Il mio papà chiamava "veleno" ciò che era abitudine fare alle piante da parte dei coltivatori.
Anche lui, proprietario di un appezzamento di terra coltivato, in quel periodo a pescheto, diceva: Oggi faccio il veleno alle piante.
Faceva mettere agli operai maschera e guanti, raccomandava loro ogni genere di precauzione, sapendo di maneggiare prodotti altamente tossici.
Mio zio invece usava un eufemismo: Faccio la medicina alla vigna. Per lui era medicina e un giorno fece il prodotto senza maschera e stava per morire.
Fra medicina e veleno intercorreva lo spazio bianco del nostro cibarci di tossici elementi cancerogeni.
Così dicono oggi i giornali e l'Organizzazione della Sanità:"Gli Stati hanno autorizzato l’uso del contestato erbicida, il più diffuso in agricoltura. L’istituto anticancro mondiale lo ritiene «probabilmente nocivo», non così l’autorità Ue per la sicurezza alimentare"
Ma gli Stati Europei, compresi i nostri parlamentari, hanno votato a favore dell'uso.
Ricordo lo sconcerto di mio padre quando, negli anni ottanta, doveva vendere il prodotto del pescheto. Venne il commerciante all'improvviso e papà aveva appena fatto il veleno. Di regola dovevano passare almeno venti giorni prima di poter raccogliere e vendere. Il commerciante aveva fretta. O tutto e subito o niente. Papà provò a farlo ragionare e non riuscì. Non avrebbe trovato altro compratore facilmente e arrabbiato dovette cedere all'imposizione.
Avvelenatori, dunque. Ogni volta che entro da un fruttivendolo penso di stare in una bottega di streghe e malefici, di veleni.
Veleni approvati.
Dal glisofato ad altre amenità
Avveleniamoci così, senza rancore
Ippolita Luzzo
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