giovedì 21 maggio 2015

Michela Cimmino e Ferdinando Scianna- La Fotografia


Tutti gli uomini scompaiono- mi risponde così Ferdinando Scianna a mio sconcerto che, di Tommaso Giglio, grande direttore del giornale Europeo, esista pochissimo in rete, oltre al mio post ed a sue testimonianze.
Tutti gli uomini scompaiono, ribatto io, però Tommaso Giglio vorrebbe parlare, parla attraverso noi, altrimenti perché io continuo a scriverne, io che leggevo sempre il suo giornale?
C’ è fra gli uomini l’incontro trasversale, esiste una comunicazione oltre il gestuale e riconosciuto scorrer degli eventi che ci porta dappertutto a fotografare l’attimo vivente, l’incontro fra l’usuale e lo straordinario, l’attimo fuggente del volo, della striscia di fuoco che scende giù, vero Michela?
Michela Cimmino, classe 1988, fotografa, Freelance. Sua la tesi con pubblicazione, Edizioni Accademiche italiane, sulla fotografia, la storia della fotografia, la comunicazione fotografica, fotogiornalismo e reportage, fotografia 2.0…
 la fotografia a portata di mano, con uno Smartphone
siamo tutti reporter? In potenza, direbbe i filosofi, poi aggiungerebbero che per essere reporter ci vuole occhio, testa e contesto…
 Instagram: Fotografie condivisibili con tutti i social, fotografie e hastag, etichetta applicata per fornire un tag di ricerca, per creare community, cioè contesto.
Oggi il contesto sembra che sia il Big Data, il campo dei database, grandi aggregazioni di dati, accessibili grazie a smartphone, sensori e computer.
Mappe rintracciabili con un hastag, con una legenda e strumenti di navigazione.
“Tracce virtuali lasciate sul nostro territorio  possono formare una mappa di dati capaci di prevedere e conoscere”
Una rivoluzione fra il diritto al rispetto delle proprie tracce e il diritto di accedere alla conoscenza.
Tracce di noi che non siamo un’orma sul terreno, benché capisca la risposta di Scianna, e Mappe, Contesto in cui muoverci per orientarci.
Mi sembra sempre che La lanterna di Diogene sia utile e che non manchi mai la consapevolezza del nostro usare nuovi mezzi per dire e fotografare quel nostro passaggio sul terreno che nessuno di noi vorrebbe solo un’0mbra sul terreno.
 Tommaso Giglio, Scianna, Salgado, Michela… a tutti noi che amiamo la fotografia… fotogiornalismo sarà
Cogli l'attimo, quell'attimo, quello che storia diventerà

                                                                            Ippolita Luzzo



mercoledì 20 maggio 2015

Matteo Garrone- Ip Ip Urrà- Nel regno della Litweb vinto ha già


Essendo forma contratta del mio nome, Ippolita, Ip Ip Urrà è il mio gioioso applauso ad un film che ho visto in braccio a mia nonna, per sere e sere, nel Cunto de li cunti di Basile, trasposizione favolistica di tradizione orale più immaginario personale e che  ora  scorre sullo schermo. Tre favole...
A che servono le favole? Perché si raccontavano? 
Per allenarci alla perdita
Si narravano nelle favole avvenimenti truci e violenti, il male senza senso, il capriccio di una strega, di un bruto, di un re, a cui sottostavano ragazze giovanissime e bimbi incolpevoli. Tutti condannati ad una sorte terribilmente ingiusta. Un continuo spavento ripetevano le favole per allenare i piccoli al vivere, per temprarli. La realtà per quanto cattiva non avrebbe mai raggiunto simile aberrazione oppure quand'anche, si era allenati.
Rido e rido nel primo tempo, sorpresa che altri non ridano, come, al contrario,  nella scena iniziale,  tutti ridano ai giochi circensi e solo la regina sta con labbra serrate  e non ride.
Si scopre presto che lei non possa ridere perché soffre di una mancanza. Soggiace alla privazione e vuole, con ogni mezzo, riempire suo ventre. Rider non può. 
Perché si ride? Di cosa si ride quando si ride.
Si ride se il pagliaccio cade, io non rido, si ride se un difetto fisico viene burlato, io non rido, non rido nemmeno alle barzellette sul sesso, sui carabinieri e sul governo. Mi mettono tristezza.
Rido e rido felice al film di Garrone “ Il Racconto dei Racconti” Tre cunti di Basile, tre storie, ambientate in Italia, e prendo  appunti. Ogni nascita presuppone una morte, per equilibrio nel mondo, dice la strega in nero, a me sembra un uomo, suggerendo come far nascere figlio alla regina. Nasce poi il figlio, anzi ne nascono due, identici, da due ventri diversi, e la regina inseguirà il suo, correndo,  nel labirinto di Donnafugata, senza mai raggiungerlo. Se non erroneamente. Scambiandolo. Nel gioco eterno del figlio scambiato.
 Muri e muri si alzano fra gli uomini e realtà, Si innalzarono muri e non ce ne siamo accorti, continua a dirci, con Kavafis, Matteo Garrone,  scegliendo alte siepi, Gole dell’ Alcantara e muri di pietra, muri mentali  del desiderio.
 La regina e il figlio, Il re e la pulce, e poi l’erotismo di Bataille, i corpi ubriacati per il piacere di un re che sposerà una vecchia con la pelle d’asino, pardon giovane.
Appunti sul film: tu pensi che quello che hai lo possiedi e lo possederai in eterno, pensi erroneamente che se ritorni giovane per un momento poi lo sarai per sempre. Dalla pelle vecchia alla giovane in un attimo e nello stesso attimo dalla pelle giovane alla vecchia. Solo un attimo. In un corpo che va per conto suo prigioniero di un sogno di possesso. Pensi di possedere un figlio, lo cerchi oltre ogni razionale e sensata condizione, lo cerchi nella morte e nel pulsare e poi e poi tuo non è. Così ci insegnano le favole I racconti di Basile sullo schermo di un immaginario teso fra le mura di Castel del Monte. Possesso possesso possesso.  Possesso di una pulce. Acari siamo. Giganteschi. Come la pulce del film. Come la pelle della pulce che esposta diventa l'asta con cui scegliere il destino della figlia del re. La pelle che isola e condanna. La pelle che capire tu non puoi... Ahah Mogol! La pelle di Curzio Malaparte. La pelle d'asino o diafana. La pelle che fa la differenza. Una pellaccia
Una possessione che filmica è. Nel film che scorre, tra passato e presente, onnipresente nelle nostre testoline più o meno strutturate a riconoscere simboli segni e significati di storia e spazi, costruzioni e rimandi, le favole antiche di un grande squallore, il nostro splendore
Il tempo della fiaba che scorre in ognuno di noi raccontando tutte le fiabe che ci aiutino a decodificare il tempo reale.
Un film che io  abito e torno ad abitare nel ballo finale a  Castel del Monte, con la principessa diventata regina, di ritorno e salva da un precipizio, da silenzi e terrori.
Nel ballo finale un filo si tende fra una torre ed un’altra. Il filo dell’equilibrio fra realtà e fantasia.



Convegno Liver 2015- Angelida



Angelida vuol dire Angeli da una ala sola- Convegno Liver
Dal Bar Angel vengo a sapere di questo convegno che si terrà 31 maggio all’Hotel T di Feroleto.
Entro nel bar, mi siedo e chiacchiero con la proprietaria, Anna Candido, dell’iniziativa che ha esposto sul vetro, del come si sia incontrata con l’organizzatrice di questo avvenimento, e del perché solo quando siamo toccati veramente da una malattia, da una difficoltà ci accorgiamo che queste cose esistono e che non sappiamo proprio dove andare a sbattere la testa se non ci fossero le strutture appropriate e per tutti.
Quindi deve esistere per tutti il servizio che curi, prevenga e sollevi, chiunque sia afflitto da un male. In questo caso il fegato che va in necrosi, il bisogno di un trapianto, cosa fare dopo un trapianto, come prevenire la steatosi di un fegato che si dilata ingurgitando bevande alcoliche e cibi artefatti.


Felicemente sullo scambio di una ascolto umano, domando il perché si chiami Bar Angel il suo esercizio e lei, con un sorriso, mi dona il nome di sua figlia, Angelida, e da Angelida ad Angel e a lei che Candido fa di cognome, e qui  sperdendomi io in Voltaire, e nel nome Angelida,” Angeli Da una ala sola” significa…
Angeli sono i messaggeri. Angeli sopra Lamezia. Nel gotico del gruppo rock, dall'omonimo nome, che fece un album, Decanimae, ritorno a casa a scrivere su con grande tristezza.
Se da una parte plaudo a siffatti momenti, dall'altra vorrei che, nel sogno impossibile, una nuova educazione e un nuovo  sapere donassero a tutti l’ala mancante per prendere il volo.


Convegno del Liver a Lamezia
“Per preparaci a questa “rivoluzione” terapeutica imminente, e per segnare in rosso nel calendario che il 2015 sarà un anno speciale e di svolta nel campo delle malattie del fegato, abbiamo preparato un manuale per i malati e i volontari: per la prima volta, in Italia, uscirà nelle librerie, grazie a Giunti Editore di Firenze, una guida dettagliata che consentirà, ai pazienti e alle loro famiglie, di orientarsi fra analisi, radiografie, interventi, diete o terapie, sollevandoli da dubbi e alleggerendo le preoccupazioni. E il testo sarà il riferimento scritto per quella miriade di corsi di formazione ed aggiornamento che, con le nostre associazione federate nella Liver-Pool, organizzeremo presto in tutte le regioni d’Italia.
Per questa iniziativa, grazie al discreto e attento lavoro del vicepresidente della nostra Liver-Pool Salvatore Camiolo, sapete, abbiamo vinto il Gilead Community Award 2014: siamo stati premiati il 29 settembre, durante una solenne cerimonia che si è tenuta al Museo Diocesano di Milano, ricevendo quanto ci consentirà di realizzare il progetto. L’anno prossimo, sabato 30 maggio 2015, saremo in Calabria, a celebrare il nostro 8° Congresso nazionale Liver-Pool, con gli amici dell’ATEC, a Lamezia Terme: l’appuntamento, viste le novità che avremo sarà unico. Vi aspettiamo numerosi.”


domenica 17 maggio 2015

Volersi bene “Non è adesso”- Daniele Semeraro


In copertina verde una fotografia d’epoca. Daniele con i fratelli e il suo papà.
Daniele “ copia senza baffi e qualche centimetro di dolore in meno”
Comincia così il racconto di uno, la storia di uno, la storia  di tanti.
 Una osservazione attenta e fiduciosa che niente possa sfuggire se noi controlliamo la situazione, ed anche dopo che questa sia andata via, sfuggendo, rimane tutto quel tempo dilatato che vuol stamparsi sul  foglio scritto del ricordo.
Così Daniele, scrivendo, riprende materialità del dettaglio, dei dettagli che hanno fatto del padre un crudele ricordo senza voce, universalizzando lo sconcerto di stare vicini, vicinissimi ai nostri cari  e non poter aiutarli.
Pagine di alta poesia raggiunge proprio in questo suo voler dar vita a quegli occhi “che guardavano attraverso una cortina di pianto”, gli occhi di suo padre che io ho subito sentito nel canto” Non mi svegliate, ve ne prego, ma lasciate che io dorma questo sogno” il sogno di star bene con sé stesso, di farsi compagnia senza aver paura dello sconosciuto che abita insieme a lui.
La malattia del vivere, la malattia che toglie entusiasmo, e che fa sentire in colpa coloro che ne siano colpiti, qui attraversa un luogo ancora arcaico e contadino, con abitudini regolate dalle stagioni, con un movimento dettato dall’uva da pigiare e dalle mandorle da abbacchiare.
“Il sangue sull’indice ormai coagulato e secco” Il sangue dei riti di una comunità che trae sicurezza dai riti stessi.  Una storia di adolescenza che diventa età adulta mangiando le unghie, le pellicine ai lati, tirando via la pelle fino al sangue. 
La prima frase che avevo sottolineato erano le dita in bocca ed il sangue.  La fase orale.
 Mi sono detta da subito che tutto sarebbe stato raccontato mordendo i fatti come la pelle veniva strappata con i lembi sanguinanti e nudi. Con i polpastrelli doloranti.  Così è stato.
La danza sull'uva insieme al padre sorridente, che Daniele racconta e  che io ricordo, provenendo da un mondo ancora legato alla terra, “la certezza che ti dà l’equilibrio per danzare sull'uva senza aver paura di scivolare e di cadere”  ha il  ritmo del gesto, e non dimenticheremo queste pagine, come lui non dimenticherà il sorriso  “ nemmeno con lo scorrere di quel fiume di detriti che chiamiamo tempo”
Ambientato nella “terra di dove finisce la terra”: Tra comuni di Martina Franca e Ceglie, Ostuni, Messapica e Cisternino, il racconto ha “iridi di un verde cervone, che diventano mare. “Il tumulto interiore appare in controluce” ed i personaggi svolgono con precisione  i ruoli immutabili che hanno all’interno di una famiglia, nonostante lo scorrere di avvenimenti… che sembrano irreali tanto ora sembrano lontani, seppur vicini.
“ Quando la parola è flebile, non resta che il gesto” scriveva un uomo al presidente della repubblica prima di uccidersi ed io avevo proprio rimosso quel terribile momento in cui bastava un avviso di garanzia per essere distrutto, in cui, invece, altri, facevano di quegli avvisi la loro carriera politica in trionfo. Come al solito c'è  chi viene travolto dagli avvenimenti, magari proprio gli onesti, le persone perbene, e chi invece li sfrutta a proprio vantaggio nell'eterna beffa del male che sembra debba vincere sempre.
Daniele sceglie, per sottrarsi allo stallo, l’inchiostro, i tasti e batte sui tasti una lotta continua.
Scrittore vuol dire questo:” Io, la mia penna, l’avrei intinta nel sangue di dita maciullate, lasciando i miei fogli sparsi qua e là… Un disegno in mente non l’ho mai avuto e continuo a lasciare le cose a metà. A tracciare concetti che non prevedono punti di arrivo, se non il farsi strada” Spazio, lo chiamo io.  Lo spazio per respirare.
“ Non è adesso che devi avere paura”
“ Non è adesso “ perché il peggio deve arrivare…tirandomi via l’ennesimo strato di pelle, scrivi tu.
Io scrissi “ Scollo tutto” in un mio pezzo che butterò come ho buttato tutto, rimanendo sola con l’orgoglio della stima di scrittori veri, nella traccia che ognuno di noi vuol preservare dall’indifferenza intorno.
Nella condivisione che unisce lettori e scrittori, nella pagina che parla e che ognuno di noi fa sua,  la verità del messaggio letterario prende la forma della voce, oltre il silenzio. La voce di tuo padre, la voce di tutti noi, senza voce, che vogliamo la libertà.

“Non è adesso” poetica del figlio sarà
Con questo racconto Daniele Semeraro vince il terzo posto del Premio Letterario " La Giara"
suoi precedenti racconti:Scrivere polvere e Nel Segno di Caballero.
Una lunga strada di racconti davanti a lui
Ippolita Luzzo 

sabato 16 maggio 2015

Teatro Franco Costabile- Quando l'ora vacilla di luna, un sonno di garofani

Quando l’ora vacilla di luna- Teatro Franco Costabile
Ho scelto il libro di Francesco Antonio  Caporale per affinità elettiva fra le arti.
Viene così ad avere targa, sul teatro comunale Politeama, il poeta Franco Costabile, il 15 Maggio del 2015
Il sole splende/ ancor/ su tanti mali/ ma non perderemo la speranza/ di un bel domani
Il verso ingenuo e ragazzino di un alunno, Lionello Fiore Melacrins, terza media, segnalato al Premio Costabile che per dieci anni si è tenuto nella città, grazie alla donazione di un allievo di Franco Costabile.
Mirella Scuro, presidente dell’associazione intitolata al poeta, mi fa vedere un libro che raccoglie tutti i vincitori del premio, compreso il verso che ho appena trascritto, e mi racconta una bellissima storia, quella fra il poeta e professore ad un Liceo di Roma ed un suo allievo, Silvio Cardellini, che ha finanziato  per undici anni il premio. Morto Cardellini, premio non più.
Finito tutto. Mi racconta anche le tante lungaggini, il tanto disinteresse, il viver vacui che prende questo misero luogo afflitto da campanilismo e cura del proprio. Un asfittico vivere, ricorda altra grande poetessa Pina Majone Mauro, ed io capisco quanto tutto questo possa offendere. Veder tutto finire dopo grandi slanci, dopo atti di generosità pura, come quello di Cardellini, che solo per amore del suo insegnante volle  donare…
Resta la targa stasera, una intitolazione ed un discorso, una serata dedicata in suo nome,  con  alla fine i Dissidio, ottimo gruppo, il gesto e  la musicalità, a chiudere un Pop Contest, manifestazione che da qualche anno in nome del poeta si tiene.

Restano gli artisti: Francesco Antonio Caporale, sua la mostra alcuni anni fa dedicata al poeta “ Quando l’ora  vacilla di luna” una serie di lavori onirici e surreali che amo moltissimo, che mi ripropongo sempre di scriver su e poi lascio vagare davanti ai miei occhi, nel mare antico di una adolescenza continua e di una solitudine molto affollata.
Faccia di luna nuova  dalla piazza che luna nuova aspetta ancora
Una Transumanza di uomini, mi dice Fernando Cimorelli, mostrandomi questi bianchi monaci medioevali che abbandonarono, come tutti gli artisti, il vivere fatto di grazie prego tornerò, il vivere fatto di elezioni e voti, di favori e ripicche, transumando, appunto, in un altro luogo. Nella fantasia.
Nella spiegazione che Cesare Perri mi dà del nostro tessuto umano e urbano, composto dal sangue dei tanti mercenari, dei tanti soldati, dei tanti predatori, che si sono avvicendati su questo territorio rugoso e di faglie, una contro l’altra armata, cerco una ragione a tanta cattiveria e  a tanto disinteresse verso il gesto naturale: Quello del donare, quello dell’amicizia, quello del sorriso.

E la risata esce amarostica, quel gusto salato di cose passate, nemmeno esce più, oppure è sempre la risata di Costabile che, nelle sue passeggiate con Felice Mastroianni, rideva, fuori le righe, rideva con risatina a volte sciocca, inopportuna, quella risata che solo da una grande tristezza e verità nasce. La terribile vacuità del tutto… senza il gesto naturale.  
Franco Costabile

lunedì 11 maggio 2015

Lo sdegno elegante di Raffaele Gaetano- Le querce sono in fiore



Lo sdegno elegante di Raffaele Gaetano- Le querce sono in fiore
 Le colline sono in fiore - Sanremo 1965 Mogol- Donida
Sul morire di dolore in un luogo che morta gora è, Raffaele Gaetano fa antologia di scritti, raccogliendo chi visitò il Lametino rimanendone illeso.
Sceglie la forma, Raffaele, un quadrato, sceglie la consistenza, carta pregiata e sceglie fotografie d’epoca curate. Vorrebbe scegliere tutto in una sua ricerca continua verso un estetismo raffinato e pregevole. Pregnante, direbbe lui.
Eppure il contenuto sfugge alla sua pur sostanziale introduzione  e scappa via, nella realtà effettuale di un luogo che lui stesso con sublime  dire dipinge “morta gora”.
Rimane lo sdegno e sullo sdegno di moltissimi scrittori per come e per cosa in questo luogo cattivi amministratori, truffatori e disonesti si siano allenati governando a loro volta popolazioni brutte sporche e cattive, senza spirito di corpo, di comunità, su questo sdegno si regge il sublime ed il pittoresco di prati in fiori e di mari azzurri orrendamente avvelenati
La fascinazione di Raffaele Gaetano e le rovine del sublime
Da Goethe a noi
 Le querce sono in fiore. Memorie di viaggiatori nel Lametino (Koinè Editrice)
 Ultimo libro  di Raffaele Gaetano  dopo  “La Calabria nel Viaggio Pittoresco del Saint-Non” (Koinè Editrice) che era, in una edizione in 999 esemplari numerati e firmati, la traduzione del “Viaggio Pittoresco” dell’abate di Saint-Non in Calabria con  35 vedute  acquerellate a mano.
Dal Lametino “L’opera conclude un lungo itinerario di ricerca che libro dopo libro ha visto impegnato l’autore in un appassionante vis-à-vis con il tema del viaggio in Calabria tra sublime e pittoresco. Composto per accumulazioni, per successive stratificazioni durante quasi dieci anni, lo scritto affronta per la prima volta in maniera sistematica l’ingente mole di diari, resoconti, memorie e lettere  fra il  ’700 e ’900” che  nobili, borghesi, scienziati, ecclesiastici, artisti, militari lasciarono del loro passaggio.”
Alla fine degli anni ottanta I Parchi Letterari in Italia e in Calabria   si ispirarono  ai racconti dei numerosi viaggiatori stranieri ed italiani che, dal Settecento, si spinsero in Calabria.
A rappresentare Il Grand Tour, così chiamato, fu scelto Norman Douglas, autore di Old Calabria,  e via via i più antichi visitatori presenti in questa libro.
“J. W. Goethe aveva  scritto: «Molti viaggiatori venivano in Italia solo per vedere delle rovine;  Roma, la capitale del mondo devastata dai barbari, era piena di rovine.”
Da Terremoto in terremoto quel che affascina è  il sublime, il sublime delle rovine.
Al di là e sotto la soglia… come sia possibile la sussistenza in un luogo rovinoso e rovinante!
Una terra sorprendente, diversa. Overture.
Leggo  e non sento solo il profumo del fiore, malgrado la veste elegante e la cura con cui hai trasposto brani e illustrazioni, io ne sento l’indignazione. La percepisco, in una rarefazione che invece di astrarmi mi addolora.
Le Querce sono in fiore. Una Calabria terribile, oscena, quasi, nel suo essere troppo di tutto. Impossibile da educare, da sanare. Come se un male incurabile la attanagliasse, malgrado la bellezza. Il misticismo, il sacro, il diluvio di sensazioni. Questo io leggo da te, ora dialogo con te, Raffaele.
 Loro, i viaggiatori, lo chiamano  pittoresco, io lo chiamo  sconcerto.
Una Calabria che stupisce, che attrae per il selvaggio e misterioso presente nella sua scorza.
Il gioco delle estetiche che già assaporavo  nella romantica lady inglese, tratteggiata da Enrico Montesano,  scrive per noi il pittoresco che siamo. “situazioni tra spaesamento e vertigine” Molto pittoresco!
“ In quest’impalpabile, tenue déborde, in questo rifiuto di una natura addomestica” e debordiamo pure…
Come se tu avessi in mano una lente d’ingrandimento e con questa  allargassi  gli scritti restringendoli sul territorio natio, ed ecco  il borgo appare.
Terribilis locus est iste? Anche ora, anche ora. Sorridendo scrivo di vascelli e postali “un’esperienza di confine tra etica e naufragio della ragione.”  Un luogo periferia della periferia, che, già dopo Napoli, Africa è, Un luogo isolato nello spazio angusto di una geografia mentale fanatica e supponente, ora come allora, governata da pochissimi feudatari, ora come allora.
Dalla fine del settecento all'ottocento romantico ed ossianico i viaggiatori descriveranno prati  verdi e colline in fiore, una natura a volte madre a volte matrigna, mare azzurro e tempeste, malattie e tuguri, nello sciupio di esistenze lasciate nell'incuria di chi avrebbe dovuto averne cura. Senza cura.  Incurato e incurabile…  trascinerà la malaria fino ai nostri giorni.
Un sud mancante, senza strade se non l’antica  Via Popilia dei Romani, tratturi e viottoli poco sicuri. Giustificato dunque fare testamento prima di partire per il sud, o per Napoli
 De Saint-Non  a tutti gli altri… scorrono.
   Il reverendo Brian Hill  nel 1792 “Desidererei che la gente fosse meno curiosa, giacché indugiano a guardarci dietro una finestra che comunica con la casa. Abbiamo scoperto un posto vicino alla cappella dove c’è della calce e lì abbiamo acceso il fuoco per preparare il cibo. Ghiaccio all'alba. Freddo. Temperatura 5 gradi. Le querce sono in fiore.”
Giuseppe Maria Galanti descrive il modo in cui “La moneta è scarsa. L’interesse del mutuo è dell’8%, e la circostanza della miseria è tale che quest’interessi per mancanza di mezzi da soddisfarli si accumulano sugli anni successivi, per cui producono lo sterminio di molte famiglie.”
Armido Cario  nel suo libro “La Calabria del Settecento” scritto con Armando Orlando, riporta la analisi lucida del Galanti, che se da un lato incrociava la “coltura di spirito” di alcune famiglie a Catanzaro, Monteleone, Tropea, Reggio e Maida, dall'altro evidenziava lo stato di noncuranza di quelle stesse famiglie e degli amministratori verso il territorio abitato e i suoi abitanti («I Calabresi sono vivi ed elastici, e sono divenuti facinorosi per essere mal governati»).
Ripeto con Armido  il concetto di abitare un territorio e di mettere un abito ad un territorio, perché credo che sia lo snodo per comprendere come sia “l’abito” importante per una dignità umana. Un abito lasciato sguarnito in questo sud, sia dalle famiglie colte che dalle famiglie ricche, che poi i due aggettivi viaggiavano insieme, un abito dimesso ed elemosinante il tozzo di pane, le briciole, affinché il popolo fosse sempre facilmente ricattabile. Elemosinante.
Il Galanti porterà rendiconto alla corte del re di Napoli e nessuno leggerà…
Un feudalesimo mai finito. Con balzelli e demani, con proprietà della Curia Vescovile, con servitù mai eliminate.
Fra pregiudizio e analisi seria i racconti sono lo specchio di un non finito che da sempre è la dannazione di vivere qui, un incedere nelle paludi di un feticismo arcaico e di  una viltà nata dalla costrizione e dalla necessità.
Lo scorrere di racconti su racconti acuisce lo sbalanco, la vertigine, il senso doloroso di vivere nel vuoto precipitare e nella perfida voglia di imbrogliare qualsiasi forestiero, oppure di blandirlo perché potrebbe  esser utile.
Nella noia e nel disprezzo verso ciò che appartiene a tutti, le menti più eccelse declinano il latinorum, era questa l’impressione di Giorgio Bocca, nel suo Inferno.
 "Alla Grande" era la scritta sui muri di Capizzaglie,  come ora,   nel nostro inferno, solo nel ricordo bellissimo, malgrado la palude da bonificare,  un mare  avvelenato e una terra sporcata dai rifiuti di mezza Europa. 

Unica locanda sembra essere Il Fondaco del Fico ed unico luogo più o meno colto era Maida… più o meno, così da Didier,  Dumas e gli altri
L’ideale stessa della sporcizia.
 Lenormant intanto fa  un riepilogo  che non è più un diario ma una risalita storica fino agli Enotri.
Una risalita lunga.  Lenormant se ne accorge  e scrive “Temo di aver abusato della pazienza del lettore e di averlo stancato. Tuttavia, la ricerca alla quale ci siamo dedicati, ci ha dato l’occasione di passare in rassegna qualche fatto storico non privo d’interesse.”
E ritorniamo al 1940, dopo la bonifica dalla malaria
 La bonifica e nuovi paesi. San Pietro a Maida Scalo.  Imposti dall’alto e vuoti per molto tempo. Disabitati. Non riconosciuti.
Che il silenzio sia sublime solo nella disperazione di un dolore muto…
E Giuliano Santoro aggiunge “Lamezia è un posto stranissimo, nato dall'unificazione dei paesi di Nicastro, Sambiase e Sant'Eufemia. È uno dei luoghi topici dell’immaginario del disastro calabrese.” Su due piedi. Camminando per un mese attraverso la Calabria
 Termini così questa raccolta di scritti, una sistemazione di autori che altrimenti sarebbero dispersi, nella perdita continua di conoscenze.
Se ti eri riproposto altro non so, io vi ho letto questo silenzio e lo stesso difficile incedere nei sentieri ancora ostici e poco praticabili di una Calabria straniera ai suoi stessi abitanti, quella amnesia dei luoghi che tanto ci priva di occhi per vedere.
Leggo con mestizia, con grande compassione anche verso me stessa,  una appartenenza ad un luogo così difficile, nella consapevolezza  che anche queste mie stringate parole possano essere derise da lettori acculturati e felicemente non dissimili dai loro progenitori qui ben rappresentati e descritti.
Ci  salva solo la stima che si ha  per pochissimi, e solo  per quelle eccezioni che si intravedono in ogni epoca storica ed in ogni luogo e che danno il respiro per poter continuare ad aver voglia di scrivere nelle macerie e sulle macerie che si perpetuano.
Nel viaggio da Goethe a noi sulle rovine.
Le querce sono in fiore, un profumo che veleno è.
                                                                                                                              Ippolita Luzzo



sabato 9 maggio 2015

Confidenze


10 marzo 2011

Le confidenze (le orecchie d’asino)

Fra donne viene sempre prima o poi, all'improvviso, il momento delle confidenze, segrete, indicibili, irraccontabili, ma proprio perché fatte, dette ad una persona, voce del sen fuggita, difficilmente riacciuffabili. La confidenza, non necessariamente fatta ad un’amica, può essere a chiunque, in quel momento di vulnerabilità, di permeabilità, ti passi accanto e tu parli, come in trance, racconti spezzoni di una vita passata le cui schegge sono sempre lì.
Poi confidi nella buona sorte, nella discrezione, nella onestà dell’orecchio al quale hai detto, e io  mi ricordo la storia del re con le orecchie d’asino. Lui, il re, nascoste le orecchie ai sudditi con un turbante, ebbe bisogno del barbiere e gli intimò di tacere  pena la morte. Il barbiere mantenne il silenzio ma un giorno, solo, presso il corso di un fiume scavò una buca e lì gridò – Il re ha le orecchie d’asino – Ricoprì la buca. Nacque su quel terreno un bel canneto e allo stormire del vento le canne riportarono nell'aria  - Il re ha le orecchie d’asino - .Confidenze fatte così, per essere poi lasciate stormire al vento della nostra stupida ma irrinunciabile socialità.
Confidenze su uomini indegni, sono sempre indegni loro, sembra un timbro di via, un passaporto falsificato ma valido per tutti, confidenze di donne su uomini – che lasciano le moglie - che ritornano dopo tanti anni, dopo aver trascorso tanti anni con un’altra.

- L’altra che aspetta nascosta, di sbieco, crede di essere amata, di amare. Uomini che ritornano e donne dimenticate, cancellate per sempre-

Confidenze, solo confidenze. Brusio indistinto di solitudini.

Confidenze da donna a donna. Un muro di gomma, una palla rimbalzante.

Si dice col tempo che è solo uno sfogo, niente di personale.  

Ippolita Luzzo