Essendo forma contratta del mio nome, Ippolita, Ip Ip Urrà è
il mio gioioso applauso ad un film che ho visto in braccio a mia nonna, per
sere e sere, nel Cunto de li cunti di Basile, trasposizione favolistica di
tradizione orale più immaginario personale e che ora scorre sullo schermo. Tre favole...
A che servono le favole? Perché si
raccontavano?
Per allenarci alla perdita
Si narravano nelle favole avvenimenti
truci e violenti, il male senza senso, il capriccio di una strega, di un bruto,
di un re, a cui sottostavano ragazze giovanissime e bimbi incolpevoli. Tutti
condannati ad una sorte terribilmente ingiusta. Un continuo spavento ripetevano
le favole per allenare i piccoli al vivere, per temprarli. La realtà per quanto
cattiva non avrebbe mai raggiunto simile aberrazione oppure quand'anche, si era
allenati.
Rido e rido nel primo tempo, sorpresa che altri non ridano,
come, al contrario, nella scena iniziale, tutti ridano ai giochi circensi e solo la regina
sta con labbra serrate e non ride.
Si scopre presto che lei non possa ridere perché soffre di
una mancanza. Soggiace alla privazione e vuole, con ogni mezzo, riempire suo
ventre. Rider non può.
Perché si ride? Di cosa si ride quando si ride.
Si ride se il pagliaccio cade, io non rido, si ride se un
difetto fisico viene burlato, io non rido, non rido nemmeno alle barzellette
sul sesso, sui carabinieri e sul governo. Mi mettono tristezza.
Rido e rido felice al film di Garrone “ Il Racconto dei
Racconti” Tre cunti di Basile, tre storie, ambientate in Italia, e prendo appunti.
Ogni nascita presuppone una morte, per equilibrio nel mondo, dice la strega in
nero, a me sembra un uomo, suggerendo come far nascere figlio alla regina.
Nasce poi il figlio, anzi ne nascono due, identici, da due ventri diversi, e la
regina inseguirà il suo, correndo, nel labirinto di Donnafugata, senza mai
raggiungerlo. Se non erroneamente. Scambiandolo. Nel gioco eterno del figlio
scambiato.
Muri e muri si alzano fra gli uomini e realtà, Si innalzarono muri e non ce ne siamo accorti, continua a dirci, con Kavafis, Matteo Garrone, scegliendo
alte siepi, Gole dell’ Alcantara e muri di pietra, muri mentali del desiderio.
La regina e il figlio, Il re e
la pulce, e poi l’erotismo di Bataille, i corpi ubriacati per il piacere di un
re che sposerà una vecchia con la pelle d’asino, pardon giovane.
Appunti sul film: tu pensi che quello che hai lo possiedi e
lo possederai in eterno, pensi erroneamente che se ritorni giovane per un
momento poi lo sarai per sempre. Dalla pelle vecchia alla giovane in un attimo
e nello stesso attimo dalla pelle giovane alla vecchia. Solo un attimo. In un
corpo che va per conto suo prigioniero di un sogno di possesso. Pensi di
possedere un figlio, lo cerchi oltre ogni razionale e sensata condizione, lo
cerchi nella morte e nel pulsare e poi e poi tuo non è. Così ci insegnano
le favole I racconti di Basile sullo schermo di un immaginario teso fra le mura
di Castel del Monte. Possesso possesso possesso. Possesso di una pulce.
Acari siamo. Giganteschi. Come la pulce del film. Come la pelle della pulce che
esposta diventa l'asta con cui scegliere il destino della figlia del re. La
pelle che isola e condanna. La pelle che capire tu non puoi... Ahah Mogol! La
pelle di Curzio Malaparte. La pelle d'asino o diafana. La pelle che fa la
differenza. Una pellaccia
Una possessione che filmica è. Nel film che scorre, tra
passato e presente, onnipresente nelle nostre testoline più o meno strutturate a
riconoscere simboli segni e significati di storia e spazi, costruzioni e rimandi,
le favole antiche di un grande squallore, il nostro splendore
Il tempo della fiaba che scorre in ognuno di noi raccontando
tutte le fiabe che ci aiutino a decodificare il tempo reale.
Un film che io abito
e torno ad abitare nel ballo finale a Castel del Monte, con la principessa diventata
regina, di ritorno e salva da un precipizio, da silenzi e terrori.
Nel ballo finale un filo si tende fra una torre ed un’altra.
Il filo dell’equilibrio fra realtà e fantasia.
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