Pezzo antichissimo
All'alba di una nuova civiltà si affacciano gli ombricoli in un mondo di ombre ombreggianti.
Timidi e nascosti, velati e nudi, della nudità della mente,
nudi alla meta,
si aggirano senza bussola incontrando senza incontrare altre ombre.
Voce di colui che grida nel deserto… anche loro, gli ombricoli, urlano la loro solitudine, la loro incapacità di essere felici, la loro terribile paura di dover sparire senza lasciare traccia, anche e soltanto un’orma del loro apparire nel mondo delle ombre.
Si agitano scomposti oppure rassegnati, cercano a tastoni, nella nebbia, delle ombre un viso, un suono, una corporeità che li rassicuri.
Si danno appuntamenti col nulla, con lo sconosciuto che non vedranno mai, si chiamano a gran voce ma il suono non raggiunge, il suono non si espande, rimane fermo lì dove si è originato.
Scrivono a fiumi, concetti sopraffini che conservano ancora del mondo delle idee, della caverna antica dove un tempo abitarono gli uomini del cavernicolo degli anni novecento.
Quelli erano altri tempi, le guerre erano sangue, ora solo reportage su uno schermo bianco di comizi acclamanti, di folle oceaniche, di plauso ossequiante.
Ricordano le ombre, ricordano quel tempo gli ombricoli di ora ed allora nel tempo senza età, nel tempo del digiuno, provano a ripetere di nuovo quel tempo che loro videro passare sulle pareti lisce di una televisione.
Sono sempre presenti, ora e sempre, sulla scena antica della rappresentazione a chiedere un perché, a chiedere ragione di tanta stupidità, di tanta infamità.
Non c’è però lo spazio, proprio perché è troppo, non c’è però l’ascolto, manca proprio il rimbalzo, l’eco, e nell'immensità noi siamo tutti uguali
Gli ombricoli di qua e gli ombricoli di là non fanno società, però scrivono, scrivono, scrivono… e poi nel buio più profondo vorrebbero sentire una voce soltanto.
La voce del silenzio, un mare di silenzio, un grande immenso mare che tutti poi nuotiamo, il mare della morte del secolo che fu.
Nel nuovo che c’è già voliamo e ritorniamo, senza quartieri, senza legami, e l’unico legame è una connessione che ci trasporterà nel mondo di domani
A rivedere le stelle
Perché anche gli ombricoli, nel loro vaneggiare, nel loro macchinare, nell'illusorio conservano stampato un cielo sopra loro, il cielo stellato sopra noi di Kant, la legge morale dentro e l’infelicità che è la misura del vivere fra esseri che rincorrono con caparbietà un mondo felice fatto di sorrisi, luce, suoni e fantasia.
Il mondo di domani paura non avrà, perché anche gli ombricoli una luce seguiranno,
la luce della sopravvivenza della specie …
patrimonio dell’umanità!
Ippolita Luzzo
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