mercoledì 18 febbraio 2015

Biografia di uno scrittore

18 settembre 2011
Adesso che ne so di più                                        
Sono sempre due o tre le cose che so di te.
Una data di nascita, una famiglia con quattro figli maschi, tu il secondo, scomoda posizione, peggio del terzo, una famiglia borghese, perbene, una buona famiglia, i due nonni magistrati, e le nonne? il papà non sappiamo, la mamma egocentrica, cattolica osservante, forse troppo, una famiglia un po’ soffocante, da cui fuggire, tranne la nonna, unica e sola, tranne la nonna, amata e persa, troppo presto sempre.
Una fuga da tutto, dai fratelli, piatti e scontati, dal paese, troppo bello, troppo chiuso, dalla mamma, dalla bigotteria.
Via via via andare via per sempre e non tornare più mai più.
Strada facendo, ti sei detto, tu vedrai, e giovane e invecchiato, ti sei detto, tu vedrai. -ma che cos'è che ci fa andare avanti e dire non è finita- …la spes  ultima dea- perché domani sia migliore.
Adesso che ne so di più  so di una laurea in filosofia, di una tesi sull'esistenzialismo, sul femminismo, sugli addii.
Come ci si lascia, perché ci lasciamo, cosa lasciamo a chi lasciamo
E la chitarra, la musica, forse qualche composizione, e poi la  comune, il 68, gli ideali, l’amore, l’eros, di nuovo l’amore, di nuovo, ancora  e la palude. 
Perché?
Le città, per ora ne so solo tre o quattro: Bergamo, Ragusa, Torino, Milano, me ne mancano cinque.
Ma dovunque si vada, dice Kavafis, sempre la città ti verrà dietro, la tua città. Dovunque andremo.
Viaggiare resta bellissimo - come vivere più e più volte.
A trent'anni, non so, succede qualcosa che spegne tutto il fuoco, tutto l’ardore, tutti i sogni.
Un ottundimento, uno smussamento delle punte, un livellamento. A tanti è successo.
Un intorpidirsi  dei  sensi  come i rospi  messi a bollire nell'acqua lentamente e lentamente privati da soli, senza accorgersene, della possibilità di fare quel maledetto salto fuori dalla pentola, per salvarsi. Da Paulo Coelho -Il vincitore è solo-
L’ho sempre raccontata  questa storia, conoscerla non ci salverà.
Le letture non hanno mai salvato nessuno.
19 settembre
Per un uomo che mi ha scritto tante volte, quanto nessun altro, per un uomo che mi ha consigliato, incoraggiato, aiutato, io continuo a dire grazie con un accenno di biografia. Manca ancora tanto, le favole della nonna, gli amici più importanti, le scelte, le situazioni brutte belle, quella volta che ti sei sentito un verme, quella volta che ti sei sentito un superman, mentre il mondo non si è fermato mai un momento e tutto si perdeva.
Spariva all'improvviso il situazionismo, Reich e l’antifamilismo, gli angeli sopra Berlino, Basaglia e i manicomi, l’amore di una  donna, come un vecchio ritornello che nessuno canta più.
Spariva all'improvviso il fumo, l’extasis, l’erba e gli arancioni.
Spariva all'improvviso un padre, un desiderio, un sogno di una vita per dover dire no
Che fai sotto le stelle... chi vuoi dimenticare… socchiuse gli occhi e volle andarsene e sparire.
Un doppio sogno-Eros-immaginazione- trasfigurazione-il gorgo della perdizione.
Un doppio sogno-con l’altro-il rifrangersi di aspettative su una riva sconosciuta.
Doppio sogno.
E scrivere scrivere… per continuare a sperare- per vivere- per sognare sempre
E non finisce qui
Non mi svegliate, ve ne prego, ma lasciate che io dorma  questo sogno, sia tranquillo da bambino sia che puzzi del russare da ubriaco... perché volete disturbarmi se io forse sto facendo un viaggio alato sopra un carro senza ruote trascinato dai cavalli del maestrale  in volo
Questa era la mia colonna sonora, la vedo bene anche per te, per tutti coloro che riescono a sognare vivendo.
Una biografia di uno scrittore, un tentativo di tracciare  le suggestioni che lo hanno spinto a scrivere - l’amato Baudelaire il canto eterno del viaggio, dell’andare per vedere, il canto di Ulisse, il canto errante di tutti noi sperduti con gli occhi nell'immensità. Baudelaire - Goethe, il mio doppio, lo stesso cielo, immodesta ma dico lo stesso sentire- la ricerca dell’assoluto nella molteplicità dei rapporti - Pirandello- Uno, nessuno e centomila  Pirandello ne ha per tutti -e Lou Salomè che tu ami e io no.
Montagne, scaffali, tavoli di libri, sfogliati, amati, prestati, perduti.
Libri che faranno altri libri, che si moltiplicheranno, perché sono cresciuti in noi e vorranno vivere prepotentemente.
Come il soffio vitale si fa largo anche nella costrizione.
Come un raggio di sole.
Ippolita Luzzo

martedì 17 febbraio 2015

Di quel viavai… Nell’arenaria di Franco Araniti

 Nell'Arenaria

Roccia detritica costituita da elementi sabbiosi cementati più o meno tenacemente- arenaria compatta o sbriciolata grossolanamente come la scrittura di ciottoli vari sparsi fra prosa e poesia di un cammino scomodo.
Impegno politico, lotta sociale, ingiustizie e momenti individuali espressi con rude e partecipata presenza; una rudezza franca e risoluta nei fra(m)menti “ Di quel viavai sono segnato” scrive Araniti nel Prologo
Risalgo  alle sorgenti del Calomeno senz’acqua/secchi farranchi e massi stanchi… parole e pietra vivono tra i fiori della ginestra
Mi porto dietro il suo gentilissimo dono, da giorni, il dono della fiducia e dell’ascolto, e rileggo sottolineando e intrecciando col mio quotidiano i suoi pensieri. “ Sui treni scrivo poesie per condensare il tempo/ che non passa mai: mentre il fuori/ al finestrino che velocissima/mente scorre, è lento/e la distanza allunga, oltre i miei pensieri.
Intreccio di vite che non ci appartengono più, nel momento in cui le raccontiamo, intrecci di momenti di tutti e di sofferenze individuali… “versi raschiati
Nel cammino aspro e irto di una crescita dal Prologo al D’amor maturo  sento, comunque, il ribollire nell’acido, o, almeno, così mi pare”
“Devo anch’io urlare, ma non posso” lamentò il poeta…
Affidare al foglio l’immortalità, scrivere col sangue e poi svegliarsi.
Ho pensato anche io all’immenso dispiacere di vedere tutti i miei pezzi dispersi, un giorno ho strappato tutto e non mi sono sentita triste, ne sono stata sollevata, li ho riscritti e continuo a scrivere, leggera e consapevole che anche questi saranno persi come gli altri.
Resta però incredibile il dono della relazione con l’altro, il filo che lega uomini in conoscenza all’intrasattu. “ U cuntu cu campa è Buendìa che risale la nostra discesa. “L’azzurra sorgente dell’Acheronte” di Emilio Argiroffi che amiamo entrambi, unico e solo, amato e scordato.
“ Poesia che…
Giorni per giorno ti perdo
Negli istanti delle altre cose da fare
Mi passi per la mente
E non ho tempo per raccoglierti
… ti svegli al suono di una memoria
E svanisci profumo non fissato”
Come avremmo mai potuto noi salutarci da VertigoArte, scambiarci i nostri racconti, la stima, se non con l’ausilio di un racconto? Il filo, una gugliata,  è infatti argomento della mostra.
E stamani ricordando le città invisibili di Calvino “A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della città, gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco-e neri a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresentanza. Quando i fili sono tanti che non ci si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via: le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili.”
Luca Marmo, sindaco di Piteglie, comune di Pistoia,  sta scrivendo questo su facebook, rispondendo ai miei fili con fili nuovissimi:- Sul VOIP. Pensa com'è intricato il mondo!-
Mai avrei creduto possibile che io potessi intrecciare miei pensieri con te, con Luca, con moltissimi altri, avviluppati nella bellissima arte del racconto.
Così “ quando la paura ti morde/e nell’angoscia ti sperdi/ ricorda/ tuo nonno Melo mio padre/che a sette anni appena/si è smarrito nell’Aspromonte
Ricorda tuo nonno Melo mio padre/che non hai mai conosciuto/
Quando ha capito che i suoi ricordi/giorno dopo giorno cadevano come foglie/ancora nell’estate…ha pianto… riconoscendomi dopo sette anni bui da un lampo della mente
Quel lampo, caro Franco, illumina le nostre letture, quello che  scriviamo per una esigenza vitale, come atto d’amore verso i libri amati, verso la storia e gli ideali in cui abbiamo creduto, verso quegli affetti individuali che vivono e compongono il nostro stesso tessuto corporeo, il nostro DNA.
Non possono morire, è un viavai…d’amore.

                                                                                  Ippolita Luzzo

   


amico immaginario



  
L’amico immaginario
I bambini  nei loro  primi giochi costruiscono un amico immaginario. La mamma li sente parlare, domanda e loro rispondono di  essere insieme a Mario, Giovanni, di essere insieme ad un amico. Poi si diventava adulti, una volta, e si scordava l’amico  dei giochi fantastici. Una volta  le tappe dell’auxologia erano stabili. Ho studiato psicologia dell’età evolutiva -trenta e lode – Ho vinto un concorso per l’insegnamento, ho partecipato  a seminari sull’argomento. Una volta si diventava adulti. Quando ancora non esisteva il cellulare, il computer, internet. Noi eravamo adolescenti, giovani. Lo spartiacque fra il prima e il dopo credo che siano stati gli anni novanta. Venti anni. Gli anni dei puntini sospensivi. Gli anni della metamorfosi.  Nella metamorfosi un giovane di nome Lucio vuole trasformarsi in uccello per poter volare ma per una sostituzione si trasforma in asino. Un asino sempre uomo. Quante peripezie! Credeva di volare e non vola. Apuleio dove sei stato, cosa hai fatto mai, -dimmi -cosa vuol dire essere un uomo  ormai! Ma quante braccia ti hanno stretto tu lo sai per diventare quel che sei!  Oh non importa tanto tu non me lo dirai !Siamo arrivati al canticchiare davanti un bancone di un supermercato, alla posta, facendo il pieno al distributore di benzina, scribacchiando qua e là pensieri in libertà. Apuleio  fu accusato di aver sedotto e derubato la moglie ricca ereditiera, dopo averla incantata con un filtro magico. Lui fece una brillantissima difesa di se stesso  al processo… ed ebbe l’assoluzione, come  lui tutti gli uomini vengono assolti dalla stessa accusa. . La seduzione -un giro- un gorgo appunto. Ma che bello!
 Apuleio come Platone –che bello.! La seduzione, il momento della freccia che scocca, il momento senza coscienza, simbolico, il mistero e la trasfigurazione in tutti noi che brancoliamo nelle nebbie di un mondo che va. Che va che va che va Ma dove va?


L'adorazione- Ti Adoro

L’adorazione  2011

Uno dei più ancestrali sentimenti umani. Siamo nati per adorare. I popoli primitivi adoravano i fenomeni naturali che non si sapevano spiegare e dei quali erano terrorizzati.
Gli uranti adoravano i lunatici, gli epilettici, i  deboli di mente  perché diversi.
Si adora infatti il diverso da noi, irraggiungibile, si adora nella sfera del sacro un dio.
L’adorazione è libera aperta, non presuppone il possesso, è poligama, generale. Tanti, molti possono adorare uno stesso soggetto, un totem, una statua.
Gli intellettuali adorano  studiando l’oggetto ed utilizzando le loro menti, il popolo adora facendo sacrifici e danze tribali, offrendo e offrendosi al dio.
Rido mentre scrivo. E’ solo un gioco.
Naturalmente nella seconda fase dell’adorazione  esiste la possibilità, se l’oggetto è  un essere animato, di essere se stessi con l’altro e che dall’adorazione si passi  alla stima, al rispetto, all’apprezzamento di un essere umano.
Mi sembra di essere in questa seconda fase, dopo tanto volare dopo  il rosa, dopo  il  celeste viene il verde.


domenica 15 febbraio 2015

In Viaggio con Antonio Pujia Veneziano

In Viaggio con Antonio- Tornare@Itaca



 A Cosenza al Museo MAM, curatori Mimma Pasqua e Maria Rosa Pividori, Friuli e Calabria si incontrano  nella amicizia che legò Francesco Leonetti a Pasolini, sul tema del partire e del restare, allargato a senza limiti e confini.
In viaggio con Antonio.
Mi ritrovo a guardare altra mostra di Tornare@Itaca, dedicata a Calogero e Merini, nel 2011, e insieme al filo, alla Guglia, sono nello spazio di Vertigo Arte, stasera.
Cucire il tutto, stamani, impossibile è. Come se avessi in mano molti pezzi di colori diversi, di tessuto diverso, in un paniere, Panaru, che altra mostra è.
Voglio però ritornare al Tempo che tu mi hai regalato, quando studente al Liceo di Vibo Valentia, nelle ore che non eri in classe, andavi a trascorrere le mattine al Palazzo Gagliardi, allora Museo archeologico, ad osservare le testimonianze, le fonti, i resti, i cocci di quello che fu un passaggio di genti.
Passare in tanti lasciando orme sul terreno, ti direbbe il poeta Mastroianni.
Un viaggio che facciamo nella testa, prima di prender auto, valigia e andare.
Tu non hai parole, dici, eppure le tue parole da un viaggio ad un altro, compongono un tessuto, civile, di chi ha studiato, di chi osserva come il ribaltamento di conoscenze approssimate e farraginose sia ora preferito ad impegno e competenza.
“ Liberare parole perché nessuno punisce non vuol dire che questa abbondanza liberi. Soffoca invece. Liberare parole uccide la libertà di espressione che ha bisogno di limiti e confini, di riferimenti e studio, di serietà, per esistere.”
Questo ci diciamo in una serata piena di incontri e doni, di racconti e immagini.

 Est ovest da dove si arriva. Ex stasis,  da fuori, mi sta dicendo Orazio Garofalo  con suo video, Estasi, che proietta le ombre sul muro fuori dallo schermo. Ombra sei, come non ti vedi mai. Tua ombra, le spalle. Est ovest, mi sta dicendo stasera Antonio, con sua opera, davanti due immagini di confini, segnati, affrontati da est e ovest con correnti marine e correnti di cielo, linee azzurre sporcate da ossido di piombo. Stesso colore usato in stoviglie di terracotta che rilasciavano veleno. Veleno che  man mano nutriva, avvelenando umore. Mondo rivoltato. Prospettiva rivoltata. Stasera. Come racconto di Saverio Tavano sul pesce appena pescato che saltella morente sui grossi ciottoli della battigia e bimba meravigliata, saltellante a sua volta, sorpresa. Su una spiaggia in cui un pescatore anziano osserva continuando suo fare e uomo giovane sorride della scoperta di sua bimba. Un capovolgimento che vita è. Morte per uno e felicità per altra nelle sfumature di tre generazioni. 
 Stasera poi tanti altri capovolgimenti impediranno il tornare ad Itaca. Che mai si torna da nessuna parte. Restano qui accanto i libri di Franco Araniti. "Di quel via vai... D'amore" che mi accingo a leggere.
Orfeo con la tua voce
voleva portarmi via dal mondo
... è per farti vivere
che ti chiamai per nome
e dileguandomi
ti ho fatto voltare

L'ombra di Euridice che dice di voltarci indietro per perderla






giovedì 12 febbraio 2015

Sono un padrone povero

Alla cantata di “ Sono un ragazzo padre” di Jannacci
Sono un padrone povero questa è la verità
Stamattina ho appena pagato un rimanente dei contributi INPS, per miei operai che giammai andarono nei campi. Sapete com’è la favola qui? Se hai un pezzo di terra devi assumere cognati, compari e comare, un proletariato di nullafacenti che ritrovi sul tuo groppone ad urlare scomposti se azzardi a licenziare. Si fecero assumere per poter figliare e prender sussidio, si fecero assumere per prendere poi la disoccupazione, senza nemmeno un grazie. Una pretesa forte, la loro.
Stamattina mi sono svegliata e Oh bella ciao O bella ciao
La Melanide, società che si occupa di riscossione tributi, mette balzelli su pezzi di terra che non producono niente. Ma che importa? Vuole la tassa sul macinato, sul non macinato, finanche la tassa sulla gramigna. 

Sono un padrone povero chiedo la carità
io sono un peccatore per questa società.
Sono un padrone povero non so più dove andare
ho chiesto anche in comune, non mi lasciano entrare
ho chiesto anche in questura, non mi lasciano entrare
ho chiesto anche alle suore, non mi lasciano entrare
ho chiesto anche a mio figlio, m'ha detto: "Vai....
Sei un padrone povero  chiedi la carità




domenica 8 febbraio 2015

Parlo e scrivo BENE. Carmine




Prendo Appunti.
6 Febbraio 2015. Nella sala polivalente del Sistema Bibliotecario di Lamezia Terme, Carmine Torchia presenta la genesi del suo cd, BENE.
Un luogo a me caro questo. Qui, insieme alla professoressa De Sensi Sestito, io parlai di Emily Dickinson incrociandola ai  versi di Ines Pugliese, in una freddissima e piovosa sera d’inverno del 2009. Uguale è il tempo stasera. Freddo e piovoso, dentro però è estate.
Carmine è con noi, dopo averlo aspettato da questa estate. Lo avevamo sentito al  concerto a Cropani con Peppe Voltarelli,  e avevamo  riportato le sue poesiemusica  in macchina e loro ci hanno guidato BENE.
Meridiano o meridione, il nuovo album, che Carmine farà, tratterà dei poeti calabresi: Franco Costabile, Dario Galli, Michele Pane.
Segnali, approdi di un viaggio, di spostamenti, da Sersale a Milano, e poi di nuovo a Sersale dai nonni, e di nuovo su, a Cinisello Balsamo, da Roberta, da Mimmo, da Peppe Fortugno e la sua chitarra.
 Da Mimmo che ha studiato architettura e che spiegherà che musica ed architettura in comune ritmo hanno.
Anche la scrittura, aggiungo io.
Racconti i tatuaggi di Gigi Marino, lo spazio senza tempo, le registrazioni da lui, il suo basso elettrico, Enzo Jannacci che cantavate insieme.
Nell’amore o ci credi oppure no. Una religione. In tutte le cose che noi facciamo, Carmine, o ci crediamo oppure no, con lo stesso identico rispetto verso ciò che amiamo.
Continuo a prendere appunti per nessun giornale, continuo a prendere appunti per una mia voglia di esserci, di vivere, di far mio un tuo pensiero, di appartenere allo stesso mondo.
Quel mondo che ci fa credere nel sogno di scambi, di strade che si aprono solo nel sonno. Un lungo sonno.
Li vedi venire, infatti i tuoi amici di Sersale, nel sogno, Daniele, Giuseppe, Francesca, Pasquale…
Ma dove è finito il mondo? Stai cantando, quando arriva Maria Antonietta Sacco, e tu ricordi il convegno sulla astronomia con Franco Pacini e lui che viene a ringraziarti per tua canzone di apertura, L’Astronomo.
Chi è estraneo al tuo mondo ti può dare un punto di vista che non avevi mai immaginato, ti sta dicendo Pacini, salutandoti.
Ma che ne so, Ma che ne so… riprendi a cantare.
Ti applaudiamo felici, ti chiediamo di continuare e tu e tu ci regali i garofani.
Sei tu a lanciarci i fiori…
Sonno di garofani  da una suggestione di Franco Costabile
 quando ai balconi
c'è un sonno di garofani,
due stelle bizantine
s'affittano una stanza

Con affetto, Ippolita