martedì 22 aprile 2014

Dove ritorniamo



Dove ritorniamo        
6 luglio 2011
Nella circolarità della nostra vita ritorniamo sempre all'infanzia, all'adolescenza, tutto quel che succede dopo è un giro di giostra, una schermata e poi l’infanzia ci insegue e ci riporta indietro. 
A lei ritorniamo più o meno consapevoli, più o meno felici, più o meno soddisfatti. 
Le rondini di maggio, i loro voli, circolari, rasenti il mio balcone e di fronte la Chiesa barocca, il suo bellissimo giardino che nessuno ricorda più.
La nonna che fumava qualche sigaretta, di nascosto, come una ladra, dietro una finestra, lo zio lento, maldestro, che sicuramente avrebbe rotto qualche tazza, avrebbe versato il latte per le scale. 
La mia mamma che lavorava, con i capelli corti, un foulard in testa, scendeva in una botola, prendeva la carbonella, preparava un braciere per una serie di maschi ai quali era d’uopo riscaldarsi. 
Le donne di casa preparavano grandi ceste con cenere fumante e le lenzuola bianche sotto la cenere profumavano, di buono, di famiglia.
Ugo mi accompagnava a scuola, Palma veniva dalla nostra campagna, dormiva da noi il sabato, poi  ritornava alle sue galline, ai suoi cani, ai gatti.
La cucina in muratura, il forno a legna per fare il pane, i taralli per Pasqua, con l’anice nero, ed il baccalà con le patate del venerdì.
Ero convinta mi volessero avvelenare bambina, chissà  perché, leggevo troppe favole nere, ero convinta di essere di troppo, in quella famiglia numerosa, articolata, complessa. Ero sicuramente non capita.
Non c’era il tempo.
Mangiavo quindi poco, ero  magra, magrissima, debole, debolissima. Quanti Record B12 ho bevuto nelle primavere della mia infanzia e prima adolescenza!
Pensavo, leggevo e pensavo, studiavo, amavo la scuola, non conoscevo altro.
Amavo i diari scolastici, i quaderni, le penne, il banco dove io trovavo il mio posto. Non c’era posto per me in parrocchia, ero timida, ero poco intonata, nemmeno un coro.
Riuscii ad andare in bicicletta dopo e ricordo un grande pentolone di salsa contro cui andai a sbattere nel vico chiuso dietro casa.
Non imparai nemmeno l’alligalli, malgrado gli sforzi di mia cugina, non avevo ritmo!
Non parlavo, con chi avrei potuto parlare di personaggi letterari, leggere poesie che scrivevo, sceneggiature mai recitate! Avevo sempre il muso! Il mio papà, sempre molto carino, mi chiamava Cassandra, Capra maltese, cioè ribelle, testarda.
La zia Giuditta mi chiamava Sandrina, le ricordavo Sandra Mondaini, per tutti ero  studiosa, capace, ma poi finiva lì.
Come se fossi ancora in quella casa dove peraltro non vivo più da tanti anni.
Ma non sono vissuta  da nessuna altra parte, non ho ricordi delle altre case dove ho abitato, non ho ricordi di questa dove abito da più di quindici anni. Tutti noi non andiamo da nessuna parte, ma è bello andare. 
Quel che non ho fatto allora lo faccio ora, so ballare l’alligalli, so parlare in pubblico, sono elegante e sono carina e saprei fare molte altre cose se sarà il mio destino poterle fare. 
Il tempo è circolare, nulla si perde e tutto è per sempre, ma la selezione annulla il superfluo, il banale, il quotidiano, annulla lo squallore di una vita falsa e ci ridà le immagini essenziali a dirci chi siamo.

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