martedì 28 febbraio 2017

Gianluigi Colin al Marca


No so nulla di Gianluigi Colin fino al momento in cui salgo al piano superiore del Marca, l'altra sera, e già in chiusura, temendo di esser chiusa dentro, passeggio nei giornali e nei collage di Colin, rimanendo con la testa nella mostra fino a stamattina, quando interrogatami del motivo inizio a cercare chi sia Colin per scoprire prima di ogni cosa che è nato, come me, il 13 settembre. Due anni di differenza con un mio gemello. Questa coincidenza me lo rende ancora più caro e leggendo suoi articoli e sua vita rimango felice, felicissima di esser salita ed aver ammirato ciò che ora vi proporrò dal sipario socchiuso di una vita che non ho.
Appunti in bozza da ottobre 2016
Ippolita Luzzo 




"Dal 16 settembre al 30 ottobre 2016 il MARCA di Catanzaro ospita nelle sue sale No News Good News, la nuova personale di Gianluigi Colin, uno dei più famosi art director italiani, per ripercorrere la sua ricerca all'interno del mondo dei media (collabora da anni con il Corriere della Sera ed è l’ideatore del format de La Lettura, l’inserto settimanale dedicato alla cultura che segue la strada del dialogo tra informazione e arte contemporanea).

Gianluigi Colin- La mostra, a cura di Arturo Carlo Quintavalle, presenta un centinaio di opere dagli anni Ottanta a oggi ed è realizzata in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, la Fondazione Rocco Guglielmo e
la M77 Gallery di Milano." http://www.linkingcalabria.it/primo-piano/vernissage-gianluigi-colin-al-marca/

lunedì 27 febbraio 2017

Il metodo Stanislavskij a Samarcanda

Terra, aria, acqua e fuoco, i quattro elementi sono il tema della
mostra che nei giorni del Carnevale si tiene a Samarcanda.

Nella serata di inaugurazione Mario Maruca, attore e regista, ha interpretato davanti ad attenti visitatori ed artisti il testo del

Rig Veda Libro X, 129 La creazione nel Rig Veda e la creazione egiziana: i sensi come DEI
Il veggente sgomento guarda il momento in cui nasce l'universo.
La creazione, il venir in essere dell'universo. 

"Allora non c'era il non-essere, non c'era 
l'essere; non c'era l'atmosfera, né il cielo, (che è) 
al di sopra. Che cosa si muoveva? Dove? sotto la 
protezione di chi? che cosa era l'acqua (del mare) 
inscandagliabile, profonda? 
Allora non c'era la morte, né l'immortalità; 
non c'era il contrassegno della notte e del giorno. 
Senza produrre vento respirava per propria forza 
quell'Uno  oltre di lui non c'era niente altro."
Mario ha declinato il testo nelle diverse sfumature del respiro, facendo una interessante lezione di teatro. 
In ognuno di noi l'espressione non è razionale bensì gestuale, e noi ci muoviamo e comunichiamo col respiro. Il respiro della terra, la tragedia, il respiro dell'aria, la commedia, il respiro dell'acqua, il dramma, il respiro dell'ira, il fuoco. 
Unendo arte ad arte, arte a realtà di rapporti, la lezione ci sarà utilissima per dosare respiri e sorrisi, per regolare su un registro educato rapporti che potrebbero scivolare fatalmente da uno all'altro registro. 
Tutti coinvolti, qualcuno ha asciugato una lacrima, e siamo rimasti a riflettere ancora guardando il Narciso che si specchia sull'acqua, la coperta gonfia dal vento al balcone di Conflenti, i Mori, in gioielli e ceramica, le maschere di Calabria, le maschere duplici, le sirene nell'acqua, i segni grafici e ogni altra esplosione di fuochi artificiali visti da una barca sul fiume della Cina. 

Ippolita Luzzo 
   

Il tempo stonato

Vai a tempo.
Non sai andare a tempo.

Ditemi da quando si va a tempo?

Conta: uno, due, tre e quattro.
La musica è matematica.

Conto. Vi prometto che conto.

24 Aprile Auditorium Liceo Statale
Una folla di alunni davanti a me, i loro insegnanti, il dirigente,
                                                        le autorità, ed io dovrei contare.

Dietro di me, in alto,le note della pianola mi accompagnano,
un sottofondo musicale in versi,
alla miscellanea di versi, non miei, che ho scelto e dovrei leggere.

Mi concentro e conto.
Uno, due, tre e quattro.

Inizio a leggere piano, chiara, sento più il suono che le mie parole.
Dovrei andare a tempo.
Attendo fra una stasi e un'altra, riprendo ad una nuova battuta.
Rispetto il verso.

Sono pochi minuti, solo una manciata di versi, 
un peregrinare nel mare che ci vide andare via emigranti
che ci vede inadeguati ad affrontare scafi insanguinati 
                                                                             che arrivano a anni.

Uno, due, tre e quattro. 

Come vorrei andare a tempo!

Ho finito, mi applaudono, per cortesia, penso io, cattiva con me                                                                                                        stessa.
Poi mi riconcilio e mi do un tempo, il mio,
stonato e ormai irrimediabilmente amato 

Ippolita Luzzo 

Racconto in versi del 24 aprile 2013  

domenica 26 febbraio 2017

Io di più non posso darti di Jacqueline Spaccini

Jacqueline Spaccini 
Ci siamo incontrate a Roma a Più Liberi Più Libri dove Alessandro Iovinelli era stato invitato a relazionare con Paolo di Paolo e altri su "Incontro con Antonio Tabucchi".
Nell'attesa di entrare nella Sala Rubino ci siamo incontrati noi e abbiamo preso un tè. 
Alessandro e Jacqueline, una coppia vera.
Non ho mai conosciuto una persona più riservata di Jacqueline e in quell'ora  tutta la sua discrezione mi apparve immensa. Più si schermiva più io capivo quanto potesse essere vero il suo amore per Alessandro, per lo studio, per i rapporti fra noi tutti.

Mi giungono ora tre suoi studi, un saggio su Pavese, la sua tesi di laurea, uno studio su Chordelos De Laclos, fra gli scrittori femministi del XVIII secolo e un libro di poesie:
"Io di più non posso darti" 
Titolo tratto da un verso iniziale di Pedro Salinas e la poesia viene riportata in prima pagina quasi ad accompagnare tutte le poesie di Jacqueline.
Nella quarta di copertina Jacqueline scrive: "Si scrive per esistere e resistere, per sopravvivere, per fermare l'attimo, per urlare quel grido che resta soffocato in gola.  A tredici anni si scrive non per essere letti, bensì per leggersi. 
Quando poi si continua a scrivere, da adulti, e si leggono le poesie in pubblico, il poeta racconta sé stessa e racconta il mondo in una osmosi di emozione, facendo streep-tease alla rovescia.  Si mette a nudo."
Leggo da impreparata le poesie di Jacqueline scritte in italiano, in francese, in tedesco, in croato, credo. Le leggo da ieri, le leggo oggi nell'anniversario delle sue nozze con Alessandro e mi sento partecipe del loro amore come se li avessi conosciuti e frequentati negli anni scorsi. 
Nel mio non trascorrere gli anni mi lego di affetto a libri, ad autori, a chi sento mio simile in una famiglia ideale che ricostruisco scrivendo. Mi sento accettata da Jacqueline, mi sento benvoluta dalla sua poesia, da quel teatro dove lei sale, recitando e vivendo quell'atto impudico, lo chiama lei, della poesia rappresentata. 
Per essere vista: Poesia che si vede. 
Alle volte
vorrei alzare
le braccia
e arrendermi

come fa il cavatappi
sotto le mani del bevitore.

Così è la poesia di Jacqueline con quell'immagine del cavatappi con le braccia alzate che si arrende nelle mani del bevitore. 
Non conta
se pesto acqua acidula con una verga di stelle
Inciampo nelle giornate 
sbadatamente
Ho la forza dell'equilibrio 
apparente e precario
Scivolo a testa in giù
lungo la pertica del raggio
di sole
Un io e un tu, in un dialogo di amorosi sensi, una affettuosa cura uno dell'altro, una ricerca
Chi Ti ha rapito?
E allora prenderò il
mio cavallo e la mia spada
e scenderò nella cittadella.
Mi guardo alle spalle:
da qualche parte dovrai
pur essere
Verrò a prenderti.
Una miscellanea per assaggiare con un grano di sale, mi dice lei, quei
Gesti quotidiani
che si fanno sbadati
e se ne vanno
Continuo a leggere i versi di Jacqueline consegnandoveli nel gesto del teatro che fa scena, rappresentazione di vita vera.
Poesia che ascolteremo ancora come l'amica confidente. 
Ippolita Luzzo 



Théâtre dell'ECLA - Saint-Cloud 92210 France   Elvire (Don Juan)  2012
Jacqueline Spaccini  ha insegnato all'università di Caen e a Rabat. Dal 2009 fa parte della Compagnia internazionale delle Poete fondata da Mia Leconte. 

sabato 25 febbraio 2017

Gli insetti di Caterina Luciano

La X delle lucciole
Siamo tutta luce 


Noi siamo tutta luce
Il mantra dei nostri giorni difficili.
Siamo tutta ombra.
Insieme
Senza ombra niente luce
Così fra ignorare e non guardare
fra silenzi e lontananze
appaiono nuove lucciole.
Le lucciole della comprensione


Gli insetti
Carta vetro francese per poter inglobare le particelle del pigmento
Scaccia mostri delle crisalidi, intitola questa carta del settembre 2014 Caterina Luciano inventando per me il personaggio alato che vedete in mantello coccinella pronta a combattere e a far linguaccia ai mostri.

Ma i mostri sono le zanzare? Quindi le scaccio affinché non attacchino le crisalidi? Chiedo a Caterina
e lei mi risponde:- Certo, sono succhiatori o succhiatrici di sangue  di tutti gli esseri viventi. Il tuo ruolo è di trovare e aiutare le crisalidi, per me erano artisti  di vario genere: scrittori, pittori, crisalidi che diventeranno farfalle grazie a te.-
Beh, faccio io, grazie della stima. Evviva Evviva, certo che vorrei fosse così, ma non esageriamo sui miei compiti. Gli artisti sono già grandi artisti ed io mi limito a dirlo al mondo della Litweb con un megafono, con lo stile e nel regno che ci ospita.
Queste le carte di Caterina Luciano arrivate a Lamezia nel settembre 2014 ed in mostra nella galleria Be Cause. Lette da me.
Dal piede che schiaccia l'insetto, passando per tutte le modificazioni che riti sociali ed educazione hanno elaborato per piagare coscienze e costruito ordine, alla confusione incredibile di un tempo senza apparenti regole e confini.
Un periodo cieco, con occhi di bimbi chiusi, un momento storico di maschere, apparenza e sostanze piramidali, appartenenti a pochissimi.
Il restringimento di beni comuni, la predazione, il nuovo ordine mondiale basato sulla sottrazione, con l'abbuffata di fotografie vuote, di stimoli basici su corpi putrefatti e terribilmente siliconati.
Il nulla dell'offerta, come uno sciame che acceca, come cavallette che divorano e zampettano sui raccolti distruggendo affetti, desideri, sacrificio, parentele, come acari, zecche, vermi e sanguisughe, bevono sangue fino a schiattare, così il nostro momento ora.
E se non puoi la vita che desideri...
Mettila su carta, Trasformala, elabora simboli, e diventa profeta di un tempo nuovo. La rinascita
Dalla sapienza del Siamo tutta luce la spes unica dea, dalla Sapienza
a noi, a Caterina Luciano, alla sua semplicità, alla sua umiltà, al grande lavorio e impegno di denuncia verso tutti gli irresponsabili e invertebrati ‪ che vivono tra noi.‬

I Corazza - ti
Ignoriamo la vita degli insetti e li schiacciamo. Beata ignoranza che disprezza e schiaccia proprio perché ignora. 

Stonehenge bacata
Ignoriamo e addomestichiamo, mutandone le caratteristiche, impedendo l'evoluzione. Il baco da seta non volerà più, non sa. L'addomesticamento che ci fa tutti bozzoli. Incapaci di essere quello che avremmo potuto se non fossimo stati allevati sulle foglie del gelso.  Mangiamo foglie di gelso senza interruzione, con dormita inclusa. Le dormite del bozzolo sono in corrispondenza  delle quattro mute. Le nostre età, dall'infanzia  all'età adulta. In età adulta il  corpo del baco si avvolge nel bozzolo e verrà bollito prima di volare. Non volerà mai più. Non sappiamo più volare.

Tappeti volanti

Crediamo di non saper volare  e diamo il compito ai tappeti volanti
Insetti che portano in volo carta, tappeti volanti concupiti, oltre il valore, il potere del soldo.

La migratrice con pelo
Migrando migrando di volo in volo di luogo in luogo cercando un altro Egitto. Quello che non siamo più, rimasti bombi per l’eternità.  
Scarabeo=rinascita
Credit Suisse La società Lo sciame umano
Una carta di Credito pagare non può, rinascita è se vai via, se ti allontani.  Lo scarabeo mangia la cacca fatta a palline. Tutto il letame che devi mangiare per rinascere. Dal Lametame.it

V come Vittoria
Vendetta il ragno aspetta, prepara la tela, la rete. Odio la parola rete, dove tutto s'impiglia. Dal ragno che aspetta, immobile, a tutti impigliati, gli insetti, nell'immaginario della rete solidale. 
Vendetta non è vittoria. Succhiare il corpo dell’insetto per nutrirsene dopo averlo distrutto, annichilito, predigerito, nutrirsi di te, di un altro, di chiunque arrivi su quella rete, non è vittoria. Nessun premio avrà il ragno nelle mani. Se  Epimeteo non gli affida il vaso.

Sfida
=El Greco Modigliani  Facciamo e rifacciamo gli stessi copioni, gli stessi gesti, sul nostro terreno di riferimento. Se poi sembra sempre tutto diverso è perché abbiamo la meraviglia di infinite forme, sfumature, dettagli, abbiamo la nostra personalissima unicità che ci rende diversi nell'universalità

Lo sposalizio
Le mantidi. Dal rito alla rete. Si creano i riti per soggiacere alla rete. In natura, cannibali dopo incontro. Nella fattispecie.
L’invenzione più innaturale del nostro secolo
è stata la famiglia monocellulare
costringere un uomo e una donna a coabitare da soli sotto lo stesso tetto
in una stessa stanza
detta stanza matrimoniale, impropriamente. 
Costringere due esseri diversissimi ad occuparsi, vita natural durante, di una prole 
sempre più ridotta all’unità, unico e solo prodotto di un connubio, beh a volte due, a volte tre.
Ma anche se il prodotto viene moltiplicato per tre, il risultato rimane innaturale.
Una prole perpetuamente infantile, abbeverata e spupazzata fino a trenta anni, mangiata e spolpata,
nutrimento di due adulti carogne che amano tanto i figli, i figli dei figli, i figli dei figli dei figli.
Visto che poi campano cento anni.
Il nostro secolo è un secolo sperimentale.
Così sperimentiamo la convivenza fra due individui che nulla hanno in comune se non la diversità
Così elaboriamo comportamenti e tradimenti per sopravvivere ad un inferno
L’uomo ricorre alla bugia, mentire sempre anche il fatto più chiaro, 
la donna ricorre al sotterfugio, nascondere sempre, tacere, aspettare, tessere la tela… del ragno, però,
per fare impigliare il mentitore.
L’uomo si assenta, riprende fiato, ad un campo sportivo, al bar con gli amici, guardando e sognando altri corpi di donne
La donna si trucca, va dal parrucchiere, fa shopping selvaggio, spettegola e mangia per poi desolata fare dieta.
La donna  cura il suo nido d’amore, con fiori, con tende, profumi e balocchi
L’uomo con quadri, televisori, computer,  sigari puzzolenti e cenere sparsa su ogni divano.
La donna vorrebbe essere guardata, la pettinatura, il nuovo rossetto, il modello alla moda, la sua borsetta.
L’uomo nemmeno s’accorge se quella bipede ha un naso, una bocca, un incarnato perfetto, intento, lui, allo schermo bianco a seguire Travaglio, il fatto strano, un telegiornale.  
Certo poi lui fa erotiche elucubrazioni, ma riguardano pezzi, pezzi di donne 
Ed anche le donne elucubrano tanto, ma fanno sogni di sesso  con sconosciuti personaggi 
che  le ameranno perdutamente, per tutta la vita, per un solo momento.
Almeno è questa la grande illusione.
E su una illusione si sono gettate le basi per un vivere male, infelici, scontenti, separati e perdenti 
In una condizione che è solo virtuale, quella del vivere insieme  
in un matrimonio che proprio non c’è 
che nella storia di tutti i tempi non è mai 
mai
mai 
altrimenti dove sarebbe la novità? 

Muse
Caparezza, Conte e lo sai che i papaveri sono alti alti alti e tu sei una cretina che cosa ci vuoi fare? La musica che abbiamo nella testa. Fuori dal tunnel è tutta vuota la città. Città vuota. Il prato delle note

Ortotteri al salto

Giornalisti e blogger. Uno, due, Tre. Salto! Al comando 

La strada per la piccola bottega degli orrori
Io non so guidare. Non solo. Mi perdo. Agli incroci. Ai bivi e quadrivi. Dario Fo. Facciamo finta che tutta va bene nel mondo storpiato ed irriso, sminuito e denudato, dove il re è nudo e nessuno lo dice. Solo il giullare, fra il serio e faceto. Fa orrore un giullare?

Onda continua (Afidi)
Succhiare il nettare dai fiori, dalle foglie, dai tronchi, nutrirsi di flora e di fauna, Onda Continua finché si può. Afidi siamo. Succhiamo succhiamo dal biberon di madre natura
  
Il sogno del Masai (pianta acquatica)
Una immagine che tutti noi, del secolo scorso, abbiamo. Nelle nostre case, nei vasi, nei salotti, all'ingresso, queste. Simbolo lontano. Su un mondo taciuto. Si taceva e se non si dicono le cose non possono far male, fa dire Fabio Mollo, alla nonna, nel suo Il Sud è niente.  Così niente si sapeva di infibulazioni varie dalle donne masai alle nostre infibulazioni quotidiane.

La Nouvelle vague, toujours Truffaut

La curiosità di Truffaut- Gli occhi di noi. Bambini
Mi piace molto Roché, rimasto per tutta la vita un dilettante, come me, perché alla propria opera ha sempre preferito quella degli altri, ed ha fatto uno strano mestiere. Il curioso di professione.
Roché ha scritto Jules e Jim il film del regista Truffaut
Io scrivo sulle carte di Caterina Luciano! C’est la difference!

Incontri  Obama

La ubris, la supponenza e la tracotanza dall'ultimo verme della terra a te che mi sei vicino. Insetto.
La sfida Porporina (papa)
Dal Sacro al profano 
Calder
Surrealista. La zattera della sapienza galleggia sui simboli per leggere ancora gli incastri, gli strati, le faglie del vivere. Fra insetti che volano, strisciano e camminano sulla carta stampata e sul digitale, sul reale e virtuale di una srealtà. Non schiacci più se conoscere vuoi. Siamo tutta luce


Dalla surrealtà alla srealtà – una comunità mandata fuori strada
Fra fossi e valloni
Le discese ardite e le risalite, su nel cielo aperto,
 e poi giù il deserto
una comune di popoli, senza più strade da percorrere, senza più cieli sopra noi, 
e la legge  morale di Kant  non è più il cielo stellato
perché noi siamo fuori strada,
mille tir ci hanno affiancato, costretti ad una manovra pericolosa, ci siamo messi ai bordi 
ma anche lì sono ripassati come bolidi  Bmw Mercedes Ferrari una formula uno rumorosissima e i decibel sono aumentati 
Sempre più frastornati, nella srealtà, usciamo timorosi dalle nostre autovetture ammaccate, con in mano una mappa sgualcita, ingiallita, con in mano una Lonely planet, con in mano antichi sentieri che non esistono più.

Così vorrebbero farci credere quelli del soccorso stradale, ai quali noi ci rivolgiamo, per essere caricati e riportati sulla strada maestra.
-Ma dove siete? –Ci chiedono-
Nessuna mappa satellitare riesce a scorgervi, nessun collegamento, neppure un wireless
Ma dove siete?- continuano a chiederci.
Noi, intanto, camminiamo doloranti e zoppicanti, tenendoci stretta ogni tanto la fronte, toccandoci per essere sicuri di essere vivi, di avere ancora un solo sentire
Alziamo lo sguardo sul nostro cammino ed ancora una volta ripensiamo a chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo 
E nel domandarci domande eterne, camminiamo e speriamo che quella srealtà, dove siamo finiti, possa essere per tutti più bella e più giusta di tutte le altre realtà che finora la sorte ci ha squadernato.
La sopravvivenza, il nostro istinto ci guida animale verso la tana, verso caverne e cimiteri, verso i Sepolcri  di Foscolo ancora
Dal dì che nozze, tribunali ed are…con la pietà e con le idee , con tutta la nostra filosofia 

Vera unica e sola  certezza che sia
Dal dí che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d’ altrui, 
dal dì che nozze tribunali ed are
sempre le idee ci hanno guidato
sempre le idee son stati un farsi 
di comunità
sempre l'idea 
unica e sola 
di avere bisogno uno degli altri,
anche nella srealtà ... fuori strada
Ippolita Luzzo 

Caterina Luciano: Artista piemontese, espone e sperimenta da oltre 20 anni in giro per il mondo. Essenziali i segni biografici: ha abitato a Torino per gran parte della sua esistenza, ora si è spostata in val di Susa. Ricchissima la sua attività espositiva. Di due anni fa la partecipazione alla 54^ esposizione internazionale d’arte biennale di Venezia – Padiglione Italia, Sala Nervi, a cura di Vittorio Sgarbi, con le sacre famiglie che oggi sono esposte all’interno della Torre di Sant’Ambrogio di Torino, nella personale dal titolo “sacre e altre famiglie”.

venerdì 24 febbraio 2017

L'ideologia della possibilità. Domenico Dara

La possibilità è un attimo.

Un centimetro fra la vita e la morte, un minimo scarto fa di un avvenimento quel punto di non ritorno. 
Siamo al Liceo Campanella, Domenico Dara, ospite del Dirigente Giovanni Martello e delle docenti Michela Cimmino e Licia Di Salvo, dialoga con gli alunni che a turno fanno domande sul testo e sulla scrittura.
Una allieva, Nadia Mahboub, legge "Come nuvole, sospesi" e
restiamo sospesi fra il Dizionario delle similitudini che Domenico Dara avrebbe voluto scrivere e le tante similitudini come sospensioni presenti negli Appunti di Meccanica Celeste.
L'aria profuma di rosmarino, sul tavolo molto rosmarino sta poggiato a ricreare la scena dell'attesa, il momento in cui si avvertirà anche il profumo del trifoglio e l'angelo custode sarà accanto a ciascuno di noi per quel sostegno in cui non speravamo più.
Il mondo dell'astronomia e il mondo degli angeli si unisce ed il lettore può identificarsi in uno dei personaggi cercando quella somiglianza in un fare consolatorio che è il compito della lettura. 
Se è successo ad un altro può succedere anche a me par che dicano i lettori, insieme allo scrittore, in quella possibilità su un milione che diventa miracolo il farsi.

Andrea lo sollecita sul tempo storico in cui è ambientato il romanzo e Domenico colloca il suo racconto in un tempo mitico, nel tempo del Telos,  il tempo delle finalità comunitarie, e non di Chronos, il tempo cronologico di successione di eventi. 
Simone chiede come mai Girifalco e Domenico racconta di un luogo che appartiene alla sua infanzia, ogni luogo ci appartiene, ogni luogo viene vissuto nel tempo in cui vi fummo. 

Tantissime le domande sulla scrittura e nel rispondere l'autore confessa che la scrittura è un atto anti naturale che serve a ricomporre la sensazione di una mancanza. Come nel Breve Trattato delle Coincidenze il postino rammenda i buchi nel calzino, la scrittura rammenda i buchi, le mancanze, le scortesie che si ricevono, diventando strumento di giustizia.
Sì è scrittori con la vista, con gli occhi, si vede prima ogni particolare e si annota nella nostra agenda, e tutto un farsi sta nelle tante agende che si portano dietro per consultarsi.
C'è quel generale senso d'incompletezza che ognuno si porta dietro, risponde ancora ad una domanda sui desideri, c'è in tutti una inadeguatezza nel momento, un cosa ci manca? ed il privilegio dello scrittore è di crearsi un luogo possibile. Un luogo dove la possibilità intercetta quello scarto, l'attimo. 
Ci mostra ora la sua agenda fitta di appunti, di ritagli di giornali, in essa sta il terzo libro, in una immaginaria trilogia sul tema della mancanza, del riparare, in una accumulazione che presuppone la scelta futura. 

Nella consapevolezza dell'inconsapevolezza, di ciò che servirà e di ciò che non servirà alla costruzione del terzo libro già nato in agenda. Nel senso latino, nel fare.
Una Possibilità. 

Ippolita Luzzo  

mercoledì 22 febbraio 2017

Domenico Dara Appunti di Meccanica Celeste

Mia lettura pubblicata su Cabaret Bisanzio
 http://www.cabaretbisanzio.com/2017/02/17/appunti-meccanica-celeste-domenico-dara/

Appunti di meccanica celeste
Una lunga attesa
“Girifalco era delimitata a nord dal manicomio e a sud dal cimitero, così che le sue genti si muovevano tutte tra la follia e la morte ed il vento era o ponente o scirocco, due punti cardinali, due venti, due grandi strade, due chiese, due fontane, due mercati, due campi di calcio.
Come nel paese di Sonia Serazzi "Non c'è niente a Simbari Crichi" Girifalco è una bolla trasparente. Senza tempo. Duplice.
Ed i personaggi vivono evanescenti nel nulla di un paese inesistente.
“ Che poi cos'erano i desideri se non una silenziosa dichiarazione di fallimento? Riconoscere che ciò che vogliamo non ci appartiene, che siamo altro da quello che vorremmo, che la nostra vita segue una traiettoria sbagliata” Fa dire ad Archidemu Crisippu, il filosofo stoico del paese, Domenico Dara, aggiungendo che i pensieri equivalgono a volte a piccoli desideri senza ambizione.
Sette i personaggi come la legge del sette di Gurdjieff che, secondo il mistico armeno, regola ogni processo di cambiamento.
Un santo Patrono, San Rocco e le reliquie in cartapesta, fatte di mani, piedi, petti, teste e cuori…
Ad agosto nella settimana del Santo Patrono arriva il Circo, per caso, avendo smarrito la via maestra.
Ci siamo persi. Tutti.
Ho letto così, con partecipazione, le vicende narrate, riconoscendo il fastidio e lo sciupio di intere esistenze. Riconoscendo l’atemporalità che avvolge e svolge lo scorrere dei giorni. “Che in fondo, a pensarci bene, tutte le nostre vite sono una catena di eventi sospesi: le cose si interrompono improvvisamente, senza avvisaglie, senza avvertimenti, ed è questo il dolore della vita: il congedo mancato.”
 Appunti di meccanica celeste
Siamo rimasti primitivi. Lo dice Quasimodo in Uomo del mio tempo, lo leggiamo nelle cronache e lo vediamo nei discorsi dei politici riportati dai media. Primitivi con le lance e coi bastoni, con le pietre e le maledizioni. Primitivi.
Brutti sporchi e cattivi era il film di Scola. Brutti sporchi e cattivi. Dalla pietà celeste era il primo titolo con cui Domenico Dara ci presentò questo romanzo un anno fa sul lungomare di Falerna. Da allora ad oggi i personaggi del romanzo Appunti di meccanica celeste vivono fuori dalle pagine del libro e passeggiano nel tempo astorico e senza confini dell'immaginario. Non esistono eppure esistono. Come megattere. Raccontati con una ridondanza di similitudini, con un lessico quasi barocco nei suoi virtuosismi, i personaggi vivono di vita propria ed a qualcuno di loro io diedi nome e cognome riconoscendoli come abitanti di questa valle di lacrime lattiginosa e senza luce. Malgrado il sole infatti qui abitiamo senza luce.
 Mi piace leggere narrativa perché è il genere più simile ad una seduta psicoanalitica. Nel raccontare, l'autore, senza che lui quasi se ne accorga, sta come un paziente sul lettino del lettore e benché cerchi di mimetizzarsi dietro i personaggi racconta quell'attimo, quel suo essere fermo laggiù.
A volte sono loro stessi, gli autori, che, in privato mi confessano di aver riportato  l'intercalare della loro madre, in quel che io ho ripreso. Mi confessano di essersi sentiti capiti, come un buon terapeuta in effetti fa ed è questa la mia gratificazione nella lettura.
Consegnandovi gli Appunti
Ippolita Luzzo  


domenica 19 febbraio 2017

Al MAON la mostra di Antonio Pujia Veneziano

Continua al MAON di Rende la mostra di Antonio Pujia Veneziano, curata da Tonino Sicoli e Andrea Romoli Barberini: Purezza dei Segni.

Il museo si trova nel centro storico di Rende, accanto al museo civico, un ponte, opera di Giuseppe Gallo, collega i due palazzi.
La giornata è luminosa, il paese silenzioso, stamattina ci saranno visitatori amatissimi. L'artista ha preferito dare alla mostra un taglio intimo e dopo l'inaugurazione è ritornato spesso per seguire personalmente i visitatori che si erano prenotati. Mercoledì ci saranno rappresentanti dell'Università della Libera Età di Cosenza e giovedì il Club UNESCO.
Stamattina sarà presente Antonio Lampasi  il Sindaco di Monterosso, paese d'origine di Antonio Pujia, e la  giornalista Maria Novella Imeneo, venuti per sincero interesse verso la produzione artistica e con l'intento di proseguire insieme la ricerca fatta dall'artista. Intervistano infatti Antonio e fanno video, dopo essersi soffermati su ogni opera. 

Arriva Orazio Garofalo, videoartista, suo il filmato all'ingresso del museo.
Col titolo Naturale/naturale possiamo trovarlo a questo indirizzo https://vimeo.com/195162546 
Fra le altre visite graditissime e informali ci raggiungono amici cari: Massimo Celani, già curatore di altre mostre dell'artista, accompagnato da gioiose presenze. 
Paziente e disponibile il responsabile del museo, Livio Sottile, si trattiene oltre l'ora di chiusura. Un caro ringraziamento a lui.  
Purezza dei segni.
Antonio Pujia Veneziano si sofferma su ogni opera, su ogni dettaglio. Opere su tela, opere su tavola, oppure su un semplice strofinaccio. Tele piegate, ripiegate, ancora una volta, fino a farne un quadrato, un rettangolo, a triangoli, e poi colorate da una sola parte, man mano rivelate, nel gesto del riaprire, del dispiegare come uno svelamento quel che prima si era ripiegato. In quel gesto sta tutto l'atteggiamento della nostra vita, nell'incontro con l'altro, che si chiama tolleranza, nel gesto della pazienza, dell'attendere, nel rivelamento sulla tela di spazi vuoti che permettono il movimento del dialogo fra ciò che diciamo e ciò che ascoltiamo, fra ciò che riusciamo a comprendere di un altro quando lui ci parla. La pittura è il tuo volere, mi sta dicendo Antonio, la spiegazione è, nel gesto dell'aprire la tela, la presentazione.
Qualcuno cita Panofskj "Nel saggio La prospettiva come forma simbolica, Erwin Panofsky dimostra come ogni epoca culturale abbia sviluppato un proprio modo di rappresentare lo spazio, che può essere inteso come la ‘forma simbolica’ di quella cultura." mentre Antonio mostra il dialogo interiore alla ricerca della verità, dell'essenza che può essere il vuoto. 
Il suo operare su tela, tavola e ceramica è un ragionamento logico sul caos primordiale che immaginiamo caos ed invece è un insieme di regole, di linee, di un ordine universale che va dal più piccolo organismo naturale al più grande. 
Come Leonardo da Vinci era affascinato dal disegno geometrico dell'universo, della natura, delle forme delle nuvole, della misura di tutte le cose, così Antonio viene rapito dai fenomeni naturali come appartenenti al dialogo interiore del suo pensiero.
Una natura disciplinata eppure onirica, somigliante alle nostre sinapsi, un dentro e fuori che ci appartiene.
Sembra un acquario il Partenone, sembra un luogo immaginario il Golfo di Sant'Eufemia, poggiato con spilli dalle teste di perle, quasi il color perlaceo della purezza, della fantasia regolata da una logica ferma. Un movimento che genera energia con in mano i libri di Sant'Agostino, sul chiedere sempre, un interrogarsi su ciò che è buono e ciò che non lo è, sul vento Ostro che soffia da sud e la rabbia, la protesta, diventano sbuffi di blu, di immediata compostezza dopo la necessità dell'imperio. 
Caos e regola, la verità spirituale solo sul sentimento, l'arte è una preghiera, aggiunge Orazio, questa tela ricorda la Sacra Sindone, osserva Massimo Celani,"per evocare, per antifrasi, gli avvolti di Cesare Berlingeri" Pure auspicando una mostra parallela sullo svolgimento.

Siamo ora davanti alla Teoria delle catastrofi e Antonio spiega come ha ottenuto il colore ferroso, cuocendo la terracotta e  togliendo l'ossigeno alla fiamma, in cottura riducente.Ottenendo una trasformazione chimica. 
Ripeto quasi come un mantra: Le regole che dal caos nacquero. L'ordine matematico del nascere nella natura di ogni più piccolo essere vivente. Il discorso interiore con l'a priori di idee innate e spiegate solo dopo. Il piegare e ripiegare per permettere il gesto dello svelamento nel dialogo con l'altro basato sulla tolleranza. Il senso del colore, delle parole, dello spazio geometrico di quadrati, rettangoli, triangoli. 
Nella creta che si foggia e si modifica sfuggendo al limite della forma:Purezza dei segni

Ippolita Luzzo        

L'uomo nel diluvio al TIP di Lamezia

Venerdì 17 alle ore 21 al teatro TIP Valerio Malorni mette in scena il diluvio sociale nell''anno 2017 d.C.

Idea, testo e regia di Simone Amendola e Valerio Malorni.
Siamo al TIP. Sede di Scenari Visibili.  
Tuoni e scrosci d'acqua. Appesa alla parete sta l'arca di Noè e tutto lo spettacolo racconta la storia di Noè prima del diluvio, mentre costruisce l'arca per andare via.
Una storia che sembra ripetersi, con la domanda "Quante paure deve avere un uomo prima di dare una mano anche a me? Qualcuno mi aiuti" 
Il monologo urlato con un orologio fermo a scandire un tempo immobile arrivato al suo ultimo momento, un libro che viene letto e riletto da guida"Guida pratica di un italiano in fuga. Manuale di sopravvivenza. Tutti a Berlino" e la canzone "Amara Terra mia" di Domenico Modugno come sottofondo ad una decisione: lasciare tutto e andare via. 
La costrizione all'esilio. Imparare il tedesco per emigrare. Lasciare Roma per Berlino. Sette milioni di Italiani in fuga. L'esodo. Dall'Italia si va via, in Italia arrivano altri popoli, anche loro in fuga. Un diluvio universale in cui tutti fuggono da un'altra parte per la sopravvivenza. Il diluvio sociale. 
E Noè pensava"Come glielo dico a mia moglie che dobbiamo lasciare tutto? lei mi dirà "Vedrai, smetterà di piovere."
Un diluvio individuale. "La messa in scena del mio ultimo spettacolo vorrei che durasse una vita, la mia. Perché non partite? perché non restate? Avete solo trenta secondi. Cosa salvate della vostra vita in trenta secondi?"  
L'attore si spoglia, si riveste, mette un saio da francescano e la musica suona calimbo, un diluvien al limbo.
Valerio parte per Berlino dove tutta l'acqua è neve, prova il diluvio sotto la doccia. Dovrà fare il suo spettacolo. Nella Germania senza luce mi sembra di sentire "Volare" e "Per fortuna il tuo mestiere è uscire, vedere , scrivere. Siamo tutti ad ascoltare"
Nella difficoltà di farsi capire il protagonista usa i gesti e un critico riporterà sul giornale note entusiastiche dello spettacolo.
Dal diluvio  in fondo tutti vorremmo salvarci, tutti conosciamo un nostro diluvio personale dal quale siamo fuggiti, salpando, come scrive Laborit in "Elogio della fuga", per lidi inesplorati.

 E "Cantando sotto la pioggia" la canzone trasmessa sul fianco dell'arca, usato come schermo televisivo, con le immagini di Gene Kelly che va ballando sotto l'acqua, dopo aver regalato il suo ombrello, il pubblico applaude e riflette sulla zattera del teatro. 
Ippolita Luzzo 

ph  Angelo Maggio 

lunedì 13 febbraio 2017

Come un'eclissi solare- David Valentini

Il film della nostra vita. 


Per immagini si fissano i momenti salienti di una amicizia, di un amore, i momenti di un nostro vissuto che, come dice Flaiano "nella nostra vita sono tre o quattro i giorni che contano, gli altri servono per fare volume." 
Come un'eclissi solare racconta proprio così, svolgendo la pellicola della memoria, una amicizia finita, eppure vicinissima. Lui, l'amico della voce narrante, è seduto ad un tavolo dello stesso bar, ignaro, non si è accorto, supponiamo, di averlo accanto. 
Tutto ruota sul perché l'amicizia finisca, sui motivi, se mai ce ne furono, portando tutti noi lettori ad immedesimarci su quel momento che è successo uguale nella nostra vita. 

Quel momento in cui l'amicizia finisce e passa il tempo, ti rivedi, forse, e sei un'estranea, come un'eclissi solare. Il sole non c'è più. 
Nel libro sembra che poi si possa ancora intercettare un messaggio, si lascia infatti il compito alla scrittura di far da tramite, di passare un testimone, il compito sacro del foglio, del dire, una lettera, un messaggio, una scritta dovunque essa sia, basta che diradi l'eclissi. Quando lui dirà ciao, c'è scritto nel prologo, il braccio di colui che narra colpisce la tazzina di caffè e lui tenta di bloccarla per non farla frantumare in mille pezzi. Eppure la tazza cade e nel cadere, sospesa nel tempo, cadono tutti i pensieri, tutti le situazioni, tutto il dirsi dei giorni.
In una produzione letteraria poco incline alla riflessione apprezzo il racconto di David che sa svolgere il tema di sentimenti comuni a tutti, nei momenti del farsi, del frantumarsi.   

David Valentini partecipa a redazione@spaghettiwriters.it e ci invita sulla piattaforma dove un gruppo di affermati gourmet assaggerà e impiatterà nel loro sito  le proposte letterarie. 
Lui scrive i suoi racconti che vi invito a leggere. Saranno motivo di confronto  con amiche e con chi ancora crede a legami affettuosi, fermi al tempo dell'adolescenza, oppure semplicemente a legami come risorsa, un tempo da accarezzare come ricordo.
Ippolita Luzzo   

sabato 11 febbraio 2017

Dimmi come like e ti dirò chi sei

Dimmi come lecchi, così ho tradotto io "like" dall'inglese,  in senso affettuoso eh!, quella leccatina di colore blu oltremare sui vari post di social vari, per avere in contraccambio un po' d'affetto, di considerazione o semplicemente per sentirsi di far parte dello stesso sentire. 
Dimmi come like e ti dirò chi sei.
Una mia amica, di un tempo che fu, pigiava e pigiava like compulsivi dicendomi "Questo serve, questo può essere utile" senza aprire i link proposti, senza leggere i post.
Like frenetici dettati dal suo voler raggiungere presto e subito il letterato, l'editore, la libreria, il festival letterario, l'intervista del primo che l'avrebbe appellata "scrittrice"
Io metto like ossessivi, sempre alle stesse persone, come in un immaginario discorso, come se il like fosse un intercalare, io e loro, seduti a quel tavolo di fantasia chiamato discorso. 
Ogni tanto mi vergogno di tanto assillare e ritraggo la mano. Sembro una stalker. 
Lo scrittore locale, lo vedo, mette like a tutti, tutti gli scrittori nazionali, li stima sicuramente, e pensa che loro forse poi vedranno anche lui. 
Il cortigiano cortese mette like di cortesia, di adulazione alle donne ben vestite e pettinate, queste accettano tanto degnazione, essendo anche loro cortesi, e giocano alle dame ed ai cavalieri a colpi di like.
Frustrati nel loro vivere amori sbilenchi e senza più vita si rifugiano nella galanteria per distrarsi un po'. Male non fanno.
Mettono like fra loro, di rinforzo li chiamo io, gli appartenenti ad associazioni, tribù e scuole.
Spirito di corpo esige il rispetto del rito del like.
Se non lo metti sei fuori.
Like che ci dice chi noi siamo, poveri, illusi e in cerca di quel che noi stesso aduliamo. 
Usando il like come una clava, un'accetta, uno sfregio, a quella lo metto e a te no, come litigio, te lo do e te lo tolgo, il like che noi mettiamo ci si ritorce contro in una immagine misera di un luogo che rapporti non ha.
Like di controllo sociale e amicale. Una mia conoscente mi confessò di dover mettere like a tutte le fotografie postate da una sua compaesana pena la rottura di ogni rapporto. 
Era diventato uno stress. La sua compaesana spiava ogni sua mossa e se lei avesse messo altri like e non a lei inimicizia certa. Un incubo. Il like come dovere. La donna ne era così stanca che si affacciò  sempre più raramente sul social.
Like che mettiamo e like che pretendiamo come fosse un dovere.  
Se il like mettiamo vuol dire che viviamo, se il like mettiamo vuol dire che ancora desideriamo essere almeno per qualcuno, almeno per uno, pur anche e solo un semplice like. 
Noi siamo un like, noi siamo i like che mettiamo.

Ippolita Luzzo 

 

    

Una amicizia da spaesati. Daniel Cundari e Mauro Minervino

Excrucior da Catullo a Gregory Corso nell'incendio e oltre.  

Daniel sta leggendo a Mauro la poesia di Catullo quando arrivo nella libreria Ubik. "Odi et amo Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior." Odio e amo Per quale motivo io faccia ciò, forse ti chiederai. Non so, ma sento che ciò avviene e ne sono tormentato.
Excrucior, forma passiva di un sottomettersi senza volontà. 
Sono tormentato dall'ambivalenza di un sentire che mi attraversa, così direbbe per me Catullo. 
Ambivalenza nella serata alla Ubik di Catanzaro Lido dove Nunzio Belcaro ospita e presenta  Daniel Cundari poeta di  una poesia strutturata, poeta di tre lingue,  nel fascino della subordinazione totale alla poesia.
Mauro Minervino, amico e compagno di viaggio in "Stradario di uno spaesato" aveva già scritto di Daniel, nella somiglianza fra lui e l'altro, due spaesati eppure così legati alle radici, al paese d'origine. L'autenticità, la registrazione di passaggi nella visione dei luoghi, la lingua degli affetti, la forza del dialetto, sono questi i legami in comune.
La necessità di raccontare un paese, i luoghi, la vicina di casa Giuseppina, attraverso il gesto, con il corpo.
Una poesia recitata con la voce e con il gesto, per produrre disturbo, con il dialetto del luogo, fissata in un luogo, Cuti, il paese di Daniel da cui poi è andato via per vivere in Spagna, a Granada.
L'incendio e oltre di Daniel Cundari, per Mauro Minervino sono le ceneri che lascia il fuoco e domanda:"Cosa resta di un incendio se non la lingua?"

Accompagnato dal basso di  Sasà Calabrese, Daniel Cundari inizia una miscellanea di versi in dialetto di Cuti, un dialetto primitivo, reinventato. Ho preso appunti sui versi che non riporto, non ho abilità nel trascrivere il dialetto, posso però raccontarvi la trasformazione, quasi una levitazione, in Daniel, man mano che si inoltra nei sentieri poetici.
Gesti e voce, corpo e movimento, fremiti e sussulti, eppure disciplina e professionalità, una somiglianza ai poeti che poi lui citerà in un attimo, Gregory Corso, i poeti della beat generation, e l'ossessione come possessione di un verso vivo. Respirato e gettato, accompagnato e regalato. 

Il vento, le allucinazioni di Don Chisciotte, la luce, l'esorcismo contro le possessioni, la poesia di Simone Tommasiello, affetto da SLA, e dettata a Daniel attraverso il movimento degli occhi, dalla prigione del corpo, e tra "timpi e valluni", quante volte io avrei voluto cambiare il mondo con una parola, dal quartiere Sacromonte di Granada a tutti i quartieri dei nostri paesi ormai semplici agglomerati e non più quartieri, quante volte  il "jetta sangue e abballa"  che non vi racconterò. 
Excrucior
Ippolita Luzzo   
   

giovedì 9 febbraio 2017

"Il pescatore di tonni" racconto di Raffaele Mangano

"Eh, nella vita..." sembra questa l'espressione con cui la madre del protagonista condensava gli eventi sia dolorosi che gioiosi oppure strambi che succedevano, con un leggero sospiro a chiudere la frase. L'esclamazione riusciva a dare il senso della fragilità dell'esistenza e il mistero del destino.
"Il pescatore de tonni" romanzo del 2011 di Raffaele Mangano è un canto corale di tonni, marinai e forestieri, un canto animistico dove sirene dagli occhi di malva guardano davvero e Colapesce sta a sorreggere dalle profondità marine l'isola affinché non sprofondi.
Una Sicilia antica e una Sicilia abbandonata, con il delitto, quello grave, di averne ucciso la sacralità.
Nella Favignana di alcuni anni fa si viveva della pesca dei tonni, vi era una florida industria conserviera e le scatolette di tonno erano l'orgoglio ed insieme nutrimento di un popolo. Ora non più. Ora i giapponesi pescano dall'alto, sparano a vista e lasciano il deserto. 
Nessun canto più si sentirà.
Mi riporto il canto dei pescatori sulle sciabbiche, mi riporto i gesti, insieme al grande rispetto per quella mattanza fonte di vita, mi riporto il sacro che animava ogni gesto.
Un modo di descrivere che afferra e fa salire il lettore sul Vascello, ed anche io ho messo le reti, sentendo il profumo e vedendo i colori, capendo che siamo tutti come i pesci, nella diversità delle nostre reazioni. Il tonno si infila nella camera della morte e solo alla fine tenta un guizzo ormai inutile, il delfino si sporge e salta fuori dalla rete, lo squalo si mette a strappare coi denti la rete e i pescatori issano le reti, per farlo andare via. Resta il pesce spada a suicidarsi a voler morire prima.
«U piscispada s’ammazza da sulu. Un’avi vogghia di farisi piscàri».

Dal romanzo di Raffaele Mangano "Il pescatore di tonni" questa frase che mi lega alla cronaca terribile della lettera di Michele, trenta anni, in questi giorni suicidatosi ad Udine, di ritorno da un colloquio di lavoro beffa. Come il pesce spada del racconto, questo giovane uomo non accetta, non più, le terribili ragioni di un momento ingiusto e scorretto, un momento in cui alti stipendi vengono distribuiti ad una pletora di funzionari, alti stipendi vengono percepiti nel pubblico e nel privato come irrisione verso i tonni ed i pesce spada nella camera della morte di questi tempi scorretti.
Ho letto quindi questo romanzo che rimane una grande epopea di una famiglia, i Florio, di una isola, Favignana, di un gruppo di pescatori, quasi personaggi mitici, come l'epopea del mondo sempre cruento eppure capace di riti. Capace di reti. 
Nelle reti e nei riti di un mondo cattivo siamo immersi come i tonni. Ricordare è resistere, sembra ci dica Raffaele, ce lo diciamo in tanti, ricordare le conoscenze essenziali per avere un punto per sostenerci, come la leva.
"Datemi una leva e un punto di applicazione e solleverò il mondo"
(Archimede) 
In questo romanzo vivrete a Favignana, nella Favignana abitata dalla famiglia Mannino, andrete a passeggio con Nino, colui che ci racconta il cunto, la storia.
Nino è figlio di siciliani, vissuto a Torino, Nino: come un bambino che sbircia da dietro una porta socchiusa.
Il racconto.
Un'isola che può essere un paradiso e una prigione, un'isola da cui fuggire e ritornare sapendo che solo lì si è riconosciuti con il soprannome. C'è nel romanzo il senso della comunità di pescatori ognuno col proprio ruolo, magico quasi, ognuno con una identità. U Turcu, Bastianuzzu, Papareddu e Nas'i  Pipa, una comunità. 
Anche mia mamma, ogni volta che vado a trovarla, rievoca tutto il vicinato con i soprannomi affettuosi, vicinato ormai scomparso, non abbiamo più vicini di casa. 
Seduto sul masso della tonnara, Nino, come noi, come il pesce spada, come chi non si rassegna, come Michele, continua il racconto di cui tutti abbiamo bisogno per vivere.
La leva del ricordo per produrre energia. 
Ippolita Luzzo