sabato 31 marzo 2018

Roberto Saporito Jazz, Rock Venezia

 Il libro di Roberto Saporito arriva in Aprile in libreria. Questa la mia lettura.  “Adesso devi solo trovare la tua isola, ma con i soldi si trova tutto, e l’unica cosa che non ti manca in questo momento, sono proprio i soldi.
In questa parte di mondo i soldi possono anche risolvere i problemi esistenziali e chi dice il contrario mente, sapendo di mentire.”
Conosco e leggo Roberto Saporito da alcuni anni.

Elogiava la sua scrittura Nicola Vacca, critico letterario molto attento al fermento letterario, ed erano queste le sue parole nel 2014 su Satisfiction “Roberto Saporito è uno dei migliori scrittori della nostra narrativa.” “Gli scrittori veri a questo servono. A cambiare radicalmente i lettori nel bene e nel male ma anche al di là del bene e del male. Perché quello che conta quando chiudiamo un libro è cercare di capire se le pagine scritte fanno parte di noi. Con i libri di Roberto questo accade. Ma lui è uno scrittore vero.” Credo come Nicola che Roberto sia uno scrittore vero e credo che questo suo libro, da poco uscito per la casa editrice Castelvecchi, sia uno dei suoi racconti più interiore e intimo. Mi ritrovo proprio in questa storia, raccontata tra una musica jazz e rock in cui Venezia resta protagonista assoluta e suona con noi e i My Velvet Red.

“Stai pensando che la solitudine si combatte con l’estremizzazione della solitudine stessa, mettendo a nudo il proprio cuore davanti al nulla totale. Che un’isola è quello che ti ci vuole in questo momento. Un’isola e un motoscafo per scappare dall'isola quando il bisogno di vedere altre persone diventa veramente impellente, necessario, non un obbligo sociale, ma una cosa cercata unicamente nel momento in cui diventa urgente vedere davvero altre persone, come una forma di misantropia benigna”

Le nuvole di Venezia:  “Sposti lo sguardo al cielo striato da nuvole grigie sovrapposte da nuvole meno grigie, sovrapposte ad un ulteriore strato di nuvole bianco sporco, merlate e frastagliate e lievemente in movimento, nuvole che attraversano silenziose la laguna.”

E intanto quello spazio interiore vissuto dalla solitudine. “È che non sei più abituato alle case vuote tutte per te, la tua casa da troppi anni sono gli alberghi, non sei abituato alla solitudine, non sei abituato ad un luogo dove non si può ordinare la colazione in camera semplicemente alzando la cornetta di un telefono, dove uscendo dalla stanza si incontra sicuramente qualcuno, mentre qui fuori non c’è nessuno”

Leggo e vorrei tratteggiare e salvare e riportare intere frasi molto vicine al camminare e con in testa l’ultimo di libro di Thomas Bernhard "Camminare".
e da Roberto Saporito “Camminare così, con questa andatura da persona che sembra che stia davvero andando da qualche parte, da persona con una vera meta da raggiungere quasi con una certa fretta, mi calma, mi dà equilibrio, mi azzera i pensieri fastidiosi, mi alleggerisce il peso che spesso mi grava sulle spalle, che mi provoca dolorosi mal di schiena, e mal di testa” Con Roberto andiamo via sull'isola, la nostra isola letteraria che stasera ci salva, senza bisogno di soldi, con un buon libro in mano.
Ringraziando l’autore.
Ippolita Luzzo 

Pablo Paolo Peretti Cinque streghe danesi e un poeta

Piccoli cerchi che si espandono.
La coincidenza del sabato santo lega le poesie di Pablo Paolo Peretti ai riti religiosi della settimana santa, una settimana in cui la Chiesa celebra il sacrificio, la morte e la resurrezione.
Nel libro di Pablo le donne sono protagoniste anch'esse di martirio, furono duemila in Danimarca  le donne accusate e uccise per stregoneria. Torturate dal tribunale dell'Inquisizione con spietatezza, già  nel 1487, l'inquisitore Kramer descriveva e consigliava i trucchi per svelare chi fosse una strega. Da allora fino al 1700, le donne ostetriche, studiose, o con forte carattere, venivano bruciate al rogo. La Chiesa vedeva in loro il maligno, vedeva nella forza, nella conoscenza, la morte e il peccato. Secoli bui.
Di queste donne il poeta sente ancora le voci e ne sceglie cinque, cinque donne a cui dare voce, cinque donne da fare parlare all'alba degli anni duemila, anni altrettanto problematici per chi vuole vivere di conoscenze e di autenticità.
Johanne, Giertrud, Anna L., Maren, Anna B., parlano attraverso Pablo, il medium, il poeta tramite, lui che è voce e vive insieme a loro. Lui sceglie di firmare insieme a loro la prima delle dieci poesie che ogni donna avrà per presentarsi al mondo. 
Mi succede alcune volte di intercettare amicizie e sinergie, amicizie e compagnia, lontane nel tempo e nello spazio, e sono felice di avere  qui con me questi versi in cui vi è amicizia e somiglianza fra le donne ingiustamente arse e noi, fra il poeta e le donne, e lo stesso disprezzo verso le tante ingiustizie. Maren Spliids messa al rogo nel 1641
Il vostro sputo
il vostro disprezzo
lo porterò 
dentro quel fuoco che vi libererà di me. 
E voi vi sentirete sollevati
condannandomi 
a rinascere dalle mie ceneri.
Cominciate a chiudervi in casa. 
Il mio bussare alle vostre porte 
non conoscerà tregua.
Sembra di vedere Maren e Pablo insieme alle altre,  sul palco della nazione Danimarca, di ogni nazione, di vederli mano in mano, di vederli in piedi, dritti, davanti ai regnanti, ai cardinali, ai giudici, ai torturatori. Sembra di sentire quel bussare, nella potenza evocativa del verso, nella forza della poesia.
Cinque donne innocenti e un poeta. 
Giertrud morta nel 1577
la sua quotidianità, 
Una tovaglia a fiori/che contrasta con un giardino/millecolori./ Seduto/mangio pane e estate/lasciandomi provocare da una mosca/...
Sono erba, luce e cielo    
e l'ultima strega condannata a Ribe, Danimarca, nel 1652, Anna Bruds: Sei il fiore/ dentro il bicchiere/ quello/ che colora questa stanza.
Ed ancora nei cerchi che si espandono 
Mi piacerebbe fermare la vita su queste mie fantasie di uomo solo il dialogo con  Johanne, diventa un cerchio che si allarga sempre più.
I cerchi di Pablo
Ippolita Luzzo 


Pablo Paolo Peretti è nato il 5 Ottobre 1957 a San Donà di Piave, Venezia. Dal 1999 abita a Copenhagen. Le sue pubblicazioni sono Crowded Airports and Tired Queens / Aeroporti affollati e stanche regine (2016); Cucina di rabbia e poesia (2015). Ha scritto poesie contenute nei romanzi Olivia e Noi due come un romanzo (Mondadori) di Paola Calvetti. Nel 1994 è stato freelance e opinionista per il mensile Moda (Nuova Eri). Sue poesie sono state lette su RAI3 e citate su importanti riviste italiane.

giovedì 29 marzo 2018

La spartenza a chitarra battente: Francesco Sicari e Francesco Loccisano

Sono passati quasi dieci anni dal giorno in cui andai da Giacinto Lucchino per costruirmi una compilation di canzoni per l'unico compleanno io abbia festeggiato. Mi ricordo quanto mi sia sentita compresa e quanto nel tempo noi tutti abbiamo riconosciuto a Giacinto e fratelli una competenza musicale e una sensibilità sociale. Plaudo quindi alla scelta dei musicisti sul palco dell'auditorium del liceo Tommaso Campanella.
Due gruppi si sono alternati e  hanno confluito in un canto da me amato: La Malarazza, u cristu in cruci. Mi sembrava di rivedere Mimmo Martino sul palco, con La Mattanza, mi sembrava di risentirlo parlare a cena accanto a me, dopo quella nostra partecipazione a Tabula rasa, sul palco di Reggio Calabria.
Ippolita, mi diceva, hanno distorto tutto, Modugno ha usato male un testo, lo ha piegato a fini commerciali. Mi spiegava anche altro e io non ho preso appunti, ma rivedevo ieri sera negli occhi e nella voce di Francesco Sicari, cantautore di origine di Briatico, la stessa dolente adesione ad una realtà di distorsione.
Sul palco dove si è esibito con la partecipazione della prima violinista dell'orchestra di Ennio Morricone, Prisca Amor, Massimo Cusato e Attilio Costa, Francesco Sicari incontra Francesco Loccisano.
Con lui, chitarra battente, parlerà di spartenza, del dolore di lasciare questa terra, e  insieme ricordare  Tommaso Bordonaro,  una data, 15 agosto 1988, per descrivere cosa sia, e come si possa definire, La Spartenza, in un diario, in una canzone, su un palco.
La chitarra di Francesco Locisano batte il ritmo, batte il tempo, batte la storia infigarda del sud, la batte proprio. 
Francesco Loccisano ha fatto parte dei Taranta Power di Eugenio Bennato, ha collaborato in un live con Gianna Nannini, con Vinicio Capossela, con il percussionista Andrea Piccioni, e ieri sera insieme a Tonino Palamara e Nicola Scagliozzi ci avrà suonato i brani del suo album Solstizio.
Risuonava la musica battente contro un sud in cui il retaggio del pressapochismo è difficile da sconfiggere, contro un sud avvelenato e mediocre.
 Nemmeno contro, in effetti, perché se stai lottando contro hai già un nemico da combattere e un campo di battaglia e non fantasmi.  
Il sud è territorio di fantasmi. E nella sparizione del tutto risuona limpida la protesta ritmica battente di musicisti per davvero. 
  
I protagonisti sul palco sono artisti riconosciuti e di grande virtuosità, ho fatto fotografie sfocate e solo queste mi sembra siano degne di essere messe in pubblico, chiedo scusa,  resta per me una grande fortuna aver potuto applaudirli. 
Ippolita Luzzo 


 "Ieri sera vi era una rassegna nata da un'idea di Ecsdance con la provincia di Catanzaro e ora da due anni sviluppata con Sorvolandia nella manifestazione Settembre al Parco Terra tra due mari"   

mercoledì 28 marzo 2018

Lampi e Ispiere da Ravasi a Perec in EDB


Le Ispiere, Il raggio di sole, collana della EDB, illuminano il buio con Gianfranco Ravasi La voce del silenzio.
I Lampi d'autore, collana di autori quali Anatole France, Il procuratore di Giudea, oggi ospitano Georges Perec, La Cosa. 
Fra Lampi e Ispiere oggi, fra i lampi che squarciano il cielo durante un temporale e danno un fugace bagliore, benché si aprano nella vastità della volta celeste, alle ispiere, quei raggi di sole sottili, che attraversano le fessure illuminando ambienti bui.
Le ispiere: La collana della #EDB prende il nome dell’ispiera, il raggio di sole che illumina la polvere e si rende visibili nella oscurità. Un raggio di sole nel buio. Un sottile rigo di luce. Righiamo di luce il buio, sembra dicano entrambi i testi e soprattutto questo del cardinale Gianfranco Ravasi, La voce del silenzio. Fra buio e luce, costrizione e libertà, male e bene. 
L’universo mutevole, il linguaggio rigido. Nel buio della parola parlata ci sta l’ispiera, il silenzio sottile che illumina la conversazione nella semioscurità "Il termine ispiera compare nel Codice Riccardiano 1341 come traduzione di un passo del vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo in cui si narra un gioco d'infanzia di Gesù che cavalca l'ispiera del sole."
Accosto con commozione queste due collane, e nella luce di lampi e ispiere scorgo quella linea, quella luce, quel momento in cui ci si accorge di essere stati nel buio.
Leggo il libro di Ravasi, La voce del silenzio, e ogni frase racchiude e apre riflessioni, i passi della Bibbia sono simboli.
 Siamo sul monte Sinai insieme al profeta Elia, il primo dei profeti, aspettiamo di incontrare Dio. Come Elia, perseguitati dalla cattiva regina Gezabele, cerchiamo il messaggio della salvezza.
Sul monte Sinai Dio si rivelerà nel mormorio di un vento leggero, una voce di silenzio sottile.    
Siamo nel giardino fiorito del Cantico dei Cantici, così lo ha chiamato Thomas Eliot, il giardino fiorito in quei dieci giorni di primavera, una linea sottile di giorni fra il sole bruciante dell’estate e il freddo gelido dell’inverno. I fili d'erba spuntano fiduciosi.Simboli.  
Nella diafania della parola i simboli che noi siamo. Piacerebbe moltissimo a Fabrizio Coscia questa diafania, la parola così trasparente da riuscire a mostrare la luce che sta al di là, l’essenza, la sostanza delle cose. Fabrizio Coscia chiama "La bellezza che resta", questo svelamento, il gesuita Teilhard De Chardin diafania: "riuscire a mostrare la luce che sta al di là, l'essenza, la sostanza delle cose, e non diventare uno schermo opaco"
 Pagine di una trasparenza diafanica leggiamo nella Bibbia
 Il grande codice, La Bibbia, la stella polare, chiama Ravasi il testo biblico, la stella polare di riferimento per colorare, musicare e interpretare.
Scrive Chagall:"La Bibbia è l'alfabeto colorato della speranza"
Non è sufficiente denunciare l'artificio di una costrizione per trarre, dalla sua soppressione, l'occasione di una qualsivoglia libertà, dice Perec, quasi dialogando con Ravasi,  La costrizione è ciò che permette la libertà scrive ancora Perec nella Cosa e Ravasi risponde paradossalmente con "Se non esistessero il male e la sofferenza nell'Occidente non sarebbe quasi esistita buona parte della filosofia". Se non esistesse il buio, il male, la costrizione e l'ingiustizia, come potremmo vedere le ispiere?
Ippolita Luzzo
  

martedì 27 marzo 2018

Agnès Varda e JR al cinema San Nicola di Cosenza

"Non ci siamo incontrati su una panchina, non ci siamo incontrati alla fermata di un tram, non ci siamo incontrati alla cassa di un bar, ci siamo sfiorati e non ci siamo incontrati. Poi però ci siamo incontrati." Comincia così il film di Agnès Varda e JR, lei un nome della Nouvelle Vague, regista, e lui fotografo, curioso di ingrandire i volti che entrano nel suo camioncino fotografico.
Iniziamo a viaggiare con loro nei villaggi francesi profumati di lavanda, nei villaggi di minatori ormai abbandonati, al porto di Le Havre, e andiamo a vedere un bunker precipitato sulla spiaggia e diventato la culla di un momento per un amico defunto di Agnès. Dondola dondola il vento lo spinge e poi la marea tira giù l'immagine incollata il giorno prima da JR.
Sparita, pfui.
Eppur ci resta quella tenerezza dell'istante, ci restano insieme le immagini di quell'ombrellino bianco e fatto di trine, ricordo di un matrimonio di molti anni prima, e messo in mano alla ragazza del bar, fiabesco personaggio ora che sta incollata su un muro, ci restano le risate di quella panchina da dove Agnès non potrebbe scendere se non con l'aiuto di JR.
Ci resta quell'immagine sfocata degli occhi di JR, lui toglie gli occhiali per fare un regalo ad Agnès, per consolarla del rifiuto di Godard, e lei non riesce a vederli. Non riusciamo a vedere gli occhi, la nostra visione sempre parziale sarà, offuscata, sembra ci dica Agnès. 
Resta la piacevolezza dell'incontro fra generazioni lontane, questa è proprio il grande regalo dell'arte, andare oltre il corpo, le rughe, gli impedimenti e saltare il dislivello con la voglia, l'incoscienza e la follia di esserci, di guardare, non appannati, di guardare oltre miopia, presbiopia e cataratta. Andare in quel piccolo cimitero di dieci tombe e salutare Henri Cartier-Bresson, andare da Godard e non essere ricevuti. 
Ti voglio bene lo stesso, scrive sul biglietto a Godard una dispiaciuta Agnès.
L'ho capita: Come se io andassi da una mia cara amica che mi ha bannato e scrivessi uguale.
D'altronde si vuole bene a ciò che ci piaceva fare con loro, a ciò che abbiamo conosciuto insieme e tutto si porta con noi, nel nostro costruire identità, se è stato vivente l'istante, se sono stati viventi gli anni e le conversazioni.
Elogio al vivente, alla serenità, a quella grande gioia che ci fa saltare dalla sedia, prendere l'auto e andare, pioggia o non pioggia, al Cinema San Nicola.       
 La tela e lo schermo continua oltre; la quarta edizione della rassegna di "Falso Movimento", patrocinata dal Comune di Cosenza al cinema San Nicola, ha indagato il rapporto tra cinema e arti visive, con Egon Schiele, "La morte e la fanciulla" e  ieri sera "Visages Villages". Cito solo i due film dove ci siamo incontrati, io e il cinema San Nicola, come Agnès Varda e JR, insieme a chi si riconosce per assonanza, consonanza, somiglianza e avvia un motore di ricerca verso altri volti, altri spunti di conoscenza, nel regno felice delle opportunità e del caso.
Nel film, delizioso, la Varda dice a JR: Il caso è il migliore dei miei assistenti, e noi con lei, noi, partecipanti alla visione del film, noi che ci tratteniamo a fine serata davanti al cinema a parlare di visioni, di ponti, di associazioni mentali, noi diciamo lo stesso, augurandoci di partire come lei, e con lei poi fermarci su quella panchina insieme a JR, insieme a Mara, Gianluca, Daniele, Giuseppe, insieme al cinema che ci fa incontrare. 
Ippolita Luzzo   

domenica 25 marzo 2018

De Chirico: Enigma dell'infinito al Museo MARTE di San Pietro a Maida



La qualità è rivoluzionaria.
Di nuovo in Calabria, dopo una mostra al Maon di Catanzaro nel marzo 2006, una raccolta di opere di De Chirico
Al Museo delle Arti e del Territorio di San Pietro a Maida un evento espositivo in programma dal 24 al 31 marzo mi vede per caso presente grazie all'invito di care amiche. Sono molto felice quando in un mondo di robot incrocio esseri umani.
Piacevolissima serata dunque con l’Enigma dell’infinito "40 anni di Giorgio De Chirico". Una struttura museale presenta un progetto riconosciuto di interesse regionale e la mostra è realizzata con il contributo della G.R. nell'ambito dei finanziamenti per valorizzare e qualificare un territorio. Sono infatti presenti Salvatore Bullotta Responsabile Dipartimento cultura della regione Calabria e Giacinto Gaetano direttore del Sistema Bibliotecario Lametino.
I miei appunti conservano alcune immagini: Il sindaco Pietro Putame racconta la nascita del Museo da una idea del professore Michele Licata, con il contributo per i reperti archeologici del professore Antonio Spanò e per la parte antropologica del Professore Pietro Gullo, Direttore del Museo.
Siamo nei locali di quella che era la Scuola Primaria, sul corso cittadino del paese, e ascoltiamo Ermenegildo Frioni, della Organizzazione Artistica FriArte, raccontarci di De Chirico, del suo carattere quasi scontroso, del suo salutare con un cenno impercettibile.
La mostra espositiva sarà una settimana di studio sulle sue opere seguendo due o tre frasi che mi sono appuntate: La povertà di una volta poggia sulla ricchezza di oggi, dice Pietro Gullo, e " anche una rosa dipinta può essere rivoluzionaria" una frase detta da Picasso e riportata da Pasquale Lettieri, critico d'arte, in un suo appassionato intervento in favore della qualità. La qualità è rivoluzionaria e comprende la capacità di usare termini passatisti per l'avvenire. Tra classicità e avanguardia pittorica, nella necessità di adattabilità,  i doppi punti vista dei pittori fiamminghi e Rubens molto amato da De Chirico.
Marcello Palminteri, nel suo precedente intervento aveva legato la musica e la filosofia alle opere di De Chirico ed intanto il Sindaco si dirige al taglio del nastro e noi tutti sciamiamo nelle sale al piano superiore.
 Una occasione per ammirare De Chirico ed insieme nelle altre sale le opere di artisti a noi vicini, Antonio Pujia Veneziano, Francesco Antonio Caporale, Antonio Saladino,
 per segnalare una attenta visita nelle altre sale dove ho incontrato in tutti gli artisti il contemporaneo della qualità.

Qualcosa è cambiato nel sud non più valigie, scrive Giovanni Barone come titolo a questo suo lavoro esposto al Marte di San Pietro a Maida. Nel museo opere di artisti che offrono in visualizzazione la croce di tutte le valigie
Ippolita Luzzo 
      

venerdì 23 marzo 2018

La fiaba di Massimo Carlotto: Amal vuol dire speranza

Non è questo il titolo del libro da cui è tratto lo spettacolo di stamani al Liceo Classico di Lamezia Terme, proposto e organizzato dalla Fondazione Lilli e dal Sistema Bibliotecario.
La via del pepe con sottotitolo I mercati del Mediterraneo narra in parole e musiche l'epopea di annegati al largo di Lampedusa. A prua nel barcone sta Amal, la speranza, con cinque grani di pepe stretti nel pugno, sono il dono del nonno, un uomo legato al sacro, sono il dono simbolo della lunga via della storia. Sul barcone intanto si scruta l'orizzonte, si aspetta la terra, e mentre si attende, e mentre fiduciosi si abbandonano al rumore del mare avviene il collasso. La carretta del mare si sbriciola, annegano tutti, tutti tranne Amal, la speranza.
Appare nel mare una strana figura, fatta di acqua, ma con un viso femminile, la morte a forma di acqua, e inizia a discorrere con Amal per distrarsi, per allontanare la noia. Amal, smarrito, viene a sapere del potere insito nei cinque grani di pepe, lui non annegherà, per il momento, grazie alle arti del nonno, rimasto in Africa. Nel dialogo con la morte il ragazzo si accorgerà ben presto che non vi è  nessuna dignità in questo viaggio e lascia andare i grani. La morte li rimette nel suo pugno con le parole "Non bisogna prendere la morte sul serio". La morte gioca come il gatto col topo e alla fine lascia andare Amal giù nel mare. Una fiaba però ha sempre la potenza del bene, e il nonno riappare, prende il posto del nipote, Amal arriva, sbarca, non viene creduto, viene rispedito di nuovo in Africa, in un luogo imprecisato e ritorna il cammino con una picozza in mano per trovare l'acqua.
Ed è la tristezza il segreto per trovare la vena, sembra dirci Massimo Carlotto, davanti a questa immane tragedia che ogni giorno vede i nostri tempi trascorrere.
Un cimitero, il mare Mediterraneo, un cimitero di numeri senza nome, un cimitero di nefandezze compiute in nome del dio mercato, in nome del commercio di corpi venduti e spellati, venduti e annegati. Una tristezza tanto enorme da richiedere l'uso fiabesco del racconto.
Ascoltiamo le musiche di strumenti di quei luoghi, uno è unico al mondo, Maurizio Camardi e Mauro Palmas suonano, e sentiamo il pizzicore agli occhi, come se ci fossimo toccati gli occhi con la polvere rossa del pepe pestato.
Nella fiaba la luna ha una lacrima, il cielo partecipa con un turbine, gli elementi della terra e dell'acqua si danno un abbraccio nella dolente ingiustizia della storia umana, individuale e di popoli.
"Nel cielo non c'era una nuvola. Nemmeno una. La mano di Dio le aveva allontanate con un gesto delicato perché l'azzurro più intenso splendesse nella traversata del peschereccio Firouz. Il mare era immobile e così trasparente che si potevano contare le conchiglie sul fondo di sabbia dorata. Migliaia di sardine avvolgevano lo scafo" 
Con il cielo fotografato da Daniele Rizzuti, la massa degli elementi che sovrastano i delitti e le atrocità commesse in nome del bisogno. 
Il bisogno di Amal, la speranza. 
Ippolita Luzzo