Una volta la solitudine non esisteva, nel senso di individuo solo e sconnesso dal suo abitare. Non esisteva questa solitudine perché ognuno aveva un ruolo ed era connesso, funzionante al suo stato. Non c'era alienazione a sud delle cose. Esisteva la lontananza, la malinconia, la nostalgia. Il dolore del ritorno, la struggente voglia di un paese amato e la estraneità al nuovo, dopo emigrazione. Lunghe lettere univano gli emigranti ai familiari e le rimesse venivano impiegate per alzare stanzette per la vecchiaia, quando questi sarebbero ritornati a sud, per sereni giorni e infine essere seppelliti nel piccolo cimitero del paese natio.
Mai più nessuno tornerà a sud.
Tramontato quel mondo, i nuovi emigranti vanno a nord per insegnare, per studiare, e nuovi migranti giungono a sud da ancora più a sud, soli e sconnessi da loro mondo.
Il fluire di modi ha creato nuove solitudini di individui vaganti e residenti in luoghi che non saranno di alcuno.
Senza storia.
Una solitudine astorica, lontana dai sensi di un conoscere fonti e testimonianze, lontana da studi, e relegata in centri di accoglienza, centri commerciali, centri di niente.
Dal sociale all'individuo poi anime smarrite ed inconsapevoli vivono il disagio di stare in uno spazio che non riconoscono. Più che il tempo è lo spazio che è sconosciuto benché affollato, troppo affollato.
Attrezzarsi quindi dobbiamo, nel messaggio civile della poesia, a lenire, a raggirare, a superare il varco col salto dei versi, con l'ironia, l'intelligenza, la conoscenza di chi poetò per noi e per lui.
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