La turba: Definizione di popolo commentante. Tu mi turbi cara turba, nuovo canto rap sulla turba che conturba.
I commenti a valanga augurano morte subitanea alla Iena colpita da aneurisma, augurano ogni sorta di malvagità a qualsiasi individuo venga additato come mostro.La turba va contro una pubblicità, contro un regista, contro persone di cui non sa.
E la turba va col suo turbine innestato.
Il mostro è da scorticare, appendere, squartare.
I commenti i susseguono a ripetizione verso chi viene accusato di molestie. Saranno vere o false le accuse la turba incalza.
Distrugge.
Prendiamo un vocabolario e troviamo il significato di turba: Volgo, marmaglia, accozzaglia. Qualcosa di molesto.
Commenti pubblici sotto articoli di giornali, sotto la Stampa, La Repubblica, commenti a loro volta fomentati da articoli di altri giornali.
La turba sembra abbia potere, sembra stia pronta all'attacco, sembra viva e contro di noi.
Contro chiunque tenti un ragionamento pacato, contro chiunque voglia riflettere e invita a non augurare il male a nessuno.
Contro tutti la turba sta.
Immemore. Incosciente. Immorale. Intollerante. Ignorante.
Inetta, direbbe una mia amica. Turba inetta. E da inetta la turba inietta ogni genere di malvagità.
Ed allora cantiamola come un canto rap, cantiamola anche a chi mi accusa di fare la maestrina, a chi mi accusa di bacchettare turbanti e turbative, turbolenze e turbolenti.
Nella turba sconfinata dove le pistole dettano legge s'ode un grido nella pampa: Il commento sarà mio.
Basta poco per eliminarlo.
Basta poco per sentirsi onnipotenti, ci vuole molto per sapersi controllare.
Turba, solo un canto rap per lenire il turbamento della tua esistenza.
Cantiamola così senza rancore
domenica 3 dicembre 2017
sabato 2 dicembre 2017
Ufficio delle entrate sordo alla letteratura
Equitalia, Melanide, Tasse municipali, Imu, tasse tasse tasse tasse. Arrivano richieste di pagamento dal 2012, 2013, 2014, 2015, arrivano e per inerzia cominci a pagare sconsolata. Vado al Comune a chiedere spiegazioni. Una folla di impiegati che non sa, giro fra la la folla che non sa, oppure sa e non ritiene opportuno suggerirmi una soluzione. Le leggi sono cambiate, mi dice uno. Da quando? chiedo io affranta. dal 2012, 2013, 2014. Paghiamo.
Paghiamo e leggiamo con grande invidia questa intervista, penso che lunedì dovrò riandare al Comune, mi sono arrivati altre notizie di tasse, tasse, tasse, dovrò ripassare dal commercialista, dovrò allontanarmi dai libri e conservare, come mi consiglia mia sorella, le ricevute già pagate in una bella cartellina, altrimenti dal comune, dai vari enti, mi faranno pagare due o tre volte quel che ho già pagato e amen. Meglio conservare le ricevute che i libri. D'altronde solo per cinque anni dovrai farlo...
Mio caro scrittore:
(Da Lucia Comparato vi propongo questo articolo)
Paghiamo e leggiamo con grande invidia questa intervista, penso che lunedì dovrò riandare al Comune, mi sono arrivati altre notizie di tasse, tasse, tasse, dovrò ripassare dal commercialista, dovrò allontanarmi dai libri e conservare, come mi consiglia mia sorella, le ricevute già pagate in una bella cartellina, altrimenti dal comune, dai vari enti, mi faranno pagare due o tre volte quel che ho già pagato e amen. Meglio conservare le ricevute che i libri. D'altronde solo per cinque anni dovrai farlo...
Mio caro scrittore:
(Da Lucia Comparato vi propongo questo articolo)
Da la Repubblica di oggi
Philip Roth
“Il romanzo non è morto ma i lettori spariranno”
DARIO OLIVERO
«Ora trascorro quattro mesi all’anno nella mia casa di campagna sperduta nel Connecticut, cento miglia a nord di New York. Fino a qualche tempo fa ci vivevo tutto l’anno, ma adesso che non scrivo più sto a New York da ottobre alla fine di aprile. In questo momento sono in città. Il mio appartamento è al dodicesimo piano, e un’intera parete è fatta di finestre da cui il mio sguardo spazia liberamente su Manhattan in direzione sud.
Vedo quasi due chilometri di luci della città — è sera — e un grande cielo nero. Ogni pochi minuti compaiono le luci baluginanti degli aeroplani che volano silenziosi da sud a nord».
Comincia così questa conversazione a distanza con Philip Roth. Una conversazione scritta, nella quale l’uomo di Pastorale americana, La macchia umana, L’animale morente, l’uomo insomma del Grande romanzo americano, lascia intravedere ancora nelle risposte la grazia addestrata da una vita di lavoro sulle parole. Si può smettere di scrivere, non di essere scrittori, come dimostrano le risposte che seguono: letteratura, politica, solitudine di fronte all’«inferno della stupidità”. Si è scrittori anche se si è presa una decisione che molti con meno talento, meno forza morale, intelligenza, autocoscienza — ed evidentemente proprio per questo — non riuscirebbero neanche a immaginare.
Non c’era più niente da scrivere? Lo spirito dei tempi andava ormai in direzione contraria?
«La decisione di smettere di scrivere narrativa che ho preso nel 2010, quando avevo 77 anni, non è stata una conseguenza dello spirito dei tempi. Il motivo è stato un altro: avevo il forte sospetto di aver ormai prodotto le mie opere migliori, e che qualunque altra cosa avessi scritto non sarebbe stata altrettanto buona. Non mi sentivo più in possesso del vigore intellettuale, dell’energia verbale e della forma fisica necessarie per sferrare e portare a compimento un attacco creativo su larga scala a una struttura complessa ed esigente come quella del romanzo. Ogni talento ha i suoi termini contrattuali — una propria natura e portata e forza, e anche una fine, una durata, un decorso. Non tutti possono essere fecondi per sempre».
Ma non si può smettere di leggere.
«Stranamente, o forse non così stranamente, ora leggo pochissima narrativa. Ho trascorso l’intera mia vita lavorativa a leggere narrativa, insegnare narrativa, studiare narrativa e scrivere narrativa. Fino a sette anni fa ho pensato a questo e poco altro. Da allora trascorro una buona parte di ogni giornata a leggere storia, soprattutto storia americana, ma anche storia europea moderna. Dopo tutti questi anni sono ridiventato uno studente, non in un istituto scolastico, ma nello studio dove prima scrivevo. Ovviamente non è altrettanto esaltante, ma è molto meno tormentoso».
Si dice che la narrativa sia un genere superato da altre forme artistiche come le serie tv e che il romanzo stia morendo per questo. Che cosa ne pensa?
«Non concordo sul fatto che la narrativa sia morta — in questo momento in America sono attivi molti romanzieri di prim’ordine.
Quello che sta diminuendo è il bacino di lettori seri, attenti e impegnati, e continuerà a diminuire a causa dell’incommensurabile popolarità dello Schermo. Prima lo schermo cinematografico, poi lo schermo televisivo, e ora lo schermo più invasivo di tutti, lo schermo elettronico in tutte le sue allettanti incarnazioni. Il fascino che un tempo la narrativa esercitava su bambini e adulti è stato distrutto dalle attrattive e dalle seduzioni della magia dello schermo. Gli scrittori continueranno a scrivere, ma il pubblico diminuirà sempre più, fino a quando un bel giorno la setta dei lettori di narrativa non sarà più numerosa di quella di chi oggi legge poesia latina per svago».
Il ruolo di un intellettuale è intercettare contraddizioni, violenze e illibertà dei propri tempi. E uno scrittore non può non sentire l’esigenza di raccontarle. È così?
«Credo che il ruolo dello scrittore sia scrivere meglio che può, e con un’immaginazione che non si lasci ingabbiare da intenti extraletterari. Non bisogna fare confusione fra la lotta del protagonista del romanzo per liberarsi da ciò che lo imprigiona e gli intenti dello scrittore nel descrivere quella lotta. La descrizione è tutto, e il mio ruolo è quello di descrivere. Riverso tutta la mia forza in questo, e lascio ad altri di decidere quale uso fare dei miei romanzi. Io mi considero un artista della letteratura, non sostengo nessun programma né trasmetto alcun messaggio».
Bellow ha detto, e lei ha dimostrato in 31 romanzi, che la lingua è una “dimora spirituale”. Pensa che questo discorso valga anche per le nuove generazioni di immigrati non solo in America? La lingua, la scrittura rivestono ancora questa importanza?
«Io direi che, se scrivi in inglese americano, sei uno scrittore americano, qualunque sia il tema che affronti e qualunque sia la tua biografia. Ecco perché, ad esempio, penso che in America la categoria “scrittore ebraico” sia fuorviante.
Quando scrivi narrativa, lo sforzo principale è rivolto a trovare la forma verbale che esprima nel modo più perfetto ciò che immagini. La mia principale responsabilità estetica è nei confronti della lingua inglese così come si è evoluta in America, la madrelingua per mezzo della quale cerco di trasmettere al mondo le mie fantasie di realtà — le mie sbrigliate allucinazioni camuffate da romanzi realistici».
I suoi personaggi Zuckerman e Sabbath si sono a un certo punto ritirati dal mondo divenendo osservatori delle vite degli altri. Lei è ancora curioso di storie?
«Io non mi sono ritirato dal mondo, o meglio, non mi sono isolato dal trambusto del mondo più di quanto abbia sempre fatto allo scopo di concentrarmi sul mio lavoro. La solitudine della scrittura che un tempo occupava le mie giornate, e non di rado anche le mie nottate, è stata sostituita dalla solitudine della lettura. Ho trascorso molte ore della mia vita da solo e non ho mai desiderato vivere in altro modo. Tuttavia, l’inferno della stupidità — l’espressione è di Saul Bellow — ci ingabbia tutti, in quanto cittadini del momento storico presente. Che tu sia solo o meno, in America non puoi sfuggire a quel che si è abbattuto su di noi».
Lei è sempre stato critico nei confronti della politica dai tempi delle sue satire contro Nixon fino a Trump.
«Il mio paese ha ingurgitato un mostro orrendo. Vedremo se riuscirà a rigurgitarlo prima che il suo veleno contamini tutto».
Lei si è impegnato molto in passato per gli scrittori dell’Europa orientale che vivevano sotto la dittatura.
Oggi in quelle regioni nascono movimenti xenofobi e di estrema destra che penetrano nel cuore dell’Occidente. È una nuova Weimar?
«Negli anni Settanta ho curato una collana per la Penguin chiamata “Writers from the Other Europe” in cui ho pubblicato narrativa scritta sotto il regime totalitario comunista in Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria e Jugoslavia.
Ora, quando sul giornale leggo dei regimi autoritari xenofobi saliti al potere in alcuni di quei paesi, penso con grande tristezza agli scrittori che ho pubblicato. In quegli anni terribili molti di loro li sono andati a trovare, e ho avuto modo di conoscerli bene. È una grottesca ironia della storia che la loro forza d’animo e le loro sofferenze nel resistere al comunismo siano sfociate, meno di vent’anni dopo, in questa profanazione della democrazia».
Come possiamo immaginare la sua vita ora? Magari in questo preciso momento.
«Sono seduto su una logora poltrona Eames che è diventata la mia casa da quando ho abbandonato il computer alla scrivania. Il pavimento tutt’attorno è disseminato di libri e riviste che sto leggendo, e accanto a me, a portata di mano, c’è un tavolino quadrato di vetro su cui sono impilati i libri che ho finito di recente e quelli che intendo leggere dopo. È straordinariamente silenzioso, per essere un appartamento newyorkese. Ho i doppi vetri per tenere lontano il rumore della strada, e dagli appartamenti accanto non sento nulla, sia perché i vicini sono tranquilli sia perché le pareti sono acusticamente isolate.
La televisione è spenta, quindi niente Trump. Appena finirò di scrivere questa risposta, mi rimetterò a leggere il penultimo capitolo di Impressioni personali di Isaiah Berlin, una straordinaria galleria di ritratti di alcune delle più grandi figure del Novecento, da Winston Churchill e Virginia Woolf ad Albert Einstein e Edmund Wilson. Ora sto leggendo dei suoi incontri con gli scrittori russi nel 1946.
C’è anche quella che è forse la più grande di tutti, la poetessa Anna Achmatova, che Berlin incontra una notte nel suo appartamento di Leningrado, dove vive come una paria, perseguitata da Stalin e dal suo regime. “Mi parlò della sua solitudine e del suo isolamento, sia personale sia culturale. Per lei la Leningrado del dopoguerra non era altro che un enorme cimitero — i pochi alberi carbonizzati rendevano la desolazione ancor più desolata”. Ora vi lascio e torno alla mia serata con Isaiah Berlin e Anna Achmatova. Cosa potrebbe esserci di meglio?».
Philip Roth
“Il romanzo non è morto ma i lettori spariranno”
DARIO OLIVERO
«Ora trascorro quattro mesi all’anno nella mia casa di campagna sperduta nel Connecticut, cento miglia a nord di New York. Fino a qualche tempo fa ci vivevo tutto l’anno, ma adesso che non scrivo più sto a New York da ottobre alla fine di aprile. In questo momento sono in città. Il mio appartamento è al dodicesimo piano, e un’intera parete è fatta di finestre da cui il mio sguardo spazia liberamente su Manhattan in direzione sud.
Vedo quasi due chilometri di luci della città — è sera — e un grande cielo nero. Ogni pochi minuti compaiono le luci baluginanti degli aeroplani che volano silenziosi da sud a nord».
Comincia così questa conversazione a distanza con Philip Roth. Una conversazione scritta, nella quale l’uomo di Pastorale americana, La macchia umana, L’animale morente, l’uomo insomma del Grande romanzo americano, lascia intravedere ancora nelle risposte la grazia addestrata da una vita di lavoro sulle parole. Si può smettere di scrivere, non di essere scrittori, come dimostrano le risposte che seguono: letteratura, politica, solitudine di fronte all’«inferno della stupidità”. Si è scrittori anche se si è presa una decisione che molti con meno talento, meno forza morale, intelligenza, autocoscienza — ed evidentemente proprio per questo — non riuscirebbero neanche a immaginare.
Non c’era più niente da scrivere? Lo spirito dei tempi andava ormai in direzione contraria?
«La decisione di smettere di scrivere narrativa che ho preso nel 2010, quando avevo 77 anni, non è stata una conseguenza dello spirito dei tempi. Il motivo è stato un altro: avevo il forte sospetto di aver ormai prodotto le mie opere migliori, e che qualunque altra cosa avessi scritto non sarebbe stata altrettanto buona. Non mi sentivo più in possesso del vigore intellettuale, dell’energia verbale e della forma fisica necessarie per sferrare e portare a compimento un attacco creativo su larga scala a una struttura complessa ed esigente come quella del romanzo. Ogni talento ha i suoi termini contrattuali — una propria natura e portata e forza, e anche una fine, una durata, un decorso. Non tutti possono essere fecondi per sempre».
Ma non si può smettere di leggere.
«Stranamente, o forse non così stranamente, ora leggo pochissima narrativa. Ho trascorso l’intera mia vita lavorativa a leggere narrativa, insegnare narrativa, studiare narrativa e scrivere narrativa. Fino a sette anni fa ho pensato a questo e poco altro. Da allora trascorro una buona parte di ogni giornata a leggere storia, soprattutto storia americana, ma anche storia europea moderna. Dopo tutti questi anni sono ridiventato uno studente, non in un istituto scolastico, ma nello studio dove prima scrivevo. Ovviamente non è altrettanto esaltante, ma è molto meno tormentoso».
Si dice che la narrativa sia un genere superato da altre forme artistiche come le serie tv e che il romanzo stia morendo per questo. Che cosa ne pensa?
«Non concordo sul fatto che la narrativa sia morta — in questo momento in America sono attivi molti romanzieri di prim’ordine.
Quello che sta diminuendo è il bacino di lettori seri, attenti e impegnati, e continuerà a diminuire a causa dell’incommensurabile popolarità dello Schermo. Prima lo schermo cinematografico, poi lo schermo televisivo, e ora lo schermo più invasivo di tutti, lo schermo elettronico in tutte le sue allettanti incarnazioni. Il fascino che un tempo la narrativa esercitava su bambini e adulti è stato distrutto dalle attrattive e dalle seduzioni della magia dello schermo. Gli scrittori continueranno a scrivere, ma il pubblico diminuirà sempre più, fino a quando un bel giorno la setta dei lettori di narrativa non sarà più numerosa di quella di chi oggi legge poesia latina per svago».
Il ruolo di un intellettuale è intercettare contraddizioni, violenze e illibertà dei propri tempi. E uno scrittore non può non sentire l’esigenza di raccontarle. È così?
«Credo che il ruolo dello scrittore sia scrivere meglio che può, e con un’immaginazione che non si lasci ingabbiare da intenti extraletterari. Non bisogna fare confusione fra la lotta del protagonista del romanzo per liberarsi da ciò che lo imprigiona e gli intenti dello scrittore nel descrivere quella lotta. La descrizione è tutto, e il mio ruolo è quello di descrivere. Riverso tutta la mia forza in questo, e lascio ad altri di decidere quale uso fare dei miei romanzi. Io mi considero un artista della letteratura, non sostengo nessun programma né trasmetto alcun messaggio».
Bellow ha detto, e lei ha dimostrato in 31 romanzi, che la lingua è una “dimora spirituale”. Pensa che questo discorso valga anche per le nuove generazioni di immigrati non solo in America? La lingua, la scrittura rivestono ancora questa importanza?
«Io direi che, se scrivi in inglese americano, sei uno scrittore americano, qualunque sia il tema che affronti e qualunque sia la tua biografia. Ecco perché, ad esempio, penso che in America la categoria “scrittore ebraico” sia fuorviante.
Quando scrivi narrativa, lo sforzo principale è rivolto a trovare la forma verbale che esprima nel modo più perfetto ciò che immagini. La mia principale responsabilità estetica è nei confronti della lingua inglese così come si è evoluta in America, la madrelingua per mezzo della quale cerco di trasmettere al mondo le mie fantasie di realtà — le mie sbrigliate allucinazioni camuffate da romanzi realistici».
I suoi personaggi Zuckerman e Sabbath si sono a un certo punto ritirati dal mondo divenendo osservatori delle vite degli altri. Lei è ancora curioso di storie?
«Io non mi sono ritirato dal mondo, o meglio, non mi sono isolato dal trambusto del mondo più di quanto abbia sempre fatto allo scopo di concentrarmi sul mio lavoro. La solitudine della scrittura che un tempo occupava le mie giornate, e non di rado anche le mie nottate, è stata sostituita dalla solitudine della lettura. Ho trascorso molte ore della mia vita da solo e non ho mai desiderato vivere in altro modo. Tuttavia, l’inferno della stupidità — l’espressione è di Saul Bellow — ci ingabbia tutti, in quanto cittadini del momento storico presente. Che tu sia solo o meno, in America non puoi sfuggire a quel che si è abbattuto su di noi».
Lei è sempre stato critico nei confronti della politica dai tempi delle sue satire contro Nixon fino a Trump.
«Il mio paese ha ingurgitato un mostro orrendo. Vedremo se riuscirà a rigurgitarlo prima che il suo veleno contamini tutto».
Lei si è impegnato molto in passato per gli scrittori dell’Europa orientale che vivevano sotto la dittatura.
Oggi in quelle regioni nascono movimenti xenofobi e di estrema destra che penetrano nel cuore dell’Occidente. È una nuova Weimar?
«Negli anni Settanta ho curato una collana per la Penguin chiamata “Writers from the Other Europe” in cui ho pubblicato narrativa scritta sotto il regime totalitario comunista in Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria e Jugoslavia.
Ora, quando sul giornale leggo dei regimi autoritari xenofobi saliti al potere in alcuni di quei paesi, penso con grande tristezza agli scrittori che ho pubblicato. In quegli anni terribili molti di loro li sono andati a trovare, e ho avuto modo di conoscerli bene. È una grottesca ironia della storia che la loro forza d’animo e le loro sofferenze nel resistere al comunismo siano sfociate, meno di vent’anni dopo, in questa profanazione della democrazia».
Come possiamo immaginare la sua vita ora? Magari in questo preciso momento.
«Sono seduto su una logora poltrona Eames che è diventata la mia casa da quando ho abbandonato il computer alla scrivania. Il pavimento tutt’attorno è disseminato di libri e riviste che sto leggendo, e accanto a me, a portata di mano, c’è un tavolino quadrato di vetro su cui sono impilati i libri che ho finito di recente e quelli che intendo leggere dopo. È straordinariamente silenzioso, per essere un appartamento newyorkese. Ho i doppi vetri per tenere lontano il rumore della strada, e dagli appartamenti accanto non sento nulla, sia perché i vicini sono tranquilli sia perché le pareti sono acusticamente isolate.
La televisione è spenta, quindi niente Trump. Appena finirò di scrivere questa risposta, mi rimetterò a leggere il penultimo capitolo di Impressioni personali di Isaiah Berlin, una straordinaria galleria di ritratti di alcune delle più grandi figure del Novecento, da Winston Churchill e Virginia Woolf ad Albert Einstein e Edmund Wilson. Ora sto leggendo dei suoi incontri con gli scrittori russi nel 1946.
C’è anche quella che è forse la più grande di tutti, la poetessa Anna Achmatova, che Berlin incontra una notte nel suo appartamento di Leningrado, dove vive come una paria, perseguitata da Stalin e dal suo regime. “Mi parlò della sua solitudine e del suo isolamento, sia personale sia culturale. Per lei la Leningrado del dopoguerra non era altro che un enorme cimitero — i pochi alberi carbonizzati rendevano la desolazione ancor più desolata”. Ora vi lascio e torno alla mia serata con Isaiah Berlin e Anna Achmatova. Cosa potrebbe esserci di meglio?».
venerdì 1 dicembre 2017
Metaintervistina 15 su WRITING BAD
writing bad mi ha intervistato a questo link e ringrazio Walter White per le domande attente e professionali https://writingbadweb.wordpress.com/2017/11/27/metaintervistina-15/
si scrive… si legge…
Metaintervistina 15
27 NOVEMBRE 2017 ~ WRITING BAD
Ippolita Luzzo
1) WW: Ippolita Luzzo: professoressa, lettrice “forte”, scrittrice, giornalista, esperta di letteratura, blogger, come posso definirla?
IL: Le definizioni sono per loro natura sempre imperfette. Dal mio ruolo da professoressa, quasi come abito di vita, rimane l’atteggiamento di voler spiegare, conoscere e trasmettere. Lettrice da sempre, mi vedo con un libro in mano, giorno e notte. Racconto spesso che mio padre mi vietò la lettura notturna. Allora io presi a nascondere l’abatjour sotto le coperte e vi infilavo la testa in un contorsionismo che garantisse lettura e oscurità. Da quegli anni mi porto dietro miopia e scoliosi! Non credo di essere scrittrice e nemmeno giornalista. Non posseggo un tesserino. Blogger, come definizione, mi piace di più, scrivo sul blog “Ippolita la regina della Litweb” da cinque anni. Non so se sono esperta di letteratura, non credo, più leggo meno esperta mi sento. Scrivo sorridendo e sorridendo vorrei si leggesse di me. Ringrazio da subito per l’intervista.
2) WW: Ci racconta quale è stata la sua carriera legata al mondo della letteratura?
IL: Ho insegnato lettere e mi rimane il piacere di parlare di un libro. Da qualche anno molti scrittori mi inviano i libri, di loro volontà, aspettando un mio parere. Mi inviano libri anche alcune case editrici Indipendenti. Capita quindi, per caso, che il mio blog sia un piccolissimo luogo di consultazione e di letture condivise. Moltissimi autori mandano a me le loro opere prima che a qualunque altro lettore o blog, convinti che un mio pezzo sia un augurio di buon viaggio nelle librerie.
3) WW: Com’era il suo rapporto con la letteratura prima del web?
IL: Letteratura è vita vera, raccontare i giorni, trasformare in narrazione ciò che ci succede. Ricordo sempre l’espressione di Tabucchi:” La letteratura deve essere come un giardino coltivato”. Tutto l’inaspettato che non viviamo, oppure se lo viviamo non sappiamo affrontarlo, in letteratura possiamo scorrerlo e scorrerlo di nuovo. In questa modalità per me letteratura è sempre stata vita. Prima del web era una vita interiore e soffocata nel silenzio, dalla nascita del mio approccio quassù è diventata una finestra sul mondo.
4) WW: Lei ha un forte interesse per l’editoria medio-piccola, quali sono i motivi? Cosa contesta, o cosa non attira la sua attenzione, nell’editoria con la “E” maiuscola?
IL: Editoria canaglia, mi verrebbe da cantare. La grande concentrazione non giova alla libertà. Le troppe offerte di fuffa letteraria, fatte da chi può raggiungere tutte le librerie e i centri commerciali, uccidono il talento di moltissimi autori validi che dovranno ritagliarsi piccoli spazi.
Moltissime e virtuose sono le medie e piccole case editrici come La Voland, la NNE, PaginaUno, Casa Sirio, LiberAria, TerraRossa, NEO, Nutrimenti, Tunuè, Tempesta, interessanti nella cura e nell’attenzione verso autori e lettori. Viene da loro il nuovo e il fermento letterario in crescita.
5) WW: Blog, siti letterari, che valore aggiunto danno al mondo della letteratura? Che pericoli nascondono?
IL: Ho iniziato a scrivere su un sito letterario chiuso da poco, Neteditor. In questo luogo virtuale postavamo pezzi e racconti, sottoponendoli al giudizio dei lettori e scrittori. Le liti erano violente ma restava il fascino del dibattito, sembrava di stare in un collettivo anni settanta. Blog e siti sono vivacissimi strumenti di vitalità letteraria, facendo opportuna cernita. Sono interessanti esperimenti di interazione. La lettura unisce e divide. I pericoli sono quelli di sempre: aggressività, intolleranza, supponenza. Basta arginarli.
6) WW: Nella scelta e nello sviluppo di questo suo progetto virtuale, si è ispirata a qualcuno, a qualche lettura in particolare? Qual è stata l’idea scatenante o l’istinto? Quali sono i traguardi che si prefigge nel breve periodo? Nel medio? Nel lungo?
IL: Non avevo nessun progetto virtuale, quando ho iniziato a scrivere sul web, se non quella fortissima esigenza di relazione su un terreno letterario, relativo ai miei interessi vitali: la lettura. Sono poi sopraggiunte la fiducia delle case editrici, degli autori, gli inviti a far parte di Premi letterari importanti, come il Premio Brancati, in qualità di Litweb, gli inviti ai festival letterari nazionali, come il TropeaFestival Leggere e Scrivere. Anche aver vinto proprio l’anno scorso il concorso indetto da Radiolibri su Blog e Circoli letterari, quale intervista più ascoltata, mi divertì molto. Ritorno questo anno a Roma a Più Libri più liberi per salutare tutti gli amici. Non ho traguardi, basti che funzioni, diceva Woody Allen, ed io con lui.
7) WW: il suo lavoro è stato fonte d’ispirazione per numerosi altri blogger, crede di aver dato il via a un movimento che si ritaglierà spazi importanti e creerà un nuovo modo di vivere la letteratura, o teme di aver creato dei “mostri”?
IL: Il mio blog esiste da cinque anni. I blog ci sono da molti più anni e seguo blog collettivi e riviste, nuove realtà letterarie. Essere con i miei pezzi su ACHAB, la rivista di Nando Vitali e Maria Rosaria Vado, su CabaretBisanzio di Enzo Paolo Baranelli, su Blog collettivi come Liberi Di Scrivere di Giulietta Iannone, sul blog di Giacomo Verri, su Senzaudio di Gianluigi Bodi, mi fa sentire partecipe della realtà. Antonello Saiz e i Diari di bordo a Parma, le librerie come la sua, mi sembrano la strada. La strada esiste, si tratta di esserne padroni, illuminandola con le lanterne delle nostre letture. Chi ci legge si fida e non dobbiamo deludere. Se si scrive di un libro bisogna attenersi ad un unico principio: Non essere falsi.
8) WW: Ci parla del suo regno, il regno della Litweb? Tra i vari aspetti collegabili a questo progetto, che spazio trova il “sistema delle relazioni” e in cosa si differenzia dallo stesso sistema originabile in altre realtà?
IL: Sistema di relazioni, mi sembra bellissima definizione del regno della Litweb. Sistema di relazioni educate. Orgogliosa io dei successi altrui. Nel regno vi sono i pezzi scritti da me e i libri di cui scrivo vincono tutti perché io scelgo i bravissimi.
Bruno Corino, inventore del termine Litweb scrive: LA LITWEB è racconto mediale. Litweb è racconto mediale, che va in scena quando la narratività coincide con l’evento raccontato, quando la performatività si sostituisce alla referenzialità.
Noi non facciamo altro che mettere negli ingranaggi della comunicazione qualche zeppa che ne inceppi il meccanismo, senza farci grandi illusioni. A proposito, ricordiamoci che, come scriveva Aristotele: “L’anima non pensa mai senza un’immagine” (De Anima, 431a, 16-17).
9) WW: Che rapporto ha con gli autori? Senza fare nomi le va di raccontarci un aneddoto buffo, uno drammatico, uno lieto? La sua attività da blogger ha migliorato o peggiorato il suo rapporto con gli autori? E con gli editori? E con i giornalisti?
IL: Amicizia pura con tutti gli autori. Felicità vera quando posso presentare un loro libro in una scuola o ad associazioni. Rapporti splendidi con case editrici e giornalisti. Essere io in un regno a parte, inesistente, evita e annulla la conflittualità. Uno degli episodi più simpatici mi sia accaduto fu a Casa Berto, un anno fa. Si teneva la premiazione del vincitore ed erano presenti fra i giurati D’Orrico del Corriere della Sera e Alessandro Zaccuri dell’Avvenire. Io ero andata grazie al passaggio amicale di Nicola Fiorita e Giancarlo Rafele, in arte Lou Palanca, autori di “A schema libero”, ora. Ebbene andai da entrambi, da D’Orrico e da Zaccuri, e dando la mano mi presentai: Sono la regina della Litweb. Entrambi accolsero la notizia con aplomb giornalistico. Con Zaccuri nacque bellissimo scambio di letture e affettuosità sui suoi libri “Lo spregio” e “ Come non letto” e sono felicissima del Premio Mondello vinto da poco. Nel domani aspetterò D’Orrico sulle pagine della Lettura.
10) WW: Come cambia la recensione di un libro all’aumentare dei lettori che leggeranno questa recensione? Preferisce leggere una recensione frutto di teoria e tecnica con tutte le sue brave regole o una viscerale, soggettiva, non professionale? Stessa domanda per quanto riguarda scrivere una recensione…
IL: Non credo che le recensioni spostino granché in termini di vendite, bensì sono utili a far nascere curiosità, a far sì che giri un titolo. Per vendere basta un’ospitata televisiva in prima serata. Si può con una recensione amabile e non troppo specialistica raggiungere lettori e creare comunità. Questo il fenomeno di ora. La nascita delle comunità di lettori attorno ad un libro, “Billy e il vizio di leggere” è una delle più seguite.
11) WW: Un aspirante scrittore oggi dovrebbe: seguire i canali tradizionali per arrivare alle Ce, partecipare a quanti più concorsi possibili, veicolare i propri scritti tramite il web, procedere con il self publishing…?
IL: Molti consigliano ad una aspirante scrittore di frequentare una scuola di scrittura qualificata, potrà almeno conoscere qualche nome. I suoi professori, intanto. Alcuni consigliano di trovare una buona agenzia letteraria, ed io credo ve ne siano ottime. Un buon esercizio è partecipare ai concorsi letterari, trovo ottimo il Premio Calvino, per esempio, così come sono ottimi i consigli che Vanni Santoni ripete da sempre. Scrivere e farsi conoscere sulle riviste letterarie.
12) WW: dal web si avvistano in anticipo le avanguardie letterarie? Chi ha il diritto e la competenza per stabilire se una presunta avanguardia rappresenti un fenomeno culturale, un segno dei tempi?
IL: Credo che leggendo sul web si trovino i segni del tempo. Sulle pagine dei social sembra si sia rifugiata l’avanguardia, chiamiamola così, io direi retroguardia, in senso positivo, una retroguardia che difenda tutto il serio, il vero, il significato di cosa voglia dire scrivere.
13 ) WW: Con quali percentuali incidono nel creare un best seller: autore / agente / editore / distributore / critica.
IL: Chi crea un caso letterario oggidì? I followers, dicono i giornali. Più followers hai, più vendi libri, più followers hai, più le case editrici ti pregano di scrivere un libro. Non sai scrivere? Non fa nulla. Te lo scriverà qualcuno che saprà mettere insieme due frasi e tu potrai metterci la firma. Guardo smarrita la maggior parte dei libri costruiti così e ormai non li vedo più. Vendono. Troveranno recensori che ne parlano bene, troveranno tutta la fuffa di cui ho parlato e il polverone altissimo si innalzerà.
14) WW: la letteratura nel suo insieme sostiene veramente la crescita culturale di una società? Nel rapporto d’interconnessione tra società e letteratura lo scambio è equo o una delle due influenza in misura maggiore l’altra?
IL: Troppo complesso il mondo per dare un tale ruolo alla letteratura come possibile luogo di influenza. Unico luogo di influenza nella società mi sembra l’economia e lo sfruttamento, il danaro. Tutto è merce, purtroppo. Resta invece la parola di colui che grida nel deserto, dal Vangelo, ed il ruolo della letteratura come ruolo civile, di ripensamento e riflessione.
15) WW: La parola “cultura”: mi è capitato di leggere sue dichiarazioni nelle quali lei afferma l’utilizzo a sproposito o inadeguato di questa parola, ci spiega?
IL: Cultura è una parola usata a sproposito per riempire vuoto assoluto. Se si ascolta qualche autore bravissimo vedrete che mai pronuncerà la parola cultura, essendo lui stesso veicolo. Chi non la possiede la nomina. La nominano alla Regione , nel mio caso alla Regione Calabria, il luogo meno adatto nel contesto, la nominano negli uffici comunali e dovunque si possa, con questa parola, accedere a fondi europei, o nazionali. Un uso improprio.
16) WW: alla fine di questa metaintervistina, ci dice cosa è per lei la letteratura?
IL: Letteratura, scrissi una volta, è una perifrastica attiva. Lettera-Turas-turos- tura, stare per fare una lettera. Stare per scrivere al mondo che a me non rispose mai, dal verso della Dickinson. E il mondo stavolta risponderà.
WW: Grazie, buone letture e buone scritture
si scrive… si legge…
Metaintervistina 15
27 NOVEMBRE 2017 ~ WRITING BAD
Ippolita Luzzo
1) WW: Ippolita Luzzo: professoressa, lettrice “forte”, scrittrice, giornalista, esperta di letteratura, blogger, come posso definirla?
IL: Le definizioni sono per loro natura sempre imperfette. Dal mio ruolo da professoressa, quasi come abito di vita, rimane l’atteggiamento di voler spiegare, conoscere e trasmettere. Lettrice da sempre, mi vedo con un libro in mano, giorno e notte. Racconto spesso che mio padre mi vietò la lettura notturna. Allora io presi a nascondere l’abatjour sotto le coperte e vi infilavo la testa in un contorsionismo che garantisse lettura e oscurità. Da quegli anni mi porto dietro miopia e scoliosi! Non credo di essere scrittrice e nemmeno giornalista. Non posseggo un tesserino. Blogger, come definizione, mi piace di più, scrivo sul blog “Ippolita la regina della Litweb” da cinque anni. Non so se sono esperta di letteratura, non credo, più leggo meno esperta mi sento. Scrivo sorridendo e sorridendo vorrei si leggesse di me. Ringrazio da subito per l’intervista.
2) WW: Ci racconta quale è stata la sua carriera legata al mondo della letteratura?
IL: Ho insegnato lettere e mi rimane il piacere di parlare di un libro. Da qualche anno molti scrittori mi inviano i libri, di loro volontà, aspettando un mio parere. Mi inviano libri anche alcune case editrici Indipendenti. Capita quindi, per caso, che il mio blog sia un piccolissimo luogo di consultazione e di letture condivise. Moltissimi autori mandano a me le loro opere prima che a qualunque altro lettore o blog, convinti che un mio pezzo sia un augurio di buon viaggio nelle librerie.
3) WW: Com’era il suo rapporto con la letteratura prima del web?
IL: Letteratura è vita vera, raccontare i giorni, trasformare in narrazione ciò che ci succede. Ricordo sempre l’espressione di Tabucchi:” La letteratura deve essere come un giardino coltivato”. Tutto l’inaspettato che non viviamo, oppure se lo viviamo non sappiamo affrontarlo, in letteratura possiamo scorrerlo e scorrerlo di nuovo. In questa modalità per me letteratura è sempre stata vita. Prima del web era una vita interiore e soffocata nel silenzio, dalla nascita del mio approccio quassù è diventata una finestra sul mondo.
4) WW: Lei ha un forte interesse per l’editoria medio-piccola, quali sono i motivi? Cosa contesta, o cosa non attira la sua attenzione, nell’editoria con la “E” maiuscola?
IL: Editoria canaglia, mi verrebbe da cantare. La grande concentrazione non giova alla libertà. Le troppe offerte di fuffa letteraria, fatte da chi può raggiungere tutte le librerie e i centri commerciali, uccidono il talento di moltissimi autori validi che dovranno ritagliarsi piccoli spazi.
Moltissime e virtuose sono le medie e piccole case editrici come La Voland, la NNE, PaginaUno, Casa Sirio, LiberAria, TerraRossa, NEO, Nutrimenti, Tunuè, Tempesta, interessanti nella cura e nell’attenzione verso autori e lettori. Viene da loro il nuovo e il fermento letterario in crescita.
5) WW: Blog, siti letterari, che valore aggiunto danno al mondo della letteratura? Che pericoli nascondono?
IL: Ho iniziato a scrivere su un sito letterario chiuso da poco, Neteditor. In questo luogo virtuale postavamo pezzi e racconti, sottoponendoli al giudizio dei lettori e scrittori. Le liti erano violente ma restava il fascino del dibattito, sembrava di stare in un collettivo anni settanta. Blog e siti sono vivacissimi strumenti di vitalità letteraria, facendo opportuna cernita. Sono interessanti esperimenti di interazione. La lettura unisce e divide. I pericoli sono quelli di sempre: aggressività, intolleranza, supponenza. Basta arginarli.
6) WW: Nella scelta e nello sviluppo di questo suo progetto virtuale, si è ispirata a qualcuno, a qualche lettura in particolare? Qual è stata l’idea scatenante o l’istinto? Quali sono i traguardi che si prefigge nel breve periodo? Nel medio? Nel lungo?
IL: Non avevo nessun progetto virtuale, quando ho iniziato a scrivere sul web, se non quella fortissima esigenza di relazione su un terreno letterario, relativo ai miei interessi vitali: la lettura. Sono poi sopraggiunte la fiducia delle case editrici, degli autori, gli inviti a far parte di Premi letterari importanti, come il Premio Brancati, in qualità di Litweb, gli inviti ai festival letterari nazionali, come il TropeaFestival Leggere e Scrivere. Anche aver vinto proprio l’anno scorso il concorso indetto da Radiolibri su Blog e Circoli letterari, quale intervista più ascoltata, mi divertì molto. Ritorno questo anno a Roma a Più Libri più liberi per salutare tutti gli amici. Non ho traguardi, basti che funzioni, diceva Woody Allen, ed io con lui.
7) WW: il suo lavoro è stato fonte d’ispirazione per numerosi altri blogger, crede di aver dato il via a un movimento che si ritaglierà spazi importanti e creerà un nuovo modo di vivere la letteratura, o teme di aver creato dei “mostri”?
IL: Il mio blog esiste da cinque anni. I blog ci sono da molti più anni e seguo blog collettivi e riviste, nuove realtà letterarie. Essere con i miei pezzi su ACHAB, la rivista di Nando Vitali e Maria Rosaria Vado, su CabaretBisanzio di Enzo Paolo Baranelli, su Blog collettivi come Liberi Di Scrivere di Giulietta Iannone, sul blog di Giacomo Verri, su Senzaudio di Gianluigi Bodi, mi fa sentire partecipe della realtà. Antonello Saiz e i Diari di bordo a Parma, le librerie come la sua, mi sembrano la strada. La strada esiste, si tratta di esserne padroni, illuminandola con le lanterne delle nostre letture. Chi ci legge si fida e non dobbiamo deludere. Se si scrive di un libro bisogna attenersi ad un unico principio: Non essere falsi.
8) WW: Ci parla del suo regno, il regno della Litweb? Tra i vari aspetti collegabili a questo progetto, che spazio trova il “sistema delle relazioni” e in cosa si differenzia dallo stesso sistema originabile in altre realtà?
IL: Sistema di relazioni, mi sembra bellissima definizione del regno della Litweb. Sistema di relazioni educate. Orgogliosa io dei successi altrui. Nel regno vi sono i pezzi scritti da me e i libri di cui scrivo vincono tutti perché io scelgo i bravissimi.
Bruno Corino, inventore del termine Litweb scrive: LA LITWEB è racconto mediale. Litweb è racconto mediale, che va in scena quando la narratività coincide con l’evento raccontato, quando la performatività si sostituisce alla referenzialità.
Noi non facciamo altro che mettere negli ingranaggi della comunicazione qualche zeppa che ne inceppi il meccanismo, senza farci grandi illusioni. A proposito, ricordiamoci che, come scriveva Aristotele: “L’anima non pensa mai senza un’immagine” (De Anima, 431a, 16-17).
9) WW: Che rapporto ha con gli autori? Senza fare nomi le va di raccontarci un aneddoto buffo, uno drammatico, uno lieto? La sua attività da blogger ha migliorato o peggiorato il suo rapporto con gli autori? E con gli editori? E con i giornalisti?
IL: Amicizia pura con tutti gli autori. Felicità vera quando posso presentare un loro libro in una scuola o ad associazioni. Rapporti splendidi con case editrici e giornalisti. Essere io in un regno a parte, inesistente, evita e annulla la conflittualità. Uno degli episodi più simpatici mi sia accaduto fu a Casa Berto, un anno fa. Si teneva la premiazione del vincitore ed erano presenti fra i giurati D’Orrico del Corriere della Sera e Alessandro Zaccuri dell’Avvenire. Io ero andata grazie al passaggio amicale di Nicola Fiorita e Giancarlo Rafele, in arte Lou Palanca, autori di “A schema libero”, ora. Ebbene andai da entrambi, da D’Orrico e da Zaccuri, e dando la mano mi presentai: Sono la regina della Litweb. Entrambi accolsero la notizia con aplomb giornalistico. Con Zaccuri nacque bellissimo scambio di letture e affettuosità sui suoi libri “Lo spregio” e “ Come non letto” e sono felicissima del Premio Mondello vinto da poco. Nel domani aspetterò D’Orrico sulle pagine della Lettura.
10) WW: Come cambia la recensione di un libro all’aumentare dei lettori che leggeranno questa recensione? Preferisce leggere una recensione frutto di teoria e tecnica con tutte le sue brave regole o una viscerale, soggettiva, non professionale? Stessa domanda per quanto riguarda scrivere una recensione…
IL: Non credo che le recensioni spostino granché in termini di vendite, bensì sono utili a far nascere curiosità, a far sì che giri un titolo. Per vendere basta un’ospitata televisiva in prima serata. Si può con una recensione amabile e non troppo specialistica raggiungere lettori e creare comunità. Questo il fenomeno di ora. La nascita delle comunità di lettori attorno ad un libro, “Billy e il vizio di leggere” è una delle più seguite.
11) WW: Un aspirante scrittore oggi dovrebbe: seguire i canali tradizionali per arrivare alle Ce, partecipare a quanti più concorsi possibili, veicolare i propri scritti tramite il web, procedere con il self publishing…?
IL: Molti consigliano ad una aspirante scrittore di frequentare una scuola di scrittura qualificata, potrà almeno conoscere qualche nome. I suoi professori, intanto. Alcuni consigliano di trovare una buona agenzia letteraria, ed io credo ve ne siano ottime. Un buon esercizio è partecipare ai concorsi letterari, trovo ottimo il Premio Calvino, per esempio, così come sono ottimi i consigli che Vanni Santoni ripete da sempre. Scrivere e farsi conoscere sulle riviste letterarie.
12) WW: dal web si avvistano in anticipo le avanguardie letterarie? Chi ha il diritto e la competenza per stabilire se una presunta avanguardia rappresenti un fenomeno culturale, un segno dei tempi?
IL: Credo che leggendo sul web si trovino i segni del tempo. Sulle pagine dei social sembra si sia rifugiata l’avanguardia, chiamiamola così, io direi retroguardia, in senso positivo, una retroguardia che difenda tutto il serio, il vero, il significato di cosa voglia dire scrivere.
13 ) WW: Con quali percentuali incidono nel creare un best seller: autore / agente / editore / distributore / critica.
IL: Chi crea un caso letterario oggidì? I followers, dicono i giornali. Più followers hai, più vendi libri, più followers hai, più le case editrici ti pregano di scrivere un libro. Non sai scrivere? Non fa nulla. Te lo scriverà qualcuno che saprà mettere insieme due frasi e tu potrai metterci la firma. Guardo smarrita la maggior parte dei libri costruiti così e ormai non li vedo più. Vendono. Troveranno recensori che ne parlano bene, troveranno tutta la fuffa di cui ho parlato e il polverone altissimo si innalzerà.
14) WW: la letteratura nel suo insieme sostiene veramente la crescita culturale di una società? Nel rapporto d’interconnessione tra società e letteratura lo scambio è equo o una delle due influenza in misura maggiore l’altra?
IL: Troppo complesso il mondo per dare un tale ruolo alla letteratura come possibile luogo di influenza. Unico luogo di influenza nella società mi sembra l’economia e lo sfruttamento, il danaro. Tutto è merce, purtroppo. Resta invece la parola di colui che grida nel deserto, dal Vangelo, ed il ruolo della letteratura come ruolo civile, di ripensamento e riflessione.
15) WW: La parola “cultura”: mi è capitato di leggere sue dichiarazioni nelle quali lei afferma l’utilizzo a sproposito o inadeguato di questa parola, ci spiega?
IL: Cultura è una parola usata a sproposito per riempire vuoto assoluto. Se si ascolta qualche autore bravissimo vedrete che mai pronuncerà la parola cultura, essendo lui stesso veicolo. Chi non la possiede la nomina. La nominano alla Regione , nel mio caso alla Regione Calabria, il luogo meno adatto nel contesto, la nominano negli uffici comunali e dovunque si possa, con questa parola, accedere a fondi europei, o nazionali. Un uso improprio.
16) WW: alla fine di questa metaintervistina, ci dice cosa è per lei la letteratura?
IL: Letteratura, scrissi una volta, è una perifrastica attiva. Lettera-Turas-turos- tura, stare per fare una lettera. Stare per scrivere al mondo che a me non rispose mai, dal verso della Dickinson. E il mondo stavolta risponderà.
WW: Grazie, buone letture e buone scritture
giovedì 30 novembre 2017
Da Anassimandro a Carlo Diano
Passeggiavamo per via Toledo a Napoli con Ernesto Ruocco parlando dei libri di Carlo Diano, di un libro di Carlo Diano, forse quello che ci permise la conoscenza tramite Francesca Diano, sua figlia.
Carlo Diano ha insegnato qui a Napoli, al Liceo "Vittorio Emanuele II", a 100 metri dal "Genovesi". Ernesto mi indica il Liceo ed ora ci ritroviamo a parlarne per perorare la causa di far ristampare il libro di Carlo Diano.
Con Anassimandro noi possiamo dire: Questa [natura dell'infinito] è eterna e non invecchia. (frammento 2)
Con Francesca la Litweb chiede interesse e attenzione verso questo libro e verso questo studioso conosciuto in tutto il mondo
"Carlo Alberto Diano (Vibo Valentia, 16 febbraio 1902 – Padova, 12 dicembre 1974) è stato un grecista, filologo e filosofo italiano, storico e traduttore sia di classici greci sia di poeti svedesi e tedeschi."
Ed eccoci qui con le parole di Francesca Diano: Bene, oggi ho saputo che Boringhieri ha deciso di non procedere alla ristampa de "Il pensiero greco da Anassimandro agli Stoici" ormai esaurito (ma se è esaurito comunque si è venduto no?) con la motivazione che "non viene più adottato."
L'unico libro ancora reperibile del pensiero di Carlo Diano scompare così definitivamente dalla scena italiana.
Diano non ha bisogno di "essere adottato" (leggi: imposto agli studenti dei corsetti universitari per vendere prontuari che altrimenti nessuno leggerebbe e comprerebbe mai) è un classico. Diano dà fastidio, non deve interferire, non si deve sapere cosa ha scritto. La concorrenza sarebbe troppa.
In questi anni mi sono mossa in tutti i modi, mi sono rivolta a persone che, volendo, potrebbero fare la differena e hanno fatto molte promesse. Tutto invano.
E adesso mi sono stufata. Ora creo un gruppo su FB perché ci si attivi a livello nazionale per porre fine a questa vergogna e poi vedremo come muoverci. Io non mi arrendo.
Riusciremo ne sono sicura.
Il nome del gruppo per chi volesse iscriversi è "Dare Forma all'Evento. Ripubblicare Carlo Diano" qui link per firmare la petizione https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.change.org%2Fp%2Fdario-franceschini-ripubblicare-le-opere-del-filosofo-carlo-diano-un-azione-dovuta-della-cultura-italiana%2Ffbog%2F57854881%3Frecruiter%3D57854881%26utm_source%3Dshare_petition%26utm_medium%3Dfacebook%26utm_campaign%3Dshare_for_starters_page&h=ATOxgxQdRmusA7X52T3VhFJVpQLT0VRFtAe99IKXKLfaAS1DBLxRvNyOP80p_aV5HKVWsHyJnzbmZuXjaAqOGTdz7Py452jrMiKqjIbu-KHXezyMPaXGimaT6FhLJfg9eRIIVN57WHNU
Ippolita Luzzo
Carlo Diano ha insegnato qui a Napoli, al Liceo "Vittorio Emanuele II", a 100 metri dal "Genovesi". Ernesto mi indica il Liceo ed ora ci ritroviamo a parlarne per perorare la causa di far ristampare il libro di Carlo Diano.
Con Anassimandro noi possiamo dire: Questa [natura dell'infinito] è eterna e non invecchia. (frammento 2)
Con Francesca la Litweb chiede interesse e attenzione verso questo libro e verso questo studioso conosciuto in tutto il mondo
"Carlo Alberto Diano (Vibo Valentia, 16 febbraio 1902 – Padova, 12 dicembre 1974) è stato un grecista, filologo e filosofo italiano, storico e traduttore sia di classici greci sia di poeti svedesi e tedeschi."
Ed eccoci qui con le parole di Francesca Diano: Bene, oggi ho saputo che Boringhieri ha deciso di non procedere alla ristampa de "Il pensiero greco da Anassimandro agli Stoici" ormai esaurito (ma se è esaurito comunque si è venduto no?) con la motivazione che "non viene più adottato."
L'unico libro ancora reperibile del pensiero di Carlo Diano scompare così definitivamente dalla scena italiana.
Diano non ha bisogno di "essere adottato" (leggi: imposto agli studenti dei corsetti universitari per vendere prontuari che altrimenti nessuno leggerebbe e comprerebbe mai) è un classico. Diano dà fastidio, non deve interferire, non si deve sapere cosa ha scritto. La concorrenza sarebbe troppa.
In questi anni mi sono mossa in tutti i modi, mi sono rivolta a persone che, volendo, potrebbero fare la differena e hanno fatto molte promesse. Tutto invano.
E adesso mi sono stufata. Ora creo un gruppo su FB perché ci si attivi a livello nazionale per porre fine a questa vergogna e poi vedremo come muoverci. Io non mi arrendo.
Riusciremo ne sono sicura.
Il nome del gruppo per chi volesse iscriversi è "Dare Forma all'Evento. Ripubblicare Carlo Diano" qui link per firmare la petizione https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.change.org%2Fp%2Fdario-franceschini-ripubblicare-le-opere-del-filosofo-carlo-diano-un-azione-dovuta-della-cultura-italiana%2Ffbog%2F57854881%3Frecruiter%3D57854881%26utm_source%3Dshare_petition%26utm_medium%3Dfacebook%26utm_campaign%3Dshare_for_starters_page&h=ATOxgxQdRmusA7X52T3VhFJVpQLT0VRFtAe99IKXKLfaAS1DBLxRvNyOP80p_aV5HKVWsHyJnzbmZuXjaAqOGTdz7Py452jrMiKqjIbu-KHXezyMPaXGimaT6FhLJfg9eRIIVN57WHNU
Ippolita Luzzo
Il veleno alle piante
Il Glisofato e altre amenità
Il mio papà chiamava "veleno" ciò che era abitudine fare alle piante da parte dei coltivatori.
Anche lui, proprietario di un appezzamento di terra coltivato, in quel periodo a pescheto, diceva: Oggi faccio il veleno alle piante.
Faceva mettere agli operai maschera e guanti, raccomandava loro ogni genere di precauzione, sapendo di maneggiare prodotti altamente tossici.
Mio zio invece usava un eufemismo: Faccio la medicina alla vigna. Per lui era medicina e un giorno fece il prodotto senza maschera e stava per morire.
Fra medicina e veleno intercorreva lo spazio bianco del nostro cibarci di tossici elementi cancerogeni.
Così dicono oggi i giornali e l'Organizzazione della Sanità:"Gli Stati hanno autorizzato l’uso del contestato erbicida, il più diffuso in agricoltura. L’istituto anticancro mondiale lo ritiene «probabilmente nocivo», non così l’autorità Ue per la sicurezza alimentare"
Ma gli Stati Europei, compresi i nostri parlamentari, hanno votato a favore dell'uso.
Ricordo lo sconcerto di mio padre quando, negli anni ottanta, doveva vendere il prodotto del pescheto. Venne il commerciante all'improvviso e papà aveva appena fatto il veleno. Di regola dovevano passare almeno venti giorni prima di poter raccogliere e vendere. Il commerciante aveva fretta. O tutto e subito o niente. Papà provò a farlo ragionare e non riuscì. Non avrebbe trovato altro compratore facilmente e arrabbiato dovette cedere all'imposizione.
Avvelenatori, dunque. Ogni volta che entro da un fruttivendolo penso di stare in una bottega di streghe e malefici, di veleni.
Veleni approvati.
Dal glisofato ad altre amenità
Avveleniamoci così, senza rancore
Ippolita Luzzo
Il mio papà chiamava "veleno" ciò che era abitudine fare alle piante da parte dei coltivatori.
Anche lui, proprietario di un appezzamento di terra coltivato, in quel periodo a pescheto, diceva: Oggi faccio il veleno alle piante.
Faceva mettere agli operai maschera e guanti, raccomandava loro ogni genere di precauzione, sapendo di maneggiare prodotti altamente tossici.
Mio zio invece usava un eufemismo: Faccio la medicina alla vigna. Per lui era medicina e un giorno fece il prodotto senza maschera e stava per morire.
Fra medicina e veleno intercorreva lo spazio bianco del nostro cibarci di tossici elementi cancerogeni.
Così dicono oggi i giornali e l'Organizzazione della Sanità:"Gli Stati hanno autorizzato l’uso del contestato erbicida, il più diffuso in agricoltura. L’istituto anticancro mondiale lo ritiene «probabilmente nocivo», non così l’autorità Ue per la sicurezza alimentare"
Ma gli Stati Europei, compresi i nostri parlamentari, hanno votato a favore dell'uso.
Ricordo lo sconcerto di mio padre quando, negli anni ottanta, doveva vendere il prodotto del pescheto. Venne il commerciante all'improvviso e papà aveva appena fatto il veleno. Di regola dovevano passare almeno venti giorni prima di poter raccogliere e vendere. Il commerciante aveva fretta. O tutto e subito o niente. Papà provò a farlo ragionare e non riuscì. Non avrebbe trovato altro compratore facilmente e arrabbiato dovette cedere all'imposizione.
Avvelenatori, dunque. Ogni volta che entro da un fruttivendolo penso di stare in una bottega di streghe e malefici, di veleni.
Veleni approvati.
Dal glisofato ad altre amenità
Avveleniamoci così, senza rancore
Ippolita Luzzo
sabato 25 novembre 2017
Cieche speranze da Massimo Iiritano all'Uniter
Il dono di Prometeo, il libro di Massimo Iiritano, traduce e interpreta un passo di Eschilo tratto dal Prometeo incatenato. Nel dialogo con il coro che chiede a Prometeo la ragione del suo gesto, Prometeo risponde di aver rubato il fuoco agli dei per donare agli uomini una possibilità di vivere senza guardare la morte, donando insieme cieche speranze, illusioni.
Comincia in questo modo la lezione di Massimo Iiritano all'Uniter, dopo il saluto e la presentazione dell'autore da parte di Costanza Falvod'Urso, vicepresidente Uniter.
Una lezione sulla fragilità che ci ha trasportato sull'isola di Calipso, nel verso dell'Odissea, tradotto da Luna Renda, più volte citata da Massimo, quando la ninfa prega Ulisse di non abbandonarla e gli offre l'immortalità. Ulisse rifiuta e accetta la fragilità dell'essere mortale come dono ancora più grande di una condizione divina.
Continua Massimo con Eugenio Borgna, e le parole che ci salvano nella tensione, nell'inquietudine e nella necessità di cui è costituito il nostro infinito. Rilegge un canto di Petrarca, dal Canzoniere, "La vita fugge" e con Rovelli, con Sant'Agostino, il tempo fugge, benché non esista, ma sia "Emozione del tempo", brivido di esistere.
Negli interessanti interventi finali mi piace ricordare altri libri:
La bellezza che resta di Fabrizio Coscia, l'intervento del neurologo Gianni Caruso, i dialoghi di Leucò di Cesare Pavese e Pico della Mirandola nell'intervento di Italo Leone, ricordare l'essenziale linguaggio umano che crea il tempo da Cesare Perri, l'elegia di Rilke, finendo con Gli angeli sopra Berlino di Wim Wenders.
Nella cieca speranza di esserci qui, hic et nunc, in felicità con gli studi amati. Dare vita agli anni e dare tempo al tempo.
Un dono che rileggeremo.
Ippolita Luzzo
Comincia in questo modo la lezione di Massimo Iiritano all'Uniter, dopo il saluto e la presentazione dell'autore da parte di Costanza Falvod'Urso, vicepresidente Uniter.
Una lezione sulla fragilità che ci ha trasportato sull'isola di Calipso, nel verso dell'Odissea, tradotto da Luna Renda, più volte citata da Massimo, quando la ninfa prega Ulisse di non abbandonarla e gli offre l'immortalità. Ulisse rifiuta e accetta la fragilità dell'essere mortale come dono ancora più grande di una condizione divina.
Continua Massimo con Eugenio Borgna, e le parole che ci salvano nella tensione, nell'inquietudine e nella necessità di cui è costituito il nostro infinito. Rilegge un canto di Petrarca, dal Canzoniere, "La vita fugge" e con Rovelli, con Sant'Agostino, il tempo fugge, benché non esista, ma sia "Emozione del tempo", brivido di esistere.
Negli interessanti interventi finali mi piace ricordare altri libri:
La bellezza che resta di Fabrizio Coscia, l'intervento del neurologo Gianni Caruso, i dialoghi di Leucò di Cesare Pavese e Pico della Mirandola nell'intervento di Italo Leone, ricordare l'essenziale linguaggio umano che crea il tempo da Cesare Perri, l'elegia di Rilke, finendo con Gli angeli sopra Berlino di Wim Wenders.
Nella cieca speranza di esserci qui, hic et nunc, in felicità con gli studi amati. Dare vita agli anni e dare tempo al tempo.
Un dono che rileggeremo.
Ippolita Luzzo
giovedì 23 novembre 2017
Claudio Grattacaso: La notte che ci viene incontro. Manni Editori
"Filiamo a 150 all'ora" La collana Pretesti della Casa Editrice Manni pubblica il secondo libro di Claudio Grattacaso, autore segnalato al Premio Calvino, menzione speciale nel 2013 con La linea di fondo, libro uscito da Nutrimenti nel 2014.
Pretesti pubblica La notte che ci viene incontro nell'ottobre del 2017 ed io sto con questo libro aperto nelle molte suggestioni che mi rimanda. "Stava arrivando la fine del mondo via etere e noi ne eravamo spettatori" così davanti agli schermi arrivavano le immagini di terremoti, di invasioni di cavallette, e una pioggia di stelle ci avrebbe sommersi.
Quel giorno l'apocalisse non arrivò.
Seguo questa lettura con i ventimila euro tagliuzzati in mano, guardando truce mio fratello, così lontano dal vivere da avermene fatto perdere altrettanti, e non credo sia fiction o fantasy quel che leggo ma ormai una quotidianità fatta da immagini destabilizzanti, alle quali ci siamo abituati sia nel mondo fuori che in quello delle nostre case.
Leggo alcuni passaggi sorridendo, benché siano passaggi drammatici, nella "calma inverosimile, una sensazione di dolcezza che mitiga il dramma, gli oggetti attorno a noi assumono un aspetto solenne, sono testimoni della maestosità del trapasso, la vita soffia, va altrove"
Sarà il modo di raccontare di Claudio, l'odore tenero di campagna e di vento" ad addolcire i fatti, il fuoco con cui inizia il racconto, ardeva nelle sue pupille in un falò gigantesco.
Il fuoco sembra catarsi e rigenerazione, uguale significato di un continuo bruciare, nello sguardo e negli affetti tagliuzzati, dopo la dispersione degli averi.
Non si possiede nulla tranne la coscienza e la voglia di raccontarsela immaginando come irreale quello che in effetti stiamo vivendo davvero.
I finanziamenti saranno sbloccati fra qualche giorno...
Ieri sera vado a vedere un film che mi sembra abbia a che fare, solo come tematica, con questo libro. The place di Paolo Genovese.
Ebbene anche lì ci stava un corruttore, colui che induce altri al male, ci stava la corruzione, il guastarsi, il degenerare quando si è in preda ad un desiderio da soddisfare a tutti i costi, e ci stava quel consegnarsi, incaprettati, dico io, al signore sconosciuto, che può manovrare noi e il nostro libero arbitrio se non riusciremo a star fuori dalle ossessioni.
Io vorrei andarmene, lo dico col cuore in mano.Vorrei abdicare da questo consorzio di pazzi corrotti" Volare"
Filiamo a 150 all'ora.
Con Claudio Grattacaso
Ippolita Luzzo
Iscriviti a:
Post (Atom)