lunedì 19 gennaio 2015

La dimenticanza

Poi ti dimentichi anche chi tu sia, quindi cosa vuoi ti importi più di singoli momenti che non ricordi più?
 Certo furono sofferenze, stentasti a capire come mai fossero successe simili cose, provasti a trovare una spiegazione, a fartene una ragione, ma col
Tempo tutto si dimentica.
 Dimenticherai il volto della invidia pura, della gelosia altrui verso il tuo vivere serena con un mondo personale. Dimenticherai chiunque sia, ai quali hai voluto bene ricevendo in cambio il solito pugno in faccia. 
 La dimenticanza esalta e atterra ogni miserabile gesto solo se tu lo vorrai far vivere dentro te.
  Assumiamo dosi letali di scortesie, offese, provocazioni, eppure serene restiamo, compatiamo chi vive in continua guerra con chi non gli farebbe male alcuno. 
E ricordare o dimenticare non serve a niente, cantava una volta Fiammetta, facendo bruciare ogni risentimento al fuoco della pietas Eneidica

Caro Italo- Film Cartolina



Italo- Film Cartolina

Una Scicli barocca, i vicoli, ‘U Gioia, le campagne, il mare.
Modica con l’aula consiliare del Municipio, i corridoi e l’atrio del Palazzo San Domenico e  il Teatro Garibaldi con il Tondo del maestro Guccione, Cava Ispica, la Conca del Salto.
 Gli attori principali, Elena, la maestra, Barbara Tabita, la  consigliere comunale Nigro, Marco Bocci il sindaco, e  Vincenzo Lauretta, il figlio, insieme con i grandi attori del teatro siciliano  fra cui Tuccio Musumeci, Lucia Sardo, Andrea Tidona, Marcello Perracchio, Saro Spadola, Assunta Adamo.
L’opera prima di Alessia Scarso, montatrice diplomata al Centro Sperimentale,  procede sospesa tra favola e realtà.
Al Cinema Due Mari, il film ispirato al cane randagio Italo, vissuto negli ultimi anni della sua vita in via Francesco Mormino Penna, salotto barocco della città di Scicli.
Scegliamo di vedere Italo, io e la mia amica, attratte più dall'orario dello spettacolo, primo pomeriggio, che dal soggetto e poi, man mano piacevolmente sorprese e commosse ci siamo rallegrate di averlo visto.
Il cane Italo, la storia vera di una amicizia di un paese con un cane.
 Smentendo una iniziale diffidenza, il delicato e lieve uso del racconto, senza mai scivolare nella caricatura, il rispetto dei sentimenti, il corale di tutto un luogo, già raccontato anche da Ficarra e Picone, qui diviene favola, commedia italiana con una sua dignità.
Il dire che rappacifica, il narrare come unità, il corale che ci farà popolo, rimanendo persone nella semplicità.
Tutto questo avviene per affetto verso una bella storia regalataci da un cane, un meticcio di labrador, un cane umano, saggio.   

domenica 18 gennaio 2015

Trashed- Trash-Spazzaturismo ambientale


Moplen! Negli anni sessanta. Leggero,
 resistente, inconfondibile
indistruttibile,
 "La signora guardi bene che sia fatto di Moplen."
Zuppa Campbell's una opera d'arte americana
Contenitore non biodegradabile.
Dal 1996, ma anche prima, l'allarme non è mai ascoltato.
Un mare di spazzatura galleggia nell'Oceano Pacifico.
Le mosche volano sul giardino inglese in un giro turistico per campi e per valli, odorosi di rifiuti.
La natura era attrezzata per costruire distruggendo, l'uomo ha creato l'eterno indistruttibile.
Il film inizia con una prefazione di tre ragazzi, intenti, lo dico affettuosamente e stimandoli, a vuotare il mare con un secchiello.
Auguro ai loro progetti sempre altri consensi ma...
Al di Là delle meraviglie di uomini come Terzani, ci sta l'abiezione della società capitalistica. 
Vangelis, musicista, accompagna le immagini con sigle di OOOCCCH non riciclabile, Occhi su particelle che vivono dentro di noi.
Viaggiamo dunque, dal Libano, Beirut , Siria, il Medioriente, La Turchia, La Grecia, La Calabria, Viaggiamo. 
Inghilterra, Pechino, Vietnam. 
Fra termovalorizzatori e montagne di rifiuti, Viaggiamo un turismo pornografico sullo scempio dei nostri corpi, del nostro cibo, della nostra aria. Avvelenata. 
Terra, Acqua, Avvelenata.
Una guerra condotta in nome del progresso.
 Poveri noi, schiavi di un sistema che possiamo denunciare ma non chiudere, non impedirgli di nuocere.
Una guerra persa.
Non può partire dal basso una ribellione che comporterebbe una riconversione su altri gesti, altre modalità, che dovrebbero essere imposti per legge.
Sulla mafia degli imballaggi, sulla mafia che controlla i rifiuti e lo stoccaggio, libri e libri, articoli di giornale... denunce.
Un fiume di denunce
Ed un fiume di spazzatura, allegramente scende dalla  zona di Sant'Antonio al Santuario,  Reggio Calabria, ai primi giorni del 2015, andando verso il mare che lo accoglierà.
Una tristezza infinita in un gelo di anima senza speranza 
Diossina forever 
Nel Fumo denso e nero di tutte le volte che hanno acceso i miei vicini, con tutto l'amore che posso. http://trollipp.blogspot.it/2012/09/un-fumo-denso-e-nero.html

venerdì 16 gennaio 2015

Uccisione Uccisione. A morte A morte


Prima strofa
Sorridendo e scherzosa
sono per uccisione web
sono per condanna a morte web
della cretineria più cretina che ci sia.

Seconda strofa
Uccisione ed espulsione
dal regno web
di tutti i finti giornalisti che giocano con ali,
palpitanti, di pittori che imbrattano tele,
di vari blogger anelanti all'abbraccio eterno,
di ogni scrittore che polvere vuol diventare

Terza strofa
editto di  punizione con relativo esilio
nei campi da arare e nel grano da crescere
nelle miniere profonde dove affondare la cultura
 che loro si portano in bocca.

Quarta strofa consuntiva
Uccisione Uccisione Web
Siamo per la censura contro ogni cultura usata 
 per dar fuoco alle sciocche ed inutili menti.
Siamo contro il tormento di vedere che
 sia premiata la sciocca e vana supponenza.

Editto web dal regno della Litweb
Ridendo di voi e di me che lo scrivo.
Io mi condanno senza nessuna assoluzione
a non leggervi mai,
nemmeno per sbaglio.

martedì 13 gennaio 2015

Scrivere nel paese di Migni Mogni


 "Antonio Ficara era il suo nome, ma tutti lo conoscevano per Migni Mogni. O, anche, per  ‘Ntonariallu Puzzuazu, perché questa parola  (puzzuazu) –  più che una parola era un’articolazione vocale che  gli usciva dalla bocca con un significato incomprensibile.
Il nomignolo Migni Mogni gli derivava dai suoni indistinti e sconnessi che emetteva, non potendo articolare bene le parole. Unico figlio maschio, terzo di quattro figli, era nato nel 1908 in una famiglia povera, ma onesta; il padre Giuseppe Ficara, originario della provincia di Reggio Calabria, si era trasferito e viveva  a Nicastro." da uno stralcio di G. Sestito


Meglio non scrivere.


Stare a guardare i migni mogni che dalle loro cassette, predellini e sedie, con microfoni in mano, si alternano a vendere l'acqua miracolosa della cultura locale, che ti farà bella, bellissima e giovane, giovanissima, potente.
Andiamo felici ad applaudire i geni locali che giammai contraddire potrai.
Andiamo al festival delle culture policistiche ed esantematiche, dei migni mogni che mai scavalcherai.
Applaudi o stai zitto. Vincono loro.
In ogni paesotto, grande o piccino, in ogni contrada li vedi arrivare, con la fanfara del connazionale, del proprio compare, del tira a campare.
Capisco ora un caro ingegnere, non più con noi, che non usciva da casa e, allontanatosi da questo ciarlare, scriveva bellissime mail a persone lontane.
Nessuna cura ci sarà per questo urbanesimo della nuova arringa, in mano ai giochi dell'inconcludenza.
Le aringhe, le arringhe, le stringhe e il suo universo diventano baci, carezze, abbracci, amore e amicizia in solidaria malinconia. Tutta acqua  che tira al loro mulino.
Un mulino bianco e i vari Indoratori spennellano chiara d'albume sui loro biscotti, infornano e donano con mani paffute ai loro inneggianti lettori e lettrici il cibo eterno della cretineria.
Scrivere nel paese di Migni Mogni, con tutto il rispetto per l'uomo che, soprannominato così, giammai scrisse nemmeno una O, non avendo lui, almeno lui solo, l'alterigia di lasciare traccia nel suo passare.
Eppure di lui ancora si parla
senza che abbia mai scritto niente, lui, il migliore di tanti migni mogni universali.

Biografia a modo mio- Nerina Guzzi



UNITER-LAMEZIA TERME
 



Nerina  per me      28 ottobre 2011

"E poi…

Snocciolerò i miei giorni,Signore,

ad uno ad uno come grani di rosario"




Quando lei scrisse questa poesia  si trovava in ospedale, in un lettino ad attendere l’esito di un esame,così mi disse.

Era la mattina del trenta maggio 2007 e lei, alzatasi dalla poltrona dove fino a quel momento mi aveva intrattenuto sui figli, sul mare, sulla scomparsa improvvisa del suo amato in un estate lontana,- un attimo e lui non vide più il sole-,andò a rovistare un cassetto, prese questo libro e mi scrisse… Ad Ippolita…per suggellare un’amicizia che nasce.

Lo racconto solo per dire  com’è possibile attraversare una vita, degli anni, e ritrovarsi un’amica distante nel tempo, nell’esperienza, nelle vicende.

Non ci eravamo mai conosciute, io proprio non sapevo nulla di lei, lei lo stesso, ma quando io, spinta dalla curiosità, per averla sentita parlare più volte al nostro corso di filosofia, mi presentai alla sua porta con un foglio in mano, lei mi accettò, prese a parlare, ed ogni mattina quella stranezza divenne la nostra consuetudine, quasi ogni mattina finché non partì per Falerna, sulla sua terrazza protesa nel mare.

Poi sì, continuammo a vederci, conobbi Angiolina Oliveti, una sua cara amica, conobbi più storie,e fu allora che lei mi parlò dell’Uniter, di come fosse bella  e libera questa associazione, di quanto fosse speciale poter ancora continuare i suoi studi e poi farli ascoltare  ad amiche ad amici ai soci tutti.

Aspettava sorpresa  che  le dicessi il motivo per cui io andassi a trovarla ed alla fine un bel giorno mi 
disse:- Ho capito che cosa tu vuoi da me!Non vuoi proprio niente  se non il piacere di parlare con me.-
E mentre diceva rideva  perché sapeva che aveva scoperto la verità.

Io lessi a lei quel che allora scrivevo, lei li chiamò bozzetti, mi disse di non buttarli, ma io proprio non l’ascoltai e un giorno strappai  tutto di quel che a lei era piaciuto.

 Rimase il ricordo di quella stima, che mi dà coraggio solo ora a non buttare, a conservare, a leggere così per il piacere di farlo  quel che  mi viene e si scrive da solo.

Ora chiamo collage, frammenti, bozzetti, anche questo mio dire di lei, di lei che porto nel cuore come una guida.

Se posso  se voglio che lei sia con noi  ho  bisogno veramente di poco – Una  sua qualità, molto rara, direi, di sapere ascoltare, di sapere accettare, di  essere pronta al nuovo, al diverso, di vedere nell’altro l’amico e di tendere la mano, la sua  attenzione, la sua accoglienza, il farmi sentire a mio agio perfetto.
 Il suo ritornare sempre sui suoi affetti, sui  tanti nipoti, sui tanti ricordi. 
Ho poi conosciuto  le figlie, con una ho trascorso un’ora  speciale, davvero, perché si parlava di lei , dei tanti paesi  dove aveva insegnato, di quel crotonese a dorso di un mulo. Proprio come nel feudalesimo!

Di quella statale famigerata, la 106, di Botricello, un paese, si fa per dire, con una serie di case, come i filari di un vigneto.

...

Di quelle giornate ho tutto presente, compreso il profumo del pranzo in cucina.

Un giorno leggemmo insieme  un racconto, premio  Chatwin 2004, sezione narrativa: Il ragazzo che non voleva  viaggiare di Leonardo Soresi.

In questo racconto il protagonista si trova nel deserto, nel Sahara marocchino con la guerba, l’otre in pelle per l’acqua con un piccolo foro.
 Solo, senza acqua, pensa che morirà. Sicuramente. Ma questo pensiero non lo impaurisce, ha solo il rimpianto per tutto  quello che non riuscirà a vedere.

Perché lui ha imparato che vivere è un viaggio senza mappa e né bussola, in cui solo la paura e la prudenza  ti fanno smarrire.
 Lui ha  imparato  che non bisogna diventare schiavi delle nostre abitudini, in case sicure in cui la vita ha cessato però di abitare.

Chi torna da un lungo viaggio ha nei suoi occhi la scintilla dei vent’anni, della curiosità, gli altri guidano macchine  sempre più grandi  in orizzonti sempre più ristretti lui si sposta a piedi, ma il mondo è diventato la sua casa. Gli altri vogliono aggiungere anni alla vita, lui aggiunge vita agli anni che gli sono stati dati. Mi sembra che sia il motto di questa associazione-Aggiungere vita agli anni-

Questo ci dicevamo noi due, al di là dell’età diversa, questo era il nostro pensiero, profondo, convinto che veramente fosse possibile attraversare questo nostro mare con grande slancio, con estremo entusiasmo, non arroccandoci, non invidiando, non facendo la lotta per avere di più. Ed io poi leggevo commossa la sua poesia, la sapevo a memoria, come facevamo una volta,ed il mare, il nostro mare con onde leggere andava e veniva, come fa ogni giorno il mare del nostro vivere, il mare di tutti, il nostro respiro.

"Mare

E ti ritrovo ancora

 immenso immoto

intenso intatto

insondabile e vivo…

 E mi ritrovi ancora

Sopravvissuta silenziosa

Lieve esausta

Sorpresa smarrita…

Ci ritroviamo

 Stanchi e antichi

A scandire il ritmo della vita

Con lo stupore di esserci ancora

Una vita cominciata

In un remoto mattino

Di creazione

E gemente ancora

In un tramonto d’estate che inonda di luce."

Erano a mare Nerina e i suoi sei figli, il primo di diciannove anni e l’ultima di dieci anni a Botricello, il marito segretario comunale ogni sette anni cambiava sede per servizio, quell’anno, il 1975,  lei torna da sola, lui era improvvisamente scomparso, in un istante, lei era al suo fianco, lui non era più accanto a lei.
 Quante volte, tante volte lei mi ha raccontato questo attimo che a me sembra di vederla nel suo sgomento.

"Ti sento vicino

Ci siamo soltanto noi due

E il nostro ricordo stasera:

io seduta a sognare ai margini del mondo

a rinnovarti promesse d’amore;

tu,il volto chino sull’abisso della vita

ad ascoltare con muta e dolente pazienza

il canto della caducità

le pagine scritte nella solitudine del cuore."


Ma lei doveva essere forte per lei per i figli. Insegnò a San Pietro lametino, a Lamezia, alla Pietro Ardito e poi dal 1980 all’istituto tecnico Valentino De Fazio, dove, nel suo ruolo di collaboratrice e vicepreside,  smussò, mediò ogni possibile asperità fra dirigenza e corpo docente con delicatezza e saggezza.

Spirito libero, liberissimo, le piaceva  avere sempre il suo personalissimo punto di vista, per questo ogni gruppo, ogni associazione le stava stretta, scemava il suo impegno quando si vedeva catalogata,usata, quando non era consono al suo sentire, così mi diceva ed io capivo benissimo, perché è il mio stesso sentire. Me lo ha confermato anche Rosa, la figlia, con la quale ho parlato della sua mamma in quel  caldo pomeriggio di fine estate. Un’ora  piacevolissima e magica con le note di una musica lontana, del papà di Nerina compositore, del figlio Massimo, che non conosco, ma che suona con lo stesso amore di suo nonno. Finimmo con una parola.
  Sapienza, ecco cosa ha amato mia mamma- mi disse Rosa, nel salutarmi- la Sapienza.
 Ed io non posso che fare mia la stessa asserzione, la sapienza che ci permette di essere umili e di riconoscere in noi e nell’altro le tante cose che abbiamo da dare, le tante altre che ancora dobbiamo capire, perché la sapienza, ci direbbe Nerina  è   un dono divino, la luce che il  nostro intelletto  accende per poter vedere chiaro  dappertutto. 
 Concludo rassicurandovi che il ragazzo del racconto  non morirà nel deserto perché dopo una duna troverà una pozza d’acqua, ed ho scoperto anch’’io  infine -il motivo per il quale sono andata e riandata tanti giorni -avevo trovato in lei la mia acqua per abbeverarmi, perché era questo Nerina per me.





                                                                                                                         Ippolita a Nerina

UNITER -18 novembre 2011-  Ippolita Luzzo

domenica 11 gennaio 2015

La Licenza di Lo Monaco- Non è vero ma ci credo



La licenza di Lo Monaco- Non è vero ma ci credo


Ieri sera al Politeama di Catanzaro, noi sul palcoscenico, nel laterale riservato alla stampa, e nello stesso tempo nel testo recitato.

Io, da osservatrice esterna, ascoltavo i nomi che Sebastiano intercalava fra una battuta e un’altra del testo di De Filippo, agitando una fotografia di Ennio Stranieri su un favoloso Enrico IV recitato dall’attore a Lamezia.

I nomi di amici presenti in platea, di Giovanna Villella, che si occupa, da anni,  di teatro, e che ieri sera, con guida esperta, ci aveva permesso la trasferta, si mescolavano con le frasi del testo, creando quel teatro nel teatro che rende viva ed unica una rappresentazione.

Sul testo e sulla commedia non ho nulla da dire, mi sembrano temi corrosi dal tempo, situazioni e ambienti ormai spariti, essendosi liquefatta la piccola borghesia familiare che sorreggeva simili momenti

Interessante invece il tessuto di rimandi e riferimenti, la storia del teatro napoletano e non,  attraverso i tic, le frasi, i gesti che Sebastiano fa ricordando Totò, Tina Pica, Vittorio Gassman- che consiglia ad Alessandro di lasciar perdere che non è cosa sua-, ed infine lo stesso Peppino De Filippo, così straordinariamente riportato da sembrare lui stesso, Lo Monaco, Peppino. Gli somigliava pure.

A fine spettacolo Lo Monaco ha salutato e fermato  gli spettatori, che stavano andando via, impartendo una splendida lezione di affetto. La vicinanza di cui si ha bisogno per essere felici del lavoro fatto. Il motivo  per cui ci si alza e andiamo a teatro, il senso delle cose che ci fanno comunità. Lo pensa veramente, lui, che da grande interprete della stagione classica a Siracusa, è stato l’Edipo Re.

 Un Grande attore sotto il segno della vergine