domenica 29 aprile 2018

Accordi Disaccordi a Lamezia

La Band Accordi e Disaccordi musica in Litweb. 
Subito, senza appunti, mi siedo a scrivere dopo il concerto al Tip di Lamezia Terme.
Chiusi i Teatri Comunali, L'AMA Calabria chiede ospitalità allo spazio gestito da Scenari Visibili, al Tip Teatro.
Si  sono esibiti questa sera gli Accordi Disaccordi un trio nato agli inizi del 2012, composto da Alessandro Di Virgilio e Dario Berlucchi alle chitarre e da Elia Lasorsa al contrabbasso.
"Il loro repertorio è composto da brani originali le cui sonorità combinano, secondo un personalissimo stile, le più disparate influenze jazz, swing, blues e della musica tradizionale, con originali sonorità acustiche e dal gusto cinematografico, mantenendo un'iniziale matrice stilistica gipsy jazz, chiaramente influenzata dalle sonorità del celebre chitarrista Django Reinhardt."

Contaminando generi diversi sentiamo la storia raccontata da loro, una storia nata dall'essere stati soggiogati da un film, dalla musica di un film di Woody Allen, Midnight in Paris. 
Usciti da quel film, nel 2012, decidono di fare gli artisti di strada,per accorgersi subito dopo a Londra che dappertutto si suona per le strade.
La storia continua con la bella amicizia con Gonzalo Bergara.
Loro acquisteranno una chitarra da Gonzalo, lui verrà in Italia per conoscerli e incideranno un cd insieme! Potenza delle relazioni!
Dario è il narratore del gruppo, "Detto Questo", ci introduce ogni volta una storia affascinante, la storia delle lucciole e della sincronia con cui si accendono e volano, curiosità di cui non era a conoscenza nemmeno Piero Angela, il loro salire su un pulmino per essere accompagnati a bordo di una nave nucleare per fare un concerto in Russia. Ed infine la bellissima immagine del trio che atterra a New York planando sulla statua della Libertà.
E qui Dario ci regala il bel messaggio di non arrendersi, di credere nel talento che ognuno possiede e di perseguirlo, tappandosi le orecchie per non sentire chi vorrebbe distogliere. 
Senza appunti però attentissima continuo a scrivere col ritmo in testa, con l'impazienza di risentirli, con le risate e l'allegria donata a tutti gli spettatori che hanno partecipato battendo e ribattendo sempre più veloce le mani come un quarto elemento della band.
Applausi
Ippolita Luzzo   

domenica 22 aprile 2018

al Maon Màtaksa di Jano Sicura


Il gesto semplice delle onde nel tempo.
Ieri sera inaugurazione della mostra che si concluderà il 26 maggio al Maon di Rende. Andate a vederla, andate, andate via dall'usuale e godetevi la vista delle "sculture in libertà", così le chiama Tonino Sicoli,  il curatore della mostra, di Ianus Sicura.
Tommaso Evangelista, uno dei due curatori, parla di "Bozzoli di energia simbolici" e tanta energia ieri sera si trasmetteva effettivamente dalle opere di Jano a noi e poi di nuovo sulle opere, sulle sfere, sulle spirali che io vedevo correre nel vento, sui tanti omini fatti da un filo di ferro intrecciato, che io vedevo correre, ognuno nella sua diversità correvano dalla parete a noi, nella unicità della installazione.
Le opere di Jano sono uniche e unica resta l'installazione, sempre diversa, perché diverso lo spazio dove verrà installata, diverso quindi sarà il correre dei nostri omini su strade diverse. Ognuno di noi,  presenti, in quegli omini ha visto nodi da sciogliere, ha visto volontà e rappresentazione, io vedevo un agitarsi di mani che piegarono il ferro, tanti piccoli pezzetti di ferro, e fatti correre oltre la costrizione.
 Una voglia di di stringere e lasciare andare via avrà preso l'artista, uomo disponibile al dialogo e al raccontare quale meraviglia fu per lui passare dai ramoscelli di ulivo al ferro, per eternare ciò che non poteva esserlo.
Ci racconta di una sua installazione alcuni anni fa in Germania, di come lui avesse portato le foglie di ulivo dalla Sicilia, da Siracusa, della sua installazione fatta da ramoscelli di ulivo e della richiesta di acquisto fatta a lui dalle autorità locali. Questa opera non è in vendita, rispose lui, è deperibile, è solo per ora, è solo profumo.
Venne così a sapere di trovarsi in un luogo sacro, quel luogo dove si svolgeva l'evento artistico era stata una chiesa sconsacrata e vi era seppellita una suora. Come l'ulivo è una pianta sacra anche l'arte è un momento di sacralità. Ci parla Jano di grazia, di leggerezza, di levità, direi io, di far diventare il ferro leggero con il lavoro delle mani. C'è il lavoro nelle parole di Jano, nei video  sulle sue mostre al Museo de Artes Plasticas Eduardo Sivori di Buenos Aires, al Museo de Arte Contemporanea Latinoamericano di La Plata / Buenos Aires organizzate dall'Associazione "L'arco e la fonte" di Siracusa, facenti  parte di un progetto di scambi artistico-culturali internazionali tra l'Italia e l'Argentina.
Jano è un artista internazionale, usa proprio questo aggettivo Gianluca Covelli, nel dare un segno distintivo alle opere, una non appartenenza a una regione, ma forte e radicato invece il senso di vicinanza al ferro, al materiale duttile e incorruttibile che esso è.
Noi siamo creature nel tempo, onde nel tempo, sembra ci dica Jano, sembra ci dicano quelle forme e quei dipinti, quel suo offrire l'arte nel linguaggio semplice del gesto.    
Ippolita Luzzo 

martedì 17 aprile 2018

Un'altra cena di Simone Lisi

L'intelligenza scintillante illumina Un'altra cena rallegrando i lettori
di Simone Lisi e donando felicità.
Questo mi ritrovo a pensare mentre mi accingo a scrivere su come ho incrociato Simone Lisi e i suoi racconti su Odi, raccolta di racconti pubblicati dalla Casa Editrice Effequ con il simbolo la garzetta di Orbetello.
Leggendo Vanni Santoni nella post fazione di ODI "Scriveva Roberto Bolaño che i capolavori sarebbero come sequoie o orchidee, ma non si è mai vista nascere una sequoia o un’orchidea fuori da una foresta. Coltivare la scena significa gettare i semi di quelle foreste, e questo libro dimostra che vale la pena farlo."
Ed è questo il vero fermento letterario, il vero humus, il vero luogo fatto di riviste, FLR amata, da tutte le altre riviste da "In fuga dalla bocciofila" a "Indiscreto", a "Verde Rivista", lette da me con la curiosità di chi cerca quel famoso tesoro per il regno della Litweb, il mio regno immaginario della buona letteratura web e non web. 
"In fuga dalla bocciofila" parla di cinema e altre divagazioni, sempre intelligenti, sempre spumeggianti, divagando divagando nel bellissimo paesaggio toscano delle menti e della generazione nata negli anni '80, '90.
Fine secolo, inizio secolo, evviva voi.
Con queste bellissime premesse sono ospite anche io alla cena. 
Un'altra cena inizia con la piantina della casa dove abita la coppia che si sta preparando per ospitare gli amici, un altra coppia con un bambino nato da poco. Mi ritrovo a casa del personaggio, come se abitassi anche io con loro e con loro discutiamo sul tempo, alla maniera di Sant'Agostino, sul tempo precario, sul tempo e sul futuro, su come saremo fra dieci anni, su come trifolare i funghi. Ne sento il profumo. 
" Che ti aspetti da questa cena?"
"In che senso?" risponde Livia ed io  sorrido e sorrido.
Dovrete leggere per sapere in che senso vi piacerà andare insieme a Livia e a lui, al bar di Piero, essere riconosciuti da Piero ed anticipati nelle richiesta dei caffè macchiati e due bicchieri di acqua naturale ed invece Livia vorrebbe l'acqua frizzante. L'acqua frizzante del racconto, mi vien da scrivere, senza volervi raccontare gli episodi, tutti una goduria, dal cardellino lasciato in custodia, alla camera dell'inquilino fantasma, al lavoro di lui: mettere sottotitoli nelle serie televisive, al diario dell'estate fino alle domande topiche... " Si chiedeva questo: se c'era solo da aspettare, se il presente non era il suo momento, se le frasi che ascoltava con una cuffia e che traduceva quasi simultaneamente in una stringa gli confermassero in ogni momento quel differimento, che non era il suo momento, ma forse lo sarebbe stato, o per lo meno così sembrava, se questo era quello che tutti gli altri gli dicevano:arriverà il tuo momento, e il nostro, ma non è ora. Se c'era solo da aspettare in quella stanza, mentre fuori cambiava il tempo."   
Tutto quello che cambia, anche i traduttori cambiano i dialoghi? su questa domanda la mia: Che cosa abbiamo capito quando abbiamo pensato di aver capito?, mi risento la bella intervista di Federico De Vita a Simone Lisi,  mi godo la lettura di Un'altra cena, con i pensieri di lui "Come scrivere dei sottotitoli che dicono cose tutte diverse dai testi che vogliono tradurre", e sul significato della nostra esistenza, nati per caso, per un caso fortuito, e quindi per necessità di riproduzione: noi siamo portatori di un genere noir, è che questo diario noir io non lo so scrivere. Qualcun altro potrebbe farlo, ed io lo tradurrei. Questo sì, lo saprei fare"
L'inizio e la fine di una cena frizzante e di intelligenza scintillante. 
Ippolita Luzzo 

Simone Lisi: Fiorentino, classe 1985. Nel 2001 viene premiato  dal Gabinetto Vieusseux di Firenze per Racconto d’inverno. Nel 2009 Marcos y Marcos di Milano pubblica in un’antologia il suo racconto breve Tifone o breve storia dei coinquilini di Joseph. Laureato in filosofia, scrive una tesi sul Castello di Franz Kafka, ottenendo il massimo dei voti.

domenica 15 aprile 2018

Avemmaria di Emilio Nigro

Dicono tutto le mani di Emilio Nigro al Tip Teatro stasera, durante una suonata silenziosa eppure rimasta nella nostra mente.
Quelle mani che stanno suonando nell'aria, senza strumento, un pianoforte, anzi una mano trema, trema nell'aria, catturando il nostro sguardo.
Le mani continuano a raccontare di un bambino prodigio che sapeva suonare l'Ave Maria di Schubert, l'Avemmaria, ed ora si trova in in riformatorio. 
Nella storia, non siamo più in un monologo, stiamo con il protagonista nella sua scuola, mentre lui ci porge la sua vita, a scuola, in Chiesa, con sua madre, in questo legame oltre il male, e fatto di bene assoluto, di dedizione.
 Lui sta su una sedia, in costrizione, in una cella, sta nel teatro che  avviene davanti a noi.
Gli errori che si compiono, la storia di un ragazzo buono, ingenuo, che viene avviato alla droga, viene abituato a fumare la droga, a spacciare, a far parte di un giro di malavita. La chitarra ed il mondo fuori, il mondo dei peccati. I pellegrinaggi e le canzoni"Sono stati i miei peccati, Gesù mio perdon pietà"
Il limite contro cui il bene si infrange malgrado i nostri sforzi in una Calabria difficile.  
A fine spettacolo Emilio Nigro ci parla di chi non ce l'ha fatta e nell'eterna lotta del bene contro il male è stato sopraffatto, di chi è più debole, meno attrezzato, di chi subisce il fascino degli uomini d'onore che sono in effetti senza onore.
Una grande preghiera è stata questa sera la performance di Emilio Nigro, una preghiera laica, una preghiera che affida al teatro di immaginare, affida al teatro una possibilità di vita, fuori dalla vergogna, fuori dal male.
Ippolita Luzzo  

Emilio Nigro è scrittore, giornalista e critico teatrale. collabora con il trimestrale di teatro e spettacolo Hystrio ( Milano); il Quotidiano della Calabria; ha collaborato con le riviste online di critica teatrale Il Tamburo di Kattrin e Krapp’s Last Post. Scrive anche di cinema, musica, arte visiva. Ha ricevuto il Premio nazionale Nico Garrone 2011 “ai critici più sensibili al teatro che muta”; Premio nazionale Guasco 2012 “scritture contemporanee”; Premio della giuria popolare e menzione speciale della giuria al miglior testo concorso nazionale per monologhi Residenza Teatrale Orizzonti Meridiani; Premio nazionale NonfermARTI 2011 categoria scrittura creativa. Autore e interprete dello spettacolo “Teatranti” (2009) e “Rifarmi – soluzioni al precariato” (2012) e ha firmato drammaturgie tra cui “Visionaria”; “L’ indifferenza dei passanti”; “Donne & Iene”.
AVEMMARIA di e con Emilio Nigro Regia di Francesca Romana Miceli Picardi
migliore opera teatrale Festival Luccica di Bari
miglior testo Festival Urgenze Roma Teatro Tordinona

mercoledì 11 aprile 2018

Giorgia Lepore Il compimento è la pioggia

Credo che il senso ultimo del libro sia "aspettare". Credo sia questo il delitto "Far aspettare" 
I personaggi aspettano, quasi tutti, in questo bel racconto di Giorgia Lepore, aspettano che qualcuno torni, che qualcuno si faccia vivo.
Così è per l'ispettore Gerri Esposito, lasciato da bambino dalla mamma con le parole. " Aspetta qui che poi torno" così sarà per tante altre, a loro volta lasciate da Gerri, in attesa.
Aspetterà la bimba di cinque anni, una delle presenze più incantevoli del libro, per me la principessa del racconto, di nome Jennifer, che sbuca, come nelle fiabe, dalla cassapanca, insieme al suo fratello più piccolo, Kevin, di due anni, sul luogo del delitto.
 Aspetteremo tutte noi il seguito, di leggere ancora altre vicende con una squadra di investigatori fatta di uomini imperfetti, eppure buoni, che stanno nella Questura di Bari, negli uffici della terza sezione. 
Aspetteremo mentre giriamo per Bari vecchia, fra il disordine e il caos, nel budello oscuro, e mangeremo anche noi gli scagliozzi fritti, caldi caldi.
La storia è un noir, ci sta un delitto e ci starà una indagine, ci sta una città in festa, San Nicola, e ci starà ciò che ognuno di noi sa di trovare in un noir.
Nel mentre lo leggeremo prenderemo piacere, man mano, a sentire amicizia e consonanza con i personaggi, scopriremo lo stile della scrittrice, il testo ed i rimandi, i gusti e le canzoni, i film, la favola di Peter Pan, la neve che arriva a Bari e la pioggia.
"Non ti posso aspettare in eterno" urla Sara Coen, l'ispettrice, e forse innamorata, a Gerri.
"Sì, lo capiva. Aveva anche fatto un cenno di assenso col capo, al vuoto, al muro delle scale mentre scendeva: si era fermato un attimo, aveva trattenuto il fiato, pensato a cosa avrebbe potuto rispondere, e come sempre quella risposta era rimasta una delle tante conversazioni immaginarie che avevano luogo solo nel suo cervello. Diceva che in fondo non lo capiva per niente, perché lui invece stava aspettando qualcuno in eterno, e continuava. E allora, se lui poteva farlo per qualcuno, perché gli altri non potevano farlo per lui?"
Penso a Roland Barthes, ai suoi frammenti sul discorso amoroso, a quell'aspettare che ha tutti i momenti del delitto perfetto. 
Penso a quei due punti, messi lì, mentre scendeva, a quel discorso diretto e indiretto, a quel dialogo che, spesso, non va da nessuna parte, per tutti noi, mentre si aspetta.
Ippolita Luzzo 

   
Giorgia Lepore è archeologa e storica dell'arte, vive a Martina Franca e insegna Storia dell'Arte al Liceo da Vinci di Fasano. Ha pubblicato L’abitudine al sangue (Fazi 2009), I figli sono pezzi di cuore (E/O 2015) e Angelo che sei il mio custode (E/O, Sabot/age 2016).

lunedì 9 aprile 2018

D'amore e baccalà Alessio Romano

In ricordo e dedicato ad Antonio Tabucchi, scrive, alla fine di questo racconto su Lisbona, Alessio Romano. Come se fosse una vera guida turistica,  Alessio ci segnala ristoranti, libri, film su Lisbona, e fra i film uno che non parla di  Lisbona ma ne riporta tutte le suggestioni, Casablanca, un film che tutti abbiamo amato.
 Il Tram 28 è l'emblema della città "Lisbona è davvero una delle città scenograficamente più spettacolari del mondo: e allora perché il suo simbolo non è il Castelo de São Jorge, vicino a dove ho scelto di abitare? O la Sé de Lisboa, la cattedrale che sembra una fortezza? O ancora le spettrali rovine del Convento do Carmo? Volevano a tutti i costi qualcosa di più moderno? C’è il neogotico Elevador de Santa Justa che non ha nulla da invidiare alla Torre Eiffel, tanto che in molti erroneamente pensano che sia stato progettato dallo stesso omonimo ingegnere francese. E invece no: hanno scelto proprio questo stupidissimo tram" e  lo seguiamo per le vie e per le trattorie di Lisbona, con il fado, le poesie di Pessoa ed il selfie con Pessoa in Largo do Chiado, davanti al caffè A Brasileira, punto di ritrovo degli scrittori ed ora tappa per turisti in cerca di un selfie con Pessoa, in quel bar accanto all'ultimo dei suoi tavolini in strada sta in bronzo la statua che lo raffigura seduto. Un vero atto d'amore verso la città, i suoi cibi, i suoi colori, la sua musica. Una guida da portare con voi se andate a Lisbona, ma anche per qualsiasi altra destinazione, sarà un modo per imparare come vivere una città, come gustarla e farla propria. Moltissimi viaggiano solo per acquistare oggetti oppure scattare fotografie da riportare come cimeli, molti altri viaggiano così, come Alessio Romano, ed alcuni poi ne scrivono e come fa Alessio ci regalano queste piacevolezze. "sarò a scrivere per una settimana in Rua do Recolhimento. E pazienza se si è trattato di un equivoco linguistico: pensavo fosse la via del raccoglimento, elemento necessario alla scrittura. Invece il suo significato forse è ancora più bello: è la via della raccolta, del raduno in caso di assedio, dove veniva messa in salvo la popolazione, all'interno delle mura, ma non dentro la fortezza vera e propria." 
Raccogliamoci come salvezza, sembra ci dica Alessio, raccogliamoci nella lettura e nella scrittura, nella bellezza dei luoghi e nel profumo della cucina, del baccalà, nel gioco dei rimandi, nella possibilità di parlare ancora con Tabucchi e con Pessoa, camminando per le vie, all'interno della città della letteratura.
Ippolita Luzzo 
 Alessio Romano nato nel 1978 a Pescara. Ha studiato Lettere Moderne a Bologna e poi Tecniche della Narrazione alla Scuola Holden di Torino. A Roma si è laureato con una tesi su John Fante. Il suo primo romanzo “Paradise for All” (Fazi, 2005) è stato salutato come uno dei migliori debutti dell’anno. Nel 2015 ha pubblicato “Solo sigari quando è festa”per Bompiani.

sabato 7 aprile 2018

Ernesto Aloia La Vita Riflessa - in Litweb


Leggo e rifletto.
Rifletto su come le situazioni della vita possano portare sconvolgenti cambiamenti oppure nessun cambiamento.
Il libro di Ernesto Aiola ci presenta fin da subito un uomo con una laurea in lettere che tenta di fare delle sue competenze un lavoro “eppure, ero costretto ad ammetterlo, la bibliotecaria coi baffi non aveva torto. Gli anni che erano seguiti non erano stati altro che una lunga, umiliante discesa nel maelstrom del bracciantato intellettuale, tra correzioni di bozze, penose traduzioni dall'inglese tecnico e commerciale, articoli sottopagati, stage non retribuiti e persino lettura e valutazione di testi per conto di una grande casa editrice milanese che mi pagava cinquantamila lire lorde a manoscritto, compresa una scheda riassuntiva ed escluse le spese di viaggio verso gli uffici di quel tempio della cultura in cui mi toccava ridiscutere scelte e giudizi davanti a stagisti poco più̀ che ventenni, più̀ ignoranti ma non meno pezzenti di me.”  e a volte bisogna ringraziare le situazioni sconfortanti se quella sofferenza fondatrice crea altro.
Un altro lavoro.
Il racconto ci presenta un ragazzino insieme ad un amico in un gioco con le pietre ed il lancio di una pietra colpisce una giovane contadina di passaggio. Fuggire via dalla responsabilità, sembra ci dicano le prime pagine.
Sconcerta già dall'inizio questa interessante lettura, profonda e diversa dall'usuale raccontare, sconcerta quel momento del lancio della pietra, fatto senza alcun motivo, e sconcerta, nel senso positivo, ogni altra riflessione, fatta in prima persona dal ragazzino di allora, ormai uomo. “Oltre una certa età̀, riflettei con amarezza, la maggior parte degli uomini riescono a vedersi solo se hanno bisogno l’uno dell’altro. Se non sei utile, il tuo corpo esiste in una fascia al di sotto dello spettro del visibile, la tua voce vibra su una frequenza muta: se gli porgi la mano la ignorano, se gli parli non ti sentono.”
Ogni storia è una monade, parafrasando la monade di Leibniz, e così qui i vari protagonisti stanno e non stanno in rapporto con gli eventi e con i successivi svolgimenti degli eventi “Io immagino un lago. Milioni di metri cubi, e c’è qualcosa dentro di noi, una diga che gli impedisce di travolgerci. Un diaframma della volontà̀. Solo che col tempo il lago diventa sempre più̀ grande e profondo, e oscuro. Così qualche volta la diga cede e tutta quell’acqua precipita, ci sommerge. Può̀ succedere, no?”
“Non saresti qui se non succedesse.”
Aggiunsi che, per quanto mi riguardava, quella diga era una pia illusione, per non parlare del diaframma della volontà̀. L’idea di un controllo consapevole, di tenere il passato al suo posto, la trovavo ridicola.”
Quel che viene dalla lettura è una riflessione sulla volontà, sul cosa vogliamo e cosa di quella volontà si riesca fare: Una vita, una amicizia, un amore, sono frutti di una volontà?
Non si sa. Ho trovato questa storia molto ben costruita, molto utile, una storia che evidenzia il falso, la finzione, non voluto, il falso come modo per sopravvivere. “Tutti fingono di credere che il matrimonio, i giorni insieme, finiscano per chiarire le cose. Ma non è così. Sono balle. A poco a poco l’unità, la stessa consistenza dei tuoi sentimenti diventa un’illusione.”
Sia nei nostri rapporti individuali, benché li crediamo veri, che nei social manovrati “In pratica riorientiamo la corrente di opinione negativa che i nostri clienti, per i motivi più̀ vari, hanno avuto la sfortuna di suscitare. Il primo passo, il lavoro sporco, è l’acquisto dei follower. Li prendiamo a pacchetti di duemila per venti euro. Ma questo lo fanno tutti, serve solo a far massa, a millantare credibilità̀ e influenza, e di solito prima o poi si viene scoperti. Noi cerchiamo di fare in modo che succeda poi, quando non gliene frega più̀ niente a nessuno.” Sembra di uscire da Ready player one, l’ultimo film di Spielberg, il gioco e il virtuale hanno ricadute in avvenimenti reali. Dunque la vita riflessa chiede a noi: Di cosa siamo responsabili? Riflettiamo.
Ippolita Luzzo 

Recensione su Liberi di Scrivere https://liberidiscrivere.com/2018/04/04/la-vita-riflessa-di-ernesto-aloia-bompiani-2018-a-cura-di-ippolita-luzzo/ 

Ernesto Aloia è nato a Belluno, il 5 dicembre 1965. Laureato in lettere, vive a Torino. Il suo primo racconto, dal titolo Nel cortile in un angolo d’ombra, è stato pubblicato nel 1995 su Maltese Narrazioni. Per minimum fax ha pubblicato nel 2003 Chi si ricorda di Peter Szoke?, e nel 2006 Sacra fame dell’oro. Il racconto La situazione è stato pubblicato in precedenza nella raccolta La qualità dell’aria. Storie di questo tempo (2004), a cura di Nicola Lagioia e Christian Raimo. Nel 2007 esce il suo primo romanzo, I compagni del fuoco (Rizzoli). Nel 2011 esce il suo secondo romanzo, Paesaggio con incendio (minimum fax). È stato redattore nella rivista letteraria Maltese Narrazioni, uscita dal 1989 al 2007, su cui ha anche pubblicato diversi racconti. Lavora come bibliotecario, occupandosi di catalogazione e reference, nella Biblioteca “Giovanni Tabacco” del Dipartimento di Storia dell’Università di Torino.

domenica 1 aprile 2018

OndAnomala di Mimmo Crudo & Lady U la luce in musica

La luce che rimane:
OndAnomala
La danza dei capelli in una nuova dimensione.
Francesca è Onda anomala.
OndAnomala in concerto a Lamezia Terme 
Francesca Salerno Voce, Mimmo Crudo Basso,Vincenzo Oppedisano Chitarra, Federico Placanica Batteria e al violino Beatrice Limonti.
Tu ci sei: Frontman di OndAnomala Francesca Salerno vive e conquista la scena, vittoriosa, ha sciolto i suoi lunghi capelli e canta col corpo, con la voce, coi gesti, canta danzando fili sottili, canta: Vorrei che l’uomo avesse un’altra dimensione, vorrei che non finisse la voglia di reagire, eppure è facile cadere. Siamo piume al vento, erranti.
Siamo capelli al vento, questa sera  come l’altra sera  alla danza dei capelli di Francesco Loccisano.
I capelli scuotono le coscienze e invitano al fare, a battere il ritmo della volontà. 
La rassegna musicale Terra tra due mari per Settembre al parco potrebbe proprio chiamarsi così La danza dei capelli, capelli che trasportano nel vento il canto migliore del sud. Il canto della grande qualità e bravura. Musicisti di abilità eccezionale, alla chitarra battente, con Loccisano, l’altra sera, e questa sera al basso Mimmo Crudo, bassista e colonna portante del miglior periodo de “Il Parto delle Nuvole Pesanti” e Francesca “OndAnomala”: OndAnomala nasce a Bologna da una idea di Mimmo Crudo con Francesca Salerno e Checco Salerno, alla chitarra. Checco, durante la preparazione della compilation, non è più con loro, però rimane, entra ed esce in punta di piedi, leggiamo nella copertina a lui dedicata. Tu ci sei, canta Francesca.
Tutti bravissimi. Alibi alibi alibi, mi incanta, affoga dentro il male la nostra civiltà.
Il ritmo ci fa muovere mani e piedi ed intanto i testi ci chiedono adesione a pensieri sulle cose che mi restano, le cose che restano non sono quelle che vorrei.
Ho preso appunti sentendo i suoni del violino, il respiro e le onomatopee di Francesca, quel riprodurre difficoltà e speranza, rabbia e riscatto in musicalità vitale. 
Scrivo fra le nuvole sono una donna che non ha più nulla nulla da vincere o da perdere.
Vive a Riace Francesca e vede ogni giorno destini rubati, migranti,  il mare... immenso sudario
Ne chiama uno Acikof, lo chiama più volte: Acickof  Dance.
La tragedia di moltissimi uomini giunti sulle spiagge di Riace e senza permesso, quel permesso utile a spostarsi ad andare verso l’Europa.
Acickof Song: Quel permesso chiamato desiderio. Desiderio di non essere sfruttato. Nel nuovo credo che potremmo pregare ci sta il credo è espiare quell'ora di lotta mio padre mia madre, la mia vita distrutta.
Il credo è marciare sulle anime nere. In marcia.
Fra rabbia e rancore, la musica sale, si innalza felice e dona energia. Io sono la luce, la luce che rimane. Fuori è buio ma io sono luce. Una serata incredibile, un concerto di cui ancora parleremo, parleremo ancora di Riace, e  Forse anche io al posto tuo resterei indifferente, sta cantando Francesca, però io sono luce.
Io sono luce è il nostro motivo in testa a illuminare il tutto.
Applausi 
Ippolita Luzzo