sabato 27 agosto 2022

"Turning" di Alessandro Sciarroni ad Armonie d'Arte Festival


Catanzaro, 26 agosto 2022 Teatro Politeama Armonie d'Arte Festival, con la direzione artistica di Chiara Giordano, "Turning" di Alessandro Sciarroni, una creazione per 5 danzatori

"Piroetta – nel dressage di alta scuola, è il movimento circolare di raggio uguale alla sua lunghezza, imperniato su una sola delle gambe posteriori"

Gira il mondo gira nello spazio senza fine, il mondo, soltanto adesso io ti guardo, mi ritrovo a canticchiare pensando stamattina allo stratosferico spettacolo che ho avuto modo di applaudire ieri sera. Riprendo in mano i pochi appunti ed entriamo nel Teatro Politeama di Catanzaro. 

Sulla scena ci sono già i ballerini, nessuno li presenta, nel silenzio noi ci accorgiamo che lo spettacolo è in fieri. I ballerini seduti fanno qualche lento esercizio di riscaldamento, una preparazione alla prova, mentre suoni impercettibili cominciano a vibrare nello spazio quell'unica nota che man mano aumenterà l'intensità durante la performance. 

Ricordando il gioco ripetuto dell'infanzia, i ballerini si alzano, fanno un giro, ne fanno un altro, fanno il giro intorno a se stessi più volte. Muovono un braccio e il braccio fa spazio fuori dal corpo, poi le due braccia. I piedi ora si allungano in fuori e la musica sorge dalla base dei suoni. Con le scarpette da ballo dei danzatori di musica classica i cinque danzatori ora sulle punte fanno il giro, girando girando su se stessi. Intanto cambia tutto, cambia senza interruzioni, cambia la frequenza del suono e la modalità dei gesti, pur nella plasticità del movimento. L'unica nota batte il ritmo, ora aumenta l'intensità. 

Come le ballerine nel carillon i cinque artisti ballano ora vorticosamente, come se la musica creata dalle vibrazioni sonore di sottili lamelle metalliche li muovesse.

Poi all'improvviso si fermano e ritornano lentamente a girare. Tutti fermi ora nella pausa del ritorno, dalla velocità alla lentezza, dal movimento alla quiete. 

La musica diventa un ballo e, nel girare, lo stesso girare è un ballo dolce, ipnotico. La musica tace e i ballerini continuano a girare per inerzia, continuano a girare per poi fermarsi. 

Una circolarità che ci ammalia, movimenti perfetti, il corpo come una matita disegna lo spazio, allarga e chiude, crea la forma scenica come un compasso. Il corpo un compasso? 

Unisco con questo compasso coppie di concetti affiancate ad altre: iterazione, conta/interruzione, pausa; crescendo/accelerazione; stanchezza, sofferenza/riposo; adesione/giudizio.

Come una costellazione di punti, ognuno dei quali si unisce in sintonia con la drammaturgia musicale dell’opera dei Telemann Rec., che curano le musiche.

Nei punti anche noi del pubblico, pur rarefatto ma partecipe, nei punti noi del pubblico giriamo e giriamo con loro, con tutto il mondo che gira intorno a noi.

Ippolita Luzzo 





Fotografie di Angelo Maggio

TURNING_Orlando’s version

invenzione Alessandro Sciarroni

con Maria Cargnelli, Francesco Saverio Cavaliere, Lucrezia Gabrieli, Sofia Magnani, Roberta Racis

musica Aurora Bauza & Pere Jou (Telemann Rec.)


martedì 23 agosto 2022

Una città a misura d'uomo. Consuelo Nava

Una città a misura d’uomo- Con_testi sostenibili  18 Novembre 2014

(Il dispendio di Bataille)

Gli uomini sono mossi da un bisogno di perdita e di dono, di depense, e il principio classico dell’utilità sembra non esistere.  Non si spiegherebbe altrimenti come, ben consci di cosa voglia dire città, si sia costruito in modo totalmente difforme ai principi basilari dello sviluppo di un agglomerato urbano. Dagli anni sessanta in poi, il sacco di Palermo, mi diceva con le lacrime agli occhi una guida, sulla conca d’oro, ormai grigia, una bruttura di palazzi dove sua madre fu trasferita dalla sua umile casetta per finire i suoi giorni nel buio di stanze senza sole.

Una vera catastrofe umana 

Con_testi sostenibili. Una visione per la città metropolitana di Reggio Calabria, il libro di Consuelo Nava e Vincenzo Gioffrè invade il mio immaginario.

Ricordo le mie lezioni di geografia e di storia, a modo mio, su cosa significa vivere in una città, intorno a quali punti di riferimento si fossero sviluppate nel corso dei secoli, dalla città greca a quella romana, ai comuni medioevali, alle mura, alle città del cinquecento, ai falansteri idealizzati nelle città industriali, per arrivare infine alle città metropolitane dei giorni a venire.

Erano lezioni con ragazzini, ognuno di loro disegnava la casa dove abitavano, con i servizi di cui bisognava, acqua, luce, telefono, fogne e smaltimento rifiuti,   la strada che percorrevano per arrivare a scuola, se venivano con mezzi pubblici o con macchina dei genitori, disegnavano il quartiere dove avrebbero giocato… ma già a quel punto mi accorgevo che il quartiere, per molti, non esisteva più, che loro non erano autonomi, non potevano venire a piedi a scuola o in palestra, non potevano incontrarsi con i compagni se non accompagnati.

Perso il quartiere, perché a che serve un quartiere? persa l’autonomia. La depense. 

Con questi pensieri in testa, tornata da Reggio Calabria, ho cercato il volume che mi ha accompagnato per anni, non era un testo scolastico, era un libro mio, a me carissimo, con fotografie di città, espansione di città, e poi utopistiche città a passo d’uomo, città percorribili con sguardo e con respiro e non prigioni del viver male.

Ho cercato sui tre piani, inutili, su cui si sviluppa la mia casa a schiera, ho cercato per giorni. Non ho trovato nulla di quello che pur ho conservato gelosamente per anni.

Ho perso memoria di dove l’abbia messo, non so dove cercare, come succede a tutti quando conserviamo male, senza un metodo, ciò che dovremmo conservare. Lo avrò buttato per fare spazio? Mi domando con terrore. E guardo con rabbia tutte le carte inutili che ho conservato, giornali, libri, ricevute, analisi di tiroide che non ho più dal duemila, guardo sconsolata e continuo a buttare ora. Conservando inutili cose.

Lo stesso è successo nell’architettura, nei sogni e nei progetti di una architettura nata per umanizzare spazi, creare incontro, conservare con cura quello che doveva essere conservato e fronteggiare il vile e selvaggio sacco di città e campagne.

Hanno invece molti conservato l’inutile e buttato la guida, il metodo, il criterio base del nostro vivere in un luogo.

Sopraffatti da cartacce, da ricevute, bolli, burocrazia.

Un dispendio 

Dobbiamo imparare comunque a perdere, ricordando che sciupiamo veramente se dimentichiamo 

Con_testi sostenibili, le parole di Consuelo Nava sono un monito e una proposta. La scrittura della città può essere indecifrabile, danneggiata. Ma ciò non significa che non ci sia una scrittura; può darsi che ci sia un nuovo analfabetismo, una nuova cecità. In una sorta di Atlante dei luoghi, l’attività svolta da 150 studenti di architettura,  ha rimesso in funzione l’abecedario dei luoghi, per un vivere sostenibile.  Ce lo auguriamo vivamente. Sostenibile vuol dire che si può sostenere. Responsabile autonomia da regalare come un dono.

Ippolita Luzzo 


sabato 20 agosto 2022

Il vitello d'oro


 Ed eccoci con la Bibbia in mano per riderci su di minuzie e dimenticanze, di esodo e non esodo, di strade di periferia, in canto ampio verso le tante strade percorribili. 

Se anche Dio, che era Dio, ebbe bisogno di chiamare sul monte Sinai Mosè per dettare i Dieci Comandamenti, se anche Dio fu dimenticato dal popolo ebraico che innalzò a dio un vitello  per poterlo adorare  (Esodo 32:1 - allora tutto si tiene "Facci un dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto" 

Gli Ebrei, mentre Mosè era in missione sul Monte Sinai in video chiamata con Dio,  chiesero ad Aronne di creare un idolo e lui raccolse i loro gioielli d'oro e fondendoli forgiò una statua aurea raffigurante un vitello, ed essi la adorarono dichiarando: "Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto!" (Esodo 32:4).

L'ira di Dio fu terribile e incaricò Mosè di vendicarlo, ma Mosè intercedendo per il suo popolo blandì in un primo momento quel gesto, salvo ripensarci, quando ritornato presso gli Ebrei e vedendoli offrire sacrifici al vitello d'oro li ammonì severamente facendo una scelta fra chi salvare e chi eliminare. 

Mosè bruciò il vitello nel fuoco, lo ridusse in polvere, lo sparse nell'acqua e costrinse gli israeliti a bere. Infine si mise alla porta dell'accampamento e disse: "Chi sta con il Signore, venga da me!". Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi. Gridò loro: "Dice il Signore, il Dio d'Israele: Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell'accampamento da una porta all'altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente". I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo.   ( Esodo 32:26-28

E questa la Bibbia stamattina che mi sovviene allegramente per una sintonia immediata con Dio e con Mosè. 

Capita a tutti essere dimenticati, capita anche troppo che vitelli d'oro vengano innalzati e a loro  vengano fatte offerte, e ciò è nell'ordine delle cose umane che confuse e incerte animano il brulichio del mondo tutto. L'ira funesta del Pelide Achille  che tanti lutti addusse agli achei prende un po' tutti nelle simili situazioni ma...

Per non essere e non fare come Mosè e come Dio però Il Regno della Litweb guarda benevolo dimenticanze e nuovi idoli innalzati allontanandosi sorridente e già in viaggio verso la terra promessa. 

Ippolita Luzzo 

lunedì 15 agosto 2022

Metti giudizio secondo Kant

 -Metti giudizio - 

La critica del giudizio secondo Kant   4 marzo 2012

Le nostre nonne ce lo dicevano sempre un tempo  -Metti  giudizio bambina mia  non essere precipitosa  irruenta, controllo e disciplina  discernimento e prudenza-

La Prudenza

Una volta ci dicevano così ed una mia zia  aggiungeva -Come vi vedono muovere ridere  gesticolare così verrete giudicate perché solo così gli altri vedono noi, quindi bambine -perché  allora  eravamo  bambine  fino a tredici anni- comportatevi con compostezza senza schiamazzi senza risate sguaiate, controllate il tono della voce, non urlate, parlate senza parolacce, senza volgarità e lasciate parlare anche gli altri.

Poi aggiungeva- Quell’impressione, la prima, che noi abbiamo dato, si fermerà nella mente degli altri e noi saremo per sempre legati a quel giudizio su un solo momento  di conoscenza-

Una volta, caro Kant, esisteva il giudizio riflettente ed anche le zie  le nonne lo possedevano, anche mia mamma, ma lei lavorava troppo e non aveva tempo per parlare ma sicuramente era lei la più giudiziosa.

Secondo Kant l’intelletto riflette come uno specchio la realtà interiore su quella esterna e poi collega  il mondo naturale e il mondo della volontà  e associa e crea altro  il bello  l’agire  il sublime il teologico.

É l’uomo ad attribuire le qualità agli oggetti col giudizio

-qual è il tuo giudizio?-

Ve l’avranno chiesto e ce lo saremmo chiesti e ce lo chiediamo in continuazione anche qui sul web

Ci giudichiamo  ci mostriamo  riflettiamo e poi associamo  ed elaboriamo altri giudizi

Kant aveva speso molto del suo tempo a dirci che il dominio della natura, della necessità, determinata dalle leggi causa-effetto,  e la libertà della azione umana, la libera scelta  si sarebbero conciliate

Concilia?

C’è una conciliazione fra libertà e necessità?

Secondo Kant l’accordo fra i due mondi  è dato dal giudizio riflettente  un ponte  fra ciò che è e ciò che si vuole

Fra ciò che siamo e ciò che appariamo

Un ponte- come quello di Messina?-

Mi auguro di no

Il giudizio è meno costoso  del ponte di Messina ma richiede una disciplina  un pensare prima di agire  un accordo fra l’oggetto che noi percepiamo e l’esigenza di libertà che tutti abbiamo.

Un accordo.

Va da sé che disprezzare  imprecare  sottovalutare  ridicolizzare  non siano verbi che Kant usò per definire  il giudizio che, sempre secondo lui, avrebbe riconosciuto il bello nell’oggetto   un sentimento  disinteressato  puro  universale  e necessario per una normalità senza norma in grado di educare   perché è con la bellezza   con il giudizio teologico- il fine, vuol dire teologico- che scopriamo nella natura e negli altri, un fine uno scopo  e scoprendolo negli altro e nel mondo lo scopriamo anche per noi.

Ippolita Luzzo 


domenica 14 agosto 2022

Omaggio a Lucio Dalla con Dario De Luca Daniele Moraca e Sasà Calabrese


Siamo ad Aiello Calabro, stupendo paese dell'entroterra cosentino, abbiamo lasciato Piazza Plebiscito e scendiamo giù verso Piazza del Popolo, guardando i palazzi del settecento, il secolo dei lumi. Un paese ci vuole, ricordiamo e nel mentre le mie amiche esprimono il desiderio di poter vivere in un piccolo paese così curato come Aiello noi scendiamo. Scendiamo fino a Piazza Del Popolo dove nella bomboniera naturale dello spazio creato dalle mura ci sta il palco che ospiterà i tre artisti, grandi artisti. Un trio composto per affinità e sintonie, per amicizia e stima, un trio che si completa e si diverte, pur nelle differenze di ognuno di loro. 

Dario De Luca è la voce recitante, e nello stesso tempo il gesto del porgere la cantata, il gioco su livelli diversi, passare dal suscitare il riso sfrenato sul Disperato erotico stomp alla canzone scritta a Berlino da Lucio Dalla contro la guerra. Sasà Calabrese è l'arrangiatore delle musiche, è il sorriso della sua stessa passione, Daniele Moraca è voce e chitarra, trascinante voce in perfetta simbiosi con Lucio Dalla. Omaggio a Lucio Dalla presente anch'esso sul palco, nel video in alto, con spezzoni di lui fin dal suo esordio al Festival di Sanremo, ancora prima quando si esibiva col clarinetto nelle band jazzistiche, a cominciare dalla band dove suonava Pupi Avati, che fu da Lucio rimpiazzato. 

Scelgono di commemorare Luigi Tenco con un lungo pezzo, con l'intervista a Lucio Dalla sulla scelta di Luigi Tenco, una drammatica scelta vietata da Lucio. 

 "È vietato morire per una canzone" dice Lucio ma è quasi un divieto universale fatto a tutti gli artisti che poggiano il loro significato a vivere sul riconoscimento altrui. Un divieto assoluto. Non possono essere dei politici, dei festival, delle classifiche di vendita a decidere se un artista debba vivere o no.  

Lo spazio sta nella nostra immaginazione ci suonano cantano e recitano stasera tre artisti altrettanto grandi, che conoscono le difficoltà per portare la loro arte nelle piazze e nei teatri, "nei vicoli e palazzi" fin a noi, fino a tutti. Le canzoni scelte dialogano con noi, noi le canticchiamo a voce bassa finché non veniamo chiamati al coro di "A modo mio quel che ho fatto l'ho voluto io" 

Com'è profondo il mare, Anna e Marco, Bisogna saper perdere, Maria, La casa in riva al mare "e sognò la libertà, e sognò di andare via" Cara " Conosco un posto nel mio cuore dove tira sempre il vento" Chissà se lo sai, Futura, Piazza Grande, Caruso, Se io fossi un angelo, Caro amico ti scrivo, me ne sfuggono sicuramente altre. Intanto il pubblico applaude chiede il bis e continueremo a cantare con loro nella testa, nelle labbra, negli abbracci e nella gioia della gente come noi. Una immensità che appartiene a chi la merita.

Grazie a voi dal Regno della Litweb 

Ippolita Luzzo 

Dal comunicato stampa del Peperoncino Jazz Festival     "Il primo atto dell’incursione del festival musicale più piccante d’Italia sulla costa occidentale della Calabria sarà l’evento in programma stasera (sabato 13 agosto) alle ore 22 in Piazza del Popolo ad Aiello Calabro: l’interessantissimo reading/concerto “Aspettiamo senza aver paura, domani” ideato e realizzato da tre grandi artisti calabresi - Sasà Calabrese (cantante e autore, musicista, poli-strumentista), Dario De Luca (regista, autore e attore teatrale) e Daniele Moraca (musicista e cantautore) - per omaggiare l’indimenticabile Lucio Dalla.

Giocando con l’arte di teatralizzare la musica, tipica dello stile di Dalla, questo consolidato trio, reduce da una trionfale tournée nei teatri più prestigiosi d’Italia, cercherà di ricreare uno spettacolo dove le canzoni del genio bolognese arrivino sotto forma di racconto, proponendo un vero e proprio viaggio alla scoperta della musica, della profondità dei testi, dei significati nascosti nell’opera del grande artista, riproponendo tutti i suoi più grandi successi.

giovedì 21 luglio 2022

Le surrealiste

27 luglio 2011                                                                                                                                                                                                   


Le surrealiste- ovvero le amiche di mia sorella

Le amiche di mia sorella non sono donne normali. 

Sono una specie umana a parte. 

La specie vitale. 

Dovrebbero andare in tutte le scuole perché loro, meglio di un testo universitario, potrebbero dare ai ragazzi una lezione di vita sferzante e reale. Le amiche di mia sorella sono donne cinquantenni, all’apparenza simili alle altre donne, sono mamme, una è già nonna, sono state mogli, sono state figlie. 

Mogli ora non più, chi per il dolore della morte fisica, chi per il  dolore della separazione. Figlie lo sono ancora e partecipano con affetto alle vicende dei loro cari. Lavorano tutte e tre. Si sono inventate il lavoro.  Tardi, presto, lo hanno fatto, rifatto, fanno più lavori. 

Saprebbero fare qualsiasi lavoro. Ma quel che le accomuna, oltre alla capacità e alla intelligenza, è il piglio decisivo con il quale affrontano qualsiasi tsunami capiti loro. Difficoltà, malattie, tragedie, che avrebbero piegato uomini forti e nerboruti, vengono affrontate senza cedimenti, rafforzandole e incredibilmente arricchendole.  

Teresa è sempre stata una manager, sin da piccola, una donna progettuale. Ha creato dal nulla cooperative, assistenza ai tossicodipendenti, accoglienza ai primi curdi che arrivavano in città, un grande progetto ed ha poi lasciato tutto in mano all’uomo che aveva amato, per ricominciare a progettare un po’ più in là. Riprese gli studi dopo una travagliata separazione, si è laureata, ha affrontato la malattia, la cura, ha riaffrontato la malattia e mentre era di nuovo in cura lei si è candidata alla Regione Calabria. Comizi, convegni, voti, riconoscimenti. Ora è un fiume in piena, chissà dove la porterà!

Rosetta ha una storia medio-orientale, quasi. Sposa bambina un uomo più grande, che lei non ha scelto. Figli subito, senza essere consultata.  Ma dopo aver accettato questo come un destino ineludibile, lei decide di studiare, di lavorare, di insegnare. Costi quel che costi. Riuscirà con grandi sacrifici. E dopo aver insegnato, o appena prima, la fuga da un mondo che non le appartiene. Le tragedie dei suoi cari, le minacce, la morte dei familiari non la fermano. Lavora sempre, continua a studiare, si laurea, fa un master, affronta la malattia del figlio, il difficile intervento, la convalescenza,sempre con la ferrea volontà di farcela. Ed ora l’aspetta il concorso per la dirigenza scolastica, che sarà sicuramente una formalità, visto i suoi titoli ed il punteggio.

Rita, la compagna di scuola di mia sorella, è sempre stata una alunna diligente e studiosa. Ha fatto tanti lavori. La ricordo alle prese delle terrecotte, per un progetto archeologico che perseguiva l’allora mamma del suo amore adolescenziale. Quando finì l’amore finì il lavoro. 

In seguito si sposò, diventò mamma di due ragazzi e all’improvviso è svanito tutto, in un lampo, e si è ritrovata di nuovo sola. Il suo compagno non c’era più. Sola. Senza un effettivo lavoro. Anche per lei tutto ha preso un altro significato. Lavora nelle poste, il lavoro del marito. Lei lo svolge con competenza, i colleghi le chiedono chiarimenti, ha ripreso gli studi di Giurisprudenza, ha già superato qualche esame tosto, si laureerà, ne sono sicura.

Nel plasmare gli avvenimenti alle loro sensibilità hanno agito come i surrealisti, hanno creato una surrealtà, facendo aderire il sogno alla realtà, con impegno, con il fare, con la decisione.

Ed il sogno si è dispiegato in una realtà sfaccettata ed impervia ed ha preso i colori della possibilità rendendo vero tutto.

Nello slancio di unire una realtà ostile ad una insopprimibile esigenza vitale, loro sono andate oltre, scavalcando gli ostacoli. Come i cavalli negli ippodromi, eleganti, mai scomposti, veloci.

E’ stato così possibile che Teresa si sia trovata nell’arena dello stretto in un convegno sulla progettualità nel volontariato organizzato dalla regione Calabria a parlare davanti ad un mondo in ascolto. Le luci dello stretto di Messina, il lungomare di Reggio Calabria, il più bel chilometro d’Italia, il fascino della magna Grecia. 

Le donne dell’antichità Antigone, Lisistrata, Arianna porgevano a lei il filo del cammino. Un cammino dignitoso in un mondo che ha bisogno di noi e noi abbiamo fame di esserci.

Ippolita Luzzo 

La bacchetta magica del Regno della Litweb con loro


mercoledì 20 luglio 2022

Intervista a Vins Gallico su A Marsiglia con Jean-Claude Izzo


 Vins Gallico risponde alle domande di Ippolita Luzzo 

Esce per Giulio Perrone editore nella collana Passaggi di dogana, il 14 Luglio 2022

A Marsiglia con Jean-Claude Izzo

 Quattro domande a Vins Gallico 

Iniziamo subito dalla città. 

Vins Gallico, l’autore, sceglie di visitare Marsiglia con le parole di Jean-Claude Izzo, e con negli occhi la sua città, Reggio Calabria: “Passo indietro: sono cresciuto in riva al mare, in Calabria. Reggio è una città che si trova in un punto assurdo del Mediterraneo. Per chi non lo ha mai visto, lo Stretto di Messina è uno spettacolo: la Sicilia e la Calabria arrivano a sfiorarsi, in un misto di poesia e terrore.”  

1) Si può fare di Reggio Calabria e di Marsiglia quasi la stessa dichiarazione? “Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente. Solo allora, ciò̀ che c’è da vedere si lascia vedere”. Così come scrive Izzo in Casino Totale


Vins Gallico: Purtroppo per Reggio Calabria non si può fare questa dichiarazione.

Per vari motivi: uno perché Reggio non ha un mito fondativo come quello di Marsiglia, che è un mito di abbraccio, dove un migrante e un’autoctona si incontrano e si innamorano.

Reggio invece ha fra le sue etimologie il senso dello spezzare, reghnumi era il verbo che indica la divisione in due, cioè lo stretto di Messina.

E poi Reggio non ha avuto narrazioni di accoglienza, di sincretismo. 

In più Reggio è una città per turisti, la politica abbastanza miope di alcuni anni fa l’ha resa una specie di parcogiochi. Invece di esaltare le parti di bellezza e umanità si è puntato sulla chirurgia estetica e sul profitto. La bellezza di Reggio, che c’è, che potrebbe essere abbacinante, è diventata una roba da filtro IG. Dove difficilmente le persone si schierano. Anzi a Reggio per molto tempo vigeva la legge del “fatti i cazzi tuoi che campi cent’anni”. Magari è vero, è meno rischioso, campi cent’anni, ma li campi male.



Ippolita Luzzo: Continuo a leggere la storia di Jean-Claude Izzo e facendocelo conoscere Vins riesce a fare la storia dei movimenti migratori, Izzo nacque a Marsiglia, nel giugno del 1945, figlio di Gennaro Izzo, un immigrato italiano originario di Castel San Giorgio (in provincia di Salerno), e di Isabelle, una casalinga francese, figlia a sua volta di immigrati spagnoli.

” Mio padre mi aveva detto: “Non dimenticarlo. Quando arrivammo qui, con i miei fratelli, non sapevamo se, a pranzo, avremmo avuto da mangiare, e poi si mangiava comunque”. Questa era la storia di Marsiglia. La sua eternità. Un’utopia. L’unica utopia del mondo. Un luogo dove chiunque, di qualsiasi  colore, poteva scendere da una barca o da un treno, con una valigia in mano, senza un soldo in tasca, e mescolarsi al flusso degli altri. Una città dove, appena posato il piede a terra, quella persona poteva dire: “Ci sono. È casa mia”. Marsiglia appartiene a chi ci vive.

[Casino totale, p. 202]

Sono le parole di Fabio Montale, il grande protagonista dei tre libri più noti di Jean-Claude Izzo nonché suo alter ego. Fra le tante somiglianze fra autore e personaggio, il loro albero genealogico: lo sbirro Montale ha un padre italiano, così come Jean-Claude, che è figlio di Gennaro Izzo.”

2)C’è sicuramente la stessa tensione, lo stesso sentire fra chi decide di andare a vivere da un’altra parte del mondo, in una città che potrà diventare la nuova terra su cui poter trascorrere gli anni sentendola propria? 


Vins Gallico: Sono tanti i motivi che ci spingono a lasciare le nostre terre, dalla disperazione alla curiosità. Il problema principale è che tutte e tutti noi non proveniamo da terre differenti, ma dallo stesso pianeta: la Terra per l’appunto.

E lo dimentichiamo troppo spesso, tirando su muri e trattandolo male questo nostro pianeta. Quando sento robe tipo: prima gli italiani, mi chiedo: ma perché? Perché tu hai più diritto di un altro di vivere o semplicemente sopravvivere sulla semplice base del caso che ti ha fatto nascere a una latitudine differente?


Ippolita Luzzo: Nel parlare di Marsiglia conosciamo la città, la sua storia, conosciamo lo scrittore che tanto l’ha amata e conosciamo la vita dello scrittore, una vita difficile, mi viene da dire, ricordando il titolo di un film da e molto amato. Una vita difficile di Dino Risi. 3)Lo sguardo dalla città, dallo scrittore Izzo e in simultanea lo sguardo di chi sta scrivendo, un triplice sguardo mi sembra Vins. Non sembra anche a te che tutto è una commistione? 


Vins Gallico: Ma il purismo non esiste da nessuna parte. Non esiste nel DNA, non esiste nell’aria che respiriamo, non esiste neppure nella copertina di questo libro. Bianchissima. E dopo dieci minuti è già spiegazzata, macchiata, ingrigita. Tutto è commistione, hai assolutamente ragione Ippolita. Io sono i miei anni, i miei amici, le cose che ho visto, gli amori che ho vissuto, le liti che ho affrontato, i dolori che ho patito. Non c’è niente di me che possa essere considerato vergine, intonso, illeso. E non lo vorrei neppure.


Ippolita Luzzo: 4)Ed insieme la storia dei migranti, di questo peregrinare umano che ha ripreso con truce realtà spostando e disagiando interi popoli. Stranamente a me sembra che il tuo libro diventi uno dei più attenti saggi sull’emigrazione. Non lo è ma io lo percepisco così, con dentro la stessa tensione di Alessandro Leogrande in Frontiera. Non è così?


Vins Gallico: Alessandro Leogrande è stato uno degli scrittori più intelligenti e acuti e sensibili della nostra generazione. Un esempio umano e letterario per molti di noi. Credo che avrebbe sottoscritto il sottotitolo del libro: essere per, essere contro.

Direi che in generale mi ritrovavo quasi sempre dalla parte di Leogrande. Manca molto a tutte e tutti noi.

E purtroppo, senza falsa modestia, no, non c’è la stessa tensione de La Frontiera. Perché là dentro Alessandro ci ha messo la ricerca, il corpo, la prima persona. Io a Marsiglia ci vado da privilegiato occidentale e con gli occhi di un poeta, Jean-Claude Izzo, che mi aiutano a filtrare e capire.

Ippolita Luzzo

Nel ringraziare lo scrittore Vins Gallico aggiungo alcune note biografiche sull'autore 

Vins Gallico è nato a Melito Porto Salvo (RC) nel 1976. Ha pubblicato Portami Rispetto (Rizzoli 2010) e  Final cut (Fandango libri 2015) e ha lavorato come consulente e traduttore editoriale. Dirige attualmente la libreria “Fandango Incontro” e fa parte del consiglio direttivo dei Piccoli Maestri.