Il gatto di Fany, ovvero il maleficio.
Entro a casa e il gatto indonesiano in legno mi guarda innocente.
Io non c’entro, mi dice.
Lo prendo e lo butto nella spazzatura.
Era un regalo, era solo un regalo.
Sono passati due anni circa che stava lì, dono di Fany, scambio di doni in una giornata trascorsa a prendere appunti, ad intervistare negozianti su e giù per Tropea, a camminare e correre nelle ore raccontando i giorni, le paure, il futuro.
Sono passati cinque o sei anni da quel primo incontro in biblioteca, alla presentazione del suo Fiore Rosso, la raccolta di poesia scritta con l’anima in gola, con l’arcobaleno e i trampolieri tutti su un filo. Noi siamo come birilli su un filo, lei stava dicendo, se cade uno cadiamo tutti.
Brava bravissima ad inanellare parole, magra magrissima e ambiziosa, ambiziosissima. Gli altri per lei trampolini e non trampolieri.
Cinque anni di saltelli, di telefonate fiume, di ascolto.
Conta la differenza di età in letteratura? Conta aver per età venti, trenta, quaranta, e aver amicizia con chi di anni ne ha ottanta, settanta, cinquanta? Nel caso cinque anni fa non contava, ora pesa e la differenza viene scagliata con disprezzo, per offendere.
La giovinezza contro la vecchiaia.
Ma il gatto che c’entra? Perché buttarlo?
Uniti dal piacere di scrivere, gli anni inseguivano le tante presentazioni di libri che Fany faceva.
Presentava e presentava, in biblioteca, in libreria, in saloni damascati e in bar, in cioccolaterie, in qualsiasi posto ci fossero due sedie e un microfono.
Presentava.
Un giorno l'altra le suggerì di presentare sé stessa.
Di scrivere per sé stessa.
E lei fece un diario scorrevole, una prova, e la pubblicò.
Tutto era ormai bellissimo. Un trionfo.
Arrivò il diavolo, o almeno così dice Fany.
Il diavolo si mise tra loro, nelle vesti del gatto, e nelle moderne vesti di facebook bloccò il contatto, chiuse il cellulare, non rispose alla mail, il gatto venne buttato nella spazzatura.
Sembra incredibile che nel 2033 si possa credere ancora ai malefici?
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