mercoledì 15 aprile 2020

L'attesa di Davide Franchetto

Leggo questo libro proprio durante i giorni dell'attesa che questo momento evapori e scompaia lasciando a noi tutti la libertà di rincontrarci e di poter parlare nelle librerie di storie come questa. 
Davide Franchetto, il libraio della Libreria Pantaleon di Torino, che ha fondato nel 2015, è uno scrittore di racconti usciti su Effe, Nazione Indiana, L’Inquieto e Carie. 
L’attesa, racconto lungo di Davide, edito dalla torinese Autori Riuniti, è uscito il 5 marzo 2020 proprio nel momento in cui tutto in Italia si ferma. 
Giunge nel Regno della Litweb in modo amicale con la lettura della recensione di Riccardo Sapia sul gruppo Facebook Letto, Riletto, Recensito.
Riccardo scrive nella sua appassionata recensione " Lui e Lei corrono, scappano o rincorrono una meta. E il sentiero non si rivela sempre dritto e facile da percorrere. Viaggiano alla disperata ricerca di qualcosa, con un mezzo di trasporto che si rivela spesso di straordinaria efficacia: la Bugia. Ma la bugia non porta mai molto lontano. Ti concede delle pause nelle quali siamo, nel caso specifico sono costretti a recitare, ma sempre di tregue si tratta e, prima o poi, i nodi vengono sempre al pettine." ed io lo ringrazio perché ho avuto modo di conoscere un autore interessante e amabile, in una storia che è il compendio di tante storie narrate, di tante fiabe amarissime, favole nere, le chiamavo io, e così chiamo questa favola di Davide Franchetto.
In ricordo di Hänsel e Gretel dei fratelli Grimm, anche qui abbiamo due ragazzi giungere nella casa di una vecchia che mormora:- Come siete magri! ma ora metterete su carne" più o meno,
 I due ragazzi "Si acquattano sulla scalinata di una chiesa, ma il primo pomeriggio non vede che il passo di un paio di beghine che hanno troppa compassione di sé stesse per poterne concedere ad altri." ed abbiamo qui una stoccata verso il falso pietismo delle praticanti alle troppe preghiere come forma esteriore, e poi eccoli dalla vecchia
"Come tutti i vecchi parla di gioventù e famiglie e cerimonie, di festa e lutto con lo stesso affetto. Raccontando si commuove, si asciuga le due lacrime e dà un colpo di tosse. Non ne pronuncia mai il nome, se nei ricordi si nasconde in mezzo ai troppi di altri e ai rovi di parentele, ma Lei la scorge ed è l’unica che riconosca perché ne ha immaginato il viso. Lei sa che è per lei che sono stati accolti, sa che il suo ricordo zittirà l’anziana in una certa ora del pomeriggio, dopo ore di altre storie e aneddoti, come un cammino che a percorrerlo si possa gioire ma al termine si conosca il precipizio." 
Si fermano ma non troppo devono ritornare sulla strada, la strada di tanti racconti. altri racconti ancora, la strada di Pollicino senza un ritorno.
" Conta le stelle sotto la coperta, va a memoria, conta i sassolini che stringe nel pugno vuoto, fa la conta all'indietro, da cento a uno, si aspetta l’aggressione o solo lo scherzo: la coperta lanciata via, la presa in giro, il risveglio. Ascolta il cigolio di nuovo, le voci si spengono, i passi riprendono il cammino sul tappeto di seta, il fruscio si allontana." C'è un gusto antico nel raccontare, in Davide sento l'incedere di mia nonna, le sue pause e le favole che mi raccontava per ore, favole terribili di donne scuoiate a poco a poco con un coltellino perché così, loro pensavano, sarebbero diventate bellissime. 
Ho ritrovato in Davide l'attesa di una vita per dover dire no, di Ornella Vanoni, quel sognò sognò sognò poi come tutti si risvegliò e auguro a questo libro e a Davide moltissime fiabe ancora e tantissime librerie dove parleremo insieme al Regno della Litweb 
Ippolita Luzzo 

lunedì 13 aprile 2020

Le magnifiche sorti e progressive

Mi sveglio con questo verso e mi accompagna La ginestra di Leopardi fin sotto al caffè e il caffè stempera "Le magnifiche sorti e progressive" in un ricordo affettuoso di banchi, di aule, di campanella che suona, di scuola, di alunni, di Leopardi con noi.
"Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco"
Siamo a Napoli, anzi a Torre del Greco presso Villa Ferrigni, luogo che è stato oggi rinominato Villa della Ginestra, e Leopardi scrive
"Non so se il riso o la pietà prevale."
Della Ginestra moltissimi ricordiamo quel verso in cui il poeta ci mostra quanto siano ciechi gli uomini convinti di dominare il creato con il progresso, ci chiede di riflettere se sia veramente progresso, ci impone il suo giudizio, anzi ci mostra la ginestra come esempio.
"E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,...
Ma  più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali."
"La ginestra" di Giacomo Leopardi è stato uno dei suoi ultimi componimenti, edito postumo nel 1845 nell'edizione napoletana dei Canti, a cura di Antonio Ranieri. 
Inizia con le parole del Vangelo di Giovanni
"E gli uomini vollero piuttosto
le tenebre che la luce.
Giovanni, III, 19"
Siamo qui all'alba di un duemila, nel duemila e venti, in pandemia, e reclusi in casa ci interroghiamo come Leopardi nel suo secolo, ci interroghiamo sul destino dell'uomo, sulla terra, sul disastro ecologico procurato dal progresso, sul disastro immane di una Grande Estinzione, come scrive Matteo Meschiari nel suo ultimo saggio. 
Ci interroghiamo su virus ed epidemie, sui mezzi con cui fronteggiare nemici invisibili.
Segni particolari: Nessuno.
La scienza troverà la soluzione a questo virus, ne siamo certi, ma ciò di cui non siamo certi è cosa noi siamo diventati:
"Libertà vai sognando, e servo a un tempo"
Quel grande orgoglio, quella fiducia e quella speranza di crederci padroni del mondo ormai dovrà sottostare alla stessa constatazione della ginestra. 
Ippolita Luzzo 


domenica 12 aprile 2020

Pasquetta del 2010

5 aprile 2010
La mia pasquetta

Il Lunedì dell’Angelo che annuncia agli uomini il Cristo Risorto è per tanti il giorno della prima uscita fuori porta.
La “Galinea”,  si diceva da bambini, e noi salivamo in terrazza con la cuzzupa in mano.
Non avevamo nemmeno allora comitive vocianti e chiassose, ne conoscevamo l’esistenza però e il senso di privazione di qualcosa al quale mi sarebbe piaciuto partecipare mi ha seguito per tutta la vita,
è sicuramente per molti, per tanti così.
So però dell’esistenza di autobus che partono per agriturismi fiorenti, macchine in gruppo per località di mare, sento e vedo tutto con la fantasia.
Cosa impedisca la realizzazione di questo sogno infantile non l’ho appurato. 
Mi muovo fra gli altri con delicatezza e cortesia, sono disponibile ad essere d’aiuto, telefono, ascolto, invito, non critico e non giudico, ma tollerante cerco di esserlo sia per me che per chi mi circonda, poi, vorrei che anche chi mi sta accanto facesse così. 
Arrivo a tesserarmi a qualche associazione, partecipo a qualche iniziativa, ma tutto si spegne velocemente come quando lo stoppino dell’olio incontra l’acqua. Puff.
Le feste sono la dissolvenza dei rapporti sociali che mi illudo di costruire giorno per giorno. Ricordo un’altra pasquetta di un anno fa, forse.  
Ritornai ad invitare alcuni soci di un circolo che frequentavo e una signora, accettando,  commentò: - Per me, tutto fa brodo! –
 Una signora che ha una comitiva,  che si muove in gruppo, che è sempre insieme ai suoi amici.
Io raggelai e avvilita non riuscì più a concretizzare l’invito. 
Preferii la solitudine.
Ho la presunzione di coltivare amicizie da molti anni, ho affetto verso i miei parenti, mamma ha sempre invitato loro, nessuno ha mai invitato la mia mamma. 
Un giorno passeggiai con una mia compagna di scuola ora deputata al Parlamento e questa mi disse: - Ippò,  nessuno mi invita, nessuno si ricorda di me – 
Io la guardai con curiosità e replicai: - Ma non è vero! Tu sei seguita, sei votata, sei stimata! –
Ma lei si sentiva così. Non si accorgeva.
È probabile che io non mi accorga degli inviti che mi fanno, delle proposte di gite fuori porta e rinuncio senza accorgermi del rutilante e caleidoscopico tavolo approntato per me da una compagnia sorridente e solare.
Nel castello immaginario e immaginato dei nostri legami ci sarà pure la stanza della convivialità, del desco frequentato da gentiluomini e gentildonne, arguti e salaci, ironici e leggeri, capaci ancora della delicata arte del conversare tra simili.
 Filo, quando era ragazza, in un pomeriggio di Natale di molti anni fa, scelse una vita così.
 Bella d’incontri, di viaggi, di comitive, la disegnò e la realizzò. 
Non so quanto abbia lavorato e quante rinunce abbia dovuto fare per ottenere ciò, ma la vedo giustamente fiera.
 Ne sono ammirata, ma vorrei tanto che queste tecniche, che queste abilità venissero insegnate e che tutti possano realizzare una felice condivisione del Lunedì dell’Angelo e delle altre feste comandate, avendo in mano se non la chiave, almeno la mappa con la quale orientarsi verso la stanza della convivialità. 

Oggi 7 Aprile 2012
Quell'anno, nel pomeriggio del Lunedì dell’Angelo, andai a mare con una amica e sulle panchine del lungomare leggevo a lei il mio pezzo. Alcune donne s’incuriosirono, si fermarono ad ascoltare, una di loro mi disse:-Lei, signora, ha raccontato la mia pasquetta.
Le altre annuirono e mi ritrovai a rileggere ad un gruppetto di donne sole quel che ormai era un racconto corale.
Poi riposi il pezzo e l’anno dopo scrissi un’altra pasquetta
Ormai ero un personaggio letterario
Ippolita Luzzo 

giovedì 9 aprile 2020

Una storia semplice di Leonardo Sciascia

«Ma che parrocchia? Io non ho parrocchia» 
Leggerò per Multimedia del Premio Comisso 2020 le ultime battute del libro "Una storia semplice" di Leonardo Sciascia, grazie all'invito degli organizzatori del Premio. 
"Riassumiamo" disse il questore. 
"Riassumiamo e decidiamo...Decida, cioè, il signor procuratore: tra poco avremo i giornalisti alla porta".
Nell'ufficio del procuratore si sta decidendo la versione da dare alla stampa. 
Intanto riassumiamo i fatti.
La sera del 18 marzo arriva una telefonata del signor Roccella in questura chiedendo che vadano da lui, perché ha da mostrare qualcosa, il brigadiere informa il commissario, mentre costui sta andando via. 
Il commissario si mostra dubbioso sulla necessità di andare e si mostra dubbioso sulla presenza del signor Roccella in Sicilia, visto che costui abita fuori da tanto tempo, invita il brigadiere di andare l'indomani, senza urgenza.
L'indomani però il brigadiere troverà il signor Roccella morto e probabilmente sparito ciò che lui voleva mostrare. 
Intanto la banda che operava, ad insaputa del signor Roccella, nella sua casa, aveva provveduto a spostare ogni cosa presso la stazione di Monterosso e gli uomini della banda avevano appena ucciso il capostazione e il manovale e ne avevano preso il posto quando arrivò al casello, per passare, ignaro, l'uomo della Volvo. 
L'uomo quindi vide gli assassini credendo fossero gli addetti al casello. 
In carcere trattenuto finisce proprio il testimone.
Il brigadiere da una serie di dettagli si accorge che il commissario fa parte della banda e lo sorveglia tanto da accorgersi del momento in cui il commissario vuole ucciderlo. 
Il brigadiere più veloce e sulla difensiva lo uccide.
Non possono il questore e il procuratore dire questo alla stampa. 
Ed ecco la versione: "Incidente" il commissario è morto per un incidente. 
Così diranno magistrato, questore e colonnello.
Una storia semplice è in realtà una storia complessa e complicata, ognuno di noi si porta con sé un fotogramma. 
Io ho con me l'uomo della Volvo, il passeggero e testimone occasionale, che finalmente rilasciato dal carcere, incontra in questura, dove era stato portato per gli adempimenti burocratici, Padre Cricco, in cotta e stola, presente lì per benedire la salma del commissario ucciso dal brigadiere. 
Padre Cricco lo ferma e chiede: "Mi pare di conoscerla: lei è della mia parrocchia?"
«Ma che parrocchia? Io non ho parrocchia» rispose l'uomo della Volvo "con gioiosa furia"
Mi innamoro dell'uomo della Volvo che cantando se ne va ed all'improvviso si ricorda dove ha visto Padre Cricco. 
Era vestito da capostazione alla stazione di Monterosso.
Pensò di tornare indietro, alla questura. 
Desistette subito dal proposito.
Riprese cantando la strada verso casa ed io con lui ridendo ce ne andiamo dicendo «Ma che parrocchia? Io non ho parrocchia» 
Ippolita Luzzo 
Qui il link della lettura https://www.youtube.com/watch?v=pAvioghTXns&feature=youtu.be

giovedì 2 aprile 2020

Gli ombricoli del 2000

Gli ombricoli del duemila.
Pezzo antichissimo 
All'alba di una nuova civiltà si affacciano gli ombricoli in un mondo di ombre ombreggianti.
Timidi e nascosti, velati e nudi, della nudità della mente, 
nudi alla meta,
si aggirano senza bussola incontrando senza incontrare altre ombre.
Voce di colui che grida nel deserto… anche loro, gli ombricoli, urlano la loro solitudine, la loro incapacità di essere felici, la loro terribile paura di dover sparire senza lasciare traccia, anche e soltanto un’orma del loro apparire nel mondo delle ombre.
Si agitano scomposti oppure rassegnati, cercano a tastoni, nella nebbia, delle ombre un viso, un  suono, una corporeità che li rassicuri.
Si danno appuntamenti col nulla, con lo sconosciuto che non vedranno mai, si chiamano a gran voce ma il suono non raggiunge, il suono non si espande, rimane fermo lì dove si è originato.
Scrivono a fiumi, concetti sopraffini che conservano ancora del mondo delle idee, della caverna antica dove un tempo abitarono gli uomini del cavernicolo degli anni novecento.
Quelli erano altri tempi, le guerre erano sangue, ora solo reportage su uno schermo bianco di comizi acclamanti, di folle oceaniche, di plauso ossequiante.
Ricordano le ombre, ricordano quel tempo gli ombricoli di ora ed allora nel tempo senza età, nel tempo del digiuno, provano a ripetere di nuovo quel tempo che loro videro passare sulle pareti lisce di una televisione.
Sono sempre presenti, ora e sempre, sulla scena antica della rappresentazione a chiedere un perché, a chiedere ragione di tanta stupidità, di tanta infamità.
Non c’è però lo spazio, proprio perché è troppo,  non c’è però l’ascolto, manca proprio il rimbalzo, l’eco, e nell'immensità noi siamo tutti uguali
Gli ombricoli di qua e gli ombricoli di là non fanno società, però scrivono, scrivono, scrivono… e poi nel buio più profondo vorrebbero sentire una voce soltanto.
La voce del silenzio, un mare di silenzio, un grande immenso mare che tutti poi nuotiamo,  il mare della morte del secolo che fu.
Nel nuovo che c’è già voliamo e ritorniamo, senza quartieri, senza legami, e l’unico legame è una connessione che ci trasporterà nel mondo di domani
A rivedere le stelle
Perché anche gli ombricoli, nel loro vaneggiare, nel loro macchinare, nell'illusorio conservano stampato un cielo sopra loro, il cielo stellato sopra noi di Kant, la legge morale dentro e l’infelicità che è la misura del vivere fra esseri che rincorrono con caparbietà un mondo felice fatto di sorrisi, luce, suoni e fantasia.
Il mondo di domani paura non avrà, perché anche gli ombricoli  una luce seguiranno,
la luce della sopravvivenza della specie … 
patrimonio dell’umanità!
Ippolita Luzzo 

Gli esseri umani dal 2011

Gli esseri umani        6 settembre 2011
Una volta gli esseri umani si frequentavano fisicamente.
Abitavano case piccole con nonni, zii, cugini.
Andavano  in chiesa e poi all'oratorio, agli scout, alle associazioni di partito.
Litigavano, facevano pace, tornavano a litigare.
Una volta gli esseri umani si salutavano, domandavano educatamente:-Come stai?- 
Aspettavano la risposta, ascoltavano.
Non era  l’eden, ma  gli esseri umani esistevano, avevano valore e molti per affermare quei valori persero la vita.
Non è stato tanti anni fa, forse fino agli anni ottanta, fino agli anni novanta, poi il cellulare il computer internet hanno ribaltato il mondo delle relazioni e noi senza educazione  all’uso siamo tutti impazziti.
Sono mezzi nuovi e bellissimi per rapportarci, sono realtà di fiaba, penso che sia una bellissima opportunità, ma senza una disciplina è come essere davanti un tavolo troppo pieno di leccornie senza nessuno che ci dica basta.
Una gigantesca bolla dell’altrove, del virtuale, sempre più immensa ha cominciato a gonfiarsi nelle nostre teste, nelle nostre strade, nei nostri figli.
SMS, messaggi, squilli, richiami, dipendenze, computer acceso ,sempre lì su facebook, messenger, sui siti, sui blog.
Gli esseri umani, senza più età, senza più viso, senza responsabilità  hanno cominciato a vagare frastornati  nei tanti amici, nei troppi incontri,  nelle offerte e nei rifiuti, in una notte troppo nera.
Scrivono, quanto scrivono!
Scrivono inventando, scrivono e riscrivono in un nulla di falsità.
Hanno un avatar, un nickname, hanno tutto ma non son loro, sono altri, sono alieni, sono solo immaginari.
Possono solo ingannare chi si fida, chi ci crede, possono poi turlupinare chi è ancora in buona fede.
E’ un gioco, ti diranno, dai, non fare la puritana
Per chi crede ancora nella sincerità sembra che spazio non ce ne sia più, viene chiamata predicatrice, senza il velo della ironia, senza un briciolo di fantasia.
Ogni parola cambia  nel mondo di social network, ogni parola  è trasformata piegata in un server  che non serve.
Mi spaventa e poi mi attira, mi sconvolge la dinamica e l’incredibile dipendenza del mezzo sullo scopo, del finto sul reale.
Dovremmo dirlo ai nostri figli, dovremmo essere inflessibili, severi, ma proprio non possiamo perché anche noi adulti giochiamo, sì giochiamo a fare i nuovi seduttori.
Seduci tu che seduco anch'io, oggi ho trent'anni, domani sessanta, oggi ti adoro domani nemmeno ti conosco,  e tu chi mai sarai? 
Son queste le domande esistenziali  che ci agitano negli anni duemila ,mentre tutto si stravolge, mentre vengono mangiati dai pesci  uomini  come noi.
Ma a noi che cosa importa se non c’è più un ospedale, se i rifiuti ci  avvelenano, se qualcuno s’è impiccato!
Lì sui siti non importa se tu hai avuto un brutto guaio, se per caso stai male, se hai fatto un incidente colossale!
Che importa!
Tu non esisti, non esiste nemmeno l’altro, può sparire all'improvviso, può mandarti a quel paese, Online, di sicuro!
Non conosco, non conosci, siamo proprio tutti matti, siamo matti veramente  se non freniamo in tempo!
Il tempo del reale  non quello del virtuale!
Gli esseri umani esisteranno ancora fino a quando ci sarà uno solo che chiederà ad un altro -Come stai?- ed ascolterà la sua risposta con attenta comprensione.
Ippolita Luzzo 

                                                            

mercoledì 1 aprile 2020

La Regola di Ettore Zanca

Da Ettore Zanca:
"Quando viene emanata una regola da rispettare, c'è chi ubbidisce e chi, purtroppo la vede come qualcosa da aggirare o fraintendere".
Ecco, come diceva un mio professore di diritto.
Anche noi come Ettore e come il suo professore di diritto crediamo che avvenga così ogni qualvolta una regola sia emanata, una legge dello Stato venga promulgata. 
Ognuno, a secondo di come ne veda beneficio, è pronto a farne quello che reputa più consono al suo sentire e al suo guadagno. Ed io credo che ognuno di noi si comporti a seconda di ciò che capisca. Quindi il nostro comportamento è la spia di ciò che noi intelligiamo: Intelligere, un verbo di difficile coniugazione - Dialogare, comprendersi, trovare nelle conversazioni punti di contatto è diventato un risultato presso che irraggiungibile in un'epoca come la nostra.
Indubbiamente crediamo che la maggior parte dei cittadini ubbidiscano, alcuni fin troppo tanto da diventare così zelanti da trasformarsi nel caso attuale in delatori, nel denunziare chi la regola non ottemperi, e ci saranno invece altri che troveranno il modo di aggirarla. 
Nel momento che viviamo le regole emanate ci dovrebbero proteggere dall'infettarci di un virus insidioso, sono regole a nostro vantaggio, eppure eppure ci sono tante varianti nei comportamenti umani.
Mi auguro e ci auguriamo tutti di riuscire ad accettare le regole dopo averle capite. Se non si capiscono non si accetteranno.
Intanto conosciamo e leggiamo Ettore Zanca nei suoi libri e nel post di oggi:
Ettore Zanca:Visto che ha funzionato per spiegare la parte del decreto che riguardava chi correva, ci riproviamo con la nota del Viminale.

Il Viminale ha pubblicato una circolare nella quale interpreta e chiarisce le regole governative, concedendo una passeggiata nei pressi dell'abitazione a un genitore con un figlio, per poco. Si concede lo stesso diritto anche ad anziani e disabili bisognosi di accompagnamento. Come voi, ben sapete. Punto, punto e virgola, due punti.

L'italiano scrupoloso apprende la regola. La comunica in famiglia e fa un giretto col pargolo, lontano da tutti, stando attenti alle distanze e non allontanandosi. Dopo ritorna a casa e attende pazientemente la fine di questo momento tremendo.

L'italiano per cui queste "concessioni" non sono altro che finestre con vista sulla caciara in ordine:

Organizzerà tornei di calcetto condominiale con tutti i figli a disposizione, più quelli dei vicini, in più chiamerà per salsicciata clandestina pure il cognato che abita nell'altro quartiere che tanto "siamo stati tutti a casa, cosa può succedere?".

Uscirà col figlio, poi con l'altro figlio, poi uscirà la mamma con i figli invertiti, poi usciranno papà e mamma da soli, poi papà per buttare l'immondizia, poi mamma per fare la spesa, poi viceversa perché mamma per errore ha buttato l'arrosto e papà ha dimenticato le pesche sciroppate che non possono assolutamente mancare a casa (storia vera vista ieri, questa delle pesche). Poi torneranno a casa, faranno uscire a turno il cane e poi a turno il nonno che li maledirà fino alla settima generazione perché non vuole uscire.

Cercherà di capire se il figlio della dirimpettaia con cui ha avuto un'avventura gli somigli davvero, per un rapido procedimento di riconoscimento della paternità e conseguente diritto alla passeggiata.

Uscirà con la moglie incinta perché "tanto non è specificato quanto piccolo deve essere il figlio".

Uscirà con una donna con figli scelta a caso "perché di botto sento un forte desiderio di paternità".
Uscirà con diverse donne ma senza figli "perché sento forte il desiderio della paternità ma non ho ancora deciso con chi fare un figlio e ci vuole un approccio per scegliere e comunque il Viminale non specifica che se si se esce con figli, i figli debbano essere esistenti".

A Vimina', damme retta, speriamo bene. Quando vi siete avventurati al Governo con i runners ve ne siete pentiti. Perché la verità l'ha detta ieri un mio amico esponente delle forze dell'ordine.
"Quando viene emanata una regola da rispettare, c'è chi ubbidisce e chi, purtroppo la vede come qualcosa da aggirare o fraintendere".
Ecco, come diceva un mio professore di diritto, questa frase è da vergare in oro su tavola di marmo.
Ippolita Luzzo 

Biografia di Ettore Zanca: Sono nato a Palermo il 18 settembre del 1971. Sono laureato in giurisprudenza e attualmente vivo a Colleferro, in provincia di Roma, sono sposato e ho un figlio di quattro anni. Sono consulente legale, ma ho la passione per la scrittura. Da un paio d’anni ho messo più dedizione in questa passione, iniziando a scrivere racconti di narrativa, sfociati in una raccolta attualmente in visione ad alcune case editrici, intitolata E vissero tutti feriti e contenti
Ettore Zanca:Palermo 1971- Scrive storie. Umanità varia e calcio, tra gli argomenti preferiti.
Blogger per Io Gioco Pulito, blog sportivo del Fatto Quotidiano. Col
Ha collaborato con: Cose da fare in Sicilia, Rosalio, Giornalettismo, L'Ora quotidiano, Chizzocute, Moonstudio, La valle dei templi, Calcio Extra time, Iovel, Ingresso libero, Informazione libera, Il Gazzettino di Sicilia e Live Sicilia.
Books
Ianieri Edizioni - E vissero tutti feriti e contenti, con prefazione di Enrico Ruggeri. Santa Muerte.
Montegrappa edizioni -   Polvere. SipSEC - Meglio essere Peter Parker. Coppola Editore​-  collana Il pizzino della legalità - Zupì e gli infedeli, la favola di don Pino Puglisi e,insieme a Daniela Gambino, Vent’anni sulle stragi del 1992 - vincitore del premio speciale Gesti e parole per la legalità 2012. Cartacanta Edizioni -  Zisa Football club - raccolta Si sente la voce.
Gemma edizioni - N1 vite - Stiamo arrivando. Urban Apnea edizioni - Oltre la linea bianca. La giostra della memoria