Etica
Nicomachea 3
Il pettegolezzo – Maggio 2011
Nell'etimologia delle parole il loro
significato appare chiaro, chiarissimo, quel che rimane oscuro è il compito che
le parole hanno, il fine per cui vengono dette. Cerchiamo di studiarne almeno
l’etimologia .
Pettegola: nello zoo faunistico la
pettegola è un uccello di palude dal becco molto lungo, dalle zampe slanciate e
sottili, nell'etimologia la parola risale probabilmente al Veneto – vien da
peto? incontinenza verbale? suono che esce dal petto? pettinare?. Sicuramente
riportare, far conoscere in modo da suscitare curiosità futile, insistere su
fatti e persone mettendo in relazione
gesti e parole in modo leggermente e
lievemente malevole, un taglia e cuci per rimodellare un vestito, mettere a
posto l’orlo, lo sbieco, la piega di un altro, un operare chirurgicamente per
dissezionare un avvenimento, un episodio, una persona, che resta nuda davanti all'uditorio. – Per chi ti vuole male anche con sette sottane la carne ti pare!
– dice un saggio proverbio. L’occhio non indulgente vede il difetto, la
magagna, sempre. Il pettegolezzo non è mai chiacchiera interumana, come la
chiamava il mio professore di teoretica, necessaria per creare comunità, ma un
atteggiamento a volte lesivo e diffuso. Eppure – Io non sono pettegola – dicono
tutti così. Sembra che nessuno lo sia, nemmeno la gentile e carina signora,
incontrata per caso stamani, che mi sta raccontando la malacreanza di una donna
che io non conosco. Non ho mai incontrato nessuno che mi confessasse di essere
pettegola, invidiosa, avida, acida, cattiva. Mai. Mai nessuno mi ha raccontato
un suo probabile difetto, una sua minuzia, un – forse sto sbagliando anch'io –
mai. Eppure esistono questi atteggiamenti; vuol dire forse, che me compresa,
l’universo intero è sbagliato, tranne le mie conoscenze? Riprendo in mano
l’etica Nicomachea, che parla di rispetto, di alterità, di riconoscenza, nel
senso di conoscersi, cosa conosciamo infatti noi degli altri e di noi stessi?
Cosa conosciamo oltre il potere di spesa, lo stipendio, il conto in banca,
l’automobile, il gioiello peraltro già superbamente imitato, cosa conosciamo
oltre il pettegolezzo delle corna, dei tradimenti, delle infamie, con i quali
rigiriamo i nostri discorsi? Certo, a
volte, poi indugiamo impietosi su qualche bella e dolorosa malattia, su qualche
disgrazia e come siamo buoni! Che dispiacere! L’etimologia ci soccorre sempre,
perché non si ha misericordia, cioè non si porta al nostro cuore la voce dal
sen fuggita – il pettegolezzo.
Il pettegolezzo però non è calunnia,
maldicenza, no, è piuttosto il tentativo di far conoscere la vera identità dell’altro, ignota finanche al soggetto
stesso, é un modo ideale per insinuare un dubbio nell'opinione altrui sull'immagine che un’altra persona vuole dare di sé. E’ una tensione morale, un
desiderio di verità, di ristabilire seconda la parlante ciò che è giusto, ciò
che è riprovevole. Si pensa erroneamente che se sappiamo trovare il difetto nell'altro abbiamo già messo a posto i nostri, screditare gli altri dà a noi che parliamo un senso di onnipotenza e di amor proprio, perché noi siamo sicuramente migliori!
Poi li confidiamo ad un’altra, in segreto,-Questo posso dirlo solo a te- oppure -Lo sai solo tu- per creare complicità, intimità, con un argomento che non riguarda entrambe.
Se ci si fermasse sulla soglia della maldicenza, il pettegolezzo sarebbe solo un rumore, un suono, un saluto.
Un modo carino e simpatico per avviare il motore della conversazione, un occhio colorito e attento sul variegato mondo dei nostri simili. Un divertimento. Solo distrazione.
Anche di Aristotele se ne diceva delle belle, solo pettegolezzi.
Il pettegolo, lui diceva, è un serpente con la lingua biforcuta. Esagerato! Di cosa si potrebbe parlare infine?
Ippolita Luzzo
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