I testimoni
della nostra vita
12.05.2010
Sul Corso
Numistrano, sul Corso Giovanni Nicotera – suppongo su qualsiasi bel corso
storico di amene cittadine italiane, passeggiano a gruppi di tre, quattro, poi
ci sono i duetti. A due a due. Passeggiano. Si chiamano col cellulare. Lui fa
lo squillo. L’altro richiama.
Si prendono sottobraccio. Si raccontano l’ultima
cazzata della giornata. Così riferiscono
la sera, al rincasare tardi, a casa dalla moglie
– Cosa si dice sul corso, caro? – Cazzate,
solo cazzate mia cara-
. Ogni sera,
ogni giorno, osservo il camminare, il gesticolare, sempre lo stesso, sempre la
stessa intesa.
I commenti , pettegolame politico che loro
scambiano per alta politica, poi osservano qualche culo, sodo, alto, qualche
ragazzina che ignara passa, e loro,
quasi sessantenni e oltre sono convinti che passa proprio per loro, che
li ha guardati, che se volessero basterebbe tendere una mano e tutto quel ben
di dio sarebbe subito pronto da strofinare. Sono ingrigiti, ma le voglie
rimangono quelli dei ragazzi, meno fresche però, imputridite dall’età, sporcate
da una vita senza sincerità.
Camminano,
le gambe un po’ larghe, -qualche problema con la prostata?- Il maglione legato
sul collo, il cappotto sulle spalle, la giacca blu, o piedi poule qualcuno più
estroso porta degli occhiali, una montatura optical.
Si pregia
costui di prendere pilloline miracolose, blu, triangolari e poi di trovare ucraine,
rumene, moldave, e di non cedere mai, tanto che una volta, oh che ridere! Una
volta era rimasto lì e ha dovuto chiamare il chirurgo, il pronto soccorso. -Non
è carina questa!?– Com’è carina!
Parlano, si
abbassano per raccontarsi l’ultima sconcezza, l’ultima facezia, il
pettegolezzo.
- Quello è
senza una lira, ma che aria che si dà –
-Ma lo
sappiamo tutti che è un pallone gonfiato.
Così dicono
di loro stessi, appena uno di loro si allontana, appena quello si allontana,
loro sparlano Non parlano.
Ma come
abbiamo potuto farli diventare testimoni della nostra vita!
Il simile
spettacolo non c’è al femminile.
Le donne, a
quell’ora, cucinano, stirano, fanno la spesa, rassettano casa, si occupano dei
genitori ammalati, hanno i nipotini da badare, o più tristemente sono sole
davanti alla tv.
Come possono
essere costoro, che annegano le loro vita nelle chiacchiere futili, negli
scherzi più retrivi, nella noia, senza infamia e senza lode, sprecano le loro
serate, sottraendoli ad affetti veri,
come possono costoro che non hanno idea della loro vita, testimoniare della
vita di una donna che non conoscono, delle quale non sanno, e con la quale ormai
non parlano più, non ridono più, perché quella è diventata stranamente, per un
sortilegio magico, una cosa invisibile ai loro occhi, un peso, una noia
mortale, un nulla, un niente, da portare appesa al braccio, sul corso il primo
maggio, a Natale, Pasqua e Ferragosto.
Se li
interroghiamo, se vogliamo da loro alcuni elementi su quella cosa, loro ti
diranno che è la moglie, che la rispettano, la amano, la mamma dei loro figli.
E la
descrizione finisce lì scarna, elementare, asfittica, come una tema svolto
senza rispettare la traccia, come un verbale senza analizzare i punti
all’ordine del giorno.
Non possono
. Essi, cose inanimate anche loro, da tempo hanno smesso di utilizzare il
linguaggio dei sentimenti, non ne ricordano più nemmeno l’esistenza.
Ora non è
più tempo-direbbe la mia amica poetessa.
Manca la
gioia di rincorrere rossi arcobaleni, i
colori, le musiche, i respiri che la natura ci da. Manca il desiderio.
Ippolita Luzzo
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