"Accade che diventiamo quello che gli altri pensano che siamo. A volte, già adulti, ci adeguiamo per pigrizia, o cortesia, per non cercare il pedantissimo pelo nell'occhio che l'altro posa su di noi"
"Quando il malvivere è viceversa preceduto da una prima infanzia felice, il danno non è calcolabile:/ tuttavia in qualunque momento esso abbia avuto inizio, il danno collaterale del Disamore, ricevuto nell'enormità dell'infanzia, vasta come un'era, sta nella nostalgia del suo veleno"
"E tu che leggi/ ridi, rovescia il riso dell'Innominabile!/ E mettimi di lato, mettimi tra quelli che, per sopravvivere, sono diventati sensitivi"
Risalendo le pagine "nell'oro dell'abitudine", nella lettura, di una storia vera, raccontata, confessata, offerta a tutti noi, ma più precisamente offerta alla memoria di una madre.
La storia inizia con l'abbandono nella Villa Borghese di una bimba che verrà adottata dai coniugi Calandrone. La storia, dunque, è la storia di Maria Grazia, che a quattro anni saprà di essere stata adottata. Lo saprà dalla madre Consolazione, chiamata Ione.
Ed è questa madre che viene raccontata qui con parole, opere, musica, fatti, ripercorrendo gli anni dal 1965, fino agli anni Duemila, quando la madre muore.
Siamo ad agosto, la madre sta male, ci sono i parenti che rimarcano il fatto che la figlia sia una "szrana" estranea. " Siamo dentro ad un mistero. Peggio: siamo creature sconosciute che flottano affascinate nel mistero. Siamo questa paura, questa fatica e questo desiderio di comprendere e non lasciare nulla d'intentato."
Leggo mentre accanto a me mia madre affronta la prova durissima della vecchiaia, dopo una vita terribile ma con una salute ferrea, ora lei, dopo la caduta, si vede a 97 anni ormai un peso, una cosa che non è più sua, senza autonomia se non appoggiarsi al deambulatore per fare qualche passo. Leggo e penso a quanto sia complicato riuscire a dare la vita al foglio, io credo sia questo il fine dell'autrice, far vivere nel foglio la vita della madre, farla splendere. Non saremo da nessuna parte dopo, ma siamo sul foglio. Credo sia il maggiore atto di sussistenza che si chiede alla scrittura, la vita vivente perché quella vita viene raccontata. Credo sia lo stesso quasi meccanismo di Emanuele Trevi, con Due Vite, nel suo racconto della amicizia con Rocco Carbone e Pia Peri. Vivono con lui i due amici. Vivono attraverso le pagine scritte.
Maria Grazia Calandrone, dall'asfittico spazio del destino, trova il pertugio per uscire e riuscire a raccontare cose di cui noi non sappiamo nulla e che in effetti non vorremmo sapere, tanto sono intime e relative ad una sfera di rapporti di cui quello che si sa in effetti non si sa. Diventa quindi, il suo, un libro che si è scritto da sola, dice lei, nel giugno 2020. Con un'urgenza, quella di andare in viaggio verso l'ignoto che è la nostra vita.
Dire altro sciuperebbe la suggestione grande della lettura e con il libro in mano lascio mia madre al suo pianto, alla sua malinconia e torno a casa chiedendo al foglio una molecola di un sorriso.
Ippolita Luzzo
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