Quando ti ricoverano porta le armi- Gianpaolo Ferrara
Quattro racconti scritti amando tanto la letteratura
americana, i luoghi e i dialoghi di un’Alabama che poi nome di suo cane è.
Sorridendo di me stessa io scrivo dopo lettura e riassunto
di pagine 420, lette in questi giorni grigi ed invernali, umidi e internazionali,
anzi intercontinentali, così come sono questi quattro racconti, nati a
Benevento, scritti a Minneapolis, corretti a Roma e mandati da Sant’Angelo a
Cancelli
Prima bozza, Benevento
1996
Prima versione,
Minneapolis 2006
Seconda versione, Roma
2013
Ultima versione,
Sant’Angelo a Cancelli (AV) 2014
Autore molto caro a me, lo confesso subito.
Come se lo avessi sempre conosciuto, per lo strano fenomeno
della fata morgana, far sembrare vicinissime due sponde.
Così lo leggo per amicizia, per relazione umana, per
piacere. Leggo sempre come se leggessi me.
“ Le fantasie adolescenziali su di una vita da scrittore
maledetto, si erano realizzate. In qualche parte dentro di me, sapevo che c’era
qualcosa di sbagliato, la parola non superava la carta, come se la carta fosse
stata un buco nero che mangia tutto e tutto prende dalle costellazioni dei miei
pensieri, del mio animo e si disintegra. L’estraniarsi dal gruppo e godere
dello stato di bandito, ad esempio, era una cosa che avevo sempre fatto e mi
piaceva. Io godevo nell’essere escluso, nell’avere il ruolo della vittima. Non
appena qualcuno prendeva seriamente in considerazione le mie qualità, quelle
poche, in me nasceva come un pagliaccio che voleva distruggere tutto e così è
stato... Una notte ho dato fuoco anche a
questo boschetto.”
Ho fatto lettura accurata e attenta e credo di poter dire
con modesta certezza alcune cose.
Giampaolo ama la letteratura americana, quella di Taxi
Driver
Martin Scorsese incontra Jan Paul Sartre, La
Nausea
“Che cosa c’è da temere da un mondo così regolare?”.
“Ho paura di quello che sta per nascere, che sta per
impadronirsi di me… e trascinarmi, dove?”
Così lui, Il
Maratoneta, il primo racconto, è una allucinazione. Allucinazioni…
“Il maratoneta –
che è in ognuno di noi come un istinto – prese il sopravvento sulla mancanza di
gusto … perché farsi morire, è dovuto essenzialmente a una mancanza di gusto,
all’incapacità di valutare il bello; il continuo, silenzioso, pericoloso
trascurarsi.”
Lissa e San, i due
protagonisti, se di protagonisti possiamo parlare, Si domandano chi siano. Abbiamo risposte le nostre stesse risposte.
“ Domande del
genere sottintendono non solo tante risposte, bensì anche un “retro universo”
di storie assurde, un intrecciarsi inestricabile di commedie, tragedie, farse,
scelte, coincidenze, sangue, morte e infine tanta vita giacché si è là a
chiedersi cosa ci faccia una scarpa sulla luna, si è là a riflettere sull'aberrante dato di fatto che l’immondizia umana sia giunta fino alla luna,
che però la scarpa sia una sola, quindi all'aberrante si affianca il comico:
che fine avrà fatto l’altra scarpa? E così facendo nasce una risata che funge
da cesto per mele sia integre sia marce.
Quando si
incontrano tra reduci di stermini diversi tutto ciò sia sottinteso – e non ne
parlino. Per comunicare quella roba lì, utilizzano la risata, la cui funzione –
una delle tante – è proprio quella di tenere in vita della polvere di memoria
senza alcun lamento funebre.”
Qui mi sono interrogata sulla mia risata, utilizzata per fuggire via dalla polvere di memoria.
Qui mi sono interrogata sulla mia risata, utilizzata per fuggire via dalla polvere di memoria.
Ho continuato a
fare copia incolla di rabbia e
razzismo nelle strade americane, la verità nascosta sul sogno americano
di possibili integrazioni dopo tante cancellazioni, dopo tanto disprezzo.
“Dal racconto di
Lissa:-È lì che compresi cosa volesse
dire quella frase, ignorare è il maggior disprezzo o roba così. In quell'occasione, però, dentro di me si fece sempre più nitida l’impressione di essermi innamorata di un involucro
vuoto.”
Scriviamo dunque
per non ignorare e il maratoneta finisce proprio per darsi un compito, malgrado
l’allucinazione collettiva. “ Sono un maratoneta e percepisco la mia forza
sulle pagine del vento. Non corro per vincere, ma per trasportare. Avvenne
così, corsi per portare la parola. Io non sono un corridore, io sono un
maratoneta, un messaggero.
Il secondo racconto “La Poltiglia” è una
allucinazione familiare, un dialogo fra autore e personaggi alla Pirandello.
Sei personaggi in cerca d’autore nella testa di
lui scrittore che ha moglie e figli. Moglie e figli che si accorgono di
lui stranito in un dialogo di cui loro non fanno parte. Ho riso molto,
guardando viso di mia sorella, annoiata dal mio dialogo muto e scherzoso con
personaggi non presenti al desco familiare, i personaggi di Giampaolo.
“Era questo il
motivo per il quale Peppe aveva deciso di portarli a Sant'Agata de’ Goti, un
paesello medievale costruito su di un costone tufaceo, le cui abitazioni
cadevano a strapiombo in una gravina, facendo apparire quel grumo di case come
un unico ed enorme castello.
E il dio dei
ricordi abbandonò il campo che fu preso dal dio dei disturbi
- A cosa stavi
pensando? – chiese Anna, che era appena entrata in macchina e lui neanche se ne
era accorto per quanto era stato assorto nei suoi pensieri.
Lui non rispose
subito e mostrò un volto stupito e intimorito, come quello di un bambino
beccato mentre fa una marachella.
Anna continuava a
guardarlo riflettendo sulla maniera in cui suo marito si era estraniato. Lo
aveva sempre fatto, a volte parlava da solo ad alta voce, imbarazzandola quando
la cosa avveniva in pubblico. La donna non si era mai preoccupata più di tanto,
credeva semplicemente che il marito stesse pensando alle sue storie, alla sua
benedetta scrittura che – nonostante il palese fallimento – continuava a
serpeggiare qua e là nella quotidianità della famiglia come onde che,
frantumandosi sugli scogli, spruzzano iodio ovunque.
Negli ultimi tempi
però, Anna percepiva questo suo estraniarsi come qualcosa di più profondo. Era
come se intorno al marito si materializzasse un altro mondo – egli perdeva ogni
contatto con la realtà.”
“Peppe era da
sempre posseduto da un grumo d’immagini e parole, una sorta di poltiglia che,
come la chimica e la fisica nel mondo della materia, regolava tutta l’attività
della sua elettricità cerebrale. Ciò lo spingeva spesso a distaccarsi dalla
realtà circostante e in alcune situazioni, in passato, aveva vissuto momenti di
amnesia dissociativa. La tendenza, o reazione, a isolare del tutto il proprio
apparato comunicativo scattava in automatico alla presenza di personalità
forti, i cosiddetti uomini alfa o donne mangia-uomini”
“ l’iniziare a
nascondere ti fa uomo, nel bene, nel male, da qualche altra parte, e
soprattutto raggiunge la certezza che il padre non è né più né meno che un
uomo.
Forse dovrei scrivere un libro centrato su
quest’argomento, pensò lui.
Libertà e costrizione”
Libertà e costrizione
Libertà e costrizione
Leggere comunque ci
salva la vita, come una telefonata, come una chat. Libertà nella costrizione
Quando ti
ricoverano porta le armi: Un libro
Ippolita Luzzo
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