venerdì 21 giugno 2024

Andrea Caterini Sparring Partner


Il termine a che fare con il pugilato e trovo conferma nel significato "compagno [partner] di allenamento» [sparring, gerundio di to spar «allenarsi nel pugilato»]), pugile che allena un altro pugile boxando con lui. 
Il protagonista sceglie di ritornare nella palestra frequentata da ragazzo in un momento della sua vita di "stagnazione". Succede a tutti di non avere più sicurezze, succede a tutti di sentirsi senza entusiasmo e decidere di andarsene nel paese, nel quartiere cercando una "resurrezione della carne." una resurrezione. 

Ritorna in cantina a prendere la borsa di un tempo, i guantoni Leone, e ritrova in palestra Alberto che lo abbraccia. Ormai Alberto è diventato un maestro però sempre guarda al suo amico ritrovato come un fratello.

 Il ritorno nella seconda ripresa: lui guarda nel tempo come l'allenamento rimetta in tono il fisico, e ora sente Alberto chiedergli di aiutare i ragazzi della palestra, di essere il loro sparring partner. Aveva accettato e da quella sera era cambiato tutto. 

Memorie di un uomo attraverso il ring, si racconta lo scioglimento di un nodo, una trasformazione, la nuova vita. Arriverà una nuova allieva, arriverà dai boschi del Carso ma io non vi racconterò altro per non sciupare la bella lettura di questo libro pensoso e riflessivo, di questa storia raccontata in prima persona, con grande partecipazione trasmessa a noi lettori. 

Riesce questo libro a farmi sedere di nuovo al computer, dopo tanto tempo che non scrivo, riesce anche a farmi combattere il mio momento di stagnazione e mi scuote spingendomi a cercare anch'io quella valigia di fogli, nel mio caso, abbandonati. Una vera malia. 

Andrea Caterini pubblica per S-Confini Sparring Partner, una collana di letteratura ibrida diretta da Fabrizio Coscia per Editoriale Scientifica.

 Sono libri di memorie, tra il diario e il reportage, ma sembrano ben interpretare quella commistione di genere di questi nostri tempi. 

"La nona ripresa ci si gioca la vita," voglio rileggermi il momento in cui non si sente la fatica, in cui sentiamo tutti la possibilità di farcela. 

Una scrittura limpida e avvolgente vi prenderà e vi farà salire sul ring della vita.

 Ringraziando Andrea Caterini, a lui gli applausi di tutta la Litweb 

Ippolita Luzzo 


Andrea Caterini (Roma, 1981), è scrittore e critico letterario. Ha pubblicato diversi romanzi, tra cui Giordano (Fazi, 2014, Premio Volponi) e Vita di un romanzo (Castelvecchi, 2018). Tra i saggi si ricordano La preghiera della letteratura (Fazi, 2016, Premio Prata per la Saggistica), Ritratti e paesaggi. Il romanzo moderno (Castelvecchi, 2019, Premio Città delle Rose per la Saggistica) e L’oblio della figura. Nella stanza di Giorgio Morandi (Sillabe, 2020). Il suo ultimo libro è Ritorno in Italia (Vallecchi, 2022). Ha introdotto numerosi autori europei dell’Ottocento e del Novecento: Henry James, Marcel Proust, Virginia Woolf, Hermann Broch, Irène Némirovsky, Joseph Roth. Ha inoltre commentato Il sogno di un uomo ridicolo di Fëdor Dostoevskij (Ianieri, 2015). Nel 2018 gli è stato assegnato il Premio Bonura per la Critica Militante Under 40. Lavora come autore Rai di programmi di viaggio.


venerdì 14 giugno 2024

Lidia Popolano su Pezzi nel 2020


Lei lo chiama zibaldone, nel linguaggio arcaico una vivanda composta da svariati ingredienti, una costante nella cucina povera di tutti i Paesi; nel linguaggio letterario invece un quaderno di appunti e abbozzi riportati senza ordine.


È entrambe le cose, Pezzi di Ippolita Luzzo. Vi compaiono in ordine casuale frammenti di riflessioni filosofiche, filastrocche, considerazioni sulle cosiddette giornate europee o mondiali dedicate all’amicizia o ad altre ricorrenze, tra queste inserirei anche il Pezzo sul Natale, anche se questo non è il suo titolo. E ancora, poesie, citazioni e recensioni. Ogni appunto riporta la data e questo aiuta ad orientarsi per caratterizzare quel frammento. A volte si tratta di episodi di vita comune, incontri, pomeriggi con amiche o con la sorella, si tratta di telefonate a conoscenze o a vecchie amicizie. C’è anche un fantasma di uomo, seduto accanto al posto di guida ad ascoltare le vicende letterarie di Ippolita o in casa a gustare un caffè virtuale di cui sembra persino di sentire l’odore.


Ma tutto questo mondo, questi tratti di penna, ricopiati al computer, non sono più frammenti, non sono più piccoli cenni sonori di uno strumento che viene accordato, sono una sinfonia potente, sono una sonata di organo in una cattedrale, se hai avuto la fortuna di entrare nel mondo di questa piccola donna, fortissima e delicata a un tempo, se hai attraversato le stanze di quel suo castello fatto di ambienti, ma più ancora di disimpegni. Se sei passato per quelle scale dove filtra il sole e illumina il quadro donato dall’artista che con quel dono ha dato valore al suo apprezzamento o la cesta colma di buste gialle che hanno contenuto i libri che le sono stati spediti in lettura. Sono buste flosce o strappate, impossibili da riusare, impossibili da cestinare. Sono lì perché buttarle sarebbe perdere la traccia della trepidazione con cui sono state riempite con il libro o il faldone della bozza, con cui sono state incollate e lasciate sul desk dello sportello postale, là dove era impossibile ritirarle una volta trovato il coraggio di spedirle. E poi i libri e la memoria degli incontri e dei pasti cucinati e consumati con gli amici, delle serate con le guance arrossate e gli occhi lucidi nella scoperta incredula che l’amicizia esiste, che l’amore esiste e illuminano la vita anche quando hanno breve durata.


Questo, tutto questo non sarebbe stato evidente per me se non avessi avuto l’immensa fortuna di entrare nella dimora di famiglia e di stringere la mano della dolce madre. Ah, gli occhi di una madre posati sui tuoi per leggere il tuo affetto per la figlia! Ah, quale regalo prezioso e immortale, indispensabile per comprendere le parole amare che descrivono le donne del sud che hanno visto rapinare la loro adolescenza e rinchiuderla in una vita di sacrificio, dono per eterni e irriconoscenti uomini-bambini, coccolati e viziati nella loro fragilità egoistica.


Questo, tutto questo non sarebbe stato evidente se non avessi visto un paese violentato, sventrato, artificiosamente assimilato a un’entità locale inesistente. Privato del suo nobile nome e con esso, della sua storia. Un paese che fa da sfondo a ogni amarezza e ogni sogno di riscatto della Calabria offesa e dimenticata anche nel presente. Persino nel presente.


Tutto questo non è uno zibaldone. Sarebbe uno scempio immaginare una raccolta “Pezzi due” con i frammenti scritti da Ippolita Luzzo dopo il 2018. Non è uno zibaldone, Pezzi. È un romanzo. È il romanzo di una vita dapprima dimenticata nella disillusione e poi ritrovata nella missione di tessitura del tessuto culturale di un popolo, senza occuparsi o preoccuparsi di darsene il merito. La tessitura di un ordito fine e robusto che non contempla definizioni strutturali, che non chiede riconoscimenti, che unisce in un canto ritmato e sonoro le voci di scrittori stimati e i loro lavori, nati da quelle buste gialle teneramente conservate. Un ordito che non ha volutamente cercato un’impossibile trama. Un romanzo senza trama.


Lei lo chiama zibaldone, ma per me Pezzi è un romanzo contemporaneo.

Pasquale Braschi scrive su Pezzi del Regno della Litweb


 Nel 2019 Pasquale Braschi scriveva: “Pezzi dal regno della Litweb” è una selezione sintetica dell’attività di redazione del blog di Ippolita Luzzo, dal 2012 (anno di inaugurazione, http://trollipp.blogspot.com/) al 2018 (anno di pubblicazione del libro, novembre per la precisione). 
Ippolita dal suo Regno in cui “non tramonta mai il sole” (p. 19) osserva questo nostro pazzo mondo, annota sensazioni e descrive tutto ciò che la sua anima vede. 
Il libro si apre con una dichiarazione in forma di poesia, “Io non sono una donna del sud” (p. 9). Una sorta di biglietto da visita con il quale Ippolita cerca di scrollarsi di dosso il peso della “donna del sud” che nell’immaginario collettivo è immersa in faccende domestiche, ivi compresi gli usi e le tradizioni contadine, dalla conserva di pomodori fatta in casa alla preparazione di insaccati e di formaggi. Un’ammissione di colpa (o di difetto) con cui si difende la propria diversità a scapito di pregiudizi di genere, senza prendere le distanze dalle proprie radici, e alla quale si aggiunge la convinzione che “È meglio scrivere che drogarsi” (p. 11), perché “Nel migliore dei mondi possibili non è facile essere una donna, un uomo pensante. Bisogna soltanto accettare il pensiero uguale, omologato, di tutti, di tanti” (p. 12). Troppe distrazioni ci allontanano dalle persone e non sempre ci accorgiamo dei cambiamenti di chi ci sta accanto.
 E così accade che “la donna vorrebbe essere guardata, la pettinatura, il nuovo rossetto, il modello alla moda, la sua borsetta. L’uomo nemmeno s’accorge se quella bipede ha un naso, una bocca, un incarnato perfetto” (p. 14). 
Queste pagine sono intrise di nostalgia, malinconia, persino di una sorta di rassegnazione che, anziché soccombere, resiste ai tempi delle facili illusioni. Per guarire da questo malessere generale Ippolita ha trovato la medicina non in farmacia ma nei libri. 
Tanti sono i libri in rassegna, così come sono tanti gli autori del presente e del passato che (ri)vivono in queste pagine con riflessioni personali e citazioni letterarie.
 “Certo è tutto un casino ma dappertutto si vive” (p. 49), grazie alla forza dei sentimenti, compreso l’Amore, nonostante il peso di “Tutte le assenze che ci mortificano” (p. 59).
 Assenze che, sempre più spesso, vengono celebrate nella “taberna scriptoria” (amori finiti, morte di un genitore o di un figlio) con la convinzione di “Affidare al libro l’eternità” (p. 84).
Una moda, quella di pubblicare libri, che passerà e si tornerà a fare centrini, bricolage “e poi la sera prenderete in mano un libro vero e leggerete. Oh Leggerete! Perché leggere tornerà di moda” (pp. 98-99). 
Una profezia che pare avverarsi con questo passaggio dal blog al libro. Con ironia, sarcasmo e soprattutto provocazione Il Regno della Litweb tenta di scuotere le coscienze assopite offrendo ai suoi lettori spunti di riflessione su diversi argomenti (la vita e la morte, l’amore e l’amicizia, la solitudine e l’abbandono, la salute e la malattia, i libri e gli autori). 
In altre parole Ippolita Luzzo condivide “pezzi” della sua vita, confermando di essere “la quintessenza femminea, fulminea, verace, pugnace” (p. 5). God save the Queen!

Pasquale Braschi 


mercoledì 1 maggio 2024

Primo Maggio 2020



 

Dal maggio 2016 un buon maggio 2020. 
Allora nel 2016 scrivevo: A trenta anni dal web e a quattro anni dal blog Il Regno della Litweb,

Internet compie trenta anni. Ha trasformato in maniera epocale abitudini, corrispondenze, conoscenze e letteratura. Ha facilitato contatti e permesso la creazione di un villaggio globale in continue connessioni.

Vedremo il sorgere del mondo nuovo noi che stiamo vivendo il finire di ciò che credevamo utile e necessario fino a trenta anni fa? Questo non so. Ho però chiaro che bisognerà adattare gli studi fatti e usarli come zattera anche nel mare di internet, che sembra titolata a dare tutto il conoscibile e può regalarci bufale assolute.

Internet, la rete delle opportunità e degli inganni.

Sto sui tasti da pochi anni, da sei o sette anni, ho fatto mail e guardato il mondo da uno schermo, e da quello schermo, dal web, continuo a guardare il mondo come va.

Gli studi classici e di filosofia mi hanno dato quella autonomia di pensiero per cui è difficile che mi lasci cooptare da ciò che non mi interessa e sono sempre rimasta con l'occhio attento su letture e letture. 

Sul web nasceva un nuovo modo di scrivere. Una interazione fra lo scritto e il lettore, un teatro vivente di battute e rimpianti, di liti e riappacificazioni.

Nasceva tutto ciò sui siti letterari, sui social, Facebook e Twitter, Google + e altre piattaforme varie.

Una vita squadernata su una finestra bianca.

La stampa ha la sua finestra online, i libri passano online, le merci, la musica, l'arte, il cinema, la politica, la guerra. 

Alcuni movimenti politici diventano forze parlamentari grazie alla rete. 

A me è stato regalato un regno.

Dal giugno del 2012 scrivo su Litweb pezzi corti, il mio sguardo dal web sul web ed, incredibile ma vero, il web risponde. 

Meglio che ad Emily Dickinson

Mi sono così letta libri su libri, ho visto film e dipinti, sempre con quella autonomia di pensiero che è frutto di una formazione classica alla quale non si può rinunciare se si vorrà essere liberi di avere un metodo e dei criteri su quali basare un giudizio.

Un giudizio libero da compiacente rassegnazione all'andazzo dei tempi. Tempi di spietati e lecchini, tempi di conformismo storico ed individuale che, una scarsa preparazione in moltissimi, rende tutti dubbiosi e pronti a scartare chi è bravo davvero ed omaggiare chi possa poi esser utile.

Disdegnando un mondo siffatto faccio i miei auguri alla maturità di Internet, trenta anni vuol dire età adulta, augurando che dallo schermo  nuovi regni liberi si costituiscano. Con la  parola libertà che vuol dire relazione individuale. 

DOMENICA 1 MAGGIO 2016

Libero scrivere in libero regno

Rispondo così ad amico che mi sollecita un pensiero sui tanti e tanti che pubblicano e pubblicano in una bella frenesia chiamata libro. Anche io farei uguale  se sapessi scrivere ma non so scrivere.

Ho strappato tutto quello che ho scritto fino al 2009, tutto.

Fogli, diario, lettere ricevute e qualsiasi cartaceo mi riguardasse.

Ho regalato tutti i libri posseduti al Sistema Bibliotecario di Lamezia, alle scuole, alle colleghe, senza nemmeno chiedere una targhetta.

Ho riscritto da allora su un blog, sui siti letterari, in mail, su Tiscali, su portali, scrivendo scrivendo.

"Ma non so scrivere. Lo vedi anche tu" dico al mio amico. 

Scrivo come parlo, come penso, senza disciplina, senza una grammatica.

Riconosco i limiti e già mi sembra di essere molto avanti.

Lo affermo senza nessuna umiltà. Seriamente.

Penso che oggi il libro faccia status, più di un tempo, anche se a scorrer le doglianze, Leopardi si lagnava che al suo tempo fosse uguale. 

Tutti sono presi da questo bel desiderio di vedere il nome proprio stampato su una bella copertina, sentirsi autori o autrici, trovare il critico o il docente compiacente che li faccia  sentire Tasso e far  inchiostrare pagine e pagine di stampa locale inneggiante l'opera. Mi sembra di essere a teatro. magari un teatro dilettante, di amatori che fanno le prove a reggere il confronto con il mondo delle lettere, a volte a loro  sconosciuto.  

 Sono però fautrice del libero scrivere in libero regno, basti che ognuno non si senta Dante. Comunque anche se si sentisse Dante ne sarei felice lo stesso. 

 Su di me penso di essere una che usa la lettura per vivere e la scrittura come relazione. Mi sembra di essere riuscita a far l'uno e l'altro, mi occupo il tempo leggendo e faccio della scrittura un mio divertimento.

Che abbia chi mi legga mi sorprende e mi rallegra tanto quanto io sia contenta nel legger tutti coloro che scrivono davvero. http://trollipp.blogspot.com/2016/05/?m=1

Ippolita Luzzo 

lunedì 29 aprile 2024

Gilda Policastro La ragnatela


Per hopefulmonster editore, nella collana diretta da Dario Voltolini
Gilda Policastro nel libro La ragnatela ci racconta attraverso il ballo qualche passaggio della sua infanzia, dell'adolescenza, la storia di quegli anni, ballando ballando, pestando con i piedi la pizzica di San Vito. La taranta; cosa voglia significare poi non è certo, ci sono tanti testi della tradizione e benché si cerchi quando si vuole riscriverli sono tutti diversi, ci dice la scrittrice. Il ballo rimane per lei un momento vitale, lei lo sente fin da piccolissima, e sente che attraverso il ballo si può guarire anche dal mal d'amore.

Nell’autointervista che Gilda Policastro si fa scopriamo cos’è la pizzica: “La pizzica alle sue origini è effetto del morso della taranta, il ragno. A quel punto non puoi fermarti, devi ballare. Ballare, poi. Devi letteralmente pestare il pavimento, come fossero tini.” Noi intanto aspettiamo La ragnatela in arrivo a maggio e al Salone del libro a Torino in questa settimana, ma di cosa parla La ragnatela?

Con un ritmo molto trascinante, simile al ballo evocato ecco apparire le poetesse che si suicidano sorprese prima di ammazzarsi in attività usuali. Incontriamo Bachmann in Puglia con una sua poesia tradotta proprio per questo libro da un amico di Gilda.

Ho letto con la musica in testa, trascinata dalla sua danza:"Ùn due tre ùn due tre ùn due tre, cento battiti al minuto, come ci fosse una festa non intorno ma dentro, perché il ritmo accelera e discioglie la malincunia o il brutto pasticcio dell’amore non corrisposto che a quel punto si srotola come una serpentella, come il nastro delle ginnaste, il giro di campo di un calciatore all’ultima partita, nel tripudio generale. In verità attorno a me ci sono le stesse facce spente (e del Sud), un po’ accaldate e istupidite dall’eccesso di cibo. Nun te fermare, nun te fermare, addu t’ha pizzicato, la taranta"

Non vi siete messi a ballare pure voi ed ora per farvi partecipare a questo rito ecco un altro passo di Gilda:

"Le donne del Salento ballano composte, con lunghe gonne che sfiorano il pavimento e scarpe molto basse, piede in vista (oggi infradito, ieri scalze).

A me piace ballare scalza, il piede aderisce alla terra, si ferisce. La ferita è la finestra del dolore, la ferita è la parte che sanguina, e mentre sanguina, guarisce. Guarisce quando sta sanguinando, certo, comincia proprio allora, a guarire. Quando stai male cominci a capire che devi guarire, devi provare a uscire dal dolore, trovare qualcuno che ti tiri per i capelli o tirarti tu come Münchausen. Quando ero in ospedale non pensavo mai al ballo, non ricordavo più che in una vita precedente io avessi ballato in tanti posti. Che lo avessi sognato, desiderato, che avessi dato spettacolo. Quando ero in ospedale, riuscivo a pensare a una cosa sola: com’è successo? In un libro di tanti anni fa avevo scritto che il cervello è una sfoglia di cipolla: anche questo lo diceva Sabellina, o forse zia Maria, detta Ziam"

Dario Voltolini nella postfazione scrive: un unico organismo. “La ragnatela” si produce tramite il ritmo e la musica della pizzica, il ballo delle tarantolate. La puntura di un ragno che appartiene a chissà quale livello della realtà, o della fantasia, o del mito; il pizzico da cui non c’è scampo e devi ballare, ballare, ballare, pestare con i piedi il pavimento, saltare, sfinirti, non pensare, parossisticamente vivere ed esistere.” E sulla scrittura di Gilda Policastro: "Pochissimi possono vantare una padronanza così completa della lingua italiana come Gilda Policastro. Poligrafa di grande talento (a suo completo agio tanto nella saggistica accademica quanto in quella militante, nella poesia, nella teoria della poesia, nel- la narrativa, nelle chat, in rete, nell’intervento social e così via), qui compone una sfavillante incursione nel territorio vivo, pulsante e corporale della crescita ed evoluzione personale."

Non è mia abitudine riportare molti stralci dei libri ma questo mi ha un po' preso la mano e si è imposto "pestando i piedi" con la bravura della scena.

Un affettuoso omaggio a Gilda Policastro da tutta la Litweb che balla con lei

Ippolita Luzzo

Gilda Policastro è scrittrice e critica letteraria, insegna Letteratura italiana, cura i corsi di poesia per l'Accademia di scrittura creativa Molly Bloom, collabora con riviste e siti letterari, è redattrice de «Le parole e le cose». Tra i suoi ultimi libri il romanzo La parte di Malvasia (La Nave di Teseo, 2021) e il saggio L'ultima poesia: scrittura anomale e mutazioni di genere dal secondo Novecento a oggi (Mimesis, 2021).

domenica 28 aprile 2024

Giovanni Cocco Una grazia sconosciuta


Una grazia sconosciuta. 
Credo che diventi una forma di amore quando un autore sente che vuole scrivere di un altro, sia di un amico, come in Due vite fa Emanuele Trevi raccontando di Rocco Carbone e Pia Pera, sia di qualcuno che comincia a parlarci, che invade il nostro immaginario e ci accompagna da lui. Sarà capitato così allo scrittore Giovanni Cocco quando ha cominciato a prendere appunti, a seguire le orme del regista, fino al sanatorio dove Jean incontrerà Elisabeth Losinska, che sposerà nel '29.   
Bellissimo libro ambientato soprattutto  a Nizza “Nizza che vive soprattutto del gioco, una città costruita per gli stranieri, quelli che ci campano e Io, che non ci campo; quelli del posto che se ne infischiano” scrive Giovanni Cocco e ancora delineando l'opera  “La struttura del romanzo ricalca il tormentato percorso delle opere principali realizzate da Vigo nel corso della sua brevissima carriera, consumatasi in soli quattro anni di lavoro febbrile tra il 1929 e il 1934. Abbandonate da subito velleità da memoir e romanzo storico, il testo è stato da subito concepito come un documentario o, se preferite, da un punto di vista documentato.” 

Chi è il regista francese Jean Vigo (1905-1934), considerato uno dei massimi maestri del cinema del Novecento, nonostante quattro film girati in quattro anni della sua breve vita? Questo si chiede per molto tempo Giovanni Cocco e intreccia le sue ricerche con gli avvenimenti della sua vita, la nascita dei suoi figli, la scelta di riprendere gli studi e di insegnare, sua mamma ricoverata in ospedale, la sua compagna Costanza che capisce e lo sprona quasi a voler andare sui luoghi dove Jean Vigo è vissuto. 

Da Pino Bertelli mi leggo: "Jean Vigo muore di tubercolosi a 29 anni (5 ottobre1934) e i quattromila metri di pellicola che gira trail 1930 e il 1934 minano alla radice l'effimero e la mondanità edulcorate della "fabbrica dei sogni".

Quello che interessa però a Giovanni Cocco è come abbia vissuto e come si sia incontrato con la compagna della sua breve vita e abbia avuto da lei una figlia. Per far questo lo scrittore ci racconta dei genitori di Vigo, degli ambienti anarchici, di un mondo fremente che noi guardiamo dopo un secolo. Ne sentiamo la vitalità come se Jean Vigo sia qui con noi, le pagine riescono a far sì che noi quasi lo abbiamo incontrato e da subito una grande empatia fra noi e lui, fra noi e lo scrittore, ci spinge a leggere tutto ciò che anche altri hanno scritto di Vigo, e vado a leggere anche da Simone Ghelli, L’Atalante in Jean Vigo, scritto nel 2000. il surrealismo delineato "con il “documentario sociale” À propos de Nice (1930), dove si fa beffe della borghesia in vacanza ricorrendo all’arte del montaggio, che dispiega metafore e similitudini; e poi con Zéro de conduite (1933), che è un inno alla carica pura ed eversiva dell’infanzia.

Ma, come vi dicevo, benché nel libro troviamo splendide pagine dedicate al cinema di Vigo, a Giovanni interessa la vita. La vita che modella e trasforma, leggiamo sconsolati tutti i tagli che verranno fatti all'ultima opera di Vigo e come solo negli anni novanta sia stato possibile rivedere integra la pellicola dell'Atalante, vediamo il regista girare febbricitante e poi morire. E andiamo con Giovanni fin sulla tomba della famiglia  “Una volta raggiunto il B&B che avevo prenotato a Montrouge, nell’Hauts-de-Seine, posai a terra il mio zainetto e mi misi a dormire. Due ore più tardi scesi al pianterreno e chiesi alla padrona di casa quanto distava il luogo che ero venuto a visitare. Il taxi arrivò un quarto d’ora più tardi,” e con  lui andiamo tutti al cimitero per dare un saluto ad un caro amico, lui morto a 29 anni, lei qualche anno dopo e ci sembra impossibile che così giovane abbia lasciato un impronta così duratura

Pubblicato da una giovane casa editrice che ha libri deliziosi in catalogo e che voglio farvi conoscere e qui nel blog Il Regno della Litweb abitano, anche Una grazia sconosciuta sta in Litweb.

 La Collana S-Confini diretta da Fabrizio Coscia ha pubblicato finora: 1. Andrea Di Consoli, Tutte queste voci che mi premono dentro/ 2. Francesco Borrasso, Ìsula/ 3. Fabrizio Coscia, Nella notte il cane/ 4. Renzo Paris, Il picchio rosso/ 5. Rossella Pretto, La vita incauta/ 6. Luca Doninelli, Panico/ 7. Francesco Permunian, Tutti chiedono compassione/8. Silvana Fei, Ombre stampate e ora Giovanni Cocco Una grazia sconosciuta

Ippolita Luzzo


Da un giornale di Como prendo alcune notizie sull'autore  “Giovanni Cocco, nato a Como nel 1976, ha pubblicato la raccolta di racconti “Angeli a perdere” (No Reply 2004) e diversi romanzi apprezzati dalla critica, tra cui “La caduta” (Nutrimenti 2013, Premio Campiello Selezione Giuria dei Letterati) e “La promessa” (Nutrimenti 2015). Insieme con Amneris Magella, Cocco è autore della fortunata serie poliziesca del Commissario Stefania Valenti, tradotta in diversi paesi europei e nel Stati Uniti, edita in Italia da Marsilio.