giovedì 15 novembre 2018
Nadia Terranova Addio Fantasmi
Leggo e ritrovo nel libro di Nadia Terranova spezzoni di vita conosciuta, di quando una mia mia amica mi disse come Sara a Ida, mi ritrovo nei dialoghi fra Ida e la sua mamma, con storie e reconditi fatti passati molti diversi.
Il dialogo plausibile e universale, uguale al nostro dialogare, racconta, senza raccontarlo, il compito del lettore nel suo dialogo con un testo.
Se il testo fosse Ida e io fossi Sara, Se il testo fosse la mamma e io fossi Ida e viceversa, facendo questo gioco ho preso a leggere e rileggere Addio Fantasmi relegando alla trama un lato, una vista laterale. Affascinata da ciò che tutti noi, scriventi, abbiamo colpevolmente cercato: l'attenzione sui nostri scritti.
Una vera ossessione.
Il Libro di Nadia Terranova è fatto di rimandi e di ritorni, di rimpianti e di rancore, di risposte e di rincorse, di rassicurazione e di rumori.
La lettera erre del nostro alfabeto ci rovista e ci ritrova.
Addio fantasmi, amandovi e facenti parte del nostro vissuto, addio e arrivederci, telefonando e telefonando a chi ci risponderà, per non lasciarci soli con voi.
La voce del marito di Ida risponde dal luogo della necessità, necessità di un equilibrio, affinché la protagonista non sia presa per mano dal fantasma che sta in lei.
Ida fa il suo viaggio di andata e ritorno e resiste.
Nadia Terranova a pagina 147 fa dire ad Ida: "Chiusi la conversazione, strinsi il telefono fra le mani e ringraziai il miracolo tecnologico che permetteva di lasciarsi invadere da un'altra persona a centinaia di chilometri di distanza, farsi modificare l'umore da lei e chiederle aiuto per resistere"
Nel farsi crescere dal racconto altrui, nel farsi idea di ciò che lei sia, nel farsi storia di un racconto unico, mi sembra un farsi fascinante questo romanzo che consiglio, che amo, che mi abbraccio.
" Veniamo tutti da un funerale, tutti abbiamo perso qualcuno e sappiamo quanto lunghissimo e ingiusto sia il tempo davanti a noi, il tempo senza quella persona. Il tempo che cominceremo a contare anno dopo anno, a partire dalla perdita. Delle vite degli altri non so molto, ma se aprissi uno spiraglio la mia solitudine diventerebbe affollata" pagina 195
Ed ora mi appunto questa lettura che Nadia Terranova fa in una intervista: "C’è un racconto di Leonardo Sciascia che ha un incipit bellissimo e dice che esiste soltanto un paese nella vita cui poi torniamo e che ricreiamo nella letteratura, si intitola "Paese con figure" contenuto nella raccolta "Il fuoco nel mare" pubblicata da Adelphi. "Quando saremo lontani da questo piccolo paese in cui siamo nati e viviamo, quando finalmente ci sentiremo nascere dentro amore e nostalgia per le cose che oggi ci circondano e mortalmente ci annoiano - di queste povere case ammucchiate, di queste persone che ogni giorno incontriamo, il nostro ricordo riuscirà forse a comporre una di quelle infantili e amorevoli costruzioni in cui cubetti di legno e figurine di coccio fanno affettuosa armonia; una povera e incantata armonia’’. Trovo in queste righe la sintesi di quello che accade quando ricostruiamo con la letteratura il nostro luogo dell’infanzia, senza mitizzarlo però, cioè rendendoci conto che da un punto di vista umano, personale e psicologico è stato comunque una burrasca. Non abbiamo scelto, certo, il posto in cui vivere, non abbiamo scelto la famiglia dalla quale siamo stati condizionati e spesso ne siamo scappati, come anche nel mio caso. E poi, a un certo punto, siamo tornati in quella provincia alla quale attribuivamo tutti i mali del mondo pensando magari da ragazzini : "se non avessi vissuto qua, chissà cosa sarei, cosa farei, mi tocca questo luogo’’. Invece abbiamo letto, pensato, amato, c’è tutto quello che poi siamo diventati."
Grazie mille a Nadia Terranova
Addio Fantasmi amatissimi nel Regno della Litweb
Ippolita Luzzo
lunedì 12 novembre 2018
Le storie di Domenico Conoscenti: Quando mi apparve amore
Storie più che racconti compongono il libro di Domenico Conoscenti. Leggo questi nove racconti, più la lettera al lettore, a modo mio, mi ritrovo a ridere con l'autore quando, iniziando io spesso dalla fine, vedo subito scoperto il mio gioco dal suo consiglio, dal suo immaginarmi leggere un solo racconto al giorno, qualunque sia la forma o la durata. Saltello leggendo squarci, faccio orecchiette, orecchiette al libro, non al sugo, e mi ritrovo in quella alunna al primo banco, intenta a scrivere e scrivere sul mio diario, sul banco.
C'era proprio tutto questo sul mio diario: strofe di canzone, versi e cancellature, scarabocchi e Jacovitti, disegni e titoli, malessere di un tempo diventato scrittura e poi un bel giorno strappato e buttato, dopo essere stato conservato per anni.
"Il dettaglio anomalo" è la scrittura di oggi, quel varcare la soglia dell'altro, quel leggere l'altro, come un fratello, un fratello di scrittura.
"Col tempo si dilatano gli intervalli" e col tempo sai, col tempo tutto se ne va. Resta prepotente la voglia di scrivere per pochi, pochissimi, per chi crediamo siano una parte di noi.
Mi accorgo di essere io Mimmo Conoscenti, in una immedesimazione di concetti, in una contestualità fatta di frasi, nostri pensieri.
Mi siedo sempre meno a scrivere, sempre con meno voglia, se non fosse che un racconto, una lettura fatta, non cominci a tempestarmi, a obbligarmi quasi, di scrivere. Un tempestio affettuoso, una vicinanza fatta di passeggiate con il libro in mano, di continui ritorni al bosco narrativo, alla selva oscura della frase.
"Vampe d'agosto" sarà dunque quella selva, se immaginiamo questo cammino nei racconti come un peregrinare nei peccati, nella sete di vendetta, nei delitti, nelle assenze.
Leggo a mia mamma la poesia di Leonardo Sinisgalli, messa all'inizio di "Visione, una distanza ci divide."
Si fatica per anni/ a sciogliere nodi,/ a dare un'immagine/ favolosa a una ciocca/ illeggibile di segni perduti.
Stiamo a guardarci con mamma, io di 64, lei di 94, con gli anni vuoti, con me "la certezza di esistere come evento irripetibile, una storia che hai già ascoltato tempo fa e che ritrovi scritta nel libro della tua memoria, ma ti piacerà sentirla una volta ancora, uguale e differente e con la mia voce di adesso."
Nei racconti di Mimmo Conoscenti vi è una dolente separazione fra pulsione e realizzazione, fra impossibile incontro di affetti, fra mondi di maschere e di infingimenti, per sopire quel che si crede sia un sentire, nel terrore di sentirsi fuori dal gregge.
Lui ci parla di sessualità, ed è sempre un terreno oscuro, come oscuro è l'oggetto del desiderio, sia esso da uomo ad uomo, da uomo a donna, e viceversa da donna ad uomo, da donna a donna, oppure molto più semplicemente fra noi e noi, in un io solipsistico che abbraccia se stesso, sfuggendosi. "A fare la differenza è la vita che si è fatta" e rimango sempre con la candela in mano ad illuminare un Eros scomparso alla vista di Psiche.
"Alla marina" e nel mare delle sensazioni annegheremo, leggendo e rileggendo ciò che "una sola volta non basta" dico io.
Non sono sicura di aver ancora posseduto il testo, nel difficile rapporto amoroso che si instaura fra lettrice e lettura, e ho la stessa trepidazione dell'autore nell'affidare al blog i miei pensieri di oggi, convinta che domani sarebbero migliori, sarebbero ancora più vicini o più lontani "Attraverso gli schermi" di un grande scrittore.
Nell'affabulazione che è favola e tragedia abitano le storie di Mimmo Conoscenti nel regno della Litweb
Ippolita Luzzo
C'era proprio tutto questo sul mio diario: strofe di canzone, versi e cancellature, scarabocchi e Jacovitti, disegni e titoli, malessere di un tempo diventato scrittura e poi un bel giorno strappato e buttato, dopo essere stato conservato per anni.
"Il dettaglio anomalo" è la scrittura di oggi, quel varcare la soglia dell'altro, quel leggere l'altro, come un fratello, un fratello di scrittura.
"Col tempo si dilatano gli intervalli" e col tempo sai, col tempo tutto se ne va. Resta prepotente la voglia di scrivere per pochi, pochissimi, per chi crediamo siano una parte di noi.
Mi accorgo di essere io Mimmo Conoscenti, in una immedesimazione di concetti, in una contestualità fatta di frasi, nostri pensieri.
Mi siedo sempre meno a scrivere, sempre con meno voglia, se non fosse che un racconto, una lettura fatta, non cominci a tempestarmi, a obbligarmi quasi, di scrivere. Un tempestio affettuoso, una vicinanza fatta di passeggiate con il libro in mano, di continui ritorni al bosco narrativo, alla selva oscura della frase.
"Vampe d'agosto" sarà dunque quella selva, se immaginiamo questo cammino nei racconti come un peregrinare nei peccati, nella sete di vendetta, nei delitti, nelle assenze.
Leggo a mia mamma la poesia di Leonardo Sinisgalli, messa all'inizio di "Visione, una distanza ci divide."
Si fatica per anni/ a sciogliere nodi,/ a dare un'immagine/ favolosa a una ciocca/ illeggibile di segni perduti.
Stiamo a guardarci con mamma, io di 64, lei di 94, con gli anni vuoti, con me "la certezza di esistere come evento irripetibile, una storia che hai già ascoltato tempo fa e che ritrovi scritta nel libro della tua memoria, ma ti piacerà sentirla una volta ancora, uguale e differente e con la mia voce di adesso."
Nei racconti di Mimmo Conoscenti vi è una dolente separazione fra pulsione e realizzazione, fra impossibile incontro di affetti, fra mondi di maschere e di infingimenti, per sopire quel che si crede sia un sentire, nel terrore di sentirsi fuori dal gregge.
Lui ci parla di sessualità, ed è sempre un terreno oscuro, come oscuro è l'oggetto del desiderio, sia esso da uomo ad uomo, da uomo a donna, e viceversa da donna ad uomo, da donna a donna, oppure molto più semplicemente fra noi e noi, in un io solipsistico che abbraccia se stesso, sfuggendosi. "A fare la differenza è la vita che si è fatta" e rimango sempre con la candela in mano ad illuminare un Eros scomparso alla vista di Psiche.
"Alla marina" e nel mare delle sensazioni annegheremo, leggendo e rileggendo ciò che "una sola volta non basta" dico io.
Non sono sicura di aver ancora posseduto il testo, nel difficile rapporto amoroso che si instaura fra lettrice e lettura, e ho la stessa trepidazione dell'autore nell'affidare al blog i miei pensieri di oggi, convinta che domani sarebbero migliori, sarebbero ancora più vicini o più lontani "Attraverso gli schermi" di un grande scrittore.
Nell'affabulazione che è favola e tragedia abitano le storie di Mimmo Conoscenti nel regno della Litweb
Ippolita Luzzo
sabato 10 novembre 2018
11 novembre 2018 Tagliare il mantello
Il sole splende e l'estate di San Martino si riconferma ogni anno con il mantello tagliato a metà e donato a chi mantello non ha.
Seduta qui disinnesco l'inquietudine di non credere vero e possibile ancora l'esistere di un Martino che tagli il mantello.
Mi sembra improbabile un gesto di così grande solidarietà e pur anche ci fosse chi farebbe il gesto di Martino ora sarebbe guardato con sospetto, e pur anche ci fosse gli sarebbe impedito di esistere.
Tagliare il mantello in due pezzi, in tre pezzi, in moltissimi pezzi, tanti sono coloro che hanno bisogno di un pezzo di stoffa, di un tetto, di una cittadinanza, di diritti.
Sono contro l'elemosina del singolo, la trovo offensiva, l'elemosina non dà dignità, costringe il ricevente a dire grazie, a sentirsi inferiore.
Nella storia di San Martino però ogni gesto viene edulcorato dall'aureola di santità ed allora evviva Martino,
evviva Mimmo Lucano,
Evviva evviva i tanti Martino che sanno tagliare un mantello, fin quando sarà possibile.
Pezzi per tutti nell'estate di San Martino calda e chiara di un 2018 invece crudele
Seduta qui disinnesco l'inquietudine di non credere vero e possibile ancora l'esistere di un Martino che tagli il mantello.
Mi sembra improbabile un gesto di così grande solidarietà e pur anche ci fosse chi farebbe il gesto di Martino ora sarebbe guardato con sospetto, e pur anche ci fosse gli sarebbe impedito di esistere.
Tagliare il mantello in due pezzi, in tre pezzi, in moltissimi pezzi, tanti sono coloro che hanno bisogno di un pezzo di stoffa, di un tetto, di una cittadinanza, di diritti.
Sono contro l'elemosina del singolo, la trovo offensiva, l'elemosina non dà dignità, costringe il ricevente a dire grazie, a sentirsi inferiore.
Nella storia di San Martino però ogni gesto viene edulcorato dall'aureola di santità ed allora evviva Martino,
evviva Mimmo Lucano,
Evviva evviva i tanti Martino che sanno tagliare un mantello, fin quando sarà possibile.
Pezzi per tutti nell'estate di San Martino calda e chiara di un 2018 invece crudele
giovedì 1 novembre 2018
Morto
Da un mio post del 2015:
Morto da molti anni il fratello di papà che andava ogni giorno a trovarli, si sedeva accanto al camino e diceva: "Chiovi, e chiovi chiovi, quandu chiovi un sicca nente." vuol dire "quando piove non secca nulla."
Morto da anni il fratello di mamma che ogni tanto andava a raccontare le sue stralunate avventure da bevitore e suonatore di mandolino, morto da troppi anni mio nonno, unica intelligenza ironica che io mi porto appresso e morta la nonna con le sue favole, ora andare a casa dei miei cari ogni giorno solo per riscrivere i proverbi di mio padre e le umiliazioni di mia madre, le difficoltà di un fratello e il mortorio di fondo che sussurra.
Novembre 2018
Da allora ad oggi salgo in centro ogni giorno, e il mortorio diventa un sussurrio di passi, di gesti, di sguardi.
La casa grande, la mia mamma pulisce. Ordinatissima, lei, la casa e il mondo intanto sparisce, si trasforma.
Subito fuori brutture su brutture, cacche di cani agli angoli, muro sbrecciato di fronte, brutte scritte lordano i muri della via, sconosciuti di ogni nazionalità trascinano pacchi e borsoni, si stabiliscono per poco poi scompaiono, intorno cancelli, grate, chiusi gli infissi delle case di fronte. Morto il vicinato. Morto.
Salgo ogni giorno al centro dove sta la casa dove sono nata, e mi accorgo quanto ormai sia un gesto di risposta alla mia mamma, che mi chiede, al cellullare, cosa faccia. Sto salendo, le rispondo.
Morto il mondo del vicino, dei vicini, non conosco quasi i miei vicini, morto il mondo intorno a noi, celebriamo ciò che il mondo è diventato: un cimitero di buone intenzioni.
Morto da molti anni il fratello di papà che andava ogni giorno a trovarli, si sedeva accanto al camino e diceva: "Chiovi, e chiovi chiovi, quandu chiovi un sicca nente." vuol dire "quando piove non secca nulla."
Morto da anni il fratello di mamma che ogni tanto andava a raccontare le sue stralunate avventure da bevitore e suonatore di mandolino, morto da troppi anni mio nonno, unica intelligenza ironica che io mi porto appresso e morta la nonna con le sue favole, ora andare a casa dei miei cari ogni giorno solo per riscrivere i proverbi di mio padre e le umiliazioni di mia madre, le difficoltà di un fratello e il mortorio di fondo che sussurra.
Novembre 2018
Da allora ad oggi salgo in centro ogni giorno, e il mortorio diventa un sussurrio di passi, di gesti, di sguardi.
La casa grande, la mia mamma pulisce. Ordinatissima, lei, la casa e il mondo intanto sparisce, si trasforma.
Subito fuori brutture su brutture, cacche di cani agli angoli, muro sbrecciato di fronte, brutte scritte lordano i muri della via, sconosciuti di ogni nazionalità trascinano pacchi e borsoni, si stabiliscono per poco poi scompaiono, intorno cancelli, grate, chiusi gli infissi delle case di fronte. Morto il vicinato. Morto.
Salgo ogni giorno al centro dove sta la casa dove sono nata, e mi accorgo quanto ormai sia un gesto di risposta alla mia mamma, che mi chiede, al cellullare, cosa faccia. Sto salendo, le rispondo.
Morto il mondo del vicino, dei vicini, non conosco quasi i miei vicini, morto il mondo intorno a noi, celebriamo ciò che il mondo è diventato: un cimitero di buone intenzioni.
mercoledì 31 ottobre 2018
"La colpa" di Raffaele Mangano
Uno stato d'animo sovrappensiero aleggia sul libro diventandone il filo conduttore. La Colpa è uno stato d'animo prima che il racconto di un uomo, vissuto dall'infanzia senza aver visto più il padre scomparso, che viene informato dalla morte di lui avvenuta in un convento dei frati minori di Acireale. Lo conosciamo, subito dopo aver ricevuto la telefonata con la notizia datagli dal frate guardiano del convento, sovrappensiero, mentre cammina per la strada e sconosciuti lo urtano senza scusarsi e lui si sente avvampare e si infila in un vagone della metropolitana
"A tal punto lo aveva frastornato la telefonata del frate, che non si era accorto di aver percorso a piedi un lungo tratto di strada, sceso le scale di una stazione, acquistato un biglietto e salito a bordo. Come quando si compie un tragitto noto guidando un'auto e si giunge a destinazione quasi che a condurre fosse stato un pilota automatico"
La vera trama è il mondo che sfuma e passa di lato al protagonista. Quegli incontri che lo sfiorano, ciò che lo smarrisce, lui che vaga, danno l'idea di un quadro impressionista, come se il paesaggio intorno a lui, e la gente intorno, fosse sfocata, o almeno vaga immagine di una realtà.
Una realtà a più strati ci viene incontro nelle pagine: c'è la realtà del lavoro e delle sue incombenze, c'è la realtà del rapporto di Fabio, così si chiama il protagonista, con Eliana, la donna con cui prova a vivere insieme, ci sono le telefonate alla mamma e a sua sorella, ci sono i dialoghi con il frate del convento e c'è una realtà infine di mancanze, di sfioramenti, di sensazioni, sul paradosso di instaurare conoscenza con un morto, dopo morto e proprio perché è morto, questo padre, patrimonio del suo dna genetico.
"Nemmeno io mi riconoscevo perché sono finito in una vicenda alla quale non ero preparato" dice Fabio, ed in quel dire ci sentiamo un po' chiamati in causa tutti noi, lettori, con realtà sfumate e perse, scomparse e fatte di macchie, come macchiaioli, come impressionisti, di fatti e persone incontrate e non, di fatti e persone, paesaggi di una anima vagante e sofferente.
Credo che i temi trattati nel libro siano molteplici, ci sia tanta sofferenza mentale, tanto chiedersi quanto siamo padroni del nostro pensare, quanto siamo ancora impotenti davanti alla malattia mentale, davanti ad una ipersensibilità che annienta di dolore gli animi indifesi.
Senza schermo protettivo, ci sembra il padre di Fabio, senza schermo protettivo ci sembra a volte anche Fabio, e senza schermo protettivo siamo un po' noi tutti nelle vicende alle quali non siamo preparati. Fra Fabio e suo padre, così come capita a tutti, ci stanno le tante connessioni di cui sono fatti i legami familiari, legami di chi genera un altro, legami del generante nei confronti del generato, legami che fanno di noi esseri umani, malgrado ora si voglia affittare seme e utero e non far conoscere chi crea chi.
Riflessioni che mi portano lontano ma resto vicinissima, resto al momento in cui Fabio sa di strizzare gli occhi con lo stesso movimento del padre, in una somiglianza ereditaria di gesti, e resto al momento in cui "siamo solo organismi, un composto chimico di una semplicità disarmante...A noi umani è toccata la terribile consapevolezza dell'esistere... e la tortura dei ricordi" resto in ciò che galleggia sul mare della nostra esistenza, che mi sembra sia questo il senso del libro La Colpa, quel galleggiare di cose, di fatti, di momenti passati che ci rimproverano, che non potremo cambiare perché è il passato ciò che non passa.
Ippolita Luzzo
"A tal punto lo aveva frastornato la telefonata del frate, che non si era accorto di aver percorso a piedi un lungo tratto di strada, sceso le scale di una stazione, acquistato un biglietto e salito a bordo. Come quando si compie un tragitto noto guidando un'auto e si giunge a destinazione quasi che a condurre fosse stato un pilota automatico"
La vera trama è il mondo che sfuma e passa di lato al protagonista. Quegli incontri che lo sfiorano, ciò che lo smarrisce, lui che vaga, danno l'idea di un quadro impressionista, come se il paesaggio intorno a lui, e la gente intorno, fosse sfocata, o almeno vaga immagine di una realtà.
Una realtà a più strati ci viene incontro nelle pagine: c'è la realtà del lavoro e delle sue incombenze, c'è la realtà del rapporto di Fabio, così si chiama il protagonista, con Eliana, la donna con cui prova a vivere insieme, ci sono le telefonate alla mamma e a sua sorella, ci sono i dialoghi con il frate del convento e c'è una realtà infine di mancanze, di sfioramenti, di sensazioni, sul paradosso di instaurare conoscenza con un morto, dopo morto e proprio perché è morto, questo padre, patrimonio del suo dna genetico.
"Nemmeno io mi riconoscevo perché sono finito in una vicenda alla quale non ero preparato" dice Fabio, ed in quel dire ci sentiamo un po' chiamati in causa tutti noi, lettori, con realtà sfumate e perse, scomparse e fatte di macchie, come macchiaioli, come impressionisti, di fatti e persone incontrate e non, di fatti e persone, paesaggi di una anima vagante e sofferente.
Credo che i temi trattati nel libro siano molteplici, ci sia tanta sofferenza mentale, tanto chiedersi quanto siamo padroni del nostro pensare, quanto siamo ancora impotenti davanti alla malattia mentale, davanti ad una ipersensibilità che annienta di dolore gli animi indifesi.
Senza schermo protettivo, ci sembra il padre di Fabio, senza schermo protettivo ci sembra a volte anche Fabio, e senza schermo protettivo siamo un po' noi tutti nelle vicende alle quali non siamo preparati. Fra Fabio e suo padre, così come capita a tutti, ci stanno le tante connessioni di cui sono fatti i legami familiari, legami di chi genera un altro, legami del generante nei confronti del generato, legami che fanno di noi esseri umani, malgrado ora si voglia affittare seme e utero e non far conoscere chi crea chi.
Riflessioni che mi portano lontano ma resto vicinissima, resto al momento in cui Fabio sa di strizzare gli occhi con lo stesso movimento del padre, in una somiglianza ereditaria di gesti, e resto al momento in cui "siamo solo organismi, un composto chimico di una semplicità disarmante...A noi umani è toccata la terribile consapevolezza dell'esistere... e la tortura dei ricordi" resto in ciò che galleggia sul mare della nostra esistenza, che mi sembra sia questo il senso del libro La Colpa, quel galleggiare di cose, di fatti, di momenti passati che ci rimproverano, che non potremo cambiare perché è il passato ciò che non passa.
Ippolita Luzzo
martedì 30 ottobre 2018
"Pensiero e poesia", "Proiezioni" Martin Heidegger e Marco Luppi
"La natura poetica del pensiero è ancora/ avvolta nell'ombra./ Ove essa si manifesta/ assomiglia per lungo tempo all'utopia/ di un pensiero semipoetico./ Ma il poetare pensante è, in verità,/ la topologia dell'essere./ Essa gli indica il villaggio/ ove dimora la sua essenza."dai versi di Heidegger riportati in prosa da me, cambia il modulo scritto, la camminata delle parole sul foglio, e camminando esse si dispongono in un distico iniziale, una terzina interna e due distici finali. Da Heidegger Pensiero e Poesia
"E così sia
sicario il pensiero/ dove vale tutto/ e tutto il contrario/ minimo comune/ denominatore/ il punto d'arrivo/ e di non ritorno/ vicino allo zero" Da Marco Luppi Proiezioni, riporto in prosa due terzine e un distico centrale.
Mi piace questa camminata fra metriche e pensiero, fra prosa e proiezioni nel segno e nella mano di una poesia che ci accompagna nel silenzio del pensiero che si pensa.
La poesia
quando càpita/ e quando capita/ si scrive/ e si legge/ al buio./ Da soli./ In silenzio."
Continuo a vederli parlare insieme mentre "Con più di due facce Chi scrive,/ lascia il tempo che trova./ Chi legge,/ trova il tempo che lascia./ Di conversazione in conversazione/ di parole medaglie al disonore." Marco Luppi continua nel suo e mi sembra che Heidegger sia d'accordo :"Tre pericoli incombono sul pensiero./ La vicinanza del poeta che canta è il pericolo buono,/ il pericolo salutare. Quello che è cattivo con rabbia, e quindi il più tagliente,/ è lo stesso pensare. Egli è costretto a pensare contro sé/ stesso, e ciò solo di rado è in suo potere/.Il pericolo cattivo e che per questo reca confusione,/ è il fare filosofia.
Proprio nell'incontro di questi due libri che si sono conosciuti qui, nel regno della Litweb, avviene la passeggiata di Martin Heidegger e Marco Luppi, passeggiata sospesa e immaginaria, immaginata da me, quasi con me fra loro a prendere appunti. In fondo i libri si possono leggere anche in questo modo, facendoli parlare tra di loro e mi conferma infatti ora Heidegger:" Sentiero e sospensione, piccolo ponte in bilico e leggenda si incontrano in uno stesso cammino. Incamminati,e mancanza e domanda sopporta lungo il tuo solo sentiero."
Seguiamo quindi le "Proiezioni" di Marco Luppi e non smettiamo di cercare. Una volta io scrissi che l'amico o l'amico era la nostra proiezione, ora non lo scriverei più, vista la distanza fra noi e gli amici.Ciò che mi rende ilare nello scrivere di poeti e filosofi è il mio stare di lato, poggiarmi i libri accanto e veder animare come la girandola sulla copertina di Heidegger, come la spirale, veder giungere il rosso intenso di Marco Luppi, veder animare il pensiero di un soliloquio universale dedicato allo stupore che esista per parlarsi, e voglio dirvelo con Heidegger:" La parola del pensiero dimorerebbe tranquilla nella sua essenza soltanto se divenisse incapace di dire ciò che deve rimanere non detto." e ancora "Mai, e in lingua alcuna, ciò che è parlato è tutt'uno con ciò che è detto" stupore dell'inespresso sarà.
Ippolita Luzzo
"E così sia
sicario il pensiero/ dove vale tutto/ e tutto il contrario/ minimo comune/ denominatore/ il punto d'arrivo/ e di non ritorno/ vicino allo zero" Da Marco Luppi Proiezioni, riporto in prosa due terzine e un distico centrale.
Mi piace questa camminata fra metriche e pensiero, fra prosa e proiezioni nel segno e nella mano di una poesia che ci accompagna nel silenzio del pensiero che si pensa.
La poesia
quando càpita/ e quando capita/ si scrive/ e si legge/ al buio./ Da soli./ In silenzio."
Continuo a vederli parlare insieme mentre "Con più di due facce Chi scrive,/ lascia il tempo che trova./ Chi legge,/ trova il tempo che lascia./ Di conversazione in conversazione/ di parole medaglie al disonore." Marco Luppi continua nel suo e mi sembra che Heidegger sia d'accordo :"Tre pericoli incombono sul pensiero./ La vicinanza del poeta che canta è il pericolo buono,/ il pericolo salutare. Quello che è cattivo con rabbia, e quindi il più tagliente,/ è lo stesso pensare. Egli è costretto a pensare contro sé/ stesso, e ciò solo di rado è in suo potere/.Il pericolo cattivo e che per questo reca confusione,/ è il fare filosofia.
Proprio nell'incontro di questi due libri che si sono conosciuti qui, nel regno della Litweb, avviene la passeggiata di Martin Heidegger e Marco Luppi, passeggiata sospesa e immaginaria, immaginata da me, quasi con me fra loro a prendere appunti. In fondo i libri si possono leggere anche in questo modo, facendoli parlare tra di loro e mi conferma infatti ora Heidegger:" Sentiero e sospensione, piccolo ponte in bilico e leggenda si incontrano in uno stesso cammino. Incamminati,e mancanza e domanda sopporta lungo il tuo solo sentiero."
Seguiamo quindi le "Proiezioni" di Marco Luppi e non smettiamo di cercare. Una volta io scrissi che l'amico o l'amico era la nostra proiezione, ora non lo scriverei più, vista la distanza fra noi e gli amici.Ciò che mi rende ilare nello scrivere di poeti e filosofi è il mio stare di lato, poggiarmi i libri accanto e veder animare come la girandola sulla copertina di Heidegger, come la spirale, veder giungere il rosso intenso di Marco Luppi, veder animare il pensiero di un soliloquio universale dedicato allo stupore che esista per parlarsi, e voglio dirvelo con Heidegger:" La parola del pensiero dimorerebbe tranquilla nella sua essenza soltanto se divenisse incapace di dire ciò che deve rimanere non detto." e ancora "Mai, e in lingua alcuna, ciò che è parlato è tutt'uno con ciò che è detto" stupore dell'inespresso sarà.
Ippolita Luzzo
sabato 27 ottobre 2018
Libriamoci al Liceo Classico di Lamezia Teme con Alessandro Leogrande e Litweb
Alessandro Leogrande al Liceo Classico "Francesco Fiorentino" con La Frontiera, nella manifestazione nazionale di Libriamoci, è una opportunità nata da un incontro casuale con la mia amica, docente di filosofia, che ha subito contattato la docente di Italiano e Latino, Maria Chieffallo, dandole il mio numero di cellulare. Detto fatto, grande incontro sul nome di Alessandro Leogrande, proposto ai ragazzi della prima e seconda B del Liceo, in nome di una letteratura civile e militante. All'ingresso della porta della Biblioteca una frase di Luis Selpuveda: La frontiera scomparsa"La letteratura è il modo migliore per cancellare le frontiere, per dimenticarle e far sì che l'essere umano si muova liberamente nel territorio dell'immaginazione, in quel territorio che non conosce limiti né patrie, ed è semplicemente un luogo o mille luoghi in cui il lettore entra dopo aver aperto un libro. Il mare è uno solo, ma ha molti nomi. La terra è una sola, ma si nasce, si vive e si muore in posti che si chiamano in un modo o nell'altro."
Nel dare il messaggio di una letteratura di pace e di fratellanza eccolo Alessandro tra noi, nei video scelti dalla collega entusiasta della mia proposta, eccolo fra noi a dirci quanto sia perniciosa l'ignoranza, quanto noi tutti pochissimi o nulla sappiamo di questo esodo biblico, di questo movimento epocale di popoli, di quanto sia dura ed efferato il regime in Eritrea, di cosa successe ai curdi, ai siriani, di come sia preparato il viaggio, da quanti mesi è fatto un viaggio e di come il viaggio trasformi chiunque lo faccia. Video incredibili di testimonianza seria, come serio è stato il lavoro di Alessandro Leogrande, giornalista e scrittore, vicedirettore della rivista "Lo Straniero" che ha chiuso l'attività proprio pochi mesi fa. Alessandro è morto un anno fa, a quarant'anni. Il suo anniversario sarà il 26 novembre e noi stamattina ci promettiamo appuntamento proprio in quella data per riparlarne, per riparlare dei tanti temi da lui trattati, in "Uomini e Caporali" viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del sud, mai debellata la schiavitù nel lavoro, sull'Ilva, sull'Albania, sempre "in difesa degli ultimi e dei ferocemente sfruttati nei più diversi contesti: nell'ambito del caporalato, degli immigrati, dei desaparecidos in Argentina, e ovunque ci sia stato un sopruso" per dirla con le parole di suo padre, morto dopo qualche mese.
Nel 2018 la capitale dell'Albania, Tirana, gli ha intitolato una strada e postumo è uscito il libro "Dalle Macerie" con prefazione di Goffredo Fofi, qui con noi, in un'altro filmato, al Salone del libro di Torino. "Dalle Macerie" sono gli articoli su Taranto, su questa città avvelenata dall'industria siderurgica, su questa città ammalata che accetta la malattia come sopravvivenza. Una violenza alla città. Gli alunni annuiscono, partecipi.
Leggono alcuni brani del libro La frontiera, i capitoli iniziali, leggono Teresa e Stella, gli alunni intervengono promettendo che continueremo a conoscere e a leggere quello che lui ci ha lasciato come un testimone, come la staffetta che i corridori si scambiano in corsa. Io racconto loro come lo abbia conosciuto, alla notizia della sua morte, come mi passavano i tanti post su di lui in rete, di tanti suoi amici affranti. Ho cominciato a leggerlo ed a portarlo con me, e stamani lo riscrivo qui in Litweb, nella finestra sul mondo, nel luogo dove impariamo a conoscere il mondo.
Nella felicità dell'incontro con alunni e collega esco e incontro un mio amico, bibliotecario in fieri, al quale racconto, sapendo di essere capita, come un libro possa, come un libro riuscirà a fare testimonianza di questi tempi di orribile confusione sul nulla.
Nel dirci ciò che pensiamo entrambi io ritorno allo sguardo fiducioso di Teresa, Stella, Iacopo, di Asia che ha fatto le foto, dei ragazzi della prima e seconda B, dai nomi bellissimi e dagli occhi attenti, ragazzi che hanno conosciuto stamattina in Libriamoci Alessandro Leogrande.
Un grande grazie a Maria Chieffallo che ha permesso tutto ciò.
Alessandro ne sarebbe stato contento, ne sono sicura.
Ippolita Luzzo.
Nel 2018 la capitale dell'Albania, Tirana, gli ha intitolato una strada e postumo è uscito il libro "Dalle Macerie" con prefazione di Goffredo Fofi, qui con noi, in un'altro filmato, al Salone del libro di Torino. "Dalle Macerie" sono gli articoli su Taranto, su questa città avvelenata dall'industria siderurgica, su questa città ammalata che accetta la malattia come sopravvivenza. Una violenza alla città. Gli alunni annuiscono, partecipi.
Leggono alcuni brani del libro La frontiera, i capitoli iniziali, leggono Teresa e Stella, gli alunni intervengono promettendo che continueremo a conoscere e a leggere quello che lui ci ha lasciato come un testimone, come la staffetta che i corridori si scambiano in corsa. Io racconto loro come lo abbia conosciuto, alla notizia della sua morte, come mi passavano i tanti post su di lui in rete, di tanti suoi amici affranti. Ho cominciato a leggerlo ed a portarlo con me, e stamani lo riscrivo qui in Litweb, nella finestra sul mondo, nel luogo dove impariamo a conoscere il mondo.
Nella felicità dell'incontro con alunni e collega esco e incontro un mio amico, bibliotecario in fieri, al quale racconto, sapendo di essere capita, come un libro possa, come un libro riuscirà a fare testimonianza di questi tempi di orribile confusione sul nulla.
Nel dirci ciò che pensiamo entrambi io ritorno allo sguardo fiducioso di Teresa, Stella, Iacopo, di Asia che ha fatto le foto, dei ragazzi della prima e seconda B, dai nomi bellissimi e dagli occhi attenti, ragazzi che hanno conosciuto stamattina in Libriamoci Alessandro Leogrande.
Un grande grazie a Maria Chieffallo che ha permesso tutto ciò.
Alessandro ne sarebbe stato contento, ne sono sicura.
Ippolita Luzzo.
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