Ieri sera al
Politeama di Catanzaro, noi sul palcoscenico, nel laterale riservato alla
stampa, e nello stesso tempo nel testo recitato.
Io, da
osservatrice esterna, ascoltavo i nomi che Sebastiano intercalava fra una
battuta e un’altra del testo di De Filippo, agitando una fotografia di Ennio
Stranieri su un favoloso Enrico IV recitato dall’attore a Lamezia.
I nomi di
amici presenti in platea, di Giovanna Villella, che si occupa, da anni, di teatro, e che ieri sera, con guida esperta,
ci aveva permesso la trasferta, si mescolavano con le frasi del testo, creando
quel teatro nel teatro che rende viva ed unica una rappresentazione.
Sul testo e
sulla commedia non ho nulla da dire, mi sembrano temi corrosi dal tempo,
situazioni e ambienti ormai spariti, essendosi liquefatta la piccola borghesia
familiare che sorreggeva simili momenti
Interessante
invece il tessuto di rimandi e riferimenti, la storia del teatro napoletano e
non, attraverso i tic, le frasi, i gesti
che Sebastiano fa ricordando Totò, Tina Pica, Vittorio Gassman- che consiglia ad
Alessandro di lasciar perdere che non è cosa sua-, ed infine lo stesso Peppino
De Filippo, così straordinariamente riportato da sembrare lui stesso, Lo
Monaco, Peppino. Gli somigliava pure.
A fine
spettacolo Lo Monaco ha salutato e fermato gli spettatori, che stavano andando via,
impartendo una splendida lezione di affetto. La vicinanza di cui si ha bisogno
per essere felici del lavoro fatto. Il motivo
per cui ci si alza e andiamo a teatro, il senso delle cose che ci fanno
comunità. Lo pensa veramente, lui, che da grande interprete della stagione
classica a Siracusa, è stato l’Edipo Re.
Un Grande attore sotto il segno della vergine
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