mercoledì 28 novembre 2018

L'Amica Geniale Elena Ferrante

Elena Ferrante mi ha confessato di non aver visto la serie televisiva e di essere alle prese con una nuova quadrilogia dal titolo: La nemica geniale.
In attesa di fatti e misfatti delle amiche e nemiche, geniali sempre, che porteranno tanti premi e continue repliche, noi guardiamo stupefatti a tanto successo applaudendo il genio di chi lo racconta con tanta genialità.
Con vera stima. 
Conoscerò Elena Ferrante e la inviterò nel Regno della Litweb.
Sono sicura che accetterà.
In un regno inesistente un'autrice che non si sa chi sia può ben venire senza tema di apparire.
Aspettandola
Ippolita Luzzo   

lunedì 26 novembre 2018

A Chiara Tempesta un pezzo antico: Una Bambola sul letto

L'altro giorno Chiara domanda ai social schizzinosi sull'arredamento delle case dei Casamonica come fossero le loro case e se ricordano le bambole sul letto.
Chiara mi ha fatto ricordare un mio pezzo del 2011 dal titolo Una bambola sul letto e la ringrazio per avermelo inconsapevolmente ridonato:
Una bambola sul letto   29 ottobre 2011- 
Una volta nel sud le donne, dopo aver rassettato il letto matrimoniale, sistemavano al centro, subito dopo i due cuscini, una grande bambola, una bambola come una bambina, vestita con abiti pretenziosi, di lusso, merletti, pizzi, con le scarpine, scarpine vezzose, una bambola con i capelli boccoli boccoli, il viso dipinto di roseo splendore, gli occhi immobili, fissi su tanto stupore.
Io ne ero spaventata, proprio non riuscivo a capire quella messinscena, macabra ed offensiva, quel simulacro di donna perfetta, immobile   fissa buttata su un letto, seduta, con le gambe aperte, divaricate per dare al fantoccio maggiore seduta.
Sfuggivo la vista, giravo gli occhi, ma sempre vedevo le donne che, fiere, se la mostravano, ne erano fiere, e non vedevo com'era preziosa!
Ero bambina ed avrei dovuto come le altre bambine avere una bambola che non volli mai, per  tanto tempo mi rifiutai, poi verso i dieci anni mia mamma,  vedendola una stranezza,  me la comprò .
Era una bambola piccola, con i capelli docili al pettine. Io cominciai a pettinare e ripettinare ed in capo a due giorni la ridussi calva, senza più bellezza, senza un orpello. 
Non credo che ho avuto più una bambola in mano, un bambolotto, un orsacchiotto.
Non ho mai più voluto bambole, ricordo però, con grande languore, un Pinocchio di legno che mi avranno rubato, sottratto, come tutte le cose negli anni a venire, un Pinocchio snodabile con tanto di naso, un cappello rosso e le gambe lunghe.
L’avevo comprato, c’ero riuscita dopo tante insistenze, me l’ero sudato col nonno, sfibrandolo con cantilene sempre più insistenti, che io volevo, volevo soltanto un Pinocchio di legno!
Ed adesso che vorrei giocare di nuovo i giochi che non ho fatto mai, adesso mi trovo a parlare davvero con un Pinocchio di carta, di mail, convinta di avere un discorso in mano, un senso, una storia, un motivo in più.
Mi ostino e non voglio vedere che ormai noi tutti non siamo gli stessi e che anche i Pinocchi sono contenti se possono ancora giocare con bambole, vestite eleganti, attizzate, vogliose, troie infoiate da manovrare, usare soltanto per mettere in moto un congegno per farle partire e poi, credo, ridere dentro di tanto sudare mentre loro, di legno, son sempre freddi, puliti, immacolati, sorpresi che lei si sia bagnata.
Ma ormai è tardi per disarticolare un buffo soggetto con un abbecedario, è tardi, tardissimo, proprio così, sarà come allora, anche allora qualcuno poi lo rubò il mio pinocchio di legno e non lo rividi mai più
Qualcuno che non lo amava affatto, qualcuno che poi lo buttò giù, ma d'altronde è così, è sempre così, nel mondo perbene che perbene non è.
Al mondo perbene, che perbene non è, basta mettere soltanto una bambola sul letto, con gli occhi fissi su tanto splendore
Ippolita Luzzo 

sabato 24 novembre 2018

Il dialogo è una cosa opinabile su Whatsapp

Dialogo:
Colloquio tra due o più persone, nel linguaggio politico, confronto d'idee, opinioni o programmi allo scopo di raggiungere un'intesa: un dialogo costruttivo e distruttivo. 
Comunicazione verbale, fatta di messaggi su whatsapp sempre dialogo è? Scritta e registrata su whatsapp. Cosa opinabile e divertente fra due soggetti, normalmente abili alla risposta. 
Dopo aver riso questa mattina a sentire messaggi registrati su whatsapp e aver commentato con chi me li faceva ascoltare:"Cosa vuol dire questa frase in italiano?" mi sono sovvenuta di altra piacevolezza.
 Allora eravamo in estate e una mia amica aveva da risolvere su quale fila dovesse stare il suo ombrellone in quello stabilimento balneare. Chiama dunque su whatsapp il proprietario dello stabilimento ed iniziano a messaggiare per chiarirsi su questo difficilissimo busillis. La vedevo impegnata a rispondere.  
Lei alla fine, stremata e ironica, mi disse ad un certo punto: "Ora ti faccio vedere come procede la conversazione." Ed io mi trovai a leggere quei messaggi che non avrebbero sfigurato in una commedia di Ionesco, tanto erano strabilianti, fra lei che chiedeva e lui che rispondeva picche, non voleva, era evidente, spostare l'ombrellone, eppure la conversazione deviava, prendeva inaspettate rive, benché i due dialoganti si conoscessero da anni. 
Stamattina uguale, con in più il dire parlato registrato. 
Questo andazzo di registrare ciò che si dice sembra comodo ma si può ritorcere verso chi registra, perché mentre nel parlato orale si può sempre smentire, nel registrato e nello scritto le parole stanno lì a mostrare quanto la conversazione, il dialogo, sia una cosa opinabile, irreale, inesistente.
Il dialogo diventa subito insulto, offesa, disprezzo, mascherato da una leggerissima copertina webbica che non copre più nemmeno i piedi.
Infatti è un conversare con i piedi e Whatsapp condanna alla storicità del detto.
Un detto opinabile 
Ippolita Luzzo  

venerdì 23 novembre 2018

Giuliana Majocchi Maria Caterina Prezioso PINA & MAX

Ed eccoci a leggere Pina & Max:" Una strada di corse, di sguardi e di orme lasciate sulla battigia che il mare sapiente si porta via. E il tempo, finalmente dal fiato lungo dei buoni camminatori, un
tempo sovrano che ci accarezza le corde dell’anima e ci ricorda
di quella natura che non ci ha mai abbandonato. Un gioco,
il dono di un gioco."
nella prefazione leggiamo. 
Pina:"Nel paese tutti la conoscono ed è accolta sempre affettuosamente.La sua andatura dinoccolata la rende molto particolare,per non parlare poi di quel color champagne…"
 Si sta raccontando la vicenda di una bellissima cagnetta color champagne, e di Max il cane di Massimo "Max. Il suo bellissimo cane lo aveva conquistato da dietro una vetrina di negozio.Era talmente bello quel cucciolo di Husky da sembrare finto."
Qui partecipiamo ad una storia di incontri come se venisse raccontata dai protagonisti, quindi con i personaggi umani più sfocati rispetto alla storia vera e propria che è l'incontro fra i due cani, Pina e Max. "Qualcuno stava bussando alla porta, solo questo la mente di Massimo riuscì a registrare... Afferrò la maniglia e la fece roteare. Davanti a lui c’era Pina, seduta, la testa leggermente inclinata,che lo guardava. Quell’uomo alto, magro, in slip e i capelli scompigliati, era ridicolo. Si alzò, e scostando leggermente Massimo, s’intrufolò in camera. Sapeva dov’era, spinse la tenda, una annusata, un’occhiata, girò le spalle e Max fu subito dietro di lei. I due, velocemente, sfiorarono i piedi di Massimo, che incredulo era rimasto fermo, “imbambolato” con la mano incollata
alla maniglia."
In questa storia vista dagli occhi dei cani gli uomini rimpiccioliscono, rimane Il Grottino, l'albergo che accetta cani, a giganteggiare con la sua ospitalità. Gli uomini come tutti come Massimo accusano il vuoto.
"Solo il cane era diventato molto importante, era il suo occhio
gelido sul mondo e nessuno lo sapeva. Afferrò con forza
il guinzaglio e richiamò Max con un fischio. Max si bloccò,
poi si voltò per guardarlo, all’uomo sembrò di vedere ancora
quel sorriso, al successivo fischio riprese a correre verso di
lui. Max, riconosceva l’ordine del capobranco, o era semplice
affetto, o forse intuiva che l’uomo dal volto sorridente e triste
di un clown, aveva in lui, il suo vero e unico compagno di
giochi"
Una scrittura a due mani come due sono i protagonisti, come duale è il mondo animale e umano che si incontrano e si scontrano, si legano e poi si abbandonano. Dedico questo pezzo alla mia Gala, il setter dolcissimo, dal nome della musa amata da Salvador Dalì, il setter da me salvato e accudito e poi lasciato per non poter più occuparmi di lei. 
Ippolita Luzzo 

lunedì 19 novembre 2018

Giovanna Villella mi presenta così

IPPOLITA LUZZO: RITRATTO DI DONNA NON CONVENZIONALE
Fantasiosa, visionaria e irriverente quanto basta, se dovessi paragonarla ad un artista di teatro, sarebbe una Paolo Poli in gonnella senza le metafore erotico-verbali che Poli - tuttavia -sapeva porgere con tanto candore.
Se fosse un quadro sarebbe La donna che legge di Van Gogh.
Se  fosse un libro sarebbe il suo, ovvero un non libro. I libri, i suoi libri, sono oggetti animati, abitano la sua casa, non sono mere suppellettili. Camminano, si nascondono, parlano con lei, pranzano e cenano alla sua tavola. Quando non riesce a trovarne uno, lo chiama come se fosse il gatto di casa.
Se fosse una fiaba Alice nel Paese delle Meraviglie ex-aequo con la moderna Cenerentola che ascolta i Joy Division di Romeo Vernazza.
Se dovesse scegliere un mestiere farebbe la “donna di lettere” nel senso della postina però, con gli stessi poteri del postino di Domenico Dara.
Non ama defininirsi blogger, anche se ha un blog seguitissimo. Non è una donna del Sud. Recentemente ha scoperto il termine fanzine. Ma in realtà è una linker ovvero una persona che riesce a creare collegamenti  in una prospettiva multidisciplinare e di scambio continuo.
Ippolita, regina senza corona di un regno che non c’è, come l’isola di Peter Pan e di Peter Pan ha mantenuto quella euforia, quello stupore, quello spirito fanciullino che le fa battere le mani esclamando “Evviva” quando una cosa le piace, la fa felice. E a proposito di felicità, le basta davvero poco. Piccole felicità… per dirla con libro che entrambe abbiamo amato e raccontato.
Un regno doppiamente virtuale il suo, perché non è di questa terra ma neanche di lassù. Appartiene a quella vita parallela, quella second life, magistralmente raccontata nella favola della gabbietta. Un giardino recintato dove tutti siamo più o meno rinchiusi e dove lei, dopo essere stata bannata, segnalata ed espulsa, perché considerata un troll che, nel gergo di internet, è soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l'obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi, si è ritagliata il suo spazio social a cui affida le proprie riflessioni personali e metaletterarie. Così, in poco tempo, viene seguita, corteggiata, ricercata, invitata come un vero e proprio guru della letteratura soprattutto per la sua capacità di scouting nello scovare giovani talenti. Da bannata a blandita… ma non tutti è concesso di entrare a far parte del suo regno.
Il regno della Litweb, finestra sul mondo. Elemento architettonico familiare dalle molteplici declinazioni estetiche o funzionali, la finestra  gioca un ruolo essenziale nella vita quotidiana, tanto individuale quanto sociale: essa è fonte di luminosità, di visibilità, di comunicazione e, nel contempo frontiera tra due spazi, quello esterno e quello interno, spesso antitetici. Nel primo caso, quello esterno, delimita un frammento di reale che si offre alla rappresentazione. Nel secondo caso, quello interno, perimetra uno spazio altro, più intimo, votato alla contemplazione e all’immaginazione.
Tuttavia, la finestra chiusa segna una separazione radicale tra questi due spazi antitetici organizzati intorno ai poli opposti silenzio/rumore, solitudine/folla, calma/frenesia, calore/freddo.
Se invece la finestra è aperta o socchiusa, lo spazio privato può far trapelare delle informazioni personali, intime che investono lo spazio pubblico e viceversa ciò che appartiene allo spazio pubblico può interferire con il proprio privato influenzandolo e modificandolo. 
Testimone di questa reversibilità degli spazi, la finestra partecipa così al doppio gioco della esibizione e della dissimulazione diventando dunque metafora dell’occhio e quindi della stessa attività di creazione estetica, poetica o simbolica.
È così che Ippolita elabora una propria visione del mondoriuscendo in quel delicato e difficile lavoro di sintesi del “doppio sguardo” che procede dall’esterno all’interno e viceversa. 
I suoi scritti sono a prima vista deliranti, non certo nell’accezione psicopatologica di disturbo caratterizzato da un’alterata interpretazione della realtà, ma in senso etimologico. Dal latino lira, "solco", per cui delirare significa etimologicamente "uscire dal solco", ovvero dalla dritta via della ragione - del conformismo dire io.
In questi anni di stupido cicaleccio sentimentale e di scribacchini innalzati al ruolo di scrittori, Ippolita è una eretica della scrittura che non ama compiacere. I suoi testi, spesso, non hanno un filo conduttore visibile, ma hanno un andamento irregolare, random quasi. Zeppi di richiami e di rimandi incrociati… Si passa dalle canzoni alla filosofia, dalla nutella a Dio, dalle filastrocche alla fisica quantistica… e con leggerezza (che leggerezza non è superficialità, come diceva Italo calvino)ci invitano a leggere la contemporaneità in una prospettiva nuova, insolita a volte, ma mai banale.  

giovedì 15 novembre 2018

Nadia Terranova Addio Fantasmi



 Leggo e ritrovo nel libro di Nadia Terranova spezzoni di vita conosciuta, di quando una mia mia amica mi disse come Sara a Ida,  mi ritrovo nei dialoghi fra Ida e la sua mamma, con storie e reconditi fatti passati molti diversi.
Il dialogo plausibile e universale, uguale al nostro dialogare, racconta, senza raccontarlo, il compito del lettore nel suo dialogo con un testo. 
Se il testo fosse Ida e io fossi Sara, Se il testo fosse la mamma e io fossi Ida e viceversa, facendo questo gioco ho preso a leggere e rileggere Addio Fantasmi relegando alla trama un lato, una vista laterale. Affascinata da ciò che tutti noi, scriventi, abbiamo colpevolmente cercato: l'attenzione sui nostri scritti.
Una vera ossessione.
Il Libro di Nadia Terranova è fatto di rimandi e di ritorni, di rimpianti e di rancore, di risposte e di rincorse, di rassicurazione e di rumori.
La lettera erre del nostro alfabeto ci rovista e ci ritrova. 
Addio fantasmi, amandovi e facenti parte del nostro vissuto, addio e arrivederci, telefonando e telefonando a chi ci risponderà, per non lasciarci soli con voi.
La voce del marito di Ida risponde dal luogo della necessità, necessità di un equilibrio, affinché la protagonista non sia presa per mano dal fantasma che sta in lei.
Ida fa il suo viaggio di andata e ritorno e resiste.       
Nadia Terranova a pagina 147 fa dire ad Ida: "Chiusi la conversazione, strinsi il telefono fra le mani e ringraziai il miracolo tecnologico che permetteva di lasciarsi invadere da un'altra persona a centinaia di chilometri di distanza, farsi modificare l'umore da lei e chiederle aiuto per resistere"
Nel farsi crescere dal racconto altrui, nel farsi idea di ciò che lei sia, nel farsi storia di un racconto unico, mi sembra un farsi fascinante questo romanzo che consiglio, che amo, che mi abbraccio. 
" Veniamo tutti da un funerale, tutti abbiamo perso qualcuno e sappiamo quanto lunghissimo e ingiusto sia il tempo davanti a noi, il tempo senza quella persona. Il tempo che cominceremo a contare anno dopo anno, a partire dalla perdita. Delle vite degli altri non so molto, ma se aprissi uno spiraglio la mia solitudine diventerebbe affollata" pagina 195
Ed ora mi appunto questa lettura che Nadia Terranova fa in una intervista: "C’è un racconto di Leonardo Sciascia che ha un incipit bellissimo e dice che esiste soltanto un paese  nella vita cui poi torniamo e che ricreiamo nella letteratura, si intitola "Paese con figure" contenuto nella raccolta "Il fuoco nel mare" pubblicata da Adelphi. "Quando saremo lontani da questo piccolo paese in cui siamo nati e viviamo, quando finalmente ci sentiremo nascere dentro amore e nostalgia per le cose che oggi ci circondano e mortalmente ci annoiano -  di queste povere case ammucchiate, di queste persone che ogni giorno  incontriamo, il nostro ricordo riuscirà forse a comporre una  di quelle infantili e amorevoli costruzioni in cui cubetti di legno e figurine di coccio fanno affettuosa armonia; una povera e incantata armonia’’. Trovo in queste righe la sintesi di quello che accade quando ricostruiamo con la letteratura il nostro luogo dell’infanzia, senza mitizzarlo però, cioè rendendoci conto che da un punto di vista umano, personale e psicologico è stato comunque una burrasca. Non abbiamo scelto, certo, il posto in cui vivere,  non abbiamo scelto la famiglia dalla quale siamo stati condizionati e spesso ne siamo scappati, come anche nel mio caso. E poi, a un certo punto, siamo tornati in quella provincia  alla quale  attribuivamo tutti i mali del mondo pensando magari da ragazzini : "se non avessi vissuto qua, chissà cosa sarei, cosa farei, mi tocca questo luogo’’. Invece abbiamo letto, pensato, amato, c’è tutto quello che poi siamo diventati."
Grazie mille a Nadia Terranova 
Addio Fantasmi amatissimi nel Regno della Litweb 
Ippolita Luzzo 


lunedì 12 novembre 2018

Le storie di Domenico Conoscenti: Quando mi apparve amore

Storie più che racconti compongono il libro di Domenico Conoscenti. Leggo questi nove racconti, più la lettera al lettore, a modo mio, mi ritrovo a ridere con l'autore quando, iniziando io spesso dalla fine, vedo subito scoperto il mio gioco dal suo consiglio, dal suo immaginarmi leggere un solo racconto al giorno, qualunque sia la forma o la durata. Saltello leggendo squarci, faccio orecchiette, orecchiette al libro, non al sugo, e mi ritrovo in quella alunna al primo banco, intenta a scrivere e scrivere sul mio diario, sul banco.
 C'era proprio tutto questo sul mio diario: strofe di canzone, versi e cancellature, scarabocchi e Jacovitti, disegni e titoli, malessere di un tempo diventato scrittura e poi un bel giorno strappato e buttato, dopo essere stato conservato per anni.
"Il dettaglio anomalo" è la scrittura di oggi, quel varcare la soglia dell'altro, quel leggere l'altro, come un fratello, un fratello di scrittura. 
"Col tempo si dilatano gli intervalli" e col tempo sai, col tempo tutto se ne va. Resta prepotente la voglia di scrivere per pochi, pochissimi, per chi crediamo siano una parte di noi. 
Mi accorgo di essere io Mimmo Conoscenti, in una immedesimazione di concetti, in una contestualità fatta di frasi, nostri pensieri. 
Mi siedo sempre meno a scrivere, sempre con meno voglia, se non fosse che un racconto, una lettura fatta, non cominci a tempestarmi, a obbligarmi quasi, di scrivere. Un tempestio affettuoso, una vicinanza fatta di passeggiate con il libro in mano, di continui ritorni al bosco narrativo, alla selva oscura della frase. 
"Vampe d'agosto" sarà dunque quella selva, se immaginiamo questo cammino nei racconti come un peregrinare nei peccati, nella sete di vendetta, nei delitti, nelle assenze. 
Leggo a mia mamma la poesia di Leonardo Sinisgalli, messa all'inizio di "Visione, una distanza ci divide." 
Si fatica per anni/ a sciogliere nodi,/ a dare un'immagine/ favolosa a una ciocca/ illeggibile di segni perduti.
Stiamo a guardarci con mamma, io di 64, lei di 94, con gli anni vuoti, con me "la certezza di esistere come evento irripetibile, una storia che hai già ascoltato tempo fa e che ritrovi scritta nel libro della tua memoria, ma ti piacerà sentirla una volta ancora, uguale e differente e con la mia voce di adesso."
Nei racconti di Mimmo Conoscenti vi è una dolente separazione fra pulsione e realizzazione, fra impossibile incontro di affetti, fra mondi di maschere e di infingimenti, per sopire quel che si crede sia un sentire, nel terrore di sentirsi fuori dal gregge.
 Lui ci parla di sessualità, ed è sempre un terreno oscuro, come oscuro è l'oggetto del desiderio, sia esso da uomo ad uomo, da uomo a donna, e viceversa da donna ad uomo, da donna a donna, oppure molto più semplicemente fra noi e noi, in un io solipsistico che abbraccia se stesso, sfuggendosi. "A fare la differenza è la vita che si è fatta" e rimango sempre con la candela in mano ad illuminare un Eros scomparso alla vista di Psiche. 
"Alla marina" e nel mare delle sensazioni annegheremo, leggendo e rileggendo ciò che "una sola volta non basta" dico io. 
Non sono sicura di aver ancora posseduto il testo, nel difficile rapporto amoroso che si instaura fra lettrice e lettura, e ho la stessa trepidazione dell'autore nell'affidare al blog i miei pensieri di oggi, convinta che domani sarebbero migliori, sarebbero ancora più vicini o più lontani "Attraverso gli schermi" di un grande scrittore. 
Nell'affabulazione che è favola e tragedia abitano le storie di Mimmo  Conoscenti nel regno della Litweb 
Ippolita Luzzo 

   

sabato 10 novembre 2018

11 novembre 2018 Tagliare il mantello

Il sole splende e l'estate di San Martino si riconferma ogni anno con il mantello tagliato a metà e donato a chi mantello non ha. 
Seduta qui disinnesco l'inquietudine di non credere vero e possibile ancora l'esistere di un Martino che tagli il mantello.
Mi sembra improbabile un gesto di così grande solidarietà e pur anche ci fosse chi farebbe il gesto di Martino ora sarebbe guardato con sospetto, e pur anche ci fosse gli sarebbe impedito di esistere.
Tagliare il mantello in due pezzi, in tre pezzi, in moltissimi pezzi, tanti sono coloro che hanno bisogno di un pezzo di stoffa, di un tetto, di una cittadinanza, di diritti. 
Sono contro l'elemosina del singolo, la trovo offensiva, l'elemosina non dà dignità, costringe il ricevente a dire grazie, a sentirsi inferiore.
Nella storia di San Martino però ogni gesto viene edulcorato dall'aureola di santità ed allora evviva Martino, 
evviva Mimmo Lucano,
Evviva evviva i tanti Martino che sanno tagliare un mantello, fin quando sarà possibile.
Pezzi per tutti nell'estate di San Martino calda e chiara di un 2018 invece crudele  

giovedì 1 novembre 2018

Morto

Da un  mio post del 2015:
 Morto da molti anni il fratello di papà che andava ogni giorno a trovarli, si sedeva accanto al camino e diceva: "Chiovi, e chiovi chiovi, quandu chiovi un sicca nente." vuol dire "quando piove non secca nulla."
Morto da anni il fratello di mamma che ogni tanto andava a raccontare le sue stralunate avventure da bevitore e suonatore di mandolino, morto da troppi anni mio nonno, unica intelligenza ironica che io mi porto appresso e morta la nonna con le sue favole, ora andare a casa dei miei cari ogni giorno solo per riscrivere i proverbi di mio padre e le umiliazioni di mia madre, le difficoltà di un fratello e il mortorio di fondo che sussurra.
Novembre 2018
Da allora ad oggi salgo in centro ogni giorno, e il mortorio diventa un sussurrio di passi, di gesti, di sguardi. 
La casa grande, la mia mamma pulisce. Ordinatissima, lei, la casa e il mondo intanto sparisce, si trasforma.
Subito fuori brutture su brutture, cacche di cani agli angoli, muro sbrecciato di fronte, brutte scritte lordano i muri della via, sconosciuti di ogni nazionalità trascinano pacchi e borsoni, si stabiliscono per poco poi scompaiono, intorno cancelli, grate, chiusi gli infissi delle case di fronte. Morto il vicinato. Morto. 
Salgo ogni giorno al centro dove sta la casa dove sono nata, e mi accorgo quanto ormai sia un gesto di risposta alla mia mamma, che mi chiede, al cellullare, cosa faccia. Sto salendo, le rispondo.
Morto il mondo del vicino, dei vicini, non conosco quasi i miei vicini, morto il mondo intorno a noi, celebriamo ciò che il mondo è diventato: un cimitero di buone intenzioni.