Uno stato d'animo sovrappensiero aleggia sul libro diventandone il filo conduttore. La Colpa è uno stato d'animo prima che il racconto di un uomo, vissuto dall'infanzia senza aver visto più il padre scomparso, che viene informato dalla morte di lui avvenuta in un convento dei frati minori di Acireale. Lo conosciamo, subito dopo aver ricevuto la telefonata con la notizia datagli dal frate guardiano del convento, sovrappensiero, mentre cammina per la strada e sconosciuti lo urtano senza scusarsi e lui si sente avvampare e si infila in un vagone della metropolitana
"A tal punto lo aveva frastornato la telefonata del frate, che non si era accorto di aver percorso a piedi un lungo tratto di strada, sceso le scale di una stazione, acquistato un biglietto e salito a bordo. Come quando si compie un tragitto noto guidando un'auto e si giunge a destinazione quasi che a condurre fosse stato un pilota automatico"
La vera trama è il mondo che sfuma e passa di lato al protagonista. Quegli incontri che lo sfiorano, ciò che lo smarrisce, lui che vaga, danno l'idea di un quadro impressionista, come se il paesaggio intorno a lui, e la gente intorno, fosse sfocata, o almeno vaga immagine di una realtà.
Una realtà a più strati ci viene incontro nelle pagine: c'è la realtà del lavoro e delle sue incombenze, c'è la realtà del rapporto di Fabio, così si chiama il protagonista, con Eliana, la donna con cui prova a vivere insieme, ci sono le telefonate alla mamma e a sua sorella, ci sono i dialoghi con il frate del convento e c'è una realtà infine di mancanze, di sfioramenti, di sensazioni, sul paradosso di instaurare conoscenza con un morto, dopo morto e proprio perché è morto, questo padre, patrimonio del suo dna genetico.
"Nemmeno io mi riconoscevo perché sono finito in una vicenda alla quale non ero preparato" dice Fabio, ed in quel dire ci sentiamo un po' chiamati in causa tutti noi, lettori, con realtà sfumate e perse, scomparse e fatte di macchie, come macchiaioli, come impressionisti, di fatti e persone incontrate e non, di fatti e persone, paesaggi di una anima vagante e sofferente.
Credo che i temi trattati nel libro siano molteplici, ci sia tanta sofferenza mentale, tanto chiedersi quanto siamo padroni del nostro pensare, quanto siamo ancora impotenti davanti alla malattia mentale, davanti ad una ipersensibilità che annienta di dolore gli animi indifesi.
Senza schermo protettivo, ci sembra il padre di Fabio, senza schermo protettivo ci sembra a volte anche Fabio, e senza schermo protettivo siamo un po' noi tutti nelle vicende alle quali non siamo preparati. Fra Fabio e suo padre, così come capita a tutti, ci stanno le tante connessioni di cui sono fatti i legami familiari, legami di chi genera un altro, legami del generante nei confronti del generato, legami che fanno di noi esseri umani, malgrado ora si voglia affittare seme e utero e non far conoscere chi crea chi.
Riflessioni che mi portano lontano ma resto vicinissima, resto al momento in cui Fabio sa di strizzare gli occhi con lo stesso movimento del padre, in una somiglianza ereditaria di gesti, e resto al momento in cui "siamo solo organismi, un composto chimico di una semplicità disarmante...A noi umani è toccata la terribile consapevolezza dell'esistere... e la tortura dei ricordi" resto in ciò che galleggia sul mare della nostra esistenza, che mi sembra sia questo il senso del libro La Colpa, quel galleggiare di cose, di fatti, di momenti passati che ci rimproverano, che non potremo cambiare perché è il passato ciò che non passa.
Ippolita Luzzo
mercoledì 31 ottobre 2018
martedì 30 ottobre 2018
"Pensiero e poesia", "Proiezioni" Martin Heidegger e Marco Luppi
"La natura poetica del pensiero è ancora/ avvolta nell'ombra./ Ove essa si manifesta/ assomiglia per lungo tempo all'utopia/ di un pensiero semipoetico./ Ma il poetare pensante è, in verità,/ la topologia dell'essere./ Essa gli indica il villaggio/ ove dimora la sua essenza."dai versi di Heidegger riportati in prosa da me, cambia il modulo scritto, la camminata delle parole sul foglio, e camminando esse si dispongono in un distico iniziale, una terzina interna e due distici finali. Da Heidegger Pensiero e Poesia
"E così sia
sicario il pensiero/ dove vale tutto/ e tutto il contrario/ minimo comune/ denominatore/ il punto d'arrivo/ e di non ritorno/ vicino allo zero" Da Marco Luppi Proiezioni, riporto in prosa due terzine e un distico centrale.
Mi piace questa camminata fra metriche e pensiero, fra prosa e proiezioni nel segno e nella mano di una poesia che ci accompagna nel silenzio del pensiero che si pensa.
La poesia
quando càpita/ e quando capita/ si scrive/ e si legge/ al buio./ Da soli./ In silenzio."
Continuo a vederli parlare insieme mentre "Con più di due facce Chi scrive,/ lascia il tempo che trova./ Chi legge,/ trova il tempo che lascia./ Di conversazione in conversazione/ di parole medaglie al disonore." Marco Luppi continua nel suo e mi sembra che Heidegger sia d'accordo :"Tre pericoli incombono sul pensiero./ La vicinanza del poeta che canta è il pericolo buono,/ il pericolo salutare. Quello che è cattivo con rabbia, e quindi il più tagliente,/ è lo stesso pensare. Egli è costretto a pensare contro sé/ stesso, e ciò solo di rado è in suo potere/.Il pericolo cattivo e che per questo reca confusione,/ è il fare filosofia.
Proprio nell'incontro di questi due libri che si sono conosciuti qui, nel regno della Litweb, avviene la passeggiata di Martin Heidegger e Marco Luppi, passeggiata sospesa e immaginaria, immaginata da me, quasi con me fra loro a prendere appunti. In fondo i libri si possono leggere anche in questo modo, facendoli parlare tra di loro e mi conferma infatti ora Heidegger:" Sentiero e sospensione, piccolo ponte in bilico e leggenda si incontrano in uno stesso cammino. Incamminati,e mancanza e domanda sopporta lungo il tuo solo sentiero."
Seguiamo quindi le "Proiezioni" di Marco Luppi e non smettiamo di cercare. Una volta io scrissi che l'amico o l'amico era la nostra proiezione, ora non lo scriverei più, vista la distanza fra noi e gli amici.Ciò che mi rende ilare nello scrivere di poeti e filosofi è il mio stare di lato, poggiarmi i libri accanto e veder animare come la girandola sulla copertina di Heidegger, come la spirale, veder giungere il rosso intenso di Marco Luppi, veder animare il pensiero di un soliloquio universale dedicato allo stupore che esista per parlarsi, e voglio dirvelo con Heidegger:" La parola del pensiero dimorerebbe tranquilla nella sua essenza soltanto se divenisse incapace di dire ciò che deve rimanere non detto." e ancora "Mai, e in lingua alcuna, ciò che è parlato è tutt'uno con ciò che è detto" stupore dell'inespresso sarà.
Ippolita Luzzo
"E così sia
sicario il pensiero/ dove vale tutto/ e tutto il contrario/ minimo comune/ denominatore/ il punto d'arrivo/ e di non ritorno/ vicino allo zero" Da Marco Luppi Proiezioni, riporto in prosa due terzine e un distico centrale.
Mi piace questa camminata fra metriche e pensiero, fra prosa e proiezioni nel segno e nella mano di una poesia che ci accompagna nel silenzio del pensiero che si pensa.
La poesia
quando càpita/ e quando capita/ si scrive/ e si legge/ al buio./ Da soli./ In silenzio."
Continuo a vederli parlare insieme mentre "Con più di due facce Chi scrive,/ lascia il tempo che trova./ Chi legge,/ trova il tempo che lascia./ Di conversazione in conversazione/ di parole medaglie al disonore." Marco Luppi continua nel suo e mi sembra che Heidegger sia d'accordo :"Tre pericoli incombono sul pensiero./ La vicinanza del poeta che canta è il pericolo buono,/ il pericolo salutare. Quello che è cattivo con rabbia, e quindi il più tagliente,/ è lo stesso pensare. Egli è costretto a pensare contro sé/ stesso, e ciò solo di rado è in suo potere/.Il pericolo cattivo e che per questo reca confusione,/ è il fare filosofia.
Proprio nell'incontro di questi due libri che si sono conosciuti qui, nel regno della Litweb, avviene la passeggiata di Martin Heidegger e Marco Luppi, passeggiata sospesa e immaginaria, immaginata da me, quasi con me fra loro a prendere appunti. In fondo i libri si possono leggere anche in questo modo, facendoli parlare tra di loro e mi conferma infatti ora Heidegger:" Sentiero e sospensione, piccolo ponte in bilico e leggenda si incontrano in uno stesso cammino. Incamminati,e mancanza e domanda sopporta lungo il tuo solo sentiero."
Seguiamo quindi le "Proiezioni" di Marco Luppi e non smettiamo di cercare. Una volta io scrissi che l'amico o l'amico era la nostra proiezione, ora non lo scriverei più, vista la distanza fra noi e gli amici.Ciò che mi rende ilare nello scrivere di poeti e filosofi è il mio stare di lato, poggiarmi i libri accanto e veder animare come la girandola sulla copertina di Heidegger, come la spirale, veder giungere il rosso intenso di Marco Luppi, veder animare il pensiero di un soliloquio universale dedicato allo stupore che esista per parlarsi, e voglio dirvelo con Heidegger:" La parola del pensiero dimorerebbe tranquilla nella sua essenza soltanto se divenisse incapace di dire ciò che deve rimanere non detto." e ancora "Mai, e in lingua alcuna, ciò che è parlato è tutt'uno con ciò che è detto" stupore dell'inespresso sarà.
Ippolita Luzzo
sabato 27 ottobre 2018
Libriamoci al Liceo Classico di Lamezia Teme con Alessandro Leogrande e Litweb
Alessandro Leogrande al Liceo Classico "Francesco Fiorentino" con La Frontiera, nella manifestazione nazionale di Libriamoci, è una opportunità nata da un incontro casuale con la mia amica, docente di filosofia, che ha subito contattato la docente di Italiano e Latino, Maria Chieffallo, dandole il mio numero di cellulare. Detto fatto, grande incontro sul nome di Alessandro Leogrande, proposto ai ragazzi della prima e seconda B del Liceo, in nome di una letteratura civile e militante. All'ingresso della porta della Biblioteca una frase di Luis Selpuveda: La frontiera scomparsa"La letteratura è il modo migliore per cancellare le frontiere, per dimenticarle e far sì che l'essere umano si muova liberamente nel territorio dell'immaginazione, in quel territorio che non conosce limiti né patrie, ed è semplicemente un luogo o mille luoghi in cui il lettore entra dopo aver aperto un libro. Il mare è uno solo, ma ha molti nomi. La terra è una sola, ma si nasce, si vive e si muore in posti che si chiamano in un modo o nell'altro."
Nel dare il messaggio di una letteratura di pace e di fratellanza eccolo Alessandro tra noi, nei video scelti dalla collega entusiasta della mia proposta, eccolo fra noi a dirci quanto sia perniciosa l'ignoranza, quanto noi tutti pochissimi o nulla sappiamo di questo esodo biblico, di questo movimento epocale di popoli, di quanto sia dura ed efferato il regime in Eritrea, di cosa successe ai curdi, ai siriani, di come sia preparato il viaggio, da quanti mesi è fatto un viaggio e di come il viaggio trasformi chiunque lo faccia. Video incredibili di testimonianza seria, come serio è stato il lavoro di Alessandro Leogrande, giornalista e scrittore, vicedirettore della rivista "Lo Straniero" che ha chiuso l'attività proprio pochi mesi fa. Alessandro è morto un anno fa, a quarant'anni. Il suo anniversario sarà il 26 novembre e noi stamattina ci promettiamo appuntamento proprio in quella data per riparlarne, per riparlare dei tanti temi da lui trattati, in "Uomini e Caporali" viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del sud, mai debellata la schiavitù nel lavoro, sull'Ilva, sull'Albania, sempre "in difesa degli ultimi e dei ferocemente sfruttati nei più diversi contesti: nell'ambito del caporalato, degli immigrati, dei desaparecidos in Argentina, e ovunque ci sia stato un sopruso" per dirla con le parole di suo padre, morto dopo qualche mese.
Nel 2018 la capitale dell'Albania, Tirana, gli ha intitolato una strada e postumo è uscito il libro "Dalle Macerie" con prefazione di Goffredo Fofi, qui con noi, in un'altro filmato, al Salone del libro di Torino. "Dalle Macerie" sono gli articoli su Taranto, su questa città avvelenata dall'industria siderurgica, su questa città ammalata che accetta la malattia come sopravvivenza. Una violenza alla città. Gli alunni annuiscono, partecipi.
Leggono alcuni brani del libro La frontiera, i capitoli iniziali, leggono Teresa e Stella, gli alunni intervengono promettendo che continueremo a conoscere e a leggere quello che lui ci ha lasciato come un testimone, come la staffetta che i corridori si scambiano in corsa. Io racconto loro come lo abbia conosciuto, alla notizia della sua morte, come mi passavano i tanti post su di lui in rete, di tanti suoi amici affranti. Ho cominciato a leggerlo ed a portarlo con me, e stamani lo riscrivo qui in Litweb, nella finestra sul mondo, nel luogo dove impariamo a conoscere il mondo.
Nella felicità dell'incontro con alunni e collega esco e incontro un mio amico, bibliotecario in fieri, al quale racconto, sapendo di essere capita, come un libro possa, come un libro riuscirà a fare testimonianza di questi tempi di orribile confusione sul nulla.
Nel dirci ciò che pensiamo entrambi io ritorno allo sguardo fiducioso di Teresa, Stella, Iacopo, di Asia che ha fatto le foto, dei ragazzi della prima e seconda B, dai nomi bellissimi e dagli occhi attenti, ragazzi che hanno conosciuto stamattina in Libriamoci Alessandro Leogrande.
Un grande grazie a Maria Chieffallo che ha permesso tutto ciò.
Alessandro ne sarebbe stato contento, ne sono sicura.
Ippolita Luzzo.
Nel 2018 la capitale dell'Albania, Tirana, gli ha intitolato una strada e postumo è uscito il libro "Dalle Macerie" con prefazione di Goffredo Fofi, qui con noi, in un'altro filmato, al Salone del libro di Torino. "Dalle Macerie" sono gli articoli su Taranto, su questa città avvelenata dall'industria siderurgica, su questa città ammalata che accetta la malattia come sopravvivenza. Una violenza alla città. Gli alunni annuiscono, partecipi.
Leggono alcuni brani del libro La frontiera, i capitoli iniziali, leggono Teresa e Stella, gli alunni intervengono promettendo che continueremo a conoscere e a leggere quello che lui ci ha lasciato come un testimone, come la staffetta che i corridori si scambiano in corsa. Io racconto loro come lo abbia conosciuto, alla notizia della sua morte, come mi passavano i tanti post su di lui in rete, di tanti suoi amici affranti. Ho cominciato a leggerlo ed a portarlo con me, e stamani lo riscrivo qui in Litweb, nella finestra sul mondo, nel luogo dove impariamo a conoscere il mondo.
Nella felicità dell'incontro con alunni e collega esco e incontro un mio amico, bibliotecario in fieri, al quale racconto, sapendo di essere capita, come un libro possa, come un libro riuscirà a fare testimonianza di questi tempi di orribile confusione sul nulla.
Nel dirci ciò che pensiamo entrambi io ritorno allo sguardo fiducioso di Teresa, Stella, Iacopo, di Asia che ha fatto le foto, dei ragazzi della prima e seconda B, dai nomi bellissimi e dagli occhi attenti, ragazzi che hanno conosciuto stamattina in Libriamoci Alessandro Leogrande.
Un grande grazie a Maria Chieffallo che ha permesso tutto ciò.
Alessandro ne sarebbe stato contento, ne sono sicura.
Ippolita Luzzo.
martedì 23 ottobre 2018
Tutta la solitudine che non reggo più: Poema bianco di Pasquale Panella
Il senso del fare il poeta.
"Fa' finta ossia fammi il poeta
(fallo tu)"
Amo di un amore smisurato questi versi di Pasquale Panella, li porto con me e quando mi accingo a scriverne non riesco più.
" Non è un monologo, è un soliloquio, nessun suono."
Come si possa costruire una meraviglia di versi sul continuo dirsi, nel silenzio e nella chiacchiera, mi sembra un vero incantesimo.
Incantata sto "Così che leggere è aggiungere i rumori, fingendo la leggibilità del soliloquio, che è illeggibile."
Mi prende voglia che non sia vero, che non esista chi sappia così bene di cosa sono fatti i pensieri della solitaria, della solitudine, dell'essere soli, mi prende e mi accompagna verso il personaggio principale, "l'ascoltatrice", colei che trascrive il soliloquio.
"Il soliloquio, questa intima piazzata, questo comizio, questo convenire, qui, di un'oratrice che ha solo se stessa a ascoltarla, a ascoltarsi, a sentirsi regnante sul silenzio."
Il soliloquio come il mare, come le onde, come le maree, come il moto di rotazione della terra intorno a se stessa, come il respiro nei polmoni arriva, invade, ossigena e va via in anidride, il soliloquio occupa e si disperde nella testa, nel pensiero, va e ritorna.
Puro e bianco movimento che viene fatto e cancellato dal suo farsi.
Nel parlarsi addosso "Torniamo alla mia voce che io sola sento" la raccontiamo a tutti, scrivendola su un foglio bianco, raccontiamo che vorremmo raccontare.
La volontà, la nostra " è vero che ci capiamo, umanità?"
Fra disperazione e divertimento, fra ironia e dramma, facciamo di un foglio bianco il tramite di pensieri e azioni, il tramite di un messaggio scritto, perché se lei, la voce, scrive, scritto è.
In un mio antico farneticare scrissi "Dirlo a tutti per non dirlo a nessuno" ed in "Poema Bianco", in questa delizia in versi, noi ci lasciamo andare dove il poeta ci vuole portare: Essere cullati dalle parole, dalla ripetitività della certezza che ce le potremo dire ancora e ancora e ancora.
"Non è con il pensiero
che ti ricordo
Non è con il ricordo
che ti penso
È un'altra cosa:
è il senso
Prima non era
necessario"
Salutando con un inchino un autore inarrivabile, un gigante, un grande, e sentendomi rispondere
"Fa' finta ossia fammi il poeta
(fallo tu)".
Ippolita Luzzo
"Fa' finta ossia fammi il poeta
(fallo tu)"
Amo di un amore smisurato questi versi di Pasquale Panella, li porto con me e quando mi accingo a scriverne non riesco più.
" Non è un monologo, è un soliloquio, nessun suono."
Come si possa costruire una meraviglia di versi sul continuo dirsi, nel silenzio e nella chiacchiera, mi sembra un vero incantesimo.
Incantata sto "Così che leggere è aggiungere i rumori, fingendo la leggibilità del soliloquio, che è illeggibile."
Mi prende voglia che non sia vero, che non esista chi sappia così bene di cosa sono fatti i pensieri della solitaria, della solitudine, dell'essere soli, mi prende e mi accompagna verso il personaggio principale, "l'ascoltatrice", colei che trascrive il soliloquio.
"Il soliloquio, questa intima piazzata, questo comizio, questo convenire, qui, di un'oratrice che ha solo se stessa a ascoltarla, a ascoltarsi, a sentirsi regnante sul silenzio."
Il soliloquio come il mare, come le onde, come le maree, come il moto di rotazione della terra intorno a se stessa, come il respiro nei polmoni arriva, invade, ossigena e va via in anidride, il soliloquio occupa e si disperde nella testa, nel pensiero, va e ritorna.
Puro e bianco movimento che viene fatto e cancellato dal suo farsi.
Nel parlarsi addosso "Torniamo alla mia voce che io sola sento" la raccontiamo a tutti, scrivendola su un foglio bianco, raccontiamo che vorremmo raccontare.
La volontà, la nostra " è vero che ci capiamo, umanità?"
Fra disperazione e divertimento, fra ironia e dramma, facciamo di un foglio bianco il tramite di pensieri e azioni, il tramite di un messaggio scritto, perché se lei, la voce, scrive, scritto è.
In un mio antico farneticare scrissi "Dirlo a tutti per non dirlo a nessuno" ed in "Poema Bianco", in questa delizia in versi, noi ci lasciamo andare dove il poeta ci vuole portare: Essere cullati dalle parole, dalla ripetitività della certezza che ce le potremo dire ancora e ancora e ancora.
"Non è con il pensiero
che ti ricordo
Non è con il ricordo
che ti penso
È un'altra cosa:
è il senso
Prima non era
necessario"
Salutando con un inchino un autore inarrivabile, un gigante, un grande, e sentendomi rispondere
"Fa' finta ossia fammi il poeta
(fallo tu)".
Ippolita Luzzo
domenica 21 ottobre 2018
L'arte di scomparire Pierre Zaoui
Un amico, su facebook, mi chiese di leggere e di parlare di questo libro molto tempo fa. Il 2015, anno della data di nascita, poi la seconda ristampa ed è quella che ho comprato io, ho letto il libro sottolineandolo, lasciandolo per casa e riaprendolo molte volte, ma sentendomi inadeguata a scriverne.
Il libro ci parla della discrezione, quella sospensione del tempo che ha valore in quanto sospensione, a condizione di non prolungare oltre un certo limite il nostro stare nascosto.
"Non è davvero sopportabile scomparire troppo a lungo, se non vogliamo che questi piaceri furtivi si trasformino in rinuncia e perversione. la prima specificità della discrezione è nell'esperienza di un tempo modesto, capace di badare a se stesso"
Viviamo fra il desiderio di essere riconosciuti e quello di essere anonimi e "la discrezione sottrae tutto l'essere alle apparenze solo per restituirglielo per intero"
Farsi discreti è nello stesso tempo uscire dal gioco delle apparenze e prestare attenzione al mondo. Ritirarsi dal mondo per lasciarlo esistere, scrive Zaoui analizzando l'aspetto politico e sociale delle pulsioni ad apparire e scomparire, durante i secoli, in filosofia e in letteratura, nelle tragedie greche e negli scritti di Machiavelli, in Proust, in Freud e Kafka.
"Nel suo significato etimologico discrezione viene dal latino discretio, discernimento, separazione, distinzione, e nell'inglese discretion, il significato matematico di discontinuo."
Non si può essere discreti a vita pena impazzire!
L'arte di scomparire è l'arte della discrezione, cercando di non farla diventare una ossessione, una patologia. Importante sapere quando uscire in anticipo da un gioco, da una eccessiva rincorsa al protagonismo, e importante non pensare che la salvezza possa stare esclusivamente nella tana.
Ritrovo in questo libro i filosofi studiati, da Rousseau a Foucault, a Lèvi-Strauss, il pudore e la prudenza, da Aristotele alla parresìa, "al coraggio della verità" il coraggio di non nascondere nulla, di mettere tutto a nudo. Parlare o non parlare, quanto parlare, desiderare di fare parte di un consesso amicale di simili, aver voglia di stare distanti, produrre arte per desiderio di comunicare e nello stesso tempo sparire per aver quella distanza che permetta l'osservazione.
Vedo per le strade cittadine molti "discreti", anche io qualche volta sono "discreta", però quel che distingue la mia discrezione da quella di molti altri è il mio insopprimibile bisogno di socialità, di dire al mondo intero quanto sii felice di vederlo, di guardalo, che è diverso, di parteciparlo, sempre da discreta che non ha paura.
Si può essere indiscreti anche essendo discreti.
" Ci sono tanti modi indiscreti di essere discreti: per paura dell'opinione pubblica. per sottomissione servile alle regole comuni delle buona educazione, per prudenza, per astuzia e calcolo; per ravvivare la propria immagine sociale, darle quel tocco di eleganza e di cortesia che le mancava"...come seduzione e narcisismo. Una discrezione snaturata.
Noi stiamo con le parole di Lèvi-Strauss e con il gheriglio di noce di Kafka, dai Diari, nel rabbi Meir: "Mettere il mondo prima della vita e la vita prima dell'uomo" Se non ci sono le anime che si accorgono di stare al mondo nel momento che esiste il mondo, che si accorgono della grande meraviglia di esserci per il mondo e non per una propria affermazione, non ci sarebbe più nulla di filosofia e conoscenza, sarebbe tutto uno specchio vuoto. Mi sembra di stare con Zaoui per quel che io possa stare, mi sembra di stringere con lui un patto di resistenza amicale e di chiamare quell'amico di allora alla passeggiata sui profili facebook
Ippolita Luzzo
Il libro ci parla della discrezione, quella sospensione del tempo che ha valore in quanto sospensione, a condizione di non prolungare oltre un certo limite il nostro stare nascosto.
"Non è davvero sopportabile scomparire troppo a lungo, se non vogliamo che questi piaceri furtivi si trasformino in rinuncia e perversione. la prima specificità della discrezione è nell'esperienza di un tempo modesto, capace di badare a se stesso"
Viviamo fra il desiderio di essere riconosciuti e quello di essere anonimi e "la discrezione sottrae tutto l'essere alle apparenze solo per restituirglielo per intero"
Farsi discreti è nello stesso tempo uscire dal gioco delle apparenze e prestare attenzione al mondo. Ritirarsi dal mondo per lasciarlo esistere, scrive Zaoui analizzando l'aspetto politico e sociale delle pulsioni ad apparire e scomparire, durante i secoli, in filosofia e in letteratura, nelle tragedie greche e negli scritti di Machiavelli, in Proust, in Freud e Kafka.
"Nel suo significato etimologico discrezione viene dal latino discretio, discernimento, separazione, distinzione, e nell'inglese discretion, il significato matematico di discontinuo."
Non si può essere discreti a vita pena impazzire!
L'arte di scomparire è l'arte della discrezione, cercando di non farla diventare una ossessione, una patologia. Importante sapere quando uscire in anticipo da un gioco, da una eccessiva rincorsa al protagonismo, e importante non pensare che la salvezza possa stare esclusivamente nella tana.
Ritrovo in questo libro i filosofi studiati, da Rousseau a Foucault, a Lèvi-Strauss, il pudore e la prudenza, da Aristotele alla parresìa, "al coraggio della verità" il coraggio di non nascondere nulla, di mettere tutto a nudo. Parlare o non parlare, quanto parlare, desiderare di fare parte di un consesso amicale di simili, aver voglia di stare distanti, produrre arte per desiderio di comunicare e nello stesso tempo sparire per aver quella distanza che permetta l'osservazione.
Vedo per le strade cittadine molti "discreti", anche io qualche volta sono "discreta", però quel che distingue la mia discrezione da quella di molti altri è il mio insopprimibile bisogno di socialità, di dire al mondo intero quanto sii felice di vederlo, di guardalo, che è diverso, di parteciparlo, sempre da discreta che non ha paura.
Si può essere indiscreti anche essendo discreti.
" Ci sono tanti modi indiscreti di essere discreti: per paura dell'opinione pubblica. per sottomissione servile alle regole comuni delle buona educazione, per prudenza, per astuzia e calcolo; per ravvivare la propria immagine sociale, darle quel tocco di eleganza e di cortesia che le mancava"...come seduzione e narcisismo. Una discrezione snaturata.
Noi stiamo con le parole di Lèvi-Strauss e con il gheriglio di noce di Kafka, dai Diari, nel rabbi Meir: "Mettere il mondo prima della vita e la vita prima dell'uomo" Se non ci sono le anime che si accorgono di stare al mondo nel momento che esiste il mondo, che si accorgono della grande meraviglia di esserci per il mondo e non per una propria affermazione, non ci sarebbe più nulla di filosofia e conoscenza, sarebbe tutto uno specchio vuoto. Mi sembra di stare con Zaoui per quel che io possa stare, mi sembra di stringere con lui un patto di resistenza amicale e di chiamare quell'amico di allora alla passeggiata sui profili facebook
Ippolita Luzzo
venerdì 19 ottobre 2018
Il teatro è una cosa fisica. Angelo Colosimo in Bestie Rare
"In tempi bui come questi, in cui qualcuno vorrebbe delimitare un confine, entro il quale sarebbe preferibile non andare, l'associazione Confine incerto, crea una Zona Transitoriamente Libera."
Giorgia Boccuzzi, in un incipit Brechtiano, si rivolge al pubblico in sala, prima dello spettacolo "Bestie Rare" di Angelo Colosimo.
"ZTL, Zona Transitoriamente libera", il collettivo composto da Giorgia Boccuzzi, Emi Bianchi, Luigi Lacquaniti e Teresa Zumaglini, un progetto costola dell'associazione Confine incerto, organizza e promuove, per il secondo anno, al Supercinema di Catanzaro, una rassegna teatrale in itinere.
Organizzazione comunitaria, leggo qui sulla pagina facebook, nel cercare notizie del collettivo, composto a sua volta, da artisti, più volte applauditi.
Ricordiamo "La Magara" di Emilio Suraci ed Emi Bianchi, la storia di Cecilia Faragò, donna incolpata di stregoneria a Catanzaro nel 1769 in una splendida interpretazione di Emi Bianchi che, stasera, luminosa e scintillante di felicità, ci accoglie insieme agli altri del collettivo sul portone del teatro.
Buio e luce, oltre il buio la luce del teatro, sono queste le parole di Giorgia, mentre presenta al pubblico, nel tutto esaurito dei posti, la gioia di essere riusciti a trovare i mezzi, a trovare i sostenitori e a far vivere il teatro.
ZTL ha piantato la sua prima bandierina, leggo in un post del novembre 2017 e, a un anno di distanza, si plaude alla scelta di far vivere il Supercinema, di far vivere, passando e ammirando, la Chiesa del Monte dei Morti e della Misericordia in via Educandato e la storia che ci accompagna.
Il teatro è una cosa fisica, ho scritto in testa, dal primo momento in cui Angelo Colosimo mi passa accanto zoppicando, sale sul palcoscenico e prende una grande accetta, la poggia sul collo e diventa un bambino, trattenuto da un certo Micu, uomo adulto e rancoroso, che vuole punirlo per aver buttato una grossa pietra nel suo camino.
Il bambino si dimena e si impaurisce, non vuole accusare i compagni dell'azione, protesta la sua innocenza, e mentre racconta e mentre implora Micu di lasciarlo andare, sudore copioso scende dalla sua fronte, tremito diffuso in ogni centimetro della sua pelle, la paura fisica si vede proprio nella pelle.
"Se m'ammazzi, ammazzi un innocente", prova il bimbo a far riflettere il suo persecutore.
Il teatro su un mondo arcaico e scomparso per sempre, il vico, i vicini di casa, come una processione del venerdì santo, la zia Lisa, chiamata per essere salvato.
Zia Lisa, donna della ruga e da tutta rispettata, i cummari, a me sovviene il vico Blaschi, della mia infanzia, dove i vicini stavano seduti davanti le porte.
"E le vecchie si fecero dare le sedie" racconta Angelo Colosimo. Nel momento della spettacolarizzazione della pena, "Zia Lisa mi lassa" il bimbo viene preso schiaffi, calci, sputi, "chi cu li mani, chi cu li piadi" mentre il sangue scende arriva il prete.
Siamo oltre la metà del monologo, siamo quasi alla fine della tragedia, e arriva il deus ex machina, l'uomo che risolve, sembra sgridare il vicinato, la turba che volto non ha, i cattivi.
Arriva lui e il bambino ha ancora più paura.
Se fino a quel momento abbiamo sorriso, pur nello sproporzione della pena inflitta da Micu al bimbo, ora non ridiamo più e attendiamo che quella violenza si sciolga nell'abbraccio della mamma del bimbo, intervenuta, lei sì, a salvarlo davvero "U beni da mamma è tuttu u cori, ca chillu da genti su parole"
La lingua del testo è una mescolanza di dialetto e italiano, è una mescolanza di detti antichi, ben conosciuti, "Chi pecuri fa u lupu sa mangia", la trama si poggia su due elementi, la vendetta e l'offesa, in modo volutamente squilibrati. Tanto, tantissimo spazio, viene dato al momento della punizione di un gesto, poco, pochissimo viene dato all'offesa subita dai ragazzi.
Nel ritorno a casa mi sono ritornati in mente Il Caso Spotlight, il silenzio con cui si copre la violenza fatta sui bimbi dai prelati della Chiesa, i chierichetti usati, impauriti, ed il silenzio, il silenzio di sudore, il silenzio di tremore, il silenzio della mamma, come vergogna, come colpa, di aver subito l'offesa.
Ed il silenzio si scioglie nell'applauso del pubblico e degli amici ad Angelo Colosimo, con le foto di Angelo Maggio, nel regno della Litweb, ZTL per noi luce sia nei tempi bui, dedicando a Giorgia
" A coloro che verranno" Bertold Brecht Tradotto da Franco Fortini:
Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l’ha ancora ricevuta.
Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perché su troppe stragi comporta silenzio!
E l’uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell'angoscia?
Ippolita Luzzo
Giorgia Boccuzzi, in un incipit Brechtiano, si rivolge al pubblico in sala, prima dello spettacolo "Bestie Rare" di Angelo Colosimo.
"ZTL, Zona Transitoriamente libera", il collettivo composto da Giorgia Boccuzzi, Emi Bianchi, Luigi Lacquaniti e Teresa Zumaglini, un progetto costola dell'associazione Confine incerto, organizza e promuove, per il secondo anno, al Supercinema di Catanzaro, una rassegna teatrale in itinere.
Organizzazione comunitaria, leggo qui sulla pagina facebook, nel cercare notizie del collettivo, composto a sua volta, da artisti, più volte applauditi.
Ricordiamo "La Magara" di Emilio Suraci ed Emi Bianchi, la storia di Cecilia Faragò, donna incolpata di stregoneria a Catanzaro nel 1769 in una splendida interpretazione di Emi Bianchi che, stasera, luminosa e scintillante di felicità, ci accoglie insieme agli altri del collettivo sul portone del teatro.
Buio e luce, oltre il buio la luce del teatro, sono queste le parole di Giorgia, mentre presenta al pubblico, nel tutto esaurito dei posti, la gioia di essere riusciti a trovare i mezzi, a trovare i sostenitori e a far vivere il teatro.
ZTL ha piantato la sua prima bandierina, leggo in un post del novembre 2017 e, a un anno di distanza, si plaude alla scelta di far vivere il Supercinema, di far vivere, passando e ammirando, la Chiesa del Monte dei Morti e della Misericordia in via Educandato e la storia che ci accompagna.
Il teatro è una cosa fisica, ho scritto in testa, dal primo momento in cui Angelo Colosimo mi passa accanto zoppicando, sale sul palcoscenico e prende una grande accetta, la poggia sul collo e diventa un bambino, trattenuto da un certo Micu, uomo adulto e rancoroso, che vuole punirlo per aver buttato una grossa pietra nel suo camino.
Il bambino si dimena e si impaurisce, non vuole accusare i compagni dell'azione, protesta la sua innocenza, e mentre racconta e mentre implora Micu di lasciarlo andare, sudore copioso scende dalla sua fronte, tremito diffuso in ogni centimetro della sua pelle, la paura fisica si vede proprio nella pelle.
"Se m'ammazzi, ammazzi un innocente", prova il bimbo a far riflettere il suo persecutore.
Il teatro su un mondo arcaico e scomparso per sempre, il vico, i vicini di casa, come una processione del venerdì santo, la zia Lisa, chiamata per essere salvato.
Zia Lisa, donna della ruga e da tutta rispettata, i cummari, a me sovviene il vico Blaschi, della mia infanzia, dove i vicini stavano seduti davanti le porte.
"E le vecchie si fecero dare le sedie" racconta Angelo Colosimo. Nel momento della spettacolarizzazione della pena, "Zia Lisa mi lassa" il bimbo viene preso schiaffi, calci, sputi, "chi cu li mani, chi cu li piadi" mentre il sangue scende arriva il prete.
Siamo oltre la metà del monologo, siamo quasi alla fine della tragedia, e arriva il deus ex machina, l'uomo che risolve, sembra sgridare il vicinato, la turba che volto non ha, i cattivi.
Arriva lui e il bambino ha ancora più paura.
Se fino a quel momento abbiamo sorriso, pur nello sproporzione della pena inflitta da Micu al bimbo, ora non ridiamo più e attendiamo che quella violenza si sciolga nell'abbraccio della mamma del bimbo, intervenuta, lei sì, a salvarlo davvero "U beni da mamma è tuttu u cori, ca chillu da genti su parole"
La lingua del testo è una mescolanza di dialetto e italiano, è una mescolanza di detti antichi, ben conosciuti, "Chi pecuri fa u lupu sa mangia", la trama si poggia su due elementi, la vendetta e l'offesa, in modo volutamente squilibrati. Tanto, tantissimo spazio, viene dato al momento della punizione di un gesto, poco, pochissimo viene dato all'offesa subita dai ragazzi.
Nel ritorno a casa mi sono ritornati in mente Il Caso Spotlight, il silenzio con cui si copre la violenza fatta sui bimbi dai prelati della Chiesa, i chierichetti usati, impauriti, ed il silenzio, il silenzio di sudore, il silenzio di tremore, il silenzio della mamma, come vergogna, come colpa, di aver subito l'offesa.
Ed il silenzio si scioglie nell'applauso del pubblico e degli amici ad Angelo Colosimo, con le foto di Angelo Maggio, nel regno della Litweb, ZTL per noi luce sia nei tempi bui, dedicando a Giorgia
" A coloro che verranno" Bertold Brecht Tradotto da Franco Fortini:
Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l’ha ancora ricevuta.
Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perché su troppe stragi comporta silenzio!
E l’uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell'angoscia?
Ippolita Luzzo
martedì 16 ottobre 2018
La fortuna in Litweb
La Fortuna Ben Data
Scrivevo il 16 ottobre 2016 su un post Facebook: Fino ad un minuto prima sei una nullità, uno sconosciuto, le tue opere non valgano un euro, nessuno le vuole, i tuoi scritti non vengono considerati, le tue canzoni meno che meno.
Poi passa lei, la fortuna bendata.
Ti sfiora e le tue opere raggiungono quotazioni altissime, ciò che hai scritto va sul Sole 24 Ore e le canzoni vengono cantate in eurovisione. Se passa lei tu vincerai, Litweb vincerà.
Lo trascrivo come mantra augurale, credendo nel potere delle parole, nel momento in cui: Se lo immagini Esiste.
Esiste un momento per tutti, basta riconoscere quale sia.
Ieri era il Premio Comisso 15 righe, domani chissà.
Piccoli segni, piccoli sassolini che servono per ritornare a casa, nella casa letteraria del nostro immaginario.
Non aspettare nulla al di là del tanto già immaginato, al di là della sfida vinta contro la disperazione di un quotidiano brutale nel suo continuo essere sempre uguale e ripetuto, un quotidiano indifferente, eppure così ricco di opportunità. Se non ci fossero stati questi tasti neri, se non ci fosse stato il web, i siti, i libri, gli autori, gli editori, le fiere, Più libri più liberi a Roma, Il salone del libro di Torino, il Premio Brancati a Zafferana Etnea, Radiolibri, i blog, se tutto questo non ci fosse stato...
Se non ci fosse stata l'opportunità di vivere e scrivere su Messenger: "Non ho il passaggio per venire al Marca, al Festival Delle Parole Erranti, dove tu leggerai passi del tuo nuovo romanzo" ed avere in risposta: "Ti trovo il passaggio. Viene un mio amico, glielo dico subito. Passa a prenderti" se non ci fosse stato tutto questo, non oso pensare come sarebbe potuto essere diversamente, se non annegare giorno dopo giorno nell'abiezione di tutti gli altri giorni cancellati.
Gli angeli.
Gli angeli con cui andai al Premio Berto a Capo Vaticano.
Gli angeli e la fortuna. La fortuna di vivere con un grande amore dentro: Il piacere di leggere una vita, le tante vite degli altri, a me precluse.
Si può vivere anche così, di un momento fortunato.
La Fortuna in Litweb è solo un attimo, tanti attimi, moltissimi attimi, per tutti noi.
Post di ringraziamento agli angeli che ho incontrato.
Ippolita Luzzo
Opere artistiche di Massimiliano Lo Russo da me intitolate: La Fortuna Ben Data
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