mercoledì 1 luglio 2015

L’inverno dell’umanità- Metropoli di Massimiliano Santarossa


Parte prima L’arrivo al mondo nuovo -Parte seconda Il corpo della città - Parte terza Il peso dell’anima

«La libertà inizia al principio del nulla.»
Le immagini del Libano alla periferia con Israele, le case crivellate di colpi, deturpate, senza tetti, senza vita. Leggo visualizzando e sono i villaggi del Libano che  mi appaiono insieme alle  parole scritte da Santarossa come  l’inverno dell’umanità. Nel suo  racconto non vi è  un luogo geografico e nemmeno un tempo, se non lanciato negli anni.   Che anno è? Che giorno è?
 L’Anno del Signore- Duemilatrentacinque.
 Cammino con il protagonista, scampato alla fine della storia, alla fine del mondo e in viaggio verso una lingua di terra che sembra intatta. Una lingua, dice lui. Sopravvivere, il solo obiettivo:” Pestando il suolo duro, lucido come grafite, fissava gli scarponi consumati, lacerati ai lati, tenuti assieme da pezzi di spago. «Se si aprono crepo. Senza scarpe si muore» e va verso Metropoli. “Inesistente la speranza. Metropoli era tutto.”
Per zona. Dalla Repubblica di Platone alla Città del Sole di Campanella, ai falansteri di Fourier ed alle Comuni, per zona a zona si sono delineate le Utopie. Parola che  vuol dire in nessun luogo.  Immaginarie costruzioni di luoghi immobili, dove pietrificare lo spirito individuale.

Scappa intanto il protagonista, scappa dal crollo della produzione e va verso il nuovo ordine “Lui scrutò le proprie scarpe ormai del tutto aperte, sfaldate come la sua vita, di seguito esaminò gli scarponi delle guardie, nuovi, possenti”
Scappa. Da cosa scappa? Scappa da qui, dalla storia dei giorni che viviamo.
Intanto che leggo e man mano scorrono le immagini.
 Terraferma di Crialesi, film del 2011, Un’isola siciliana di pescatori è investita dagli arrivi dei clandestini e dalla regola nuova del respingimento: la negazione stessa della cultura del mare che obbliga al soccorso. I barconi e quelle mani che non vogliono annegare. - Se civiltà è appagamento, allora mai ci fu.-
Precipitati siamo In Time
In Time, film del 2011. Un futuro non troppo lontano dove il gene dell’invecchiamento viene reso inattivo. Nel nuovo ordine per evitare la sovrappopolazione, il tempo è diventato la valuta e il modo di pagare i lussi e le necessità. - Metropoli è già qui.-
Il silenzio con cui si trascorrono i giorni, il cibo, le abluzioni. Il silenzio con badante per i vecchi, il silenzio con televisione ed Iphone, per giovani ed adulti, il silenzio già qui.
 “Ciò che invece non venne mai cancellato fu il bisogno umano di imporre un’educazione, forzata, obbligata. Così accadeva nel vecchio mondo, così si ripeteva nel nuovo mondo.”
E la rete “Stavano vicini per stare vicini, unicamente per non ritrovarsi abbandonati. Volevano essere un branco che si sposta nella stessa direzione, sempre circolare, senza uscita.”
“ Non era la solitudine la condizione perfetta? Stava mentendo a se stesso? Le pulsioni, i desideri intimi, la rivelazione delle prime bugie come atto di definizione delle scelte compiute e da compiere. Tutti mentivano nel mondo passato come a Metropoli, fin da bambini. Ma gli effetti della menzogna divenivano sfruttabili solo dopo averla fatta propria: gestibile. Gli uomini crescevano grazie a bugie ripetute.”
Nel nostro immaginare incubi finiamo per riprodurre quelli che già viviamo offrendo però “La Forma minima della  felicità” altro libro letto di recente di Francesca Marzia Esposito. Altro libro di solitudine, di mondo ormai disumano, di ripiego nel chiuso.
Lì  nel chiuso di una casa, qui, in Metropoli, di una città.
Mi sembra sempre la città di Campanella, dove la perfezione diventa separazione. Le donne di qua, gli uomini di là.  I figli separati dalle famiglie ed educati da un’altra parte. Intanto che livellamento impera. Un incubo.
Viviamo una civiltà fatta di imperfezioni e di contraddizioni, abitiamo un mondo complesso e poi ad immaginarlo lo si immagina completamente numerato e selezionato allo scopo di darci maggior paura.
Massimiliano Santarossa, nel suo monito al tempo presente, ci spaventa con geometrica ricerca di fotogrammi già conosciuti, con camere a gas, già studiate, con tormenti e torture già state, con incubi che abbiamo già letto nei racconti dei prigionieri al  campo di prigionia di Guantánamo  una struttura detentiva statunitense di massima sicurezza.
L'area di detenzione era composta da tre campi: il "Camp Delta" (che include il "Camp Echo"), il "Camp Iguana" e il "Camp X-Ray”.
Sembra Metropoli.
Sembra Metropoli ogni campo di concentramento, ogni carcere di detenzione, ogni Centro commerciale e ogni McDonald, dove si annienta l’individuo.
Come nei saggi di Voltaire l’Urone si interroga se sia questo il mondo che viviamo così anche noi, seguendo la scrittura precisa, netta, asciutta, di Massimiliano Santarossa ci interroghiamo su quanto ci sia già stato di quel terribile mondo che Metropoli è.
Eppure sia Massimiliano che Francesca Marzia, dopo aver tanto girovagato nel disturbo polare e bipolare di umanità allo stremo, vedono la luce in alto, oppure  di lato,  da qualche parte, negli occhi di chi scegliamo per prenderci per mano ed energia diventa  leggere loro racconti







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