La solitudine ha scelto me
Ho tentato di allontanarla,
ogni giorno
ho tentato.
Lei è ritornata da me,
sempre più forte.
Guardo mia mamma, stanca di tutta una solitudine antica, continua, senza un solo giorno di felicità, una solitudine di noia, di giorni senza aria, costretta alla cura dei suoi familiari, di chi l'ha carcerata, di chi l'ha soffocata, di chi l'ha impaurita.
Guardo mio fratello, mio padre, incarcerati dalle loro stesse circonvoluzioni.
Uno, disfatto da cotanto padre, l'altro, deluso da cotanto figlio.
Una lotta continua fra un debole ed un arrogante, fra un bambino e un bambino,
due bambini malati e fragili, un equilibrio che sembra sempre che stia pericolando in bilico fra sanità e follia.
Guardo mia sorella, saggia, propositiva e sfiancante, con tutto un carico di attenzioni verso casa, verso loro, verso tutti, un voler colmare il mare della disattenzione, con abnegazione, su piccoli, infinitesimali gesti quotidiani.
Una vita fatta di anni, giorni, ore, minuti, senza relazioni, senza visite, senza fuori, senza niente.
Invidiata.
Mi invidiano la mamma ancora in vita, i facentesi parenti, me lo dice dal fruttivendolo, incontrandomi, la lontana cugina plurimaritata, al ritorno dai campi da sci, me lo dice a voce alta:- Beata te, che hai tua mamma autonoma, che esce, mentre la mia è paralizzata e devo farle spesa!- Mi dice
Io ribatto che la sua mamma ha una badante notte e giorno ma lei, lei mi invidia.
Mi invidiano tutte questa mamma che a novanta anni fa cruciverba ed è lucida, carina, affabile, un lenimento al vivere, eppure ora tanto stanca.
Me lo dicono a voce alta, quelle rarissime volte, in decennali, in cui incontro il parentame.
Un parentame che mia madre ha sempre accolto al suo tavolo, e che si è pulito il muso, dissociante.
Un parentame sconosciuto e formicolante, che non vedremo ai nostri funerali, strettamente solitari, come abbiamo vissuto.
Nessun amico ha avuto il mio papà, almeno noi non lo sappiamo, lui andava solo al campo sportivo, la domenica, misurato, seguiva le partite, non usciva se non per lavorare.
Alcune vicine aveva la mia mamma, ora sono tutte morte.
Nessun vicino, vicino casa mia. Svuotato il centro storico di un paese.
Solo la Chiesa accoglie mio fratello, i suoi riti, il coro, la messa domenicale.
La solitudine ci ha scelto come nucleo familiare, come entità personale, facendosi beffa del nostro essere sociali
Facendosi beffa del nostro voler vivere ed amare
Del nostro smisurato impegno a vivere una vita che sia normale
Ippolita Luzzo
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