"Penso che ciascuno di noi abbia una propria energia vitale, che non sempre trova la dimensione e il tempo per esprimersi.A volte accade che si esprima in luoghi e tempi inimmaginabili o la si può perdere in altri, che invece ci erano apparsi propizi. Lo sai quando ti ci trovi, inopinatamente, lo capisci quando ti senti espandere e il respiro vola, quando un orizzonte aprendosi ti commuove, quando puoi essere te stesso, il clima si fa dolce e ti senti accettato come dentro un abbraccio. In quel tempo e in quello spazio, l'energia vitale sembrava annientata, però ne percepivo un leggero gorgoglio, come l'acqua che inizia a bollire"
Dopo una prova difficile, dopo una emarginazione e una calunnia, si trova dentro di noi la forza per scrollare le ali, con metafora appropriata, e trovare la forza di volontà per spostarsi e andarsene.. Così fa Corinna ai suoi sedici anni, vittima di una presa in giro cattiva e anonima.
Eppure quel gesto che sulle prime condanna Corinna al suo allontanarsi volontario dai compagni in futuro sarà trasformato e complice un padre attento,trasformato in gioia e conquista di libertà. Siamo nel 1965, l'estate dei sedici anni al Lido Camaiore.
Il Viaggio con mio padre è in effetti il viaggio verso l'età adulta, presa per mano da suo padre, presa per mano da alcuni valori ormai smarriti ma da recuperare: Prima pensare e poi parlare, non farsi mai prendere dalla fretta, la virtù della calma. Sono queste frasi il lascito di un padre sempre vicino, di un padre che regala alla figlia l'autonomia.Valori da recuperare come quel fiordaliso tra le spighe:estinto, cancellato.
Il viaggio della vita accompagna Corinna con immagini poetiche, con presenze amatissime, con paesaggio e colori della natura ancora non sciupata.
Il viaggio è dedicato alla presenza imprescindibile del suo papà, il viaggio ci viene donato per farci conoscere quanto sia importante avere accanto quella mano a cui tendere la nostra.
Con pudore e con affetto Corinna dipinge quasi un acquerello di anni troppo diversi dagli attuali e ce li regala per una sorta di consolazione su ciò che tutti abbiamo perduto.
Un regalo da conservare.
Ippolita Luzzo
sabato 22 dicembre 2018
lunedì 17 dicembre 2018
Ultimo tag per te, Riccardo
Questo è l'ultimo tag per te, cantandola come una canzone nota.
Dedico questo pezzo scherzoso ma non troppo, scritto mentre i broccoli cuociono, a Riccardo Sapia di Palermo che ha da poco fatto un post dove afferma: "Staggarsi" è un po' come scappare dalla casa, in questo caso di un amico, dove siete stati accolti. Non vorrei essere esagerato ma è un po' come disprezzarne l'invito. Perché ad alcuni di voi non piace essere "taggato"? Odio questo termine ma, forse o almeno io non lo conosco, non esiste un corrispettivo in italiano."
Sul tag io ho avuto esperienze diverse.
Mi taggano molti per darmi notizie dei loro eventi, dei loro articoli di giornali, mi taggano per il solo motivo di avere un like, oppure, come mi spiegò un amico, perché il tag trascina anche gli amici degli amici in una catena e diffonde, nel caso di un tag mirato su un personaggio conosciuto, il post.
Quindi se le cose stanno in questo modo c'è un nesso opportunistico e di utilità nel tag che prescinde la conoscenza del soggetto taggato. Infatti di me i miei taggatori seriali non si occupavano affatto.
Io non riconosco dunque a tanti tag nessuna importanza se non fastidio e sono restia a taggare, lo faccio molto raramente, mai taggando coloro che mi taggano in continuazione con un tag molesto.
Invece ci sono tag voluti, cercati, desiderati, tag su recensioni di blog, letti sempre, tag su libri di case editrici amate, tag insomma accettati.
E poi ci sono i tag che non arrivano, vedi che il tale critico letterario tagga tanti e non tagga te e dal gioco dei tag capisci che ancora non fai parte della "famiglia letteratura italiana web" perché se lui non ti tagga vuol dire che non esisti.
Sorrido però pensando ai dannati del tag, cioè a coloro che taggati dal famoso, devono mettere il like, pena l'estratag.
L'estratag deve essere una pena terribile, mio caro Riccardo.
Quindi noi ci continueremo a leggerci senza tag, anche se tu parlavi di tag affettuosi e familiari ed io ti posso raccontare dell'incubo di una mia amica, costretta da una sua conoscente, a dover mettere like al tag sulle moltissime fotografie che la signora metteva, pena un broncio perenne.
Si può vivere senza tag e volersi bene non è un tag, anzi tutt'altro.
Un saluto a Palermo dal regno della Litweb non taggante e non taggata.
Ippolita Luzzo
Dedico questo pezzo scherzoso ma non troppo, scritto mentre i broccoli cuociono, a Riccardo Sapia di Palermo che ha da poco fatto un post dove afferma: "Staggarsi" è un po' come scappare dalla casa, in questo caso di un amico, dove siete stati accolti. Non vorrei essere esagerato ma è un po' come disprezzarne l'invito. Perché ad alcuni di voi non piace essere "taggato"? Odio questo termine ma, forse o almeno io non lo conosco, non esiste un corrispettivo in italiano."
Sul tag io ho avuto esperienze diverse.
Mi taggano molti per darmi notizie dei loro eventi, dei loro articoli di giornali, mi taggano per il solo motivo di avere un like, oppure, come mi spiegò un amico, perché il tag trascina anche gli amici degli amici in una catena e diffonde, nel caso di un tag mirato su un personaggio conosciuto, il post.
Quindi se le cose stanno in questo modo c'è un nesso opportunistico e di utilità nel tag che prescinde la conoscenza del soggetto taggato. Infatti di me i miei taggatori seriali non si occupavano affatto.
Io non riconosco dunque a tanti tag nessuna importanza se non fastidio e sono restia a taggare, lo faccio molto raramente, mai taggando coloro che mi taggano in continuazione con un tag molesto.
Invece ci sono tag voluti, cercati, desiderati, tag su recensioni di blog, letti sempre, tag su libri di case editrici amate, tag insomma accettati.
E poi ci sono i tag che non arrivano, vedi che il tale critico letterario tagga tanti e non tagga te e dal gioco dei tag capisci che ancora non fai parte della "famiglia letteratura italiana web" perché se lui non ti tagga vuol dire che non esisti.
Sorrido però pensando ai dannati del tag, cioè a coloro che taggati dal famoso, devono mettere il like, pena l'estratag.
L'estratag deve essere una pena terribile, mio caro Riccardo.
Quindi noi ci continueremo a leggerci senza tag, anche se tu parlavi di tag affettuosi e familiari ed io ti posso raccontare dell'incubo di una mia amica, costretta da una sua conoscente, a dover mettere like al tag sulle moltissime fotografie che la signora metteva, pena un broncio perenne.
Si può vivere senza tag e volersi bene non è un tag, anzi tutt'altro.
Un saluto a Palermo dal regno della Litweb non taggante e non taggata.
Ippolita Luzzo
domenica 2 dicembre 2018
Antonio Saladino Lo scultore del tempo
Trasformo stamattina le strofe della canzone A muso duro di Pierangelo Bertoli,
" canterò le mie canzoni
per la strada
ed affronterò la vita
a muso duro
un guerriero senza patria
e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto
nel futuro" con lo sguardo fisso nel passato, lo canticchio per un po' e poi mi accorgo che la strofa originale rende di più il significato della mostra di Antonio Saladino.
Reperti Contemporanei, curata da Teodolinda Coltellaro, al Museo Marca di Catanzaro dal 24 Novembre 2018 al 19 gennaio 2019, sembra proprio creata da un guerriero senza patria e senza spada, con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
Uno sguardo di pace.
Antonio,"Lo scultore del tempo", come La scultura del tempo. Mi regala questa definizione Orazio Garofalo, un grande video-artista.
Nel cinema di Tarkovskij la logica dell'azione intende essere una scultura del tempo, "una serie di eventi, i quali, a loro volta, ineriscono a delle circostanze obiettive, che appartengono allo spazio - o, come affermerebbe Wittgenstein, ad una serie di stati di cose, i quali formano i contesti o le situazioni entro cui il tempo stesso si svolge, con il suo ritmo mutevole." Il tempo, questo sconosciuto e questo luogo abitato da noi, sembra bianchissimo e in pace nelle sculture di Antonio, sembra armonia, equilibrio e luce, sembra bellezza e ordine, un ordine che stia a governare ogni espressione.
Da una conversazione di Paolo Lago con Paolo Landi, come sopra, prendo questo stralcio "Ed è forse la "zona" una sapiente scultura del tempo, una sua iconizzazione e una sua stasi. La "zona" è il tempo che non scorre più e si ferma, tremando della propria angoscia e della propria solitudine." Nelle opere di Antonio in mostra, nell'intera mostra, vi è pace e serenità, si entra in un non luogo, diventato in quel momento il giardino delle muse.
Una stasi del tempo bello, fermo nel suo momento di perfezione. Nel ritornare alle immagini della mitologia, Il classicismo in fondo era questo tentativo dell'uomo di fermare il tempo, con la creta, con i colori, di fermare la perfezione e guardarla come se fosse ciò che siamo.
"Dove si guarda è ciò che noi siamo" ha scritto una mia amica, facendo in letteratura quello che ha creato Antonio Saladino:
Contenitori di terracotta dai contenuti sorprendenti, dai nomi conosciuti.
Le ciotole di Venere, Apollo, Zeus, Narciso, Reliquie, Rotoli di Scrittura critica.
Sembrano in fila a chiedere udienza ad un re immaginario gli abitanti di questa mostra: Il portatore di nuvole, la portatrice di gioielli, il portatore di scarti, la portatrice di urna, il portatore di angeli, tutti in fila davanti alla Vanitas.
Ricordando Qoelèt, c'è un tempo per tutte le cose, un tempo per demolire e un tempo per costruire."Mi sono accorto che nulla c'è di meglio per l'uomo che godere delle sue opere, perché questa è la sua sorte. Chi potrà infatti condurlo a vedere ciò che avverrà dopo di lui?"
Sarà la Vanitas da omaggiare? mi chiedo io sorpresa dal mio stesso vaneggiare.
Ho abitato la mostra tutto il tempo dell'installazione, dell'inaugurazione, del gioco, con i coloratissimi pezzi del Custode di tavolette, ed ogni tavoletta era un bozzetto, una storia, un racconto, un pezzo di noi, del nostro immaginario.
Ciò che noi conserviamo è ciò che noi vorremmo che si conservasse in eterno: l'efebo di Mozia, le tombe etrusche, le sette meraviglie del passato, le ninfe, il mito.
Stiamo sul mito del nostro interrogarci, stiamo nel rispetto e nella cura della terra, della creta, stiamo e staremo se ci prenderemo cura.
Le opere di Antonio Saladino ci rimandano al monito tranquillo del saggio che guarda nel passato per regalarci come ultima spes la luce, La portatrice di luce, alla quale è dedicata la mostra di Reperti contemporanei.
Ippolita Luzzo
" canterò le mie canzoni
per la strada
ed affronterò la vita
a muso duro
un guerriero senza patria
e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto
nel futuro" con lo sguardo fisso nel passato, lo canticchio per un po' e poi mi accorgo che la strofa originale rende di più il significato della mostra di Antonio Saladino.
Reperti Contemporanei, curata da Teodolinda Coltellaro, al Museo Marca di Catanzaro dal 24 Novembre 2018 al 19 gennaio 2019, sembra proprio creata da un guerriero senza patria e senza spada, con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
Uno sguardo di pace.
Antonio,"Lo scultore del tempo", come La scultura del tempo. Mi regala questa definizione Orazio Garofalo, un grande video-artista.
Nel cinema di Tarkovskij la logica dell'azione intende essere una scultura del tempo, "una serie di eventi, i quali, a loro volta, ineriscono a delle circostanze obiettive, che appartengono allo spazio - o, come affermerebbe Wittgenstein, ad una serie di stati di cose, i quali formano i contesti o le situazioni entro cui il tempo stesso si svolge, con il suo ritmo mutevole." Il tempo, questo sconosciuto e questo luogo abitato da noi, sembra bianchissimo e in pace nelle sculture di Antonio, sembra armonia, equilibrio e luce, sembra bellezza e ordine, un ordine che stia a governare ogni espressione.
Da una conversazione di Paolo Lago con Paolo Landi, come sopra, prendo questo stralcio "Ed è forse la "zona" una sapiente scultura del tempo, una sua iconizzazione e una sua stasi. La "zona" è il tempo che non scorre più e si ferma, tremando della propria angoscia e della propria solitudine." Nelle opere di Antonio in mostra, nell'intera mostra, vi è pace e serenità, si entra in un non luogo, diventato in quel momento il giardino delle muse.
Una stasi del tempo bello, fermo nel suo momento di perfezione. Nel ritornare alle immagini della mitologia, Il classicismo in fondo era questo tentativo dell'uomo di fermare il tempo, con la creta, con i colori, di fermare la perfezione e guardarla come se fosse ciò che siamo.
"Dove si guarda è ciò che noi siamo" ha scritto una mia amica, facendo in letteratura quello che ha creato Antonio Saladino:
Contenitori di terracotta dai contenuti sorprendenti, dai nomi conosciuti.
Le ciotole di Venere, Apollo, Zeus, Narciso, Reliquie, Rotoli di Scrittura critica.
Sembrano in fila a chiedere udienza ad un re immaginario gli abitanti di questa mostra: Il portatore di nuvole, la portatrice di gioielli, il portatore di scarti, la portatrice di urna, il portatore di angeli, tutti in fila davanti alla Vanitas.
Ricordando Qoelèt, c'è un tempo per tutte le cose, un tempo per demolire e un tempo per costruire."Mi sono accorto che nulla c'è di meglio per l'uomo che godere delle sue opere, perché questa è la sua sorte. Chi potrà infatti condurlo a vedere ciò che avverrà dopo di lui?"
Sarà la Vanitas da omaggiare? mi chiedo io sorpresa dal mio stesso vaneggiare.
Ho abitato la mostra tutto il tempo dell'installazione, dell'inaugurazione, del gioco, con i coloratissimi pezzi del Custode di tavolette, ed ogni tavoletta era un bozzetto, una storia, un racconto, un pezzo di noi, del nostro immaginario.
Ciò che noi conserviamo è ciò che noi vorremmo che si conservasse in eterno: l'efebo di Mozia, le tombe etrusche, le sette meraviglie del passato, le ninfe, il mito.
Stiamo sul mito del nostro interrogarci, stiamo nel rispetto e nella cura della terra, della creta, stiamo e staremo se ci prenderemo cura.
Le opere di Antonio Saladino ci rimandano al monito tranquillo del saggio che guarda nel passato per regalarci come ultima spes la luce, La portatrice di luce, alla quale è dedicata la mostra di Reperti contemporanei.
Ippolita Luzzo
sabato 1 dicembre 2018
Tutti i discorsi degli anni precedenti
Tristram Shandy: le cose che fate entrare sono le stesse che fate uscire.
La regina Elisabetta è apparsa in tutte le case britanniche il 25 dicembre per il tradizionale discorso di fine anno.
Una tradizione avviata nel 1932 da Re Giorgio V. E come alla corte della dinastia dei Windsor anche qui, nel regno della Litweb prepariamo il discorso. Mi aprono il blog nel 2012 e mi accorgo solo ora che in quell'anno non ho fatto un discorso di fine anno, sempre che non vogliamo prendere per vero un invito agli alunni vicini e lontani http://trollipp.blogspot.com/2013/01/miei-cari-alunni-vicini-e-lontani.html
poi l'anno passò e all'alba del 2014 scrivo questo https://trollipp.blogspot.com/2013/12/discorso-di-fine-anno.html
Finisce il 2014 con un canto
http://trollipp.blogspot.com/2014/12/istitutional-cantando-tutte-le-papere.html
e andiamo verso il 2015 e a dicembre 2015 scrivo http://trollipp.blogspot.com/2015/12/discorso-di-fine-anno-2015-ciascuno-il.html
andando verso il 2016 con il famosissimo discorso del 2016
http://trollipp.blogspot.com/2016/12/discorso-di-fine-anno-domine-2016.html
che ci catapulterà nel mondo delle uova. Sarà un uovo il domani? Una meraviglia, ho risposto all'alba del 2018 http://trollipp.blogspot.com/2017/12/discorso-di-fine-anno-2017-il-paese.html
chiederò alla Stampa di suggerirmi i discorsi mancanti
La regina Elisabetta è apparsa in tutte le case britanniche il 25 dicembre per il tradizionale discorso di fine anno.
Una tradizione avviata nel 1932 da Re Giorgio V. E come alla corte della dinastia dei Windsor anche qui, nel regno della Litweb prepariamo il discorso. Mi aprono il blog nel 2012 e mi accorgo solo ora che in quell'anno non ho fatto un discorso di fine anno, sempre che non vogliamo prendere per vero un invito agli alunni vicini e lontani http://trollipp.blogspot.com/2013/01/miei-cari-alunni-vicini-e-lontani.html
poi l'anno passò e all'alba del 2014 scrivo questo https://trollipp.blogspot.com/2013/12/discorso-di-fine-anno.html
Finisce il 2014 con un canto
http://trollipp.blogspot.com/2014/12/istitutional-cantando-tutte-le-papere.html
e andiamo verso il 2015 e a dicembre 2015 scrivo http://trollipp.blogspot.com/2015/12/discorso-di-fine-anno-2015-ciascuno-il.html
andando verso il 2016 con il famosissimo discorso del 2016
http://trollipp.blogspot.com/2016/12/discorso-di-fine-anno-domine-2016.html
che ci catapulterà nel mondo delle uova. Sarà un uovo il domani? Una meraviglia, ho risposto all'alba del 2018 http://trollipp.blogspot.com/2017/12/discorso-di-fine-anno-2017-il-paese.html
chiederò alla Stampa di suggerirmi i discorsi mancanti
mercoledì 28 novembre 2018
L'Amica Geniale Elena Ferrante
Elena Ferrante mi ha confessato di non aver visto la serie televisiva e di essere alle prese con una nuova quadrilogia dal titolo: La nemica geniale.
In attesa di fatti e misfatti delle amiche e nemiche, geniali sempre, che porteranno tanti premi e continue repliche, noi guardiamo stupefatti a tanto successo applaudendo il genio di chi lo racconta con tanta genialità.
Con vera stima.
Conoscerò Elena Ferrante e la inviterò nel Regno della Litweb.
Sono sicura che accetterà.
In un regno inesistente un'autrice che non si sa chi sia può ben venire senza tema di apparire.
Aspettandola
Ippolita Luzzo
In attesa di fatti e misfatti delle amiche e nemiche, geniali sempre, che porteranno tanti premi e continue repliche, noi guardiamo stupefatti a tanto successo applaudendo il genio di chi lo racconta con tanta genialità.
Con vera stima.
Conoscerò Elena Ferrante e la inviterò nel Regno della Litweb.
Sono sicura che accetterà.
In un regno inesistente un'autrice che non si sa chi sia può ben venire senza tema di apparire.
Aspettandola
Ippolita Luzzo
lunedì 26 novembre 2018
A Chiara Tempesta un pezzo antico: Una Bambola sul letto
L'altro giorno Chiara domanda ai social schizzinosi sull'arredamento delle case dei Casamonica come fossero le loro case e se ricordano le bambole sul letto.
Chiara mi ha fatto ricordare un mio pezzo del 2011 dal titolo Una bambola sul letto e la ringrazio per avermelo inconsapevolmente ridonato:
Una bambola sul letto 29 ottobre 2011-
Una volta nel sud le donne, dopo aver rassettato il letto matrimoniale, sistemavano al centro, subito dopo i due cuscini, una grande bambola, una bambola come una bambina, vestita con abiti pretenziosi, di lusso, merletti, pizzi, con le scarpine, scarpine vezzose, una bambola con i capelli boccoli boccoli, il viso dipinto di roseo splendore, gli occhi immobili, fissi su tanto stupore.
Io ne ero spaventata, proprio non riuscivo a capire quella messinscena, macabra ed offensiva, quel simulacro di donna perfetta, immobile fissa buttata su un letto, seduta, con le gambe aperte, divaricate per dare al fantoccio maggiore seduta.
Sfuggivo la vista, giravo gli occhi, ma sempre vedevo le donne che, fiere, se la mostravano, ne erano fiere, e non vedevo com'era preziosa!
Ero bambina ed avrei dovuto come le altre bambine avere una bambola che non volli mai, per tanto tempo mi rifiutai, poi verso i dieci anni mia mamma, vedendola una stranezza, me la comprò .
Era una bambola piccola, con i capelli docili al pettine. Io cominciai a pettinare e ripettinare ed in capo a due giorni la ridussi calva, senza più bellezza, senza un orpello.
Non credo che ho avuto più una bambola in mano, un bambolotto, un orsacchiotto.
Non ho mai più voluto bambole, ricordo però, con grande languore, un Pinocchio di legno che mi avranno rubato, sottratto, come tutte le cose negli anni a venire, un Pinocchio snodabile con tanto di naso, un cappello rosso e le gambe lunghe.
L’avevo comprato, c’ero riuscita dopo tante insistenze, me l’ero sudato col nonno, sfibrandolo con cantilene sempre più insistenti, che io volevo, volevo soltanto un Pinocchio di legno!
Ed adesso che vorrei giocare di nuovo i giochi che non ho fatto mai, adesso mi trovo a parlare davvero con un Pinocchio di carta, di mail, convinta di avere un discorso in mano, un senso, una storia, un motivo in più.
Mi ostino e non voglio vedere che ormai noi tutti non siamo gli stessi e che anche i Pinocchi sono contenti se possono ancora giocare con bambole, vestite eleganti, attizzate, vogliose, troie infoiate da manovrare, usare soltanto per mettere in moto un congegno per farle partire e poi, credo, ridere dentro di tanto sudare mentre loro, di legno, son sempre freddi, puliti, immacolati, sorpresi che lei si sia bagnata.
Ma ormai è tardi per disarticolare un buffo soggetto con un abbecedario, è tardi, tardissimo, proprio così, sarà come allora, anche allora qualcuno poi lo rubò il mio pinocchio di legno e non lo rividi mai più
Qualcuno che non lo amava affatto, qualcuno che poi lo buttò giù, ma d'altronde è così, è sempre così, nel mondo perbene che perbene non è.
Al mondo perbene, che perbene non è, basta mettere soltanto una bambola sul letto, con gli occhi fissi su tanto splendore
Ippolita Luzzo
Chiara mi ha fatto ricordare un mio pezzo del 2011 dal titolo Una bambola sul letto e la ringrazio per avermelo inconsapevolmente ridonato:
Una bambola sul letto 29 ottobre 2011-
Una volta nel sud le donne, dopo aver rassettato il letto matrimoniale, sistemavano al centro, subito dopo i due cuscini, una grande bambola, una bambola come una bambina, vestita con abiti pretenziosi, di lusso, merletti, pizzi, con le scarpine, scarpine vezzose, una bambola con i capelli boccoli boccoli, il viso dipinto di roseo splendore, gli occhi immobili, fissi su tanto stupore.
Io ne ero spaventata, proprio non riuscivo a capire quella messinscena, macabra ed offensiva, quel simulacro di donna perfetta, immobile fissa buttata su un letto, seduta, con le gambe aperte, divaricate per dare al fantoccio maggiore seduta.
Sfuggivo la vista, giravo gli occhi, ma sempre vedevo le donne che, fiere, se la mostravano, ne erano fiere, e non vedevo com'era preziosa!
Ero bambina ed avrei dovuto come le altre bambine avere una bambola che non volli mai, per tanto tempo mi rifiutai, poi verso i dieci anni mia mamma, vedendola una stranezza, me la comprò .
Era una bambola piccola, con i capelli docili al pettine. Io cominciai a pettinare e ripettinare ed in capo a due giorni la ridussi calva, senza più bellezza, senza un orpello.
Non credo che ho avuto più una bambola in mano, un bambolotto, un orsacchiotto.
Non ho mai più voluto bambole, ricordo però, con grande languore, un Pinocchio di legno che mi avranno rubato, sottratto, come tutte le cose negli anni a venire, un Pinocchio snodabile con tanto di naso, un cappello rosso e le gambe lunghe.
L’avevo comprato, c’ero riuscita dopo tante insistenze, me l’ero sudato col nonno, sfibrandolo con cantilene sempre più insistenti, che io volevo, volevo soltanto un Pinocchio di legno!
Ed adesso che vorrei giocare di nuovo i giochi che non ho fatto mai, adesso mi trovo a parlare davvero con un Pinocchio di carta, di mail, convinta di avere un discorso in mano, un senso, una storia, un motivo in più.
Mi ostino e non voglio vedere che ormai noi tutti non siamo gli stessi e che anche i Pinocchi sono contenti se possono ancora giocare con bambole, vestite eleganti, attizzate, vogliose, troie infoiate da manovrare, usare soltanto per mettere in moto un congegno per farle partire e poi, credo, ridere dentro di tanto sudare mentre loro, di legno, son sempre freddi, puliti, immacolati, sorpresi che lei si sia bagnata.
Ma ormai è tardi per disarticolare un buffo soggetto con un abbecedario, è tardi, tardissimo, proprio così, sarà come allora, anche allora qualcuno poi lo rubò il mio pinocchio di legno e non lo rividi mai più
Qualcuno che non lo amava affatto, qualcuno che poi lo buttò giù, ma d'altronde è così, è sempre così, nel mondo perbene che perbene non è.
Al mondo perbene, che perbene non è, basta mettere soltanto una bambola sul letto, con gli occhi fissi su tanto splendore
Ippolita Luzzo
sabato 24 novembre 2018
Il dialogo è una cosa opinabile su Whatsapp
Dialogo:
Colloquio tra due o più persone, nel linguaggio politico, confronto d'idee, opinioni o programmi allo scopo di raggiungere un'intesa: un dialogo costruttivo e distruttivo.
Comunicazione verbale, fatta di messaggi su whatsapp sempre dialogo è? Scritta e registrata su whatsapp. Cosa opinabile e divertente fra due soggetti, normalmente abili alla risposta.
Dopo aver riso questa mattina a sentire messaggi registrati su whatsapp e aver commentato con chi me li faceva ascoltare:"Cosa vuol dire questa frase in italiano?" mi sono sovvenuta di altra piacevolezza.
Allora eravamo in estate e una mia amica aveva da risolvere su quale fila dovesse stare il suo ombrellone in quello stabilimento balneare. Chiama dunque su whatsapp il proprietario dello stabilimento ed iniziano a messaggiare per chiarirsi su questo difficilissimo busillis. La vedevo impegnata a rispondere.
Lei alla fine, stremata e ironica, mi disse ad un certo punto: "Ora ti faccio vedere come procede la conversazione." Ed io mi trovai a leggere quei messaggi che non avrebbero sfigurato in una commedia di Ionesco, tanto erano strabilianti, fra lei che chiedeva e lui che rispondeva picche, non voleva, era evidente, spostare l'ombrellone, eppure la conversazione deviava, prendeva inaspettate rive, benché i due dialoganti si conoscessero da anni.
Stamattina uguale, con in più il dire parlato registrato.
Questo andazzo di registrare ciò che si dice sembra comodo ma si può ritorcere verso chi registra, perché mentre nel parlato orale si può sempre smentire, nel registrato e nello scritto le parole stanno lì a mostrare quanto la conversazione, il dialogo, sia una cosa opinabile, irreale, inesistente.
Il dialogo diventa subito insulto, offesa, disprezzo, mascherato da una leggerissima copertina webbica che non copre più nemmeno i piedi.
Infatti è un conversare con i piedi e Whatsapp condanna alla storicità del detto.
Un detto opinabile
Ippolita Luzzo
Colloquio tra due o più persone, nel linguaggio politico, confronto d'idee, opinioni o programmi allo scopo di raggiungere un'intesa: un dialogo costruttivo e distruttivo.
Comunicazione verbale, fatta di messaggi su whatsapp sempre dialogo è? Scritta e registrata su whatsapp. Cosa opinabile e divertente fra due soggetti, normalmente abili alla risposta.
Dopo aver riso questa mattina a sentire messaggi registrati su whatsapp e aver commentato con chi me li faceva ascoltare:"Cosa vuol dire questa frase in italiano?" mi sono sovvenuta di altra piacevolezza.
Allora eravamo in estate e una mia amica aveva da risolvere su quale fila dovesse stare il suo ombrellone in quello stabilimento balneare. Chiama dunque su whatsapp il proprietario dello stabilimento ed iniziano a messaggiare per chiarirsi su questo difficilissimo busillis. La vedevo impegnata a rispondere.
Lei alla fine, stremata e ironica, mi disse ad un certo punto: "Ora ti faccio vedere come procede la conversazione." Ed io mi trovai a leggere quei messaggi che non avrebbero sfigurato in una commedia di Ionesco, tanto erano strabilianti, fra lei che chiedeva e lui che rispondeva picche, non voleva, era evidente, spostare l'ombrellone, eppure la conversazione deviava, prendeva inaspettate rive, benché i due dialoganti si conoscessero da anni.
Stamattina uguale, con in più il dire parlato registrato.
Questo andazzo di registrare ciò che si dice sembra comodo ma si può ritorcere verso chi registra, perché mentre nel parlato orale si può sempre smentire, nel registrato e nello scritto le parole stanno lì a mostrare quanto la conversazione, il dialogo, sia una cosa opinabile, irreale, inesistente.
Il dialogo diventa subito insulto, offesa, disprezzo, mascherato da una leggerissima copertina webbica che non copre più nemmeno i piedi.
Infatti è un conversare con i piedi e Whatsapp condanna alla storicità del detto.
Un detto opinabile
Ippolita Luzzo
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