi e poi, uno dei due, frantumatosi all’interno del blocco socialista. Il controllo di un mondo distorto attraverso le guerre, le tante guerre, attraverso le bugie, le tante bugie, attraverso lo spaesamento e l’oblio. Dimenticare. Il controllo dell’oblio è uno dei strumenti più spietati di potere. Questo scrive Le Goff e questo ci ripete Luigi Lollini con una prosa chiara e asciutta, con un incalzare di fatti, con un continuo logorio interiore per decifrare fatti sempre confusi oppure costruiti. Verosimile ma falso. Inverosimile ma vero. Ogni verità sembra parte di una menzogna. Dal libro di Luigi Lollini La Controfigura.
Appunti: "Eduardo sapeva tenere la scena, era a proprio agio, si sentiva a casa… Finita l’assemblea mi presentai. Di lui mi restò nel portafoglio un biglietto da visita color argento. … Sono convinto che la verità, forse un certo tipo di verità, sono prudente, sia una ripetizione. La ripetizione è un modo per capire, per aggiustare il tiro nel breve corso del tempo concesso. Forse sono io che capisco così, che ho bisogno sempre di una seconda volta. Non si ripete quello che fu, che era in passato, senza che ci sia uno scarto, una deviazione, la lieve incoerenza da cui nasce l’intero universo. Diventa vero quello che viene ripreso, che resta e ricresce diverso come l’erba di questo parco. È questa la mia religione? Riconoscere l’ombra del dopodomani, ritrovare nel presente i corpi, i gesti del passato e forse del futuro, il prolungarsi di un evento che ancora non c’era, il sigillo degli altri in noi, qualcosa che era possibile, che finalmente è diventato vero, o che lo sarà. “ Si riprende, si compie qualcosa che c’era e non c’era, un’impronta, in te in me tra noi nella storia. Qualcosa che non era necessario, che non era un destino” …La ferita di guerra ricalca, nasconde, consuma la ferita dell’infanzia."
Ricopio parola per parola, trascrivo io, con occhi stanchi, con polpastrelli indolenziti, trascrivo la storia della controfigura, seguendo Alberto che vuole conoscere la verità.
Pubblicato a maggio 2018 per la collana Quinto tipo, collana diretta da Wu Ming 1, dalla Casa Editrice Alegre, il libro di Luigi Lollini giunge da me e mi coinvolge sulle storie amicali di destini incrociati. Su vicende in cui ci chiediamo con Alberto, con Eduardo, con Daniele “Tu chi sei? Voi chi siete?” dopo essere andati insieme sulla piazza degli Eroi. Riflettiamo sul cambio, sulla trasformazione politica dell’Europa tutta e del Nicaragua per non essere avvolti nell'oblio.
Ippolita Luzzo
"Cadrà una pioggia tremenda e definitiva a cancellare forse una volta per tutte le macchie fetide della vergogna di tutti voi pennivendoli politici prostituti europei e mediocri pacifisti". Le poesie di Eduardo, come questa della raccolta Lealtad, forse mai data alla stampa, si offrono in uno spazio e in un tempo preciso.
Eduardo Ròzsa Flores viene ucciso a Santa Cruz, in Bolivia, nel 2009. A trenta anni è dirigente del partito socialista dell’Ungheria, e partecipa nel 1988 al IX Centenario dell’Università di Bologna dove si tiene un meeting di giovani. Qui lo incontra Alberto, studente dell’Alma Mater e voce narrante del libro, inesausto investigatore della sorte di Eduardo, suo amico, anche se con brevi incontri. Attraverso le indagini e la ricerca incessante di Alberto ricostruiamo tasselli di storia, di avvenimenti, cerchiamo di capire le ragioni di come sia stato possibile che Eduardo diventasse altro, se mai lo sia diventato e di come i fatti vengano manipolati e offesi. Distorti. Ripercorriamo il crollo del socialismo reale, la terribile guerra del Kosovo, un mondo bipolare, un mondo diviso prima in due blocchi e poi, uno dei due, frantumatosi all’interno del blocco socialista. Il controllo di un mondo distorto attraverso le guerre, le tante guerre, attraverso le bugie, le tante bugie, attraverso lo spaesamento e l’oblio. Dimenticare. Il controllo dell’oblio è uno dei strumenti più spietati di potere. Questo scrive Le Goff e questo ci ripete Luigi Lollini con una prosa chiara e asciutta, con un incalzare di fatti, con un continuo logorio interiore per decifrare fatti sempre confusi oppure costruiti. Verosimile ma falso. Inverosimile ma vero. Ogni verità sembra parte di una menzogna. Dal libro di Luigi Lollini La Controfigura.
Appunti: "Eduardo sapeva tenere la scena, era a proprio agio, si sentiva a casa… Finita l’assemblea mi presentai. Di lui mi restò nel portafoglio un biglietto da visita color argento. … Sono convinto che la verità, forse un certo tipo di verità, sono prudente, sia una ripetizione. La ripetizione è un modo per capire, per aggiustare il tiro nel breve corso del tempo concesso. Forse sono io che capisco così, che ho bisogno sempre di una seconda volta. Non si ripete quello che fu, che era in passato, senza che ci sia uno scarto, una deviazione, la lieve incoerenza da cui nasce l’intero universo. Diventa vero quello che viene ripreso, che resta e ricresce diverso come l’erba di questo parco. È questa la mia religione? Riconoscere l’ombra del dopodomani, ritrovare nel presente i corpi, i gesti del passato e forse del futuro, il prolungarsi di un evento che ancora non c’era, il sigillo degli altri in noi, qualcosa che era possibile, che finalmente è diventato vero, o che lo sarà. “ Si riprende, si compie qualcosa che c’era e non c’era, un’impronta, in te in me tra noi nella storia. Qualcosa che non era necessario, che non era un destino” …La ferita di guerra ricalca, nasconde, consuma la ferita dell’infanzia."
Ricopio parola per parola, trascrivo io, con occhi stanchi, con polpastrelli indolenziti, trascrivo la storia della controfigura, seguendo Alberto che vuole conoscere la verità.
Pubblicato a maggio 2018 per la collana Quinto tipo, collana diretta da Wu Ming 1, dalla Casa Editrice Alegre, il libro di Luigi Lollini giunge da me e mi coinvolge sulle storie amicali di destini incrociati. Su vicende in cui ci chiediamo con Alberto, con Eduardo, con Daniele “Tu chi sei? Voi chi siete?” dopo essere andati insieme sulla piazza degli Eroi. Riflettiamo sul cambio, sulla trasformazione politica dell’Europa tutta e del Nicaragua per non essere avvolti nell'oblio.
Ippolita Luzzo
Fabrizio Coscia Dipingere l'invisibile
Riconquistare un'immagine perduta nella domanda eterna su come si possa rendere visibile l'invisibile.
"In questo misterioso transito dal buio alla luce, enigmatici varchi bianchi, per alludere ad un superamento stesso dell'idea della morte." Study of a Bull (1991) Astratto e concreto, idea e materia raggiungono l'apice della rappresentazione, e sulla tela Francis Bacon ha aggiunto la polvere reale che si era accumulata nel suo studio, come in Sand Dune(1983) la polvere usata come fosse un pastello perché come lui stesso amava ripetere: La polvere è eterna. Dopotutto, noi tutti torniamo alla polvere"
Riassumo il sentimento che pervade la sfera della fruizione dell'opera d'arte da parte dello scrittore Fabrizio Coscia che legge, a suo modo, con una sensibilità allungata nel tempo e nello spazio, le opere di Francis Bacon.
Tutta l'arte di Bacon una rappresentazione dell'uomo nel suo attimo finale, rendere visibile ciò che lascia il suo passaggio, il suo breve esserci.
Leggere Fabrizio Coscia è come "riconquistare una immagine perduta". Ci troviamo a parlarne con le sue stesse parole, ad essere sedotti da quel modo signorile di spiegare l'arte come interpretazione.
Fabrizio Coscia, in Dipingere l'invisibile, ama,osserva, ricorda se stesso bambino, adolescente, attraverso le opere del pittore ed insieme racconta e conosce, interpretando i quadri, la vita di Francis Bacon.
Ritroviamo un episodio forse inventato, forse no, sul come si siano incontrati il pittore Francis Bacon e colui che sarà il suo amore, George Dyer. Un amore finito, già finito forse da prima, e terminato col suicidio di Dyer. Un amore che continua nella disperazione dell'arte, nel doppio dell'immagine deformata, nella distruzione che l'amore attua e nella sua trasfigurazione attraverso l'arte.
La domanda che sottende al gesto artistico è come rendere visibile l'invisibile, come dipingere e raccontare il dolore, lo spasimo, la solitudine, il rammarico, il rimorso, la riluttanza, il disprezzo, la distrazione. Morire e rinascere nell'opera artistica. L'arte è meglio di uno sputo, scrissi una volta, dando all'arte il compito di rendere giustizia. Qui all'arte si dona il compito, se mai si possa dare un compito all'arte, di continuare ad agire come "forza operosa" testimoniando la dissipazione del tempo.
Nel capitolo dedicato alla fotografia come premonizione leggiamo l'inane volontà di fermare una immagine già perduta nello stesso momento in cui si ferma. Ciò che c'è di spaventoso in ogni fotografia è una catastrofe già accaduta. Sorridendo mi chiedo se lo sappiano i milioni di individui che si fanno selfie in continuazione, che diffondono in continuazione catastrofi continue e già accadute, sarebbe interessante far loro avere consapevolezza che l'immagine non riporta nulla anzi è "la morte al futuro". Capirebbero la vanità del tutto?
Fotografie, specchi. Anche lo specchio, come le fotografie, ci mostra un'immagine che non restituisce quella del soggetto riflesso.
Camilleri sostiene in una intervista recente che il fatto di essere cieco gli consente di non guardarsi più e quindi non " Vedere questa faccia da imbecille ogni mattina allo specchio".
La decomposizione di Narciso: Come si può cogliere l'emanazione di un soggetto, l'energia interna? Nell'arte, a differenza di uno specchio, di una fotografia, vi è il gesto dell'artista che, fra carezza e aggressione, parla sempre del suo rapporto con la violenza e con l'amore. Un sistema nervoso all'opera.
Avrò fatto anche io una improbabile ecfrasi del libro di Fabrizio, per me opera d'arte fra le opere d'arte, avrò tentato di "descrivere con eleganza" e ho abdicato, in effetti impresa impossibile mi sembra. Voglio però comunicare il trascinamento e la sensazione di essere accolti in un luogo delizioso che è quello di una scrittura non imprigionata in schemi ma libera di riconquistare l'immagine perduta con colori e figure che raccontano l'invisibile.
Ippolita Luzzo
"In questo misterioso transito dal buio alla luce, enigmatici varchi bianchi, per alludere ad un superamento stesso dell'idea della morte." Study of a Bull (1991) Astratto e concreto, idea e materia raggiungono l'apice della rappresentazione, e sulla tela Francis Bacon ha aggiunto la polvere reale che si era accumulata nel suo studio, come in Sand Dune(1983) la polvere usata come fosse un pastello perché come lui stesso amava ripetere: La polvere è eterna. Dopotutto, noi tutti torniamo alla polvere"
Riassumo il sentimento che pervade la sfera della fruizione dell'opera d'arte da parte dello scrittore Fabrizio Coscia che legge, a suo modo, con una sensibilità allungata nel tempo e nello spazio, le opere di Francis Bacon.
Tutta l'arte di Bacon una rappresentazione dell'uomo nel suo attimo finale, rendere visibile ciò che lascia il suo passaggio, il suo breve esserci.
Leggere Fabrizio Coscia è come "riconquistare una immagine perduta". Ci troviamo a parlarne con le sue stesse parole, ad essere sedotti da quel modo signorile di spiegare l'arte come interpretazione.
Fabrizio Coscia, in Dipingere l'invisibile, ama,osserva, ricorda se stesso bambino, adolescente, attraverso le opere del pittore ed insieme racconta e conosce, interpretando i quadri, la vita di Francis Bacon.
Ritroviamo un episodio forse inventato, forse no, sul come si siano incontrati il pittore Francis Bacon e colui che sarà il suo amore, George Dyer. Un amore finito, già finito forse da prima, e terminato col suicidio di Dyer. Un amore che continua nella disperazione dell'arte, nel doppio dell'immagine deformata, nella distruzione che l'amore attua e nella sua trasfigurazione attraverso l'arte.
La domanda che sottende al gesto artistico è come rendere visibile l'invisibile, come dipingere e raccontare il dolore, lo spasimo, la solitudine, il rammarico, il rimorso, la riluttanza, il disprezzo, la distrazione. Morire e rinascere nell'opera artistica. L'arte è meglio di uno sputo, scrissi una volta, dando all'arte il compito di rendere giustizia. Qui all'arte si dona il compito, se mai si possa dare un compito all'arte, di continuare ad agire come "forza operosa" testimoniando la dissipazione del tempo.
Nel capitolo dedicato alla fotografia come premonizione leggiamo l'inane volontà di fermare una immagine già perduta nello stesso momento in cui si ferma. Ciò che c'è di spaventoso in ogni fotografia è una catastrofe già accaduta. Sorridendo mi chiedo se lo sappiano i milioni di individui che si fanno selfie in continuazione, che diffondono in continuazione catastrofi continue e già accadute, sarebbe interessante far loro avere consapevolezza che l'immagine non riporta nulla anzi è "la morte al futuro". Capirebbero la vanità del tutto?
Fotografie, specchi. Anche lo specchio, come le fotografie, ci mostra un'immagine che non restituisce quella del soggetto riflesso.
Camilleri sostiene in una intervista recente che il fatto di essere cieco gli consente di non guardarsi più e quindi non " Vedere questa faccia da imbecille ogni mattina allo specchio".
La decomposizione di Narciso: Come si può cogliere l'emanazione di un soggetto, l'energia interna? Nell'arte, a differenza di uno specchio, di una fotografia, vi è il gesto dell'artista che, fra carezza e aggressione, parla sempre del suo rapporto con la violenza e con l'amore. Un sistema nervoso all'opera.
Avrò fatto anche io una improbabile ecfrasi del libro di Fabrizio, per me opera d'arte fra le opere d'arte, avrò tentato di "descrivere con eleganza" e ho abdicato, in effetti impresa impossibile mi sembra. Voglio però comunicare il trascinamento e la sensazione di essere accolti in un luogo delizioso che è quello di una scrittura non imprigionata in schemi ma libera di riconquistare l'immagine perduta con colori e figure che raccontano l'invisibile.
Ippolita Luzzo
domenica 10 giugno 2018
Un mandarino
Ad aspettare cento notti sotto la finestra del mondo intero e infine prendere lo sgabello e andare via.
giovedì 7 giugno 2018
Pezzo di Andrea Zandomeneghi: Ospite eccezionale del blog
Credo sia unico caso nella storia del blog, sebbene felice di avere ospite quassù Andrea Zandomeneghi con un suo articolo. Un abbraccio e un augurio alle sue produzioni da tutta la Litweb. Andrea è un bravo autore e lo leggeremo molto e in molti.
Notazioni di lettura incrociate
su Ipsilonaccadoppiavuacca nell’epilettico barbuto e nel sifilitico emicranico
Dostoevskij non ha mai conosciuto, né tantomeno letto, Nietzsche. Viceversa il tedesco ha letto il russo e la lettura de qua fu folgorante, tale da irradiare e innervare la seconda parte sua vita [prima lo erano state le frequentazioni assidue dei testi di Schopenhauer, Wagner, Rèe – tutti poi decostruiti e seppelliti] – scrive di lui nei frammenti postumi [memorandum: per Nietzsche nulla è più importante dell’essere uno psicologo, nel senso peculiare da lui inteso e il divino è spiccatamente fenomeno psicologico]: «Io conosco un solo grande psicologo» – altrove dirà addirittura: «uno psicologo a me superiore e superiore a Stendhal» – «Fedor Dostoevskij».
Attribuirà la sua idea di Cristo al russo: «egli ha indovinato Cristo». Di più: l’idiotismo di Dostoevskij è la base per l’idea del Cristo buddhista edonista pervertito e iperirritabile che andrà a tracciare; fu la lettura de I demoni a ispirare l’idea di Dio nell’Anticristo [Satov in particolare, ma non solo: gli estratti autografi di Nietzsche dai Demoni occupano più di dieci pagine formato in folio dei suoi quaderni]; fu Rodiòn Romànovič Raskòl'nikov – e non Cesare Borgia, come sostengono talune letture censurabili e disinformate – la prima incarnazione del prototipo dell’oltreuomo [infra #2]; parlando dei Vangeli scrive parole inequivocabili [riferite al Principe Myškin, ma anche a Kirillov, Šigalëv, Stavrogin, Liza, Peter Verchovenskij, Ippolit, il Generale Ivolgin, Lebedev et coetera]: «quello strano mondo in cui ci introducono i Vangeli – un mondo che sembra uscito da un romanzo russo in cui i rifiuti della società, le malattie nervose e una “infantile idiozia” paiono essersi dati convegno».
Enormi le differenze tra le concezioni dei due autori [assimilabili invece per l’irriducibile asistematicità delle loro cogitazioni, intuizioni e spettralità], ma intanto vediamo una interessantissima convergenza sulla questione di Dio, dell’Inferno e del Paradiso, in una parola: dell’aldilà.
Fedor Pavlovic Karamazov dice: «crederei all’Inferno se non ci fossero i soffitti» – che intende? Che l’aldilà non è materiale, non ha spazio, non ha edifici, non può avere un soffitto! L’aldilà è psicologico – questo emerge anche dalla conversazione di Ivan con il Diavolo – e non c’entra nulla con i monaci che mangiano i ghiozzi: «il paradiso non si compra mangiando ghiozzi e cavoli».
Nietzsche scrive nell’Anticristo: «l’eterno non è che una nozione simbolica di liberazione dal tempo […] Con la parola figlio il Cristo esprime l’immergersi nel sentimento di una trasfigurazione totale di ogni cosa, la beatitudine, con la parola padre questo stesso sentimento […] Il regno dei cieli è una condizione del cuore, non giunge dopo la morte, oltre la vita, oltre la terra. […] Il paradiso è psicologico»
Da ultimo un altro passaggio – di un tipo così raro in Nietzsche! – dallo stesso testo a metà del capitolo 31: «ci sarebbe da rammaricarsi che non sia vissuto un Dostoevskij nelle vicinanze di questo interessantissimo décadent, un uomo, intendo dire, che sapesse appunto avvertire il trascinante fascino di una siffatta mescolanza di sublimità, malattia e infantilismo. Un ultimo punto di vista: il tipo, come tipo della décadence, potrebbe essere stato caratteristicamente multiplo e contraddittorio».
In conclusione, mi chiedo, quale è però l’opposto di questo paradiso psicologico, cioè cosa è l’inferno in terra, l’inferno psicologico? Credo possa essere ricondotto a due differenti morfologie complementari: ossessione e «oasi d’orrore in un deserto di noia» – cioè il Baudelaire in esergo a 2666 di Roberto Bolaño.
Andrea Zandomeneghi
Notazioni di lettura incrociate
su Ipsilonaccadoppiavuacca nell’epilettico barbuto e nel sifilitico emicranico
Dostoevskij non ha mai conosciuto, né tantomeno letto, Nietzsche. Viceversa il tedesco ha letto il russo e la lettura de qua fu folgorante, tale da irradiare e innervare la seconda parte sua vita [prima lo erano state le frequentazioni assidue dei testi di Schopenhauer, Wagner, Rèe – tutti poi decostruiti e seppelliti] – scrive di lui nei frammenti postumi [memorandum: per Nietzsche nulla è più importante dell’essere uno psicologo, nel senso peculiare da lui inteso e il divino è spiccatamente fenomeno psicologico]: «Io conosco un solo grande psicologo» – altrove dirà addirittura: «uno psicologo a me superiore e superiore a Stendhal» – «Fedor Dostoevskij».
Attribuirà la sua idea di Cristo al russo: «egli ha indovinato Cristo». Di più: l’idiotismo di Dostoevskij è la base per l’idea del Cristo buddhista edonista pervertito e iperirritabile che andrà a tracciare; fu la lettura de I demoni a ispirare l’idea di Dio nell’Anticristo [Satov in particolare, ma non solo: gli estratti autografi di Nietzsche dai Demoni occupano più di dieci pagine formato in folio dei suoi quaderni]; fu Rodiòn Romànovič Raskòl'nikov – e non Cesare Borgia, come sostengono talune letture censurabili e disinformate – la prima incarnazione del prototipo dell’oltreuomo [infra #2]; parlando dei Vangeli scrive parole inequivocabili [riferite al Principe Myškin, ma anche a Kirillov, Šigalëv, Stavrogin, Liza, Peter Verchovenskij, Ippolit, il Generale Ivolgin, Lebedev et coetera]: «quello strano mondo in cui ci introducono i Vangeli – un mondo che sembra uscito da un romanzo russo in cui i rifiuti della società, le malattie nervose e una “infantile idiozia” paiono essersi dati convegno».
Enormi le differenze tra le concezioni dei due autori [assimilabili invece per l’irriducibile asistematicità delle loro cogitazioni, intuizioni e spettralità], ma intanto vediamo una interessantissima convergenza sulla questione di Dio, dell’Inferno e del Paradiso, in una parola: dell’aldilà.
Fedor Pavlovic Karamazov dice: «crederei all’Inferno se non ci fossero i soffitti» – che intende? Che l’aldilà non è materiale, non ha spazio, non ha edifici, non può avere un soffitto! L’aldilà è psicologico – questo emerge anche dalla conversazione di Ivan con il Diavolo – e non c’entra nulla con i monaci che mangiano i ghiozzi: «il paradiso non si compra mangiando ghiozzi e cavoli».
Nietzsche scrive nell’Anticristo: «l’eterno non è che una nozione simbolica di liberazione dal tempo […] Con la parola figlio il Cristo esprime l’immergersi nel sentimento di una trasfigurazione totale di ogni cosa, la beatitudine, con la parola padre questo stesso sentimento […] Il regno dei cieli è una condizione del cuore, non giunge dopo la morte, oltre la vita, oltre la terra. […] Il paradiso è psicologico»
Da ultimo un altro passaggio – di un tipo così raro in Nietzsche! – dallo stesso testo a metà del capitolo 31: «ci sarebbe da rammaricarsi che non sia vissuto un Dostoevskij nelle vicinanze di questo interessantissimo décadent, un uomo, intendo dire, che sapesse appunto avvertire il trascinante fascino di una siffatta mescolanza di sublimità, malattia e infantilismo. Un ultimo punto di vista: il tipo, come tipo della décadence, potrebbe essere stato caratteristicamente multiplo e contraddittorio».
In conclusione, mi chiedo, quale è però l’opposto di questo paradiso psicologico, cioè cosa è l’inferno in terra, l’inferno psicologico? Credo possa essere ricondotto a due differenti morfologie complementari: ossessione e «oasi d’orrore in un deserto di noia» – cioè il Baudelaire in esergo a 2666 di Roberto Bolaño.
Andrea Zandomeneghi
martedì 5 giugno 2018
Il nostro tempo è terminato da Salvatore Parise a Michele Vaccari Il tuo nemico
Leggo entrambi i libri in tempi differenti e ne sento la familiarità, la vicinanza per il tema trattato, Hikikomori: gli adolescenti chiusi in una stanza con tutti gli strumenti connessi su tutto un mondo digitale, su relazioni ed immagini che sono i nuovi mezzi per restare in comunicazione.
Nel libro di Michele Vaccari "Gregorio è un ragazzo prodigio, un genio dell'informatica, il bersaglio preferito dei bulli della scuola. Quando la professoressa di economia gli comunica l'intenzione di sostenere la sua candidatura al MIT di Boston, Gregorio vorrebbe gioire per la notizia ma non può: c'è un ostacolo, e sono i suoi genitori.Gregorio sceglie l'esilio, diventando un NEET giovani che non studiano e non lavorano." Questo sta scritto nelle note di presentazione e questo mi piace riportare oltre la prosa eccellente e il periodare curato usato da Michele. Nel libro c'è molto di più ma preferisco limitarmi alla vicinanza con Ramy, l'altro ragazzo incontrato in questi giorni sul libro di Salvatore Parise, come se volessi farli incontrare.
Gregorio mi sembra Ramy, il ragazzo protagonista del racconto "Il nostro tempo è terminato" di Salvatore Parise ed infatti leggo questo racconto con in testa Gregorio. Le famiglie di entrambi sono famiglie infelici, irrisolte, composte da esseri umani in difficoltà e che creano a loro volta difficoltà. Il difficile delle famiglie e nelle famiglie è proprio non fare danni, o almeno cercare di limitare i danni.
Le famiglie, questi organismi mutanti, composti da individui inermi e sconsolati, falliti ed egoisti, hanno al loro interno spesso, dei figli. I figli di genitori oramai senza ruolo, senza funzioni, senza il senso vero della vita, direbbe Battiato. I genitori di Gregorio e di Ramy si somigliano. Gregorio e Ramy reagiscono con gli strumenti di ora. I collegamenti internet, il ciberspazio, il virtuale come vero momento di scelta. D'altronde il virtuale è reale ed io non vedo nessuna divaricazione se non un altro modo di comunicare con strumenti anche questi da qui a poco antelucani.
Solitudine umana sempre più ampia, grande superficialità nel voler risolvere rapporti e ansie, desideri e umiliazioni con semplici strumenti. Ho sempre in mente un quadro "Il seppellimento di Santa Lucia" di Caravaggio a Siracusa. In quel quadro più si amplifica la scena più l'individuo resta solo. Così ora più il mezzo, i mezzi, ci connettono, io a te, voi a noi, più noi restiamo soli e fissati come Gregorio e Ramy. Le ossessioni, le fissazioni si ingigantiscono. I genitori sono altrettanto sprovvisti di difese interiori e vengono fagocitati dal loro orizzonte, una rotatoria, un complimento, un momento di gratificazione. I figli si guardano e non si vedono e volano nella dimensione onirica dell'infinito. Lo psicologo dove Loser il padre di Ramy si rivolge ammette la sua impotenza "Sai, che a noi psicologi non è dato di conoscere tutti i segreti della memoria, della mente umana. E come dice uno scrittore, ognuno di noi è padrone di ciò che tace e schiavo di ciò di cui parla. Ciò che ti interessa è il presente, per oggi il nostro tempo è terminato" Fra la vita e la morte ondeggiare fra orgasmo e finitezza, fra piacere e disgusto, fra un vorrei e non vorrei, con nuovi mezzi più potenti e maggior nausea si creerà. Nella condizione di essere umani la famiglia affonda e chiede aiuto a chi ne fa parte vedendo però i suoi componenti fuggire a quel S:O:S: inascoltato in due punti e zero, nuove tecniche di chat.
Leggo Michele Vaccari e Salvatore Parise nella famiglia dei libri veri, famiglia che non fuggirà alle richieste di aiuto.
Ippolita Luzzo
Michele Vaccari si occupa di editoria e comunicazione dal 1999. È consulente per la narrativa italiana di Chiarelettere ed è copywriter per Paramount Channel. È stato direttore editoriale di Transeuropa Edizioni. Ha scritto tre romanzi: Italian fiction (ISBN Edizioni), Giovani, nazisti e disoccupati (Castelvecchi Editore), L'onnipotente (Laurana Editore). È nato a Genova nel 1980.
Salvatore Parise, scrittore calabrese, vive a Crotone. È bassista e cantante del gruppo “Il Genere”. Alla sua quarta pubblicazione, ha pubblicato Poesie Metropolitane (Princesse Editrice, 2006), In Vivo (Csa Editrice, 2012), Sono una rockstar (Csa Editrice, 2015). Con Musicaos Editore, nel 2018, ha pubblicato il romanzo dal titolo “Il nostro tempo è terminato”
Nel libro di Michele Vaccari "Gregorio è un ragazzo prodigio, un genio dell'informatica, il bersaglio preferito dei bulli della scuola. Quando la professoressa di economia gli comunica l'intenzione di sostenere la sua candidatura al MIT di Boston, Gregorio vorrebbe gioire per la notizia ma non può: c'è un ostacolo, e sono i suoi genitori.Gregorio sceglie l'esilio, diventando un NEET giovani che non studiano e non lavorano." Questo sta scritto nelle note di presentazione e questo mi piace riportare oltre la prosa eccellente e il periodare curato usato da Michele. Nel libro c'è molto di più ma preferisco limitarmi alla vicinanza con Ramy, l'altro ragazzo incontrato in questi giorni sul libro di Salvatore Parise, come se volessi farli incontrare.
Gregorio mi sembra Ramy, il ragazzo protagonista del racconto "Il nostro tempo è terminato" di Salvatore Parise ed infatti leggo questo racconto con in testa Gregorio. Le famiglie di entrambi sono famiglie infelici, irrisolte, composte da esseri umani in difficoltà e che creano a loro volta difficoltà. Il difficile delle famiglie e nelle famiglie è proprio non fare danni, o almeno cercare di limitare i danni.
Le famiglie, questi organismi mutanti, composti da individui inermi e sconsolati, falliti ed egoisti, hanno al loro interno spesso, dei figli. I figli di genitori oramai senza ruolo, senza funzioni, senza il senso vero della vita, direbbe Battiato. I genitori di Gregorio e di Ramy si somigliano. Gregorio e Ramy reagiscono con gli strumenti di ora. I collegamenti internet, il ciberspazio, il virtuale come vero momento di scelta. D'altronde il virtuale è reale ed io non vedo nessuna divaricazione se non un altro modo di comunicare con strumenti anche questi da qui a poco antelucani.
Solitudine umana sempre più ampia, grande superficialità nel voler risolvere rapporti e ansie, desideri e umiliazioni con semplici strumenti. Ho sempre in mente un quadro "Il seppellimento di Santa Lucia" di Caravaggio a Siracusa. In quel quadro più si amplifica la scena più l'individuo resta solo. Così ora più il mezzo, i mezzi, ci connettono, io a te, voi a noi, più noi restiamo soli e fissati come Gregorio e Ramy. Le ossessioni, le fissazioni si ingigantiscono. I genitori sono altrettanto sprovvisti di difese interiori e vengono fagocitati dal loro orizzonte, una rotatoria, un complimento, un momento di gratificazione. I figli si guardano e non si vedono e volano nella dimensione onirica dell'infinito. Lo psicologo dove Loser il padre di Ramy si rivolge ammette la sua impotenza "Sai, che a noi psicologi non è dato di conoscere tutti i segreti della memoria, della mente umana. E come dice uno scrittore, ognuno di noi è padrone di ciò che tace e schiavo di ciò di cui parla. Ciò che ti interessa è il presente, per oggi il nostro tempo è terminato" Fra la vita e la morte ondeggiare fra orgasmo e finitezza, fra piacere e disgusto, fra un vorrei e non vorrei, con nuovi mezzi più potenti e maggior nausea si creerà. Nella condizione di essere umani la famiglia affonda e chiede aiuto a chi ne fa parte vedendo però i suoi componenti fuggire a quel S:O:S: inascoltato in due punti e zero, nuove tecniche di chat.
Leggo Michele Vaccari e Salvatore Parise nella famiglia dei libri veri, famiglia che non fuggirà alle richieste di aiuto.
Ippolita Luzzo
Michele Vaccari si occupa di editoria e comunicazione dal 1999. È consulente per la narrativa italiana di Chiarelettere ed è copywriter per Paramount Channel. È stato direttore editoriale di Transeuropa Edizioni. Ha scritto tre romanzi: Italian fiction (ISBN Edizioni), Giovani, nazisti e disoccupati (Castelvecchi Editore), L'onnipotente (Laurana Editore). È nato a Genova nel 1980.
Salvatore Parise, scrittore calabrese, vive a Crotone. È bassista e cantante del gruppo “Il Genere”. Alla sua quarta pubblicazione, ha pubblicato Poesie Metropolitane (Princesse Editrice, 2006), In Vivo (Csa Editrice, 2012), Sono una rockstar (Csa Editrice, 2015). Con Musicaos Editore, nel 2018, ha pubblicato il romanzo dal titolo “Il nostro tempo è terminato”
venerdì 1 giugno 2018
Tiziana Calabrò ed Eleonora Uccellini a Lamezia
Ieri sera al Chiostro Di San Domenico lo spettacolo di Tiziana Calabrò ed Eleonora Uccellini “Ho attraversato ridendo la terra capovolta... ma anche no” ispirato al blog di Tiziana “Lamedagliadelrovescio” si chiude fra abbracci, applausi e profezie. Ritornerete, esclamo, ritorneranno, diciamo insieme a Michela Cimmino, alle colleghe e agli alunni del liceo Scientifico e del Liceo Campanella. Ritorneranno, tutti lo vogliamo, sentiamo in coro dal pubblico.
Dopo lo spettacolo Tiziana Calabrò ed Eleonora Uccellini vanno a conferire al Quirino con zaino e trolley, vero Michela?
Michela Cimmino presenta lo spettacolo ricordando Paola Scialis, donna stupenda, attrice e promotrice di attività teatrali, scomparsa domenica, per un attimo brutale di fatalità. A lei dedichiamo lo spettacolo che inizia con l'augurio di rinascere.
L’incontro con il teatro per davvero, ridendo e pensando sulle note dell’essere donna.
Cosa vuol dire essere donna. Un inno alla femminilità.Se rinasco voglio essere donna. E se rinasco uomo? Improvviserò
Inizia così un lungo viaggio sui diritti e sui sentimenti, sul dialogo mamma vecchietta e figlia e sul dialogo fra la figlia diventata mamma e la sua di figlia. Un abbraccio a tutte le coppie, alla famiglia, in qualsiasi forma essa si presenti perché la famiglia è dove ci si vuole bene. Un omaggio agli amori, a qualsiasi forma di amore, anche a quelli distruttivi, a Frida, alle donne sfortunate, disgraziate, per una sorte terribile, eppure capaci di respirare. Il respiro come forza, e la forza sia con noi. Con tutte le donne
In scena la scrittrice è “Tizianeda”, come la chiamava la nonna Bianca. La scelta di questo nome è un omaggio alla nonna. Eleonora e Tiziana ci coinvolgono, interpretano e recitano con professionalità e presenza ciò che donano, un gioioso mondo di nascite, nascite per davvero. Si sente palpabile l'amore e la competenza, si sente lo studio e l'entusiasmo, e si sente la voglia, l'incoscienza e la follia... di voler esserci a modo loro, a modo nostro. Senza stereotipi. Cosa sarà mai una donna del sud? Davvero davvero quel legame fra figli e mamme e scatoloni di cibi spediti in ogni angolo d'Italia? Sorridiamo e ci abbracciamo e fra gli abbracci finali arriva qualcuno alla fine col rimpianto di non esserci stata, mentre tutti dicono "Oh cosa ti sei persa!" e questo è il bello del teatro, lasciare quel sottile languore di voler esserci ancora. Ritorneranno.
Ippolita Luzzo
Dopo lo spettacolo Tiziana Calabrò ed Eleonora Uccellini vanno a conferire al Quirino con zaino e trolley, vero Michela?
Michela Cimmino presenta lo spettacolo ricordando Paola Scialis, donna stupenda, attrice e promotrice di attività teatrali, scomparsa domenica, per un attimo brutale di fatalità. A lei dedichiamo lo spettacolo che inizia con l'augurio di rinascere.
L’incontro con il teatro per davvero, ridendo e pensando sulle note dell’essere donna.
Cosa vuol dire essere donna. Un inno alla femminilità.Se rinasco voglio essere donna. E se rinasco uomo? Improvviserò
Inizia così un lungo viaggio sui diritti e sui sentimenti, sul dialogo mamma vecchietta e figlia e sul dialogo fra la figlia diventata mamma e la sua di figlia. Un abbraccio a tutte le coppie, alla famiglia, in qualsiasi forma essa si presenti perché la famiglia è dove ci si vuole bene. Un omaggio agli amori, a qualsiasi forma di amore, anche a quelli distruttivi, a Frida, alle donne sfortunate, disgraziate, per una sorte terribile, eppure capaci di respirare. Il respiro come forza, e la forza sia con noi. Con tutte le donne
In scena la scrittrice è “Tizianeda”, come la chiamava la nonna Bianca. La scelta di questo nome è un omaggio alla nonna. Eleonora e Tiziana ci coinvolgono, interpretano e recitano con professionalità e presenza ciò che donano, un gioioso mondo di nascite, nascite per davvero. Si sente palpabile l'amore e la competenza, si sente lo studio e l'entusiasmo, e si sente la voglia, l'incoscienza e la follia... di voler esserci a modo loro, a modo nostro. Senza stereotipi. Cosa sarà mai una donna del sud? Davvero davvero quel legame fra figli e mamme e scatoloni di cibi spediti in ogni angolo d'Italia? Sorridiamo e ci abbracciamo e fra gli abbracci finali arriva qualcuno alla fine col rimpianto di non esserci stata, mentre tutti dicono "Oh cosa ti sei persa!" e questo è il bello del teatro, lasciare quel sottile languore di voler esserci ancora. Ritorneranno.
Ippolita Luzzo
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