mercoledì 28 gennaio 2015

Storia della mia vita scribante. A pezzi

Gennareniello, una commedia di Eduardo De Filippo, si recitava quella sera a Napoli, nel sottoscala di un dopolavoro ferroviario, dicentesi teatro off, con pubblico, alcuni  in vestaglia e ciabatte,  altri in sontuosi tailleur di velluto nero e calze ramificanti, con  rose,  su splendide dècolletè nere. 
 Pubblico indigeno ed esterno, venuto per l'occasione.
 Un trionfo.
Io, ogni tanto mi svegliavo, e, fra  sonno e dormiveglia, la rivelazione.
Come dice Flaiano, nello Spettatore addormentato, sono questi i momenti che squarciano il velo fra noi e il testo, fra noi e noi.
Gennareniello, sul palco, con in mano un foglio, stava seducendo, a suo modo, una donna, leggendo un suo scritto.
Ve lo leggo?- diceva, dopo aver preso da una tasca il foglio  e senza aspettare leggeva, amando quello che leggeva, senza curarsi se la malcapitata volesse o meno sentire quel suo canto dell'anima.
L'ingenuità del personaggio sarà facile oggetto di scherno da altri più scafati e lo scritto sarà motivo di ridicolo, non già di stima.
Ridendo amaramente e scherzosa, io, sveglia, promettevo alla mia amica che mai più avrei estratto dalla borsa un foglio ed avrei letto, a conoscenti e non, quello che avevo scritto la mattina.
Ridemmo molto, infatti, io della mia scoperta, lei del suo elegante tailleur, tutte e due capitate in una confusione di termini.
 Lei si era vestita per andare a teatro, e non nel  sottoscala, io, in quel sottoscala, avevo capito cosa succede se ci prendiamo troppo di una passione.
Scivoliamo nel ridicolo.
Così chiusi per sempre l'esperienza del foglio.
                                                                            Ippolita Luzzo




Nessun commento: