lunedì 30 dicembre 2013

Discorso di fine anno



Fine anno

Discorso della regina a reti unificate

Sì, lo so, avrei dovuto farlo il 25 dicembre
come la regina Elisabetta

Ma non ero pronta.

Così, con il presidente della repubblica, costituzional parlando, mi rivolgo ai miei sudditi, pardon cittadini Ah ah

Cari sudditi, abdico.

Vi lascio il mio regno.
Regnate voi adesso, che io non ne posso più di esser chiamata regina.

Ho un nome proprio che mi piace tanto, Ippolita, certo anche lei mitologico, una regina, delle amazzoni, però.

Ho un cognome, e ho un blog.

Come tutti i regnanti però voglio dire al mio popolo tutto il bello che è stato fatto per loro in questo anno.

Un lavoro duro, attento, un continuo leggere tutti, elogiare tutti, incoraggiare e spronare i meritevoli e bacchettare amorevole chi qualche errore faceva.

Non metterò molti punti esclamativi perché ho appena letto che sono segni fascisti, dittatoriali, metterò tanti punti interrogativi  che aprono il pensiero a risposte varie.

Abbiamo, plurale maiestatis, nel regno, abolito i partiti, il voto.
Che votano a fare i cittadini se tutto resta sempre tale e quale?
abolito provincie e regioni, comuni e quartieri, tanto tutto si governa da sé, abolito il denaro e il lavoro salariato.

Abbiamo liberato tutti dal bisogno ossessivo di cercare un impiego, qui tutti scriviamo quindi già lavoriamo.

Abbiamo abolito i premi e le associazioni culturali, noi fummo già colti, che più colti non si può proprio più, come potrebbero ulteriormente premiarci se già abbiamo vinto Il Nobel, lo Strega,  Il tripode acceso e spento? La Farfalla d’argento e il dolce e natalizio Ciccio bello con tutto il suo ritornello?

Abbiamo abolito i giornali, ci incensavano troppo, nessuno ci correggeva, abbiamo capito che ci prendevano in giro.

Erano troppo noiosi, scontati e ripetitivi.
Abbiamo lasciato in vita solo la cronaca, i comunicati ed i giornalisti del regno ruspanti, giovani e senza speranze.

Abbiamo chiuso da sempre ogni canale televisivo, per divertirci basta leggerci qui, basta soltanto scorrere le note dei nostri profili ogni mattina.

Abbiamo ucciso ogni vizio antico, gli arrampicatori non sanno più dove arrampicarsi, hanno raggiunto tutte le vette, gli invidiosi non hanno invidia, qui ogni desiderio è esaudito.

Convinta di aver fatto un buon lavoro vi auguro un nuovo e grande Natale, un Capodanno dell’anno tremila, Pasqua, Ferragosto ed Epifania

Con tutto l’amore che io vi ho dato

La vostra regina ha abdicato.

Da oggi un nome un po' insolito
voglio chiamata soltanto

                                                                      Ippolita


La vita é un giorno




La vita é un giorno

La Vita è solo un giorno

Scende la pioggia ma che fa, cantava Gianni Morandi.
in inglese è Elenore cantata dai Turtles

Riconosco questa canzone, poi  Senza Luce, I Dik dik
Whiter Shade Of Pale dei Procol Harum

Vedo questo film in apnea, ringraziando la sorte che mi ha spinto nel cinema Umberto

I Love Radio Rock (The Boat That Rocked) un film del 2009 scritto e diretto da Richard Curtis,  sulle radio pirata inglesi degli anni sessanta, la storia di Radio Caroline. Un atto d’amore verso la musica rock.
Le canzoni degli anni sessanta e i gruppi che nascevano allora
I Beach Boys, i Kinks e gli WhoFlash dei Rolling Stones
Dal 1967 ad oggi non é passato neppure un giorno.
Tantissime radio che ritornano
in effetti io  sento per la prima volta
Perché il diaframma fa passare e non fa passare 
alza il diaframma e respira
ti dicono i maestri zen

Nella straorzante virata che fa la tua barca puoi sempre contare su zattere e natanti che accorrono in aiuto nella procella-
Il mare freddo del nord, le onde radio, la voce e il suono.
vibra su tutto l'esaltazione e l'entusiasmo di essere vivi
ed eterna è la sconfinata allegria di testarsi capaci di cotante osare.
Dall'alto del pennone si ha la vertigine che ti fa tuffare giù, a capofitto, e il conte ed il re, si ritrovano amici.
Una sfida a noi stessi, alla piaggeria, al monotono e arido formular  editti, una sfida al Regno Unito d'Inghilterra, ai burocrati e alle carte.
ci salverà la musica...
i film, 
la poesia di Calogero 

La vita è un giorno, il sorriso della poesia

Lorenzo Calogero
Il tuo sorriso è un sorriso oggi all'oscuro
e contiene gli echi di ogni distruzione.
Tu ti appoggiavi un momento sulla mia guancia.

venerdì 27 dicembre 2013

I fiori danzanti di Amedeo de Benedictis




Si può dipingere ogni cosa
Basta soltanto vederla.        Giorgio Morandi







Leggo questa frase sulla rivista di arte che lui mi porge, prima di aprire la pagina sui suoi quadri.
Leggo e ascolto la bella sinergia, la capto, ecco perché la sento, fra Alberto Badolato e Amedeo de Benedictis, due modi di essere, due modi di vedere la materia, il colore, la percezione.
Loro due possono dipingere ogni cosa, loro.
La vedono e la trasformano.
Uno astraendola, l’altro mutandola.
Dall’astratto alla metamorfosi, due atteggiamenti di caratteri diversi, entrambi con connotazioni forti, scelte di vita, prima che pittoriche.
Ogni artista butta nel  momento creativo il suo carattere, la personalità che è. Per questo mi affascinano le biografie, nonostante poi Amedeo mi dica che bisogna guardare solo il quadro, solo il racconto, così mi dicono anche altri, io non riesco. Il quadro mi parla di chi l’ha fatto, perché come dice Cocteau, chi scrive o dipinge o suona, sempre il suo autoritratto fa.
Vi cito Cocteau, perché dice le stesse cose che dico io, non per un delirio di supponenza ma per avvalorare le parole di una sconosciuta che parla senza avere mestiere.
 Sono una semplice fruitrice del bello e dell’arte che scrive solo per affetto.
Diverso è invece quando si giudica  un prodotto da chi l’ha fatto ed è il nome che vende bene e non il suo contrario. Ma questa é una logica di mercato che non  ci appartiene. Non siamo fra venditori ma fra persone che posseggono il fuoco della creazione, l’urlo delle forme che vogliono nascere, il parto generativo del momento parlante. Se parlo se scrivo se dipingo un motivo c’è…
E così mi ritrovo a canticchiare

Sincera
come l'acqua di un fiume
di sera
trasparente eppur mi sembri nera
diceva Lauzi...
Ho visto
cattedrali di luce nel cuore
Troppo sole può fare morire
Ecco proprio non sapevo che questo testo mi sarebbe apparso nel momento in cui io danzavo con i fiori in mano.
 I fiori di Amedeo de Benectis non somigliano a nessun fiore, eppure profumano e si spappolano musicalmente in note gioiose...
L'idea di fiore non è un fiore. Una idea è pur sempre un'astrazione, dicono insieme Gaber ed Hegel. Le gerbere, dalla realtà della composizione al divenire colore su tela, camminano da un concreto verso l'immaginario trasformandosi. La metamorfosi che tutti attuiamo quando introiettiamo in noi quello che odoriamo, tocchiamo, vediamo. E poi ributtiamo in forme varie a secondo come riusciamo a goder di tanto dono
Dalla realtà all'astrazione e poi di nuovo realtà, un masticare che dovrebbe dare una maggiore digeribilità ... Tanto per citarmi da sola
Alberto Badolato interviene " Dall'astrazione all'idea astratta e poi dall' idea astratta all'astrazione. La realtà è dentro e fuori di noi, ci dà ricordi, sensazioni, emozioni... l'astrazione nasce nella realtà ma non è realtà... è rinuncia alla realtà. Ma l'astrazione non è fuga dalla realtà né tanto meno può diventare un mezzo per superare i "colpi reali". Per me è un modo di essere che si libera dalla realtà nel momento, e solo nel momento, in cui riesce a liberarsene".-
 Ed io dico: "Liberiamoci, dunque, dalle nostre catene. Possiamo? In una bella poesia di un carcerato lui vedeva le sbarre delle nostre astrazioni più reali e chiudenti delle sue sbarre. Temo che abbia ragione. D'altronde abbattere le sbarre dell'astrazione comporta coraggio! Quello sì, reale. Astrarsi comporta rinuncia. Anche gli eremiti sì astraevano
 Ci si libera liberandosene, come dice Alberto.
Ed io concludo indegnamente questo collage di canzoni, spezzoni di dialogo, da conversazione reale a conversazione virtuale, un mio parlare di colori  fatti di fiori, di fiori viventi e parlanti che danzano al suono della metamorfosi generale, dopo che il cavallo ha perso la maschera, la grinta ha affrontato sputi sentenze e umiliazioni, dopo che il tempo passò e l’urlo divenne solo fioco ricordo, esile momento di rabbia che accecava il vedere, dopo che  "dall'asfittico spazio del destino", scrive la poetessa Pina Majone Mauro, si è trovato il varco della poesia, dei colori, dei fiori.
Molti rimangono intrappolati nella rabbia, nel rincrescimento diventano prigionieri dei loro stessi lamenti, altri, vanno altrove con in mano soltanto un fiore, una penna, una tavolozza di colori, una nota… facciamo sette, le sette note, i sette colori dell’arcobaleno, la legge del  sette di Gurdjeff, dove  tutto è energia…
Come coriandoli, una manciata di petali. Nuovi coriandoli sopra di noi scendono e si fermano solo se vedono la tela
 Si spiaccicano proprio 
Splash, il suono del colore
…. 

Come dice la figlia delle sue tele: sono loro che osservano te, con affetto aggiungo io. Con grande serenità.