sabato 29 giugno 2019

Antonio Forcellino: Leonardo, ritratto di un genio. A palazzo con lo scrittore

Ed eccoci a Palazzo Nicotera, serata conclusiva di "A Palazzo con lo Scrittore", una rassegna ideata e diretta da Raffaele Gaetano.
Tre incontri con tre autori per far conoscere i palazzi storici di Lamezia Terme. 
Questa sera con noi Antonio Forcellino parlerà di Leonardo, ritratto di un genio.
Il genio dissipatore- potrei chiamare io, usando blasfemia, Leonardo Da Vinci. Stasera Forcellino ci ha regalato un Leonardo inedito, umano, indipendente e fermo nelle sue visioni, un conoscitore di zoologia e botanica, un uomo curioso e in attesa della rivelazione.
L’arte come rivelazione, come prova.
Cosa spingeva Leonardo a preparare feste e quindi fondali scenografici andati persi?
Cosa spingeva lui se non un desiderio di riscatto, potremmo noi banalmente dire ora con un termine preso dalla psicologia? Leonardo è un grande pittore, il più grande della sua epoca, il più grande fra grandissimi, Raffaello, Michelangelo, in un Rinascimento italiano, epoca d’oro dell’arte mondiale. 
Forcellino ci racconta Leonardo attraverso le fonti del tempo, gli scritti del Vasari e di Baldassarre Castiglione, Il Cortigiano, un Leonardo già trentenne che dipinge La Vergine delle rocce ammaliando tutti per l’uso nuovo della luce. La luce che rimbalza sui corpi e colpisce ancora altro con le tonalità diverse a secondo del colore del corpo. Un Leonardo capace di stare ore e ore davanti ad una sua opera in attesa della pennellata. 
Meditava? 
In quale luogo si rifugiava con la mente prima di vedere quello che avrebbe creato sulla tela? 
Nel suo capolavoro della Gioconda lui toglie, toglie la donna della buona borghesia che aveva fatto da modella, toglie ogni particolare che riporti a un solo personaggio e dona l’universale femminile, l’anima del sorriso, la dolcezza della umana pietà. 
Il sorriso enigmatico che sarà il più riprodotto, il più fotografato, il più visitato, diventando un’icona di genialità pittorica. Ed eccolo Leonardo, trasformato e usato dal fascismo e ora dagli americani, eccolo sfuggire ad ogni classificazione con il sorriso della Gioconda.
Dal Palazzo Nicotera stasera anche io col sorriso saluto e ringrazio  Antonio Forcellino e Raffaele Gaetano, la splendida padrona di casa Maria Luigia Cimino, e mi appresto a leggere il libro dedicato al genio dissipatore. 
Ippolita Luzzo   

L’ultimo caso dell’agente Evangelos Nicolas Verdan

Il romanzo come atto di resistenza
"Uscire, devo uscire dal libro, riprendere il racconto come voglio io, evitare di farmi coinvolgere dai ricordi degli altri. Devo parlare un’altra lingua, cambiare vocabolario. La mia missione è ripercorre le vite precedenti, spiare le vite degli altri, quelle delle persone che interrogo, di coloro che faccio sorvegliare."
L’ultimo caso dell’agente Evangelos di Nicolas Verdan, Nuova Editrice Berti Parma 2019, ha per protagonista l'agente Evangelos. 
Sembra il destino nel suo nome.
Io mi domando come mai sia arrivato da me.
Domanderò ad Evangelos.
Intanto ringrazio e leggo questo racconto avvincente che inizia col ritrovamento di una testa mozzata, con i passi che causeranno la decapitazione all'uomo che ci appare di passaggio in un parcheggio di Eros, un equivoco bordello.
Siamo in Grecia e siamo in questi tempi orribili di esodo, di invasioni di popoli che si spostano, di individui ai limiti di una sopravvivenza che fuggono e fuggono verso filo spinato, mare infido e muri altissimi.
 Dalla seconda lettera ai Corinzi: I pericoli. "Viaggi innumerevoli... pericoli nella città, nel deserto, sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli" Sarà stata sempre così la storia dell'uomo? me lo chiedo smarrita.
Il racconto affascina per aver dato vita ad ogni singolo gesto, alla stranezza della storia. Vi è quel senso di stupore che prende mentre tutto scompare davanti al protagonista che indaga certo su una testa mozzata ma indaga soprattutto su un filo spinato, su un muro che deve dividere popoli, storia, e il passato dal presente. Un romanzo poliziesco storico e insieme una tragedia classica con uno strano deus ex machina, un nonno di una bimba chiamata Vita.
 Il testo ha un senso del racconto molto amato. Lo scrittore ama ciò che scrive e noi con lui amiamo quella storia dove in tanti non raccontano più il passato ma stanno nello sperdimento del presente. Evangelos non ricorda oppure non racconta più ciò che è stato il suo passato.
Nessuno è sicuro più nemmeno dei ricordi. 
La storia ci viene incontro romanzata, la Grecia, Atene, i confini, chilometri di filo spinato che il governo greco vuole srotolare fra la Grecia e la Turchia. Un baluardo contro i migranti, un affare di 3, 5 milioni di euro.  
Un romanzo noir con la tensione giusta per far passare il messaggio. Una critica sociale.
Dice Nicolas Verdan a proposito del romanzo noir, in generale: "Le roman noir est pour moi un mode d’expression, une manière de mettre en tension le récit en faisant passer un message, affirme l’auteur. Mon livre est une critique sociale de la Suisse d’aujourd’hui et, en reprenant les codes du genre, je parviens à mieux témoigner d’une forme de violence". Forte di questa  convinzione, Nicolas Verdan ha aperto a Losanne nel 2015 una libreria antiquaria specializzata nel romanzo noir. Il suo nome: "Molly & Blum", da "Ulysse" di James Joyce.
 Per l'Italia Nicolas Verdan, L'ultimo caso dell'agente Evangelos è stato tradotto dal francese da Francesca Cosi e Alessandra Repossi che per questo volume hanno vinto una borsa di traduzione di ProHelvetia.
"Per cogliere il movimento ci vuole un’inquadratura fissa. Tendiamo a considerare le cose sempre dallo stesso punto di vista. Cercare di cambiarlo significa condannarli a rifiutare il cambiamento. Ma noi siamo governati dal cambiamento" pagina 25
Ringrazio la Nuova Editrice Berti di Parma che in questo 2019, confuso e fatto di muri e sbarre, abbia scelto di offrire una lettura di riflessione e di pathos. Il libro è un romanzo appassionante e noir, come nera è la storia del nostro tempo, di tutti i tempi.
In Litweb resistere è d'obbligo, con la lettura come atto di resistenza.
Ippolita Luzzo   



Nicolas Verdan

Nicolas Verdan è nato a Vevey nel 1971, da madre greca e padre svizzero. Ha lavorato quindici anni a Losanna per il quotidiano 24 Heures, prima di mettersi in proprio: propone tra l’altro dei seminari di scrittura. Il suo ultimo romanzo, Le Patient du docteur Hirschfeld, gli ha permesso di vincere il Premio del pubblico della RTS e il Premio Schiller del 2012. Nicolas Verdan vive a Chardonne.

mercoledì 26 giugno 2019

Recensione di Teodolinda Coltellaro su Pezzi dal Regno della Litweb

Teodolinda Coltellaro ha molto amato i miei pezzi e ieri a commento della recensione fatta in occasione della sua presentazione al MARCA con Anna Macrì dice:
I tuoi Pezzi sono lo specchio inquieto di una società che ha perso la capacità di autoanalisi, asservita alle deità' del tempo. Per fortuna ci sono i pensieri liberi come il tuo a restituirci la giusta misura del vero.

Pezzi di Ippolita Luzzo: quando un libro è una finestra sul mondo

"PEZZI dal Regno della Litweb",  è il titolo del recente libro della blogger lametina  Ippolita Luzzo, pubblicato per Città del Sole Edizioni, per cui  Letizia Cuzzola ha selezionato tra gli oltre mille post del suo blog scritti  nell'arco temporale che va dal 2012 al 2018, quelli che ne costituiscono la sua sostanza letteraria.

Dopo la riuscitissima presentazione in un luogo d’arte e di cultura come il  museo MARCA di Catanzaro nel mese  di gennaio scorso, dove  io stessa, col contributo  dell’attrice e scrittrice  Anna Macrì nonché della stessa autrice Ippolita,  ne ho delineato un excursus  analitico, il libro continua il suo percorso divulgativo riscuotendo ampi  consensi e attenzione dal pubblico e dalla critica letteraria,  è stato  presentato, sempre da me, nell'ambito  del “Fare critica festival”, a Lamezia Terme. Io l’ho letto con la fertile curiosità della scoperta, del “vediamo cosa propone la pagina dopo”, dell’indovinarne  il sorriso  caustico  nascosto tra le righe, insieme a  tutti gli aspetti  linguistici dirompenti di una scrittura  modulata per il web: creativa, breve, immediata che si offre ad una lettura altrettanto veloce da consumarsi nel giro di pochi minuti e in quella brevità incidere, graffiare, restare, ritornare, scavare, lentamente e in profondità.

E, leggendo, ho scoperto come, gioiosamente e con "grazia", ogni pezzo  evidenzi i limiti e i parossismi di un contesto ( "il testo ha bisogno di un contesto in cui enunciarsi"-E. Morin) fatto di complessità in cui si tessono, si intrecciano relazioni spesso segnate dal “minima moralia” dei nostri tempi, “dall’indigenza della spiritualità” o, più semplicemente,  dall'aridità o fecondità di valori che il singolo contesto comporta, laddove  ci si  può sfiorare senza incontrarsi, ciascuno perso nell’ insignificanza del proprio destino o nella solitudine di luoghi e cammini individuali.

Ho letto, nella consapevolezza che  il libro si possa, dopo una prima lettura, assumere anche per monodose, soffermandomi di più su alcuni testi, rileggendoli dunque, nella densità ed efficacia stilistica  del  linguaggio, per meglio assaporarne la vena ironica, dissacrante, l’analisi, a volte tagliente e senza mediazioni, del reale, del quotidiano con le aberrazioni e le discrasie che solo può cogliere e sagacemente restituire  chi nella parola scritta coltiva il pensiero libero, non asservito ad alcun potere, la libertà di  interpretare il mondo  affacciandovisi, come ad una finestra, da un blog che traduce la transitorietà e la frammentarietà  di un universo in costante mutazione, liquido, come è, per sua stessa natura, quello del web. E il suo blog, da cui il libro è, appunto, una ben articolata restituzione, è proprio una finestra sul mondo- come dalla citazione di Raffaele  La Capria- “  è un’identità forte , capace di includere in sé tutte le altre” .

Così, ogni pezzo del libro di Ippolita  può essere assimilato al singolo punto di un ologramma ognuno  dei quali  contiene il tutto – il mondo-  di cui fa parte e, nello stesso tempo, il tutto, ossia il mondo,  fa parte di ognuno di essi. Ne consegue che “ si deve  ricomporre il tutto per conoscere le parti” e “una finestra  aperta sul mondo” permette di farlo, nei singoli  frammenti, nei singolo “pezzi” che lo contengono. Il libro, quindi, è un territorio semantico in cui le parole, i pezzi raccontano, dicono dei  destini individuali e collettivi, della bellezza di un quadro, dell’armonia di un testo poetico e della dolorosa poesia del vivere, dell’emozione di un libro,  di uno spettacolo,  di un evento. Il libro sottrae i pezzi scritti da Ippolita alla dispersione del tempo, all'esasperante  velocizzazione dell’esistente, li preserva  così dai perversi meccanismi  di fagocitazione bulimica, di consumo senza memoria, imposti  dal divenire incessante del mondo globalizzato. I suoi pezzi vanno oltre la dimensione liquida dell’eterno presente, sollecitando il pensiero a percorsi  interpretativi più profondi che non si esauriscono nel “qui ed ora”. È per questo che, laddove Ippolita  ne promette la pubblicazione postuma, la traduzione cartacea dei suoi “Pezzi”, il suo libro insomma, diventa  non già l’apparente nemesi dei suoi intenti contraddetti, ma  la  possibilità preziosa di ripensare il presente e il contesto  e di  riflettere  sul nostro futuro che si annuncia più povero e fragile allorché il nostro  vissuto si dissolve nella dimensione virtuale dell’esistere.

Teodolinda Coltellaro






"Teodolinda Coltellaro, fa parte del Comitato Scientifico del Marca, ed  è, forse, la sola in Calabria che svolge 
un'intensa  attività  critica collaborando con quotidiani, riviste e periodici di Arte contemporanea e con musei nazionali ed internazionali,  lavoro  documentato presso l’ archivio storico della Quadriennale nazionale di Roma. La sua attenzione è rivolta alla cura di cataloghi e mostre allestite sia in Italia che all'estero." 

domenica 23 giugno 2019

La filosofia del cazzo: Forma e contenuto

"Tante persone se ne sbattono un cazzo" con questa chiusa finisce il suo intervento a Trame, Festival dei libri sulle mafie, lo Chef Rubio, Gabriele Rubini, nell'intervista condotta da Gaetano Savatteri nella Piazzetta San Domenico all'ora del maggiore ascolto. 
Il pubblico è quello delle occasioni pubbliche molto ben pubblicizzate e televisive, dunque ben disposto a sentire "cazzi" disseminati qui e là come florilegi. 
Lui è un fenomeno social, televisivo, un personaggio molto conosciuto. Per me è la prima volta che lo ascolto e che lo vedo, dunque lo conosco solo attraverso ciò che ci sta dicendo dal palco. Nel presentarsi, o almeno dalle sue parole, vengo a sapere che lui stava in Nuova Zelanda a giocare a rugby, poi, rientrato in Italia, ha iniziato la carriera di chef, prima però ha fatto tre anni di università e non diede nemmeno un esame. 
Questa sera presenta un video, un documentario prodotto da lui, da una sua società, suppongo.
 Fra le cose dette alcune sembrano di buon senso, il suo stare vicino alla vita in carcere e alle comunità Rom, il suo farsi carico di alcune istanze sociali, tanto che Savatteri rischia la domanda se lui, lo chef, sia di sinistra. 
Rubio risponde che lui sarebbe anarchico, alla Pinelli aggiunge, ed intanto si affretta a sconfessare subito dopo, rivolgendosi rassicurante alle forze dell'ordine e affermando di essere ben conscio dell'importanza dello Stato e delle regole.
Tutto quindi a posto.
 Nel suo discorso i cazzi non hanno il contenuto eversivo della parolaccia contro un sistema ma vengono elargiti, destrutturati, come modo di pensare un po' alla cazzo. 
Forma e contenuto divergono.
Vedo ciondolare, nelle suo dire, tanti cazzi, privi della appendice corporea, e mi chiedo perché questa grande impostura venga spacciata per un pensiero da applaudire. 
Facciamo prima a disgustarci ma mi accorgo di essere la sola ad esserlo, non tanto per i cazzi, che ormai flosci e inutili  mi fanno anche tenerezza, ma per quanto sia stato pericolosamente ingannevole un ragionare siffatto. 

Ippolita Luzzo 

mercoledì 12 giugno 2019

Il vuoto di Serena Penni

Risalgo alla prima lettura e alle prime sensazioni e cerco le tracce che avevo compulsivamente raccolto su una storia di relazione molto singolare, singolare nel senso di appartenere a una singola persona. Quelle relazioni asfittiche che finiscono in matrimoni:": Non riuscivo a rinunciare ad un sogno che per un tempo molto breve, eppure significativo, mi era parso realizzabile. Ora lo capisco: neppure io amavo Francesco, infatti non soffrivo davvero per le sue assenze. Mi piaceva, lo trovavo bello e, le rare volte in cui comunicava con me in modo sereno, anche simpatico, ma mi aveva delusa e l’amore era passato alla svelta. Però ero convinta di amarlo e questo bastava. Soffrivo per la solitudine e la disillusione."
Leggo in modo compulsivo il 14 maggio alle ore 13:52 la testimonianza di lui, e credo ci siano due colpevoli in un matrimonio, visto che a siglare il contratto sono in due i protagonisti  "Dopo il matrimonio, visto che con mia moglie per lo più mi annoiavo, iniziai quasi subito ad andare in giro per conto mio. Con la scusa di fermarmi con dei colleghi di lavoro o con gli amici del tennis dopo una partita, finiva che non cenavo quasi mai con Ilenia."
 Il vuoto matrimoniale raccontato a due voci, da parte di lei e da parte di lui, il vuoto matrimoniale "allietato", si fa per dire, dalla nascita di un figlio. Lei ce lo confida e noi non possiamo aiutarla a salvarsi da quella prigione, Vorremmo dirle di scappare, di andare via, vorremmo offrirle asilo, ma nessuno può aiutare un altro e tanto meno noi lettori possiamo.   
" Sono sempre stata sola. Ma la solitudine più grande della mia vita credo di averla sentita nei giorni in cui allattavo Paolino: ero chiusa in casa come in una tomba. Faceva troppo caldo per uscire, e io non avevo forze. Dal mio corpo uscivano lacrime, latte e sudore, più o meno in uguale quantità. Ascoltavo i rumori della strada: il clacson di un’automobile, un motorino, una discussione animata."
 e lei continua a chiederci aiuto, in una dipendenza ormai letale "Non so come, Francesco mi ha fatto il vuoto intorno. All'inizio è successo perché mi ha dato l’illusione di riempire lui tutti i miei spazi: era coinvolgente, travolgente, direi addirittura totalizzante. Poi le cose hanno preso il loro corso: un bel giorno mi sono svegliata e mi sono resa conto che avrei voluto chiamare il tale o il tal altro amico per bere qualcosa, per andare insieme a vedere un film, per fare una passeggiata, ma erano passati mesi, forse anni dall'ultima volta" ed eccoci qui, noi lettori, a sentire tutta la partecipazione ricordando simili situazioni e vedendo ancora oggi alcune e alcuni stretti e soffocati in un matrimonio assassino.  "Riesci a universalizzare situazioni individuali", ho scritto da subito a Serena Penni e riconosco in lei la grande abilità di aver saputo mettere su carta una follia a due chiamata matrimonio: Il vuoto. 
Un titolo che è già una epigrafe su anni ed esistenze sciupate a rincorrere sentimenti strazianti. Nel delirio di entrambi i protagonisti noi siamo collusi e guardiamo come un film, come se fosse troppo per essere vero, come se non fosse possibile eppure lo è, perché questo non è solo un romanzo ma una cronaca fedele di moltissime relazioni, chiamiamole amorose, come le chiama la stampa. 
Serena è riuscita ad entrare nei pensieri di entrambi e a donarceli così come si sono presentati, così come hanno vissuto, così come sono precipitati giù nelle delusioni della vita.
Una grande sensibilità la sua, con gli applausi del Regno della Litweb

Ippolita Luzzo  

Dolor y Gloria di Almodovar

Film presentato a Cannes. Non ha vinto ma è come se avesse vinto. Ho riso moltissimo già dall'inizio quando ci enumera i malanni con cui convive e che tanto cambiano il corso del suo vivere, ho continuato a ridere quando lui ci racconta come sia diventato un grande regista anche se totalmente ignorante in storia e geografia perché doveva cantare nel coro del prete al seminario. 
Da regista aveva imparato la geografia viaggiando per presentare i suoi film. Ho continuato a sorridere felice alle scene coloratissime delle donne al fiume a lavare i panni e stendere le lenzuola mentre cantavano e ballavano quasi sotto gli occhi del ragazzino che era stato.

Ridendo ho seguito il suo vivere stanco e senza più mordente benché il gioco prendesse la mano e si facesse quasi unico filo conduttore per unire attori alla trama. Così il legame con l’attore del suo film di trent'anni prima, interrotto allora bruscamente ritorna di nuovo a riprendere la via del litigio, di nuovo, per poi approdare ad una nuova collaborazione.
 E tutto si incastra pacificamente, con garbo, in un dipinto che riporta l’infanzia, il primo amore, il primo desiderio, lo chiama il regista che trasforma in un film il suo ritrovamento casuale. 
A me rimane quella battuta iniziale: Se ho molto mali credo in Dio, se ne ho uno solo sono ateo 

Ippolita Luzzo 

martedì 11 giugno 2019

Carvalho Problemi di identità Carlos Zanòn

"Problemi di identità" è il sottotitolo di un esperimento letterario per far sì che un personaggio viva al di là del suo autore. Carlos Zanòn, l'autore del libro, è un tramite affinché a vincere sia sempre il gioco letterario che sospinge verso l'immortalità esseri inventati dalla fantasia di un uomo mortale. Troviamo in questo libro il Carvalho di Manuel Vàsquez Montalban? non sarebbe possibile. Qui, nel giallo della copertina, troviamo proprio problemi di identità, sottotitolo perfetto, per una versione italiana del libro tradotto da Bruno Arpaia e pubblicato da SEM. 
Il  libro è in uscita nelle librerie in questi giorni in cui moltissimi hanno problemi di identità.
Nella prima pagina vi sta scritto " Il protagonista ha un proprio autore, MVM." e poi sotto viene spiegato che gli eredi di Montalban hanno autorizzato l'utilizzo del personaggio a Carlos Zanòn.
"Conoscermi è amarmi" dice a pagina 326 Carvalho a Matacanas, e sull'affetto discutono in due, per giungere alla conclusione che siamo affettivi, e se così non fosse sarebbe troppo freddo dappertutto.
Ci affezioniamo alle ideologie, ai paesi, alle città, ai personaggi letterari, agli amici e l'affetto è ciò che conforta i lettori ogni qualvolta sulle pagine di un libro ne trova l'evidenza. Affetto ed ironia, a pagina 277 " È una mia impressione o dal ‘92 nessuno ha più il senso dell’umorismo?" ce lo domandiamo con Carvalho, noi smarriti da questi tempi divisi fra bianco o nero, fra irridere chi sbaglia o chi non la pensi come la massa.
A volte mi consiglio ciò che l'autore consiglia a Pepe " Dovresti lasciare il quartiere, Pepe, lasciare la città perché lei ha ormai lasciato te e questa è una scenografia che l'ultima compagnia teatrale ha dimenticato di portare via. La gente ti guarda perché guardi strano, Pepe, però nessuno sa chi sei, nessuno ti riconosce, come tu non riconosci nessuno." pagina 24 di una Barcellona che "dovrebbe avere come emblema l'aquila che divora il fegato di Prometeo." in una rigenerazione che piacerebbe a Vargas.  Anche le città hanno problemi d'identità in questo farsi della storia a volte impietoso a volte carico di promesse.
Carvalho di Zanòn tenta di dribblare i tempi e cerca di scansare l'integralismo feroce con l'arte del dubbio, della filosofia e a pagina 207" Di solito non sono mai d'accordo o in disaccordo con nessuno . Le cose mi importano quanto mi importano" e potrei continuare a dire quanto lo abbia trovato consono al mio fare, quando scherzosamente dico che a volte sono d'accordo con una tesi e con l'antitesi, ricordi dei miei studi filosofici, cercando una sintesi che mi dia serenità. 
Ed in Zanòn ho trovato lo stesso cercare, con Problemi di identità.
Un dialogo interiore che è esercizio d'intelligenza.
Ippolita Luzzo    

lunedì 3 giugno 2019

Storia dell'uno e dell'altro di Gianluca Minotti


L'interruttore d'argento. Compie un anno il 18 giugno questo delizioso libro di Gianluca Minotti e mi sembra bello festeggiare il compleanno con i sette anni del blog, saranno sette anni giorno 8 giugno, dalla nascita del blog e dall'invenzione del Regno della Litweb. L'invenzione del regno ha permesso di creare un insieme di relazioni, di possibilità amicali e di stima, nel mondo della buona letteratura, quella che salva gli uomini dalla solitudine. 
Attraverso la lettura di Gianluca conosco la Casa editrice Ottotipi, con l'accento sulla o oppure sulla i, a secondo del significato, una casa editrice nata quasi con questo libro, almeno questo è il primo libro della collana Fuochi diretta da Francesco Formaggi.
Mi piace seguire le nascite, gli entusiasmi, e applaudire quando a tanto impegno ed entusiasmo corrisponda la bontà dell'opera.
Conosco Gianluca per le sue lettere su Satisfiction, rivista letteraria da me letta dal 2014 e con la quale credo di avere in comune la data  di nascita. Si dice spesso, ma non sarà vero, che sotto il segno della Vergine stiano moltissimi scrittori, forse per via di una esagerata propensione, dei nativi nel segno, ad accorgersi dei dettagli e a fare analisi e sintesi.  Io non sono immune da ciò e da lettrice mi immergo nei libri, ci vivo dentro e se mi sento congeniali i personaggi me li porto con me. Non sempre succede ma è ciò che mi è successo con i racconti di Gianluca.
 Storie li chiama lui nel titolo, Pezzi ho preso a chiamarli io.
" Accade che quando l’uno si specchia, l’immagine riflessa non sia la sua, bensì quella dell’altro. Questo è insolito, certo, ma non tanto se si tiene conto di una certa simmetria che gli specchi comunque mantengono; e infatti, quando a specchiarsi è l’altro, ecco che l’immagine riflessa è quella dell’uno. Da ciò ne consegue che l’uno non esiste senza l’altro e che l’altro non esiste senza l’uno, ma anche che ciascuno ha un’immagine distorta di sé, nella maniera in cui si può considerare distorto ciò che è al contempo diverso e uguale a noi. Perché non sempre è evidente chi sia l’uno e chi sia l’altro, e quando non lo è, è sufficiente mettersi di fronte allo specchio: l’immagine che apparirà sarà il rovescio di ciò che siamo." Lo tengo carissimo il pezzo iniziale, quello specchio che tanto ci fa soffrire, lo specchio con cui un altro ci vede, lo specchio con cui noi lo vediamo, lo specchio di una relazione frantumata e offesa. 
L'altro giorno una mia amica mi ha detto le stesse parole del libro di Gianluca, dopo le metterò, e mentre lei le diceva a me io avrei voluto dire a lei che le volevo bene, che non poteva sentirsi così sola se io ero sua amica, e che io non mi sentivo sola proprio perché sentivo lei amica. Nel momento in cui io non ho potuto esprimere la mia cervellotica asserzione e su come non mi sentissi sola, benché trascorra le giornate a dialogare o con i muri di casa o con la home di facebook, io ho imparato a memoria questo pezzo di Gianluca,che sono le stesse parole della mia amica"Certe volte quando torno a casa è talmente tanta la solitudine che non trovo neanche me stesso. Accendo la luce e niente, non ci sono, non sono tornato, non so quando tornerò. Prendo un libro, mi siedo davanti alla tv, e giunge la notte e sento il cancelletto del cortile sbattere e mi sporgo dalla finestra a guardare e certe volte mi vedo, sono lì che fumo e mi affretto a raggiungermi e afferro il giaccone e sbatto la porta e scendo le scale di corsa mentre io salgo con l’ascensore, arrivo al pianerottolo, apro la porta di casa, accendo la luce e niente, non ci sono, non sono tornato, non so quando tornerò."  Lei mi disse proprio uguale o quasi, ed è tanta la grandezza dello scrittore quando riesce a intercettare i pensieri, il brusio, di tante storie indistinte e dare a loro l'unicità. 
Maria, una delle donne delle storie, sembra mia madre. Come mia madre riempie la casa dove abita, come lei sistema e mette ordine "seduta a rammendare una camicia, a riattaccare un bottone, chinata a infilare panni nelle nostre lavatrici e a stendere il bucato del nostro domani." Mia madre ha 95 anni e noi, io e mia sorella, ma soprattutto mio fratello, uomo fragilissimo, non saremo più niente senza lei. Lei come Maria "Maria riempie con la sua presenza lo spazio intero e non c’è niente intorno che esista senza di lei."
Abbraccerò questo libro, come sto abbracciando le sue storie, come credo già di conoscere lo scrittore, e vorrei chiedere come sia riuscito con ogni frase  a far parte del vissuto dei suoi lettori. Le storie, i Pezzi, hanno un narratore, lo incontriamo infatti a casa di Maria, e, mentre mangia le lasagne di Maria, dice che  ci vorrebbe un interruttore d'argento per tutti noi, per tutti quelli che continuano a credere che raccontando si attivino circuiti, che raccontando si raccolgano, come fiori, amicizie e affetti. " il narratore ci ha spiegato come l’interruttore gli serva per gestire i contatti, per consentire, interdire, deviare il passaggio di informazioni dagli uni agli altri, aprire e chiudere più circuiti contemporaneamente, sebbene ancora gli sfuggano le leggi che regolano i circuiti più sofisticati, e sebbene il suo interruttore – e ce lo ha 
mostrato posando la forchetta – non sia comunque idoneo a supportarli perché rivestito di platino. Il platino non è un
metallo a elevatissima conducibilità elettrica, ha confermato Maria con rammarico. Il narratore ha annuito.Ci vorrebbe un interruttore d’argento"
L'interruttore d'argento nel Regno della Litweb
Ippolita Luzzo 

domenica 2 giugno 2019

Barricate di Enrico A.& Roberto Cameriere

Il tempo passato non è passato e torna, non sempre, ma torna. Sei andato via da Reggio Calabria, hai fatto una ottima e stimata carriera, non vuoi più tornare ma poi, ma poi ti giunge una mail:" ”Mi soffermai su una mail che proveniva dalla procura di Reggio Calabria. Avevo lasciato Reggio da tanti anni e non mi andava minimamente di avere contatti con nessuno, se uno taglia i ponti, taglia i ponti. Stavo così bene a casa mia, mai voltarsi indietro, recidere i legami col passato e andare avanti. Non mi andava di aprirla, ma alla fine la lessi.
«Caro Vincenzo, spero che la tua memoria non sia peggiorata in maniera definitiva. La firma ti dirà qualcosa dei tempi andati. So che sei un famoso scienziato, mentre io sono un piccolo sostituto procuratore, ma devo sottoporti un caso spinoso e forse è che meglio rimanga sottotraccia, per un po’. Lo so che non vieni più giù, ma a me non puoi dire di no. Sono stati ritrovati degli scheletri a Palizzi. Dal primo esame sommario sembrano resti umani. Non ho notizie di scomparse recenti e tornando indietro nel tempo non ne ho trovate da un po’ di anni. Tutto questo, in effetti non vuol dire nulla, potrei affidarti l’incarico ufficialmente e così farò, ma prima mi piacerebbe che gli dessi un’occhiata e in privato mi dici che ne pensi. Ti chiederai perché? A dire la verità non lo so neanch'io, come ti ho detto una semplice sensazione. Ciao Franco Russo.»
Scrivere del periodo dei moti di Reggio e raccontare anche un ritrovamento di quattro scheletri sembra proprio una metafora. Non si dice sempre che si hanno scheletri negli armadi per dire quanti misteri e quanti segreti siano nascosti nel terreno fangoso della storia? Si apprestano a questa avventura due fratelli, Enrico, già conosciuto autore di commedie brillanti e di diversi libri, ultimo "Ucciderò Piero Pelù", e Roberto, esperto in campo internazionale per identificazione di cadaveri. Uno scienziato e uno letterato, i due fratelli compensano e creano una perfetta sintesi fra scienza e letteratura.
Barricate è un giallo, un noir, un libro di storia, un romanzo. Recentemente avevo letto e presentato più volte il libro dei Lou Palanca, il collettivo che recupera e raccoglie fatti della storia taciuti e dimenticati. "A schema libero" è un docufiction, calato nella realtà di Reggio Calabria dagli anni settanta al 2012 . Per narrare fatti veri successi si costruiscono dei personaggi: Uno è la figura dell'enigmista: L’uomo che risolve il cruciverba a schema libero era arrivato a Reggio Calabria dalla Polizia di Stato ai Servizi durante i moti di Reggio di quaranta anni fa.
Barricate invece racconta i fatti di Reggio visti dall'interno, dalla voce di un ragazzo che si sta recando a Palizzi a far parte del cast di un film. Trent'anni prima e trent'anni dopo, i capitoli si susseguono veloci, dalla scoperta degli scheletri, dalla indagine del magistrato che chiama in suo aiuto un amico d'infanzia, un compagno di scuola, esperto in riconoscimento di scheletri. Uso un po' l'ironia nello scegliere termini impropri, ma il racconto e l'intreccio è ben costruito, con precisione e cura, lasciando in noi lettori il compito di ricordare e di partecipare ancora una volta a uno svelamento.   
Lo svelamento riguarda anche gli individui che decidono di essere altro, rispetto al contesto sociale dove si trovano a vivere, decidono di riappropriarsi della vita, facendo scelte "Erano passati davvero trent’anni da quando c’eravamo visti l’ultima volta, ma la voce mi sembrava sempre la stessa. Non avevano la lebbra, ma magari ce l’avevo io, ero scappato da una città che mi faceva sempre di più paura e avevo vissuto la mia fuga come un tradimento. La realtà è che non mi ritrovavo più in questa mentalità di Reggio, sì, loro ci stavano e se la sguazzavano alla grande in quella melma, ma non faceva più per me, ero cambiato, anche se i vecchi amici non lo capivano o facevano finta di non capirlo. Non ero più il ragazzo del classico, ero diventato un altro, mi piacevano le regole e mi interessavano solo le persone che le rispettavano, gli altri per me erano fuori, da condannare"
Mi sembra uno snodo decisivo nella scelta di vivere libero, di vivere fuori dalla cappa dell'umiliazione e sottomissione in cui purtroppo, benché ci siano alcuni spiragli, sembra vivere il Sud. 
Sembra che il momento dello scirocco possa rappresentare il governo del Sud e mi piace riportarvi questa calura che opprime come esempio di politica mal gestita "Non so se sappiate cosa significhi starsene a luglio, a Reggio Calabria, svaccati su un letto, mentre lo scirocco ti toglie ogni forza. È un’esperienza lisergica. Sei lì in una realtà a parte, totalmente saldato al materasso. Sembra che nulla possa smuoverti. Ti domandi chi abbia riempito il tuo letto di colla, hai le braccia totalmente abbandonate al proprio destino."
In effetti i moti di Reggio furono una grande impostura, una agitazione solleticando istinti di rivincita contro le altre città della Regione Calabria, una orribile azione di collusione fra politica e malavita. Credo che il clima sia incolpevole e ciò che ci lascia sempre senza forze sia proprio l'essere seppelliti come scheletri. 
La lettura ci prende e non ci lascia nemmeno dopo aver finito se io ne scrivo subito e dimentico di dover cucinare. 
Con un sorriso e un fiducioso augurio accompagniamo "Barricate" nel tempo presente che, ci auguriamo, possa vedere solo Barricate letterarie 
Ippolita Luzzo