mercoledì 29 gennaio 2014

La dolce Euchessina



Ai bambini buoni la dolce Euchessina
Ai cattivi le purghe di mussoliniana memoria

Continuo a pensare al libro di Paola Bottero Carta Vetrata, alla denuncia lucida di un malaffare e di un uso delle notizie distorcente.
Continuo a credere che tutto vada come debba in questo medioevo edulcorato e prepotente, senza legge, senza rispetto, con ceppi e  prigioni maleodoranti per soli improvvidi abitanti.
Un libro che denuncia, per questo mi piacque tanto. Fra tanti libri letti…
Tantissimi i libri che non denunciano, tantissime operazioni culturali fintamente osannanti il puro niente inneggiano la dolce Euchessina.
Viene distribuita a sera e mattina… la dolce Euchessina, una ai bambini, due ai grandi così faranno i bisognini.
Un libro deve non dire. Solo sporcare il foglio. Il foglio sporco sarà poi presentato con uno, con due, con tre relatori, accorrerà la Rai, perché accorrono sempre le televisioni pubbliche e private al puro niente da intervistare.
I relatori si sperticheranno in onori e glorie e canteranno i salmi imparati in sacrestia e all’oratorio, in una sede di un vecchio partito.
Evviva Evviva, l’applauso sorge spontaneo e immediato, la pettinatura è stata perfetta, neppure un capello si è scompigliato, sia gloria al cielo che oggi ci ha dato una dolce Euchessina che ci ha ripulito.
Cara Paola Bottero, sono molto felice quando questi sedicenti scrittori mi dicono chiaro di non parlare della loro Opera Omnia, di non citare la loro poesia, il loro romanzo di grande impatto.
Sono molto felice di essere solo regina di un regno che sicuro non ha bisogno della dolce Euchessina per leggere un libro come una purga.
Leggere è un atto sacro, leggere è rivoluzionario, leggere sempre e solo ti da la libertà di rifiutare una euchessina di solo regime.
Con tutta l’umana simpatia verso poetesse e scrittori, giornalisti e romanzieri che vanno al bagno soltanto se danno ai loro bambini la dolce euchessina.

domenica 26 gennaio 2014

a proposito di sputi: La Sublimazione scrissi nel 2010




La sublimazione, in chimica, è un passaggio di stato, dallo stato solido a quello gassoso, senza passare per lo stato liquido.
Di solito i corpi attraversano i tre stadi, ma in particolare condizione di pressione, al variare della temperatura, si può passare  direttamente dal solido a quello aeriforme.
Questa caratteristica in chimica viene usata per purificare le sostanze, che lasceranno le impurità come residuo nella camera della sublimazione.
In psicologia viene chiamato così il meccanismo che sposta verso una attività positiva le pulsioni aggressive e sessuali dell’uomo. Quindi l’arte, la letteratura, la musica, meglio di una coltellata, di un pugno, di uno sputo in faccia realizzano e gratificano chi li fa sublimando, appunto.
Sublime, dal latino sub limus, sotto obliquo, che sale obliquamente, oppure sub limen  che sale sotto la soglia.
Estetica del sublime correlato e contrapposta a quello del bello. L’orrendo che affascina-la natura tempestosa-il titanic che affonda-il terremoto-ho tanto pianto-forte emozione-sublime!
Quello che causa dolore-panico-che agisce in modo da portare terrore-angoscia-inadeguatezza- sublime!
Ho sempre vissuto nel sublime io, non sono per mezze tinte, per le fasi di transizione per passaggi indolori.
Veramente avrei sempre desiderato il giusto mezzo, le quotidiane banalità, la quiete, la calma, il tran tran, fiduciosa e rasserenante. Avrei tanto desiderato programmare vacanze, scegliere regali per Natale, addobbare casa, ricevere amici sorridenti e benevoli con i quali parlare del tempo e della moda, gustare ricette nuove e commentare svagatamente l’importanza o meno di un ingrediente in quel momento.
Non è stato così.
Ho sperimentato la sublimazione, dove manca il passaggio dallo stato solido allo stato liquido.
Nel sublime, nel salire così in alto, manca la fase intermedia, via in alto, verso il gassoso, senza lacci, senza ricordi, senza prima, senza poi, senza infanzia senza niente.
Il sublime poi genera questa sensazione di sperdimento, di estatica e dolorosa contemplazione di come sia stato possibile e la consapevolezza della distanza insuperabile che separa il soggetto dall'oggetto.
Contemporaneamente nel passaggio di stato sublimante, i residui, le impurità si adageranno come una coltre di cenere sul terreno abitato del passato.

sabato 25 gennaio 2014

Le liti letterarie- A Massimo Fantino



Le liti letterarie- A Massimo Fantino
Rocco Carbone nel suo libro Il padre americano racconta su come un autore diventi uno scrittore di successo. Per una lite letteraria.
Un critico  parlò male del primo libro di esordio e questa lite degenerò sui giornali, ne parlarono dappertutto e fu la fortuna dello scrittore.
Non c’è bisogno di scomodare google e altri abbecedari per sapere come la curiosità di sapere come andrà a finire, se i due si sfideranno a duello oppure se si strapperanno i capelli, tenga desti e attenti i lettori.
Un vero agone, si aspettano tutti di vedere il sangue…
Caro Massimo, in una lite che si rispetti il critico ha sempre la peggio. Secondo una mia amica il critico è per lo scrittore come il  cane per l’albero, una battuta che ha una sua verità, ma lo scrittore non esisterebbe senza i critici che in fondo tutta pubblicità fanno.
In una lite fra simili ancora di più si esacerbano gli animi, fra sedicenti massimi poeti e poetesse d’alto e basso lignaggio è tutto un fiorire di accuse per un verso, per una parola, per un angolo.
Acuto, ottuso e piatto gli aggettivi usati non in geometria ma diretti ad un pensiero di scambi, di treni e di ferrovie.
Arguzia e cattiveria, invidia e gelosia, per noi che siam di lettere son cibo quotidiano.
Novelle, racconti, romanzi e canti non esisterebbero se noi tutti non ne vorremmo consumare ancora ancora ancora come un orgasmo vero.
In una lite accesa accanto ai duellanti ci sono i comprimari, i padrini che assistono gli sfidanti.
Alcuni sono amici, amici attenti e veri, che si fanno carico di discernere le ragioni, di stare ad osservare e poi di studiare il filo da seguire.
Altri non sono amici e infuocano la posta, dicono da noi, in dialetto, ma tu sei di Torino ed io te lo traduco. Agitano solo gli animi.
Non credo tu lo voglia. Non credo di trovarmi fra quei fuochi incrociati di lotte che non voglio. Per questo ti ringrazio di averti qui incontrato, di averti mio lettore attento e affezionato. In una lite vera fra i due litiganti il terzo gode. Mi auguro che a godere possiamo tutti quanti.



giovedì 23 gennaio 2014

Hanno un destino i libri? Relazione Uniter- 24 gennaio ore 17


Il destino di alcuni libri pubblicati postumi- Relazione Uniter
Una domanda, avrebbe dovuto essere una domanda questa mia di oggi.Tutte le affermazioni sono una domanda. Una domanda sul perché mai autori pregevoli in vita non furono mai compresi anzi osteggiati e derisi, a volte, e inspiegabilmente dopo morti, anche dopo molti anni dalla morte, scoperti, compresi, osannati.
Su alcuni la risposta mi viene semplice, sono troppo avanti rispetto ai tempi, vedono oltre come profeti e a  nessuno fa piacere sentire con lucidità come tutto andrà a finire.
 I profeti hanno sempre fatto una brutta fine… benché vedessero oltre.
Su moltissimi altri autori ho una idea forse peregrina e irriverente.
Io credo che siano stati troppo intelligenti e abbiano irrimediabilmente mostrato ai soloni e padroni della cultura quanto il loro atteggiarsi fosse sciocco e limitato e per questo ignorati, ostacolati in vita.
 Una volta morti poi scansato il pericolo l’assenza del genio darà lustro alla loro presenza, dei soloni, e quindi tutti con un florilegio di celebrazioni.
Un destino? Non so
Scrivere polvere, a volte si a volte no
C’è un destino per cui alcuni libri debbano vivere e altri scomparire nell’oblio?
Penso al bisnonno della mia amica, ai suoi pregevoli canovacci di teatro… scomparsi, penso a tanti e mi interrogo
Sulla parola cultura ormai si dice tutto e di più, a me provoca orticaria solo il suono, per me è solo un sostantivo mistificato, senza vero riferimento. Non è cultura partecipare ai tanti consessi paludati, non è cultura la piaggeria e il conformismo.

La cultura non esiste. La cultura come capacità di intravedere la luce del nuovo in un’opera che irrita, spaventa, in un’opera nuova.
Allora bisogna aspettare che sia la morte dell’autore a dare all’opera quello che i colti non diedero in vita…

Roberto Bolano in una sua ultima intervista, sapeva di dover morire…
Quali sentimenti le suscita la parola postumo?
Sembra il nome di un gladiatore romano. Un gladiatore invincibile. O almeno questo ama credere il povero Postumo per farsi coraggio
 Postumi
Sono stati moltissimi.

LO SCRITTORE POSTUMO PUBBLICA MOLTO DI PIU' CHE QUANDO ERA IN VITA E RINUNCIA IMPROVVISAMENTE A CONTINUARE. MA QUESTO VA IMPUTATO ALLA SUA INEDITA MOBILITA'. (G. Pontiggia) con ironia


 Ogni libro ha il suo destino
Ci sono libri e libri
Ci sono scrittori e scrittori
C’è di tutto di più.
“ Campiello postumo ad Ugo Riccarelli
Settembre 2013, Ugo Riccarelli, morto il 21 luglio scorso, vince il premio Campiello con “ L’amore graffia il mondo”
La prima volta che il premio viene dato postumo.
Rifletto  su come la giuria abbia motivato il suo esserci, un autore non muore, un libro vive di vita sua, l’eternità della scrittura.
Quella stessa eternità che rivendichiamo tutti, in una fotografia, nel sorriso di un nipotino, nel possesso di un castello, in un libro che si pubblica.
Un amico scherzosamente e amaramente mi fa:- Bella soddisfazione ad essere pubblicati postumi!-
.
Ripenso invece ai tanti scrittori che non seppero in vita di aver scritto opere che ancora noi leggiamo, ripenso a Terramatta di Rabito, un diario scritto su quadernoni neri, in dialetto, scritto in modo febbricitante, senza corsi di scrittura creativa, spinto, l’autore da un fuoco divorante di raccontare la sua e la vita degli altri, di raccontare guerra e patimenti, scherzi e storie… affidate poi al figlio, che li ritrova in un baule, li prende e partecipa al concorso indetto da Einaudi, vince e solo dopo un anno, forse più viene pubblicato. Grande successo di vendite. Caso letterario. Fatto film. Vince il film e viene intervistato il figlio che non buttò, come tanti altri hanno fatto, quello che il padre aveva scritto.
Un destino?
 Quanti artisti, scrittori, musicisti subirono in vita il disconoscimento della loro genialità ed io mi chiedo spesso se …
come ogni uomo ha il suo destino anche le opere create dal genio umano abbiano un loro destino.
Me lo chiedo quando mi raccontano di fogli perduti, di scritti abbandonati, di quanto spreco ci sia dell’ingegno umano.
Me lo chiedo al leggere di come sia stato casuale il ritrovamento, la notorietà e a volte il successo in opere che ormai fanno parte del nostro bagaglio culturale. Famosissimo il caso del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, il suo svelamento certo per opera di Elena Croce ma lei lo riebbe in mano solo da un paziente in analisi dalla moglie terapeuta dell’autore.
Mentre il paziente e la dottoressa facevano terapia, probabilmente alla dottoressa le sarà sembrato una situazione simile descritta dal marito e… molto fortuitamente il libro si svegliò e uscì nel mondo. Serendipity… ahahah
Meno famoso il caso di “Parole del tempo” una raccolta di poesie di Lorenzo Calogero, che in vita quasi nessuno conosceva, e che fu pubblicata postuma molto recentemente.
Lorenzo Calogero con le sue poesie sottobraccio sta in piazza Duomo e appena andato alla Einaudi per chiedere se siano arrivati due suoi manoscritti. – Mai pervenuti- gli risponderanno. E di lui rimarrà quella fotografia, cappello in testa, lungo cappotto, cartella in mano come uno scolaretto che Sinisgalli definisce “del tutto enigmatico ed ermetico.
Ma il destino delle sue poesie sarà diverso. Nel 1962 e nel 1966, dopo la sua morte nel 1961, tra il 22 e 25 marzo, in circostanze non chiarite, le sue poesie escono, nasceranno con due raccolte e i suoi “ quaderni di Villanuccia” creeranno il caso Calogero per poi essere di nuovo condannato all’oblio, ”Un abitatore del vento”( come dice il  filosofo che lo influenzò- Heidegger)
Poi un progetto Calogero avviato dal dipartimento di filologia dell’università della Calabria riprende gli 804 quaderni di pensieri che “non ebbero inizio così come non ebbero fine” dice lo stesso autore. Il 12 marzo 2009 Vito Teti si trova davanti ai quaderni di Calogero, neri o colorati, degli anni cinquanta, quaderni che ritornavano e nel cinquantenario della morte del poeta si ultimerà il lavoro per una edizione complessiva e critica.
Un destino?
 Simile Emily Dickinson che a sole, scherzo, quaranta anni dalla sua morte, vedrà da lassù le sue opere tolte dal baule e  pubblicate da una nipote acquisita.
Simile Pessoa che muore nel 1935, quasi inedito in patria, aveva pubblicato una sola raccolta di poesia Antinous e 35 sonetti” e l’opera Mensagem “Messaggio”, una raccolta di poemi su grandi personaggi storici portoghesi.  Soltanto negli anni  cinquanta qualcosa e solo negli anni ottanta verrà pubblicato “Il libro dell’inquietudine” ed esplode in Portogallo e nel mondo il fenomeno Pessoa alcuni studiosi ancora studiano scritti da pubblicare da un baule immenso, ancora si continua a cercare,  dopo che anche  Tabucchi si innamorò di lui e ne divenne il testimone.
Un destino?
Non so
Forse alcuni pensieri sono troppo avanti per i contemporanei, disse Octavio Paz di lui,  forse alcuni gusti sono troppo belli per essere fruiti subito, forse ogni opera, come tutti noi, ha il suo destino e imperscrutabili sono le vie del Signore, nell’Apocalisse, ma io ho spesso una rabbia vera nel vedere tanto e tanti scivolare e veleggiare  nel riconoscimento e nel plauso per sciocchezze, e invece vedere tanti bravi, ragazzi geniali, nella musica, nelle arti, nella poesia, che vagano come Calogero, con cartellina in mano.
Adesso c’è il web
E Dino Campana dico io, scherzosamente, adesso avrebbe scritto su un tablet.
Destino anche qui,terribile il suo come terribile per Guido Morselli che si uccise nel 1973 sempre boicottato e dopo la sua morte pubblicato.

Dipende sempre da chi leggerà, da incontri, da situazioni, da quel quid che permetterà la cernita fra un campo di spighe, di chi volenteroso presterà orecchio e sguardo all’unica opera che vale davvero.








mercoledì 22 gennaio 2014

La boutique della carne a Lamezia Terme



La boutique della carne- Maggio 2010

A Lamezia Terme esiste da qualche tempo una bella macelleria, ristrutturata, elegante, accogliente. La carne è messa in mostra, pulita, tagliata, venduta, assecondando i desideri dei numerosi ed esigenti clienti.
Uomini, donne, chiedono il petto, la coscia, tenera, giovane, la testina, pezzi di esseri, vengono incartati, pesati, si può scegliere anche qualcosa di già preparato, pronto per l’uso, impanato, arrotolato, agghindato con fiocchi di mais, di rucola, truccato e infiocchettato. Si acquista e si porta via, a casa.
Si poggia accanto, sul sedile della propria vettura e si fa il viaggio insieme. Poi a casa, messo sul tavolo l’acquisto, buttiamo lo scontrino,
cuciniamo, sentiamo l’acquolina in bocca, il profumo si diffonde in cucina, prendiamo il piatto, prepariamo il desco, ci sediamo da soli e con voracità, con gusto, lentamente o velocemente, a secondo le nostre modalità, consumiamo.
A volte con la televisione accesa, oppure con la radio, il computer, il telefonino incollato  ormai all'orecchio con l’auricolare già innestato. Un buon caffè e ci sentiamo più soddisfatti.
 Dopo qualche tempo, si va in bagno e le scorie del nostro cibo, del nostro nutrimento vengono spazzati via dallo sciacquone del water. Con un semplice gesto! Com'è semplice!
 La bottega della carne! Sono diventati proprio così i nostri rapporti interpersonali, intimi, i nostri scambi di corpi, di pezzi di corpi, i nostri sguardi.
 Una volta, questo mercato fiorente era riservato alle occasioni, era un po’ taciuto, per pudore, era tenuto nella periferia della città, ora dilaga nelle nostre case, nelle nostre conversazioni, nei nostri incontri di lavoro.
Anche il mio commercialista in un assemblea, con tre uomini, gli amministratori delegati, l’avvocato e una donna, io, nel ruolo di presidente, lo dico solo per far capire, scherzosamente, mica tanto, desidererebbe una bella carne giovane e profumata!
 Giusto – Per carità. Ma perché dirlo a me! Ma perché dirlo in un luogo inadatto. Non eravamo mica in macelleria!
Ma questo è il peccato lieve, sorridente, non c’è nulla di male, comprare quel che serve.
Ma  poi anche nelle nostre case dove il cibo è la fiducia con la quale si dovrebbe lenire l’ansia e la solitudine del nostro cammino umano, anche nelle nostre case, siamo fatti a pezzi, mangiati, divorati e poi eliminati con lo sciacquone del water.
Uno scroscio e via.
E tu mamma, moglie, figlio, e tu uomo, non servi più, via, la tua carne, la tua pelle, i tuoi occhi, i tuoi sorrisi, le tue risate!
Mi affiora sulle labbra, ultimamente, una risata stridula, fastidiosa, una risata strafottente, mi nasce da sola, ho cercato di controllarla, poi ho capito che il corpo si difende, che vorrebbe invece urlare, o più sommessamente piangere, disperarsi per tutto quello che si era creduto fosse il nostro patrimonio affettivo e che ora non c’è più, irrimediabilmente distrutto.