martedì 6 maggio 2014

I testimoni della nostra vita



I testimoni della nostra vita

12.05.2010


Sul Corso Numistrano, sul Corso Giovanni Nicotera – suppongo su qualsiasi bel corso storico di amene cittadine italiane, passeggiano a gruppi di tre, quattro, poi ci sono i duetti. A due a due. Passeggiano. Si chiamano col cellulare. Lui fa lo squillo. L’altro richiama. 
Si prendono sottobraccio. Si raccontano l’ultima cazzata della giornata.  Così riferiscono la sera, al rincasare tardi, a casa dalla moglie
 – Cosa si dice sul corso, caro? – Cazzate, solo cazzate mia cara-
. Ogni sera, ogni giorno, osservo il camminare, il gesticolare, sempre lo stesso, sempre la stessa intesa.
 I commenti , pettegolame politico che loro scambiano per alta politica, poi osservano qualche culo, sodo, alto, qualche ragazzina che ignara passa, e loro,  quasi sessantenni e oltre sono convinti che passa proprio per loro, che li ha guardati, che se volessero basterebbe tendere una mano e tutto quel ben di dio sarebbe subito pronto da strofinare. Sono ingrigiti, ma le voglie rimangono quelli dei ragazzi, meno fresche però, imputridite dall’età, sporcate da una vita senza sincerità.
Camminano, le gambe un po’ larghe, -qualche problema con la prostata?- Il maglione legato sul collo, il cappotto sulle spalle, la giacca blu, o piedi poule qualcuno più estroso porta degli occhiali, una montatura optical.
Si pregia costui di prendere pilloline miracolose, blu, triangolari e poi di trovare ucraine, rumene, moldave, e di non cedere mai, tanto che una volta, oh che ridere! Una volta era rimasto lì e ha dovuto chiamare il chirurgo, il pronto soccorso. -Non è carina questa!?– Com’è carina!
Parlano, si abbassano per raccontarsi l’ultima sconcezza, l’ultima facezia, il pettegolezzo.
- Quello è senza una lira, ma che aria che si dà –
-Ma lo sappiamo tutti che è un pallone gonfiato.
Così dicono di loro stessi, appena uno di loro si allontana, appena quello si allontana, loro sparlano Non parlano.
Ma come abbiamo potuto farli diventare testimoni della nostra vita!
Il simile spettacolo non c’è al femminile.
Le donne, a quell’ora, cucinano, stirano, fanno la spesa, rassettano casa, si occupano dei genitori ammalati, hanno i nipotini da badare, o più tristemente sono sole davanti alla tv.
Come possono essere costoro, che annegano le loro vita nelle chiacchiere futili, negli scherzi più retrivi, nella noia, senza infamia e senza lode, sprecano le loro serate, sottraendoli  ad affetti veri, come possono costoro che non hanno idea della loro vita, testimoniare della vita di una donna che non conoscono, delle quale non sanno, e con la quale ormai non parlano più, non ridono più, perché quella è diventata stranamente, per un sortilegio magico, una cosa invisibile ai loro occhi, un peso, una noia mortale, un nulla, un niente, da portare appesa al braccio, sul corso il primo maggio, a Natale, Pasqua e Ferragosto.
Se li interroghiamo, se vogliamo da loro alcuni elementi su quella cosa, loro ti diranno che è la moglie, che la rispettano, la amano, la mamma dei loro figli.
E la descrizione finisce lì scarna, elementare, asfittica, come una tema svolto senza rispettare la traccia, come un verbale senza analizzare i punti all’ordine del giorno.
Non possono . Essi, cose inanimate anche loro, da tempo hanno smesso di utilizzare il linguaggio dei sentimenti, non ne ricordano più nemmeno l’esistenza.
Ora non è più tempo-direbbe la mia amica poetessa.
Manca la gioia di rincorrere  rossi arcobaleni, i colori, le musiche, i respiri che la natura ci da. Manca il desiderio.
Ippolita Luzzo 


 

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