Come un mantra mi ripeto il titolo di questo libro amato fin dal primo incontro con la professoressa Bice Righetti, al bar. " Per un istante ha il desiderio di voltarsi e a passpo svelto tornare dentro il baretto, infilarsi oltre il biliardino, oltre il tavolino col mazzo di carte napoletane abbandonato, raggiungerla, prenderla per le spalle, dolcemente - anzi no, con forza -e dirle:"Galdina, vieni con me, andiamo a scuola. Si sistema tutto, lo sai". Non lo fa, e di lì a poco la notizia del ritrovamento del cadavere di Galdina Castaldi sarebbe già stata sulla bocca di tutti, mentre Bice Righetti... non sarebbe riuscita a smettere di domandarsi se quella mattina lei avrebbe potuto fare qualcosa per salvarla"
"Forse parlare con qualcuno mi avrebbe aiutato..." si chiede Davide, verso la fine della storia, " Forse dovremmo dirlo a tutti quello che abbiamo fatto"
Adulti e adolescenti, distanze siderali. Genitori e figli, sconosciuti pur abitanti le stesse stanze. Compagni di classe, senza misericordia, senza pace, un mondo di lotta e di incomprensioni. Delicato acquerello sul mondo tribolato dei rapporti fra insegnanti e alunni, fra amici e familiari, fra il mondo interiore e quello esteriore. Un turbinio di emozioni e sentimenti, quasi un acquazzone, un tragico tuffo vuoto da monito affinchè non risucceda.
Tu salvati di Paolo Valentino è una storia, un appello. Chiamiamo l'appello la mattina in classe? e allora anche la vita, le vicende della vita ci chiamano a rispondere: Presente.
Ci chiede questo Paolo Valentino, di esserci nelle situazioni, di accorgerci di un vicino, di un passante, di un alunno, di accorgerci di chi in quel momento si salverebbe con un solo gesto, con una sola parola di comprensione.
Costruito con perizia gli episodi si incastrano come un puzzle e solo alla fine si riuscirà a vedere quanto ogni pezzo sia contiguo ad un altro. La contiguità ormai sconosciuta e tenuta lontana sarà ciò che salverà, salverà chi salva e chi viene salvato, in un duplice atto di fiducia.
Un romanzo SEM. Mi piace immaginare che SEM sia contrazione di Semi, di crescita, di tempo per la semina, ed immagino proprio questi libri che vadano fra educatori ed adolescenti a dare un seme da coltivare per avvicinare gli adulti agli adolescenti.
Nel regno della Litweb plauso e vicinanza a "Tu salvati" diventato il mio mantra quotidiano.
Ippolita Luzzo
martedì 9 aprile 2019
La gente non esiste Paolo Zardi
Racconti viventi, racconti che respirano, mi viene da scrivere su La gente non esiste di Paolo Zardi. In "Botole" si vede il passato, lo vedi come se fosse adesso. Puoi scorrere avanti e indietro. Puoi interagire:rivolgi la parola a qualcuno, e quello ti risponde. Botole ci ricorda questo tempo così infelice, dove non esiste più il sacro, il ricordo, ma tutto è trasformato in un supermercato.
C'è una esigenza impellente di ritrovare, di ritrovarci tutti, da lettori e scrittori, racconta in "Escherichia Coli" l'autore, ritrovarci nel racconto. "Nella realtà di tutti i giorni mancavano i nessi di causalità, la simmetria che crea stupore, un'organizzazione degli eventi, qualcosa che li mettesse in relazione." A fine giornata non abbiamo nulla da raccontare se non ci soccorresse, pietosa quasi, la nostra immaginazione, la costruzione letteraria di un dettaglio. Ho amato il racconto "Corpi" dove i mondi immaginari, il corpo immaginato, perfetto, si sarebbe incontrato con un altro corpo altrettanto immaginario. Quante storie sono nate nell'immaginazione e sono rimaste perfette in quei mondi immaginari che potrebbero essere la Luna di Astolfo, il luogo dove Ariosto mandava il senno di chi immaginava troppo! Moltissime storie non appaiono mai se non ci fosse uno scrittore ad acciuffarle prima che volino lassù, sulla Luna.
Intanto il mondo è sparito, le città, i paesi, i quartieri, sono spariti, resta un "Riverbero" ed Riverbero, ultimo dei racconti a chiederemi fortemente di ritornare ciclicamente al primo.
Ritornare a "Ombrelloni" il primo racconto del La gente non esiste.
Vista dall’alto la spiaggia assomigliava alla pianura padana ( Oceano padano Mirko Volpi) o a una vecchia carta geografica dove i diversi colori riempivano poligoni tracciati con il righello: gli ombrelloni giallo limone confinavano con ombrelloni bianchi e sobri che si estendevano fino ai margini di quelli rossi, alla periferia occidentale dello stabilimento,dove un fiume impediva ogni ulteriore espansione( canticchio leggendo la descrizione la canzone “ In spiaggia gli ombrelloni... "l'estate sta finendo" dei Righeira) e canticchiando vi invito alla lettura di questi deliziosi racconti sulla descrizione della spiaggia con l’odore della carne. "Il mio fu amore a prima vista." potrei dire io con Paolo Zardi.
Vi consiglio la lettura di questi racconti e degli altri libri di Paolo Zardi, in un Zarditudine infinita dal Regno Della Litweb esultante.
Ippolita Luzzo
C'è una esigenza impellente di ritrovare, di ritrovarci tutti, da lettori e scrittori, racconta in "Escherichia Coli" l'autore, ritrovarci nel racconto. "Nella realtà di tutti i giorni mancavano i nessi di causalità, la simmetria che crea stupore, un'organizzazione degli eventi, qualcosa che li mettesse in relazione." A fine giornata non abbiamo nulla da raccontare se non ci soccorresse, pietosa quasi, la nostra immaginazione, la costruzione letteraria di un dettaglio. Ho amato il racconto "Corpi" dove i mondi immaginari, il corpo immaginato, perfetto, si sarebbe incontrato con un altro corpo altrettanto immaginario. Quante storie sono nate nell'immaginazione e sono rimaste perfette in quei mondi immaginari che potrebbero essere la Luna di Astolfo, il luogo dove Ariosto mandava il senno di chi immaginava troppo! Moltissime storie non appaiono mai se non ci fosse uno scrittore ad acciuffarle prima che volino lassù, sulla Luna.
Intanto il mondo è sparito, le città, i paesi, i quartieri, sono spariti, resta un "Riverbero" ed Riverbero, ultimo dei racconti a chiederemi fortemente di ritornare ciclicamente al primo.
Ritornare a "Ombrelloni" il primo racconto del La gente non esiste.
Vista dall’alto la spiaggia assomigliava alla pianura padana ( Oceano padano Mirko Volpi) o a una vecchia carta geografica dove i diversi colori riempivano poligoni tracciati con il righello: gli ombrelloni giallo limone confinavano con ombrelloni bianchi e sobri che si estendevano fino ai margini di quelli rossi, alla periferia occidentale dello stabilimento,dove un fiume impediva ogni ulteriore espansione( canticchio leggendo la descrizione la canzone “ In spiaggia gli ombrelloni... "l'estate sta finendo" dei Righeira) e canticchiando vi invito alla lettura di questi deliziosi racconti sulla descrizione della spiaggia con l’odore della carne. "Il mio fu amore a prima vista." potrei dire io con Paolo Zardi.
Vi consiglio la lettura di questi racconti e degli altri libri di Paolo Zardi, in un Zarditudine infinita dal Regno Della Litweb esultante.
Ippolita Luzzo
sabato 6 aprile 2019
Libro dei dispersi e dei ritornati Lea Barletti
Undici racconti brevi: fotografie di sconosciuti trovate da Lea Barletti in un baule a Berlino, come trovò le fotografie di un'altra grande fotografa, Vivian Maier, John Maloof, agente immobiliare, e diede vita al culto di immagini altrimenti scomparse.
Dalle fotografie nascono i racconti, uno di questi sarà pubblicato sulla rivista "Il primo amore" di Antonio Moresco, un'altro su "Positivo Diretto e Bitume Photofest" su richiesta di Gioia Perrone. Interessante il racconto nato da una radiografia al ginocchio di chissà chi, il titolo è "Lezione d'anatomia". Esserci per caso, scrive Lea Barletti. Esserci per caso e imparare ad esserci imparando la pazienza, sembra dirci, aspettando, con un pugno di parole in mano. "Il fatto è che io credo che questo caso sia proprio uno di quelli , uno che capita una volta sola nella vita, uno di quelli che ti fanno annunciare da una stella, uno che l'hai già visto tanti anni prima che accadesse, e ti sei pure voltata per un attimo a guardare quel futuro enorme che ti si spalancava davanti"
Racconti di analisi e sintesi, su fotografie sconosciute, fatte vivere su un foglio bianco, facendo un dialogo con immagini ferme. Come una preghiera" Questa è la mia preghiera alle paure" scrive l'autrice, quel momento in cui siamo davanti alle nostre ossessioni e cerchiamo di esorcizzarle. "Odora di solitudine... odora di tempo senza memoria... odora di chiuso e di sensi di colpa." Faccio un po' di zapping sulle frasi di Lea Barletti per riportare la sensazione che sentirete leggendo, e vorrete anche voi ribellarvi al silenzio e alla solitudine, vorrete ribellarvi al "massacro" di tacere. Lea ci invita in questo suo modo a parlare prima di non averne più la possibilità, come scrive Carlo D'Amicis nella postfazione " in una riscrittura del possibile che assomiglia alle preghiere che rivolgiamo ai nostri morti perché non muoiano ancora" Siamo tutti dispersi e quando ritorniamo non ritorniamo da nessuna parte, se non nella immaginazione e nella letteratura.
Il libro dei Dispersi e dei ritornati Musicaos Editore Maggio 2018 Euro 13 pagine 143
Voto 4/5
Dalle fotografie nascono i racconti, uno di questi sarà pubblicato sulla rivista "Il primo amore" di Antonio Moresco, un'altro su "Positivo Diretto e Bitume Photofest" su richiesta di Gioia Perrone. Interessante il racconto nato da una radiografia al ginocchio di chissà chi, il titolo è "Lezione d'anatomia". Esserci per caso, scrive Lea Barletti. Esserci per caso e imparare ad esserci imparando la pazienza, sembra dirci, aspettando, con un pugno di parole in mano. "Il fatto è che io credo che questo caso sia proprio uno di quelli , uno che capita una volta sola nella vita, uno di quelli che ti fanno annunciare da una stella, uno che l'hai già visto tanti anni prima che accadesse, e ti sei pure voltata per un attimo a guardare quel futuro enorme che ti si spalancava davanti"
Racconti di analisi e sintesi, su fotografie sconosciute, fatte vivere su un foglio bianco, facendo un dialogo con immagini ferme. Come una preghiera" Questa è la mia preghiera alle paure" scrive l'autrice, quel momento in cui siamo davanti alle nostre ossessioni e cerchiamo di esorcizzarle. "Odora di solitudine... odora di tempo senza memoria... odora di chiuso e di sensi di colpa." Faccio un po' di zapping sulle frasi di Lea Barletti per riportare la sensazione che sentirete leggendo, e vorrete anche voi ribellarvi al silenzio e alla solitudine, vorrete ribellarvi al "massacro" di tacere. Lea ci invita in questo suo modo a parlare prima di non averne più la possibilità, come scrive Carlo D'Amicis nella postfazione " in una riscrittura del possibile che assomiglia alle preghiere che rivolgiamo ai nostri morti perché non muoiano ancora" Siamo tutti dispersi e quando ritorniamo non ritorniamo da nessuna parte, se non nella immaginazione e nella letteratura.
Il libro dei Dispersi e dei ritornati Musicaos Editore Maggio 2018 Euro 13 pagine 143
Voto 4/5
Nero, il gatto di Parigi di Osvaldo Soriano
La favola bella di Osvaldo Soriano, il ponte amicale fra un io e un noi, il ponte unisce e ci fa incontrare Ilide, Marco e Giorgia, tutti coloro hanno partecipato affinché la storia giungesse fino a qui.
Nella prefazione di Marco Ciriello troviamo la discrasia dove abitiamo. Dove abitiamo? Mi verrebbe da rispondere nel paese dell’immaginazione, o almeno troviamo conforto nel fantastico che ci fa compagnia. “Quando le cose vanno male conviene pensare in modo immateriale annullando spazio e tempo” Raccontiamola e raccontiamocela questa fiaba onesta e antica sul volare via dalle imposture deila lontananza.
Con i gatti che non han padrone come me, cantava Lucio Dalla, in Piazza grande.
I gatti sono amici dello scrittore, mette sempre un gatto nelle sue storie, i gatti portano fortuna, i gatti ci guardano e credo proprio ormai che dovrei prendere un gatto qui a casa mia. Nel vuoto un gatto mi ridarà lo slancio di salire sui tetti di Parigi e vedere vicinissimo quel che sta lontanissimo. C’è un modo per vedere al di là del mare e lo abbiamo letto in Vinpeel degli orizzonti di Peppe Millanta e lo leggiamo ora qui, ed è la pulizia dello sguardo.
Mi piace moltissimo leggere e rileggere i passaggi di questo racconto e fare il tifo per il gatto Nero che sfida i cani nel bar di Parigi, l’arguzia e l’eleganza contro la forza e l’aggressione.
Mi diverto a entrare nella casa e salire sui tetti per vedere dall’alto quella Buenos Aires dell'infanzia.
Le immagini accompagnano la fiaba come un servizio fotografico ricco di arte, sono quadri da appendere nelle pareti del regno della Litweb.
Si può affrontare la solitudine, la dittatura,le ingiustizie e il dover abbandonare ciò che sta più caro se si può ricomporre letterariamente la vita individuale. Alla maniera di Salgari, come una visione.
A casa di mia madre e poi a casa da me per leggere Nero, il gatto di Parigi di Osvaldo Soriano. Tradotto magnificamente da Ilide Carmignani con prefazione di Marco Ciriello.
Libro delizioso. Illustrazioni stupende di Vincenza Peschechera. Casa editrice amatissima LiberAria Editrice, collana diretta da Alessandro Raveggi. Un abbraccio a Giorgia Antonelli e a tutti voi che avete collaborato a far conoscere una fiaba, un’amicizia, nata col desiderio di aggiustare i fatti e le distanze con l’affetto. Grazie e porteremo questo libro nelle scuole, dai bimbi e dagli adulti per arginare le malvagità con la buona lettura
Ippolita Luzzo
Nella prefazione di Marco Ciriello troviamo la discrasia dove abitiamo. Dove abitiamo? Mi verrebbe da rispondere nel paese dell’immaginazione, o almeno troviamo conforto nel fantastico che ci fa compagnia. “Quando le cose vanno male conviene pensare in modo immateriale annullando spazio e tempo” Raccontiamola e raccontiamocela questa fiaba onesta e antica sul volare via dalle imposture deila lontananza.
Con i gatti che non han padrone come me, cantava Lucio Dalla, in Piazza grande.
I gatti sono amici dello scrittore, mette sempre un gatto nelle sue storie, i gatti portano fortuna, i gatti ci guardano e credo proprio ormai che dovrei prendere un gatto qui a casa mia. Nel vuoto un gatto mi ridarà lo slancio di salire sui tetti di Parigi e vedere vicinissimo quel che sta lontanissimo. C’è un modo per vedere al di là del mare e lo abbiamo letto in Vinpeel degli orizzonti di Peppe Millanta e lo leggiamo ora qui, ed è la pulizia dello sguardo.
Mi piace moltissimo leggere e rileggere i passaggi di questo racconto e fare il tifo per il gatto Nero che sfida i cani nel bar di Parigi, l’arguzia e l’eleganza contro la forza e l’aggressione.
Mi diverto a entrare nella casa e salire sui tetti per vedere dall’alto quella Buenos Aires dell'infanzia.
Le immagini accompagnano la fiaba come un servizio fotografico ricco di arte, sono quadri da appendere nelle pareti del regno della Litweb.
Si può affrontare la solitudine, la dittatura,le ingiustizie e il dover abbandonare ciò che sta più caro se si può ricomporre letterariamente la vita individuale. Alla maniera di Salgari, come una visione.
A casa di mia madre e poi a casa da me per leggere Nero, il gatto di Parigi di Osvaldo Soriano. Tradotto magnificamente da Ilide Carmignani con prefazione di Marco Ciriello.
Libro delizioso. Illustrazioni stupende di Vincenza Peschechera. Casa editrice amatissima LiberAria Editrice, collana diretta da Alessandro Raveggi. Un abbraccio a Giorgia Antonelli e a tutti voi che avete collaborato a far conoscere una fiaba, un’amicizia, nata col desiderio di aggiustare i fatti e le distanze con l’affetto. Grazie e porteremo questo libro nelle scuole, dai bimbi e dagli adulti per arginare le malvagità con la buona lettura
Ippolita Luzzo
venerdì 29 marzo 2019
Nino Racco a Lamezia
Nino Racco inizia il suo canto con i versi di Ignazio Butitta con un canto scritto per Rosa Balestrieri e subito dopo ci porta a quel mondo di cantastorie e di cantautori che hanno rallegrato, illuminato e rafforzato, gli ideali della gioventù.
Il ritorno a Giorgio Gaber, l’idea che non può essere mangiata e la partecipazione che non c’è, l’idea della possibile palingesi universale si incaglia verso un pensiero rozzo, di chi offende chiamando “ricchioni” coloro che amano i loro simili. Offrendo la poesia in forma di rosa, da Pasolini, nel vento novembre, canta Nino Racco, "tutto il mio folle amore lo soffia il cielo."
Nino Racco ci fa conoscere un avo di Pasolini, Vincenzo Colussi, ferito nella campagna di Russia, voluta da Napoleone, e salvato da una ragazza polacca, Susanna, mentre ormai stava nel ventre squarciato del cavallo a delirare. Cantando attraverso i secoli ingiusti e difficili per la libertà individuale e collettiva, giungiamo nel cielo di Praga, quando la piazza fermò la sua vita, quando quel fumo si sparse lontano in ricordo di Jean Palach, che si era immolato per protestare contro l’invasione della Polonia da parte del regime sovietico.
Una speranza nel cielo di Praga.
E siamo a Sanremo sempre in quegli anni e Luigi Tenco prepara un testo contro l’insensatezza delle guerre, con quei soldati mandati a morire come se fossero uno sciame di insetti, senza più espressione sul volto. Una canzone stupenda edulcorata e traslata in sette differenti versioni per essere mandata al Festival di Sanremo con un saluto per sempre.
Nino Racco ci recita una poesia di una donna somala, una poesia sulla casa, sulla casa che abbiamo e che siamo costretti a lasciare se arriva la guerra e ricantiamo insieme l’inno della fratellanza “Ragazzo che sorridi, il mondo di domani paura non avrà ed una mano bianca un nera stringerà” ricordando cosa siano i principi di umanità: La fratellanza fra i popoli, la democrazia.
Solone eliminò i debiti dei poveri, ricorda Teodorakis e intanto siamo giunti alla fine al Pisci Spada che muore per amore, siamo giunti all’acqua blu quando la pubblicità ci fa fare quello che non vogliamo più.
Unico canto dove Luigi Tenco ride della risata distaccata del così va il mondo, noi sorpresi applaudiamo Nino Racco, grande cantastorie dei nostri anni fuggiti nei cieli di Praga, di Sanremo, di Bovalino e Lamezia.
Un grazie immenso dal regno della Litweb
Ippolita Luzzo
Ippolitweb
Il ritorno a Giorgio Gaber, l’idea che non può essere mangiata e la partecipazione che non c’è, l’idea della possibile palingesi universale si incaglia verso un pensiero rozzo, di chi offende chiamando “ricchioni” coloro che amano i loro simili. Offrendo la poesia in forma di rosa, da Pasolini, nel vento novembre, canta Nino Racco, "tutto il mio folle amore lo soffia il cielo."
Nino Racco ci fa conoscere un avo di Pasolini, Vincenzo Colussi, ferito nella campagna di Russia, voluta da Napoleone, e salvato da una ragazza polacca, Susanna, mentre ormai stava nel ventre squarciato del cavallo a delirare. Cantando attraverso i secoli ingiusti e difficili per la libertà individuale e collettiva, giungiamo nel cielo di Praga, quando la piazza fermò la sua vita, quando quel fumo si sparse lontano in ricordo di Jean Palach, che si era immolato per protestare contro l’invasione della Polonia da parte del regime sovietico.
Una speranza nel cielo di Praga.
E siamo a Sanremo sempre in quegli anni e Luigi Tenco prepara un testo contro l’insensatezza delle guerre, con quei soldati mandati a morire come se fossero uno sciame di insetti, senza più espressione sul volto. Una canzone stupenda edulcorata e traslata in sette differenti versioni per essere mandata al Festival di Sanremo con un saluto per sempre.
Nino Racco ci recita una poesia di una donna somala, una poesia sulla casa, sulla casa che abbiamo e che siamo costretti a lasciare se arriva la guerra e ricantiamo insieme l’inno della fratellanza “Ragazzo che sorridi, il mondo di domani paura non avrà ed una mano bianca un nera stringerà” ricordando cosa siano i principi di umanità: La fratellanza fra i popoli, la democrazia.
Solone eliminò i debiti dei poveri, ricorda Teodorakis e intanto siamo giunti alla fine al Pisci Spada che muore per amore, siamo giunti all’acqua blu quando la pubblicità ci fa fare quello che non vogliamo più.
Unico canto dove Luigi Tenco ride della risata distaccata del così va il mondo, noi sorpresi applaudiamo Nino Racco, grande cantastorie dei nostri anni fuggiti nei cieli di Praga, di Sanremo, di Bovalino e Lamezia.
Un grazie immenso dal regno della Litweb
Ippolita Luzzo
Ippolitweb
domenica 24 marzo 2019
Esportiamo il Lametame in Danimarca
“ Alla maniera di castigat ridendo mores. – Frase latina («corregge i costumi col ridere») composta dal letterato francese J. de Santeuil (sec. 17°) per il busto d’Arlecchino che doveva decorare il proscenio della Comédie Italienne a Parigi; si ripete talora riferendola a persona che sa ammonire senza che nelle sue parole si senta il rimprovero, e nello specifico a scrittore che dà insegnamenti morali attraverso forme letterarie apparentemente leggere e, comunque, divertenti.”
Questo sulla Treccani e lo stesso sul mio blog Lametame forever
www.IlLametame.it è il mio foglio inventato. Da anni.
Io sono l'inventore del termine, il direttore responsabile, l'editorialista e mi occupo anche di cronaca rosa, verde, gialla e bluette. Un grande giornale che si distinse in tempi passati con un server che non serviva e con un link che non si apriva.
Ognuno poteva immaginare cosa ci fosse nel Lametame.
Invettivi, sorrisi e stupore, lo sguardo meravigliato sul nostro intimo e sul nostro sociale, su giovani e vecchi intergenerazionale, il chiacchierare inutile e vano di gente che gracida nel Lametame.
Senza però voler alcun male, tutti i servizi furono scritti con la benevolenza come crema reale, pronta ed unguento da accarezzare su mani e penne intente al ticchettare di tasti irreali.
Evviva evviva Il Lametame che piacque subito ai giornalisti, ai radio e tele cronisti, questi accolsero tutti con simpatia un foglio che proprio non c'era ma si poteva permettere il vero.
Poi Il Lametame fu trascinato nel buio oblio della bannata, sparì Lo Stile della Litweb, e con il profilo che fu oscurato scomparve anche la sua testata.
Ora ritorna nell'etere oscuro del nuovo stile, nella nuova veste tipografica e con nuovi articoli sempre reali.
Negli anni tristi dei nostri bavagli, sotto i bavagli noi sorridiamo e con Massimiliano Lo Russo, nostro artista, abbiamo di nuovo ripreso a cantare. Intanto noi facciamo auguri a tutti i nativi del settembrino, siano essi Bilance o verginelle, noi siamo i saggi ed i maturi del calendario prossimo venturo.
Dalla redazione di questo giornale
Evviva evviva Il Lametame.
Il Lametame riecheggia da anni, da moltissimi anni, nelle teste benpensanti del Lametino e da allora in poi Il Lametame sarà il pubblico termine coniato da me e esportato nella nazione delle patrie lettere. Un marchio SIAE per indicare non tanto un luogo o il suo paesaggio bensì i gesti, le scortesie, le piccinerie, con cui si pensa di fare comunità, a dir la verità una comunità che non esiste.
Le parole di Ceronetti intellettuale viaggiatore nella descrizione del cimitero:
"Nel cimitero di Lamezia (dove scivolo disperato per tanta bruttezza) una splendida, grassa, lucente lucertola annuncia tripudiante l’Anàstasis a Giorgio Fragalà il quale “dedicò ogni suo atto alla Famiglia e al suo Impiego”. (Forse è da interpretare: a come impiegare, nel senso di adoperare, la Famiglia)... E intanto musica, fischi di treno, mai pace."
Credo, ridendo, che fra topi, lucertole e serpenti, una colomba possa ancora volare sui cieli della piana infelix. mi soffermerò invece sulle frasi di Ceronetti tratte da "Un viaggio in Italia" commissionato da Giulio Einaudi allo scrittore, pubblicato nel 1983.
"Lamezia, un luogo texano, italianamente inesistente... Lo squallore intollerabile di Nicastro... Un funebre vacare di giovani nei bar, raggruppati intorno al Niente... Come si può vivere in un luogo così brutto? “...E le cose visibili s’intendono per la notizia delle cose invisibili” (così deve parlare un vero storico!). Nicastro sembra una ricostruzione post-atomica, talmente affrettata e stracciona da far rimpiangere quando la bomba aveva fatto il deserto. Qualche avanzo povero, che sarà demolito per fare posto al disumano... Mio Dio, quant'è brutta l’Italia! Di bellezza restano poche, assurde tracce: beato chi le ritrova e le segue, fuori di questo mondo. Qualche bel topo lungo i binari della ferrovia. Vernice rossa e croci nazi... Facce concentrate hanno tutti i calabresi. Sembrano, anche non pensando, una nazione di filosofi..."
In effetti il paesaggio a ben guardare conserva ancora molta bellezza, certo deturpata, però presente, e il pittoresco, benché molto omologato, si può trovare. Il vero orrido che affascina, il sublime, presente nelle irregolarità, nel rumore, nella laidezza dei gesti oppure nella generosità che non aspetti più, vivacchia nella piana lametina come altrove mostrando segni di una vitalità restia ad arrendersi.
Raffaele mi incoraggia a risiedermi ai tasti e a ripigiarli, ed a lui rispondo, alla generosità di chi ci crede, di chi crede al potere dello scritto che possa immortalare il “momento storico"
La relazione era conclusa, il relatore aveva trattato il tema in modo puntuale e preciso, sublime direi, anche ironico, il dibattito era vivace e durante un mio breve intervento ho sintetizzato il senso delle parole di Ceronetti. Con i bavagli di Massimiliano Lo Russo
Ippolita Luzzo
Questo sulla Treccani e lo stesso sul mio blog Lametame forever
www.IlLametame.it è il mio foglio inventato. Da anni.
Io sono l'inventore del termine, il direttore responsabile, l'editorialista e mi occupo anche di cronaca rosa, verde, gialla e bluette. Un grande giornale che si distinse in tempi passati con un server che non serviva e con un link che non si apriva.
Ognuno poteva immaginare cosa ci fosse nel Lametame.
Invettivi, sorrisi e stupore, lo sguardo meravigliato sul nostro intimo e sul nostro sociale, su giovani e vecchi intergenerazionale, il chiacchierare inutile e vano di gente che gracida nel Lametame.
Senza però voler alcun male, tutti i servizi furono scritti con la benevolenza come crema reale, pronta ed unguento da accarezzare su mani e penne intente al ticchettare di tasti irreali.
Evviva evviva Il Lametame che piacque subito ai giornalisti, ai radio e tele cronisti, questi accolsero tutti con simpatia un foglio che proprio non c'era ma si poteva permettere il vero.
Poi Il Lametame fu trascinato nel buio oblio della bannata, sparì Lo Stile della Litweb, e con il profilo che fu oscurato scomparve anche la sua testata.
Ora ritorna nell'etere oscuro del nuovo stile, nella nuova veste tipografica e con nuovi articoli sempre reali.
Negli anni tristi dei nostri bavagli, sotto i bavagli noi sorridiamo e con Massimiliano Lo Russo, nostro artista, abbiamo di nuovo ripreso a cantare. Intanto noi facciamo auguri a tutti i nativi del settembrino, siano essi Bilance o verginelle, noi siamo i saggi ed i maturi del calendario prossimo venturo.
Dalla redazione di questo giornale
Evviva evviva Il Lametame.
Il Lametame riecheggia da anni, da moltissimi anni, nelle teste benpensanti del Lametino e da allora in poi Il Lametame sarà il pubblico termine coniato da me e esportato nella nazione delle patrie lettere. Un marchio SIAE per indicare non tanto un luogo o il suo paesaggio bensì i gesti, le scortesie, le piccinerie, con cui si pensa di fare comunità, a dir la verità una comunità che non esiste.
Le parole di Ceronetti intellettuale viaggiatore nella descrizione del cimitero:
"Nel cimitero di Lamezia (dove scivolo disperato per tanta bruttezza) una splendida, grassa, lucente lucertola annuncia tripudiante l’Anàstasis a Giorgio Fragalà il quale “dedicò ogni suo atto alla Famiglia e al suo Impiego”. (Forse è da interpretare: a come impiegare, nel senso di adoperare, la Famiglia)... E intanto musica, fischi di treno, mai pace."
Credo, ridendo, che fra topi, lucertole e serpenti, una colomba possa ancora volare sui cieli della piana infelix. mi soffermerò invece sulle frasi di Ceronetti tratte da "Un viaggio in Italia" commissionato da Giulio Einaudi allo scrittore, pubblicato nel 1983.
"Lamezia, un luogo texano, italianamente inesistente... Lo squallore intollerabile di Nicastro... Un funebre vacare di giovani nei bar, raggruppati intorno al Niente... Come si può vivere in un luogo così brutto? “...E le cose visibili s’intendono per la notizia delle cose invisibili” (così deve parlare un vero storico!). Nicastro sembra una ricostruzione post-atomica, talmente affrettata e stracciona da far rimpiangere quando la bomba aveva fatto il deserto. Qualche avanzo povero, che sarà demolito per fare posto al disumano... Mio Dio, quant'è brutta l’Italia! Di bellezza restano poche, assurde tracce: beato chi le ritrova e le segue, fuori di questo mondo. Qualche bel topo lungo i binari della ferrovia. Vernice rossa e croci nazi... Facce concentrate hanno tutti i calabresi. Sembrano, anche non pensando, una nazione di filosofi..."
In effetti il paesaggio a ben guardare conserva ancora molta bellezza, certo deturpata, però presente, e il pittoresco, benché molto omologato, si può trovare. Il vero orrido che affascina, il sublime, presente nelle irregolarità, nel rumore, nella laidezza dei gesti oppure nella generosità che non aspetti più, vivacchia nella piana lametina come altrove mostrando segni di una vitalità restia ad arrendersi.
Raffaele mi incoraggia a risiedermi ai tasti e a ripigiarli, ed a lui rispondo, alla generosità di chi ci crede, di chi crede al potere dello scritto che possa immortalare il “momento storico"
La relazione era conclusa, il relatore aveva trattato il tema in modo puntuale e preciso, sublime direi, anche ironico, il dibattito era vivace e durante un mio breve intervento ho sintetizzato il senso delle parole di Ceronetti. Con i bavagli di Massimiliano Lo Russo
Ippolita Luzzo
sabato 23 marzo 2019
Fabrizio Coscia I Sentieri Delle Ninfe
Nei dintorni del discorso amoroso
Appena nato il libro di Fabrizio Coscia ha il sapore di un classico, il senso di un saggio sull'arte, il profumo di un passato lontano e il continuo delirio felice che da "Soli eravamo" a "La Bellezza che resta" ci giunge fino a noi.
I sentieri attraversati da lui, insieme ai suoi lettori, percorrono luoghi bellissimi, "testimoniati" da quadri, per "imparare a vedere di nuovo attraverso lo sguardo dell'artista" e capire dove si nasconde ciò che crediamo sia perso.
Uno svelamento.
Fabrizio Coscia continua con questo libro a svelarci cosa sia il compito dell'arte, cioè il continuo svelamento sulla soglia dell'impossibile. Per riuscire nel suo intento chiama alla memoria libri, film, quadri, dialoghi, momenti fra il sogno e la veglia, in quel cadere, in quell'abbandono che può regalarci una percezione dilatata.
Qui sembra siano le ninfe a percorrere i sentieri e a sparire fuggenti alla nostra vista, una pura apparizione, un dono di levità e bellezza, fatto di acqua e vento, di bellezza e illuminazione, quasi un rito, ed è proprio un rito ciò che avviene leggendo il libro, fermandosi di volta in volta davanti ai quadri di Bonnard e di Marthe, la modella moglie raffigurata più e più volte nella sua quotidianità e sempre svestita, eppure sempre enigmatica, misteriosa, come se il nudo non svestisse alcunchè.
Fermiamoci con Fabrizio a rileggere Albertine, nel romanzo di Marcel Proust, a rileggere Lolita di Nabokov, e camminando con lui arriveremo ai film, al film di Rossellini " Un amore" da un atto di Jean Cocteau "La voce umana" con la voce di Anna Magnani al telefono che si strugge per l'impossibilità di poter raggiungere e avere il suono della voce amata, di un lui irrangiugibile.
Sentieri impercorribili quelli del possesso e della certezza, quelli dell'amore e dell'amato, ci dice Fabrizio con i suoi riferimenti ai Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes.
Sentieri impercorribili anche voler conoscere tramite la fotografia, con le immagini, nel disagio delle mille e mille immagini che vorrebbero rapirci e trascinarci lontano da noi.
Bisognerà reimparare a guardare per distinguere l'Altro, ci suggerisce Fabrizio Coscia, in questa passeggiata per i sentieri delle ninfe, fermandoci e attendendo di vederle riapparire sorridenti a farci ciao.
Ippolita Luzzo
Appena nato il libro di Fabrizio Coscia ha il sapore di un classico, il senso di un saggio sull'arte, il profumo di un passato lontano e il continuo delirio felice che da "Soli eravamo" a "La Bellezza che resta" ci giunge fino a noi.
I sentieri attraversati da lui, insieme ai suoi lettori, percorrono luoghi bellissimi, "testimoniati" da quadri, per "imparare a vedere di nuovo attraverso lo sguardo dell'artista" e capire dove si nasconde ciò che crediamo sia perso.
Uno svelamento.
Fabrizio Coscia continua con questo libro a svelarci cosa sia il compito dell'arte, cioè il continuo svelamento sulla soglia dell'impossibile. Per riuscire nel suo intento chiama alla memoria libri, film, quadri, dialoghi, momenti fra il sogno e la veglia, in quel cadere, in quell'abbandono che può regalarci una percezione dilatata.
Qui sembra siano le ninfe a percorrere i sentieri e a sparire fuggenti alla nostra vista, una pura apparizione, un dono di levità e bellezza, fatto di acqua e vento, di bellezza e illuminazione, quasi un rito, ed è proprio un rito ciò che avviene leggendo il libro, fermandosi di volta in volta davanti ai quadri di Bonnard e di Marthe, la modella moglie raffigurata più e più volte nella sua quotidianità e sempre svestita, eppure sempre enigmatica, misteriosa, come se il nudo non svestisse alcunchè.
Fermiamoci con Fabrizio a rileggere Albertine, nel romanzo di Marcel Proust, a rileggere Lolita di Nabokov, e camminando con lui arriveremo ai film, al film di Rossellini " Un amore" da un atto di Jean Cocteau "La voce umana" con la voce di Anna Magnani al telefono che si strugge per l'impossibilità di poter raggiungere e avere il suono della voce amata, di un lui irrangiugibile.
Sentieri impercorribili quelli del possesso e della certezza, quelli dell'amore e dell'amato, ci dice Fabrizio con i suoi riferimenti ai Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes.
Sentieri impercorribili anche voler conoscere tramite la fotografia, con le immagini, nel disagio delle mille e mille immagini che vorrebbero rapirci e trascinarci lontano da noi.
Bisognerà reimparare a guardare per distinguere l'Altro, ci suggerisce Fabrizio Coscia, in questa passeggiata per i sentieri delle ninfe, fermandoci e attendendo di vederle riapparire sorridenti a farci ciao.
Ippolita Luzzo
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