giovedì 12 dicembre 2013

Dacia Maraini- Dalla mammella di Moravia con tutto l'amore che posso


La lezioncina per semianalfabeti che la figlia dell'ambasciatore (scherzo, eh) del Giappone ci scodellò ieri sera su Santa Chiara e tutte le sorelle
"San Francesco era figlio di un ricco mercante. Santa Chiara lavava i piedi alle sue consorelle e poi beveva quell'acqua, impedendo alle altre di fare altrettanto.
Virgoletto le parole di Dacia e segnalo con trattino i miei dubbi, le mie domande, i miei perché.

-Perché mai impedire anche alle altre una simile prelibatezza? Forse per non farle accedere all'estasi?- mi domandavo io.
Ho trascritto le frasi semplici e articolate di Dacia, in ordine " Le madri sono importanti, sapete voi che la mamma di San Francesco era francese?  Insegnò al figlio la lingua e le regole cavalleresche.
Insegnò che le cose si  risolvono col dialogo. La guerra è sempre un male." 
Le sapevamo noi queste cose? No, vero? 
Io ero stata da poco a sentire Mario Pirovano recitare al teatro San Francesco, Giullare di Dio,
di Dario Fo, ero quindi edotta e come me tanti sapevamo che la figlia del re di Boemia intratteneva con Chiara una  corrispondenza. 
Chiara fu sempre ubbidiente e disubbidiente
"Indipendenza e autonomia... sublime essere come Antigone, obbedienza alla regola ma obbedienza a una regola universale dell'umanità"
Qui si sarà incartata un po'.
Antigone rischia e muore.
Antigone, disse il prof Bagnato, in un suo  interessante intervento all'Uniter, è lo spartiacque fra il pensiero moderno e il pensiero antico.
Antigone ci pone il dilemma, Chiara non so, la Maraini non lo dice.
Cosa potrebbe dire di diverso lei, scrittrice del mondo Rizzoli, se non la solita solfa?
"Viviamo in una cultura del mercato, siamo tutti oggetti comprabili, c'è un grande turismo sessuale "
Ma guarda! onestamente non me ne sarei mai accorta se, ieri sera, nella libreria Tavella a Lamezia terme, non me lo avesse detto lei.
-Grazia Dacia, grazie per tutto quello che non hai detto, per non aver risposto alla mia domanda, se eri riuscita, con il libro, a fare giustizia delle mistificazioni sulla Santa, se eri riuscita a svelare... qui nessuna risposta.
Mi hai risposto invece su Pinocchio, che tu, veramente innovativa, assembli alla Santa e a Geppetto, evidentemente San Francesco. 
Nel sogno, Chiara, salendo una scala ripida, trova in alto Francesco, che, dopo essersi lavato le mani, con una mammella la nutre di latte divino. 
Mi hai raccontato di Dio con due mammelle, lui,  come Geppetto, costruisce il suo burattino per un sogno di paternità.
Cara Dacia, spero tanto che San Francesco e Santa Chiara non abbiano preso appunti ieri sera.  
 

Gli scavalcanti

Saltano ostacoli, calpestano amici, non hanno amici, scavalcano

martedì 10 dicembre 2013

Se questa é famiglia-Il panno buono di Max Pagani



Se questa è famiglia

San Valentino nei lontani anni Ottanta.
 Zio Pepè aveva comprato il regalo a Celeste, voleva sposarla, dopo essere rimasto vedovo di Bianca.

Bianca era stata una sarta con varie discipule, con tante ragazze, lavorava moltissimo. Un tumore aveva portato via prima suo figlio, da poco laureato, con un impiego in banca, e poi lei, a distanza di mesi.

Zio Pepè era rimasto con la figlia Fiorenza, lui, combattivo e mai domo, affettuoso e simpatico, voleva una famiglia.

-San Valentino-

Quella mattina i carabinieri lo chiamarono.

Il fratello Gino aveva ucciso la sorella Ida e si era a sua volta sparato un colpo in testa…

Zio doveva andare a riconoscere i corpi.

-San Valentino-

Così mormorava, quando venne da noi, aggiungendo che Gino non doveva, che si era ucciso per non andare in carcere.

Ci raccontava spesso di questi suoi due fratelli quando veniva a trovarci. Veniva spesso, era il nostro simil commercialista, ed era legato a mia mamma, al mio papà.

Abitavano Gino ed Ida nella stessa casa, Gino al piano superiore, Ida, inferiore.

Non erano sposati, non si parlavano, si facevano dispetti da anni.

Gino era avarissimo, viveva con niente, benché benestante, aveva il fitto di un magazzino, lei avrà avuto anche altri redditi.

Lui di notte ogni tanto si metteva gli stivali fascisti, ricordo di sue marce lontane, e camminava sul pavimento per svegliare zia Ida.

Lei lo malediceva, vomitandogli ogni impossibile disgrazia.

Zio Pepè aveva spesso tentato di convincere il fratello  a cambiare casa.

San Valentino

La mamma di questi miei zii, la sorella di mio nonno, era una donna anaffettiva, afferma con decisione la mia dolce e sfortunata mamma che, come un panno per la polvere, pulisce ripetutamente una realtà cattiva.

Dal racconto buono di Max Pagani al reale.

L’uomo buono esiste e si ammala, zio Pepè poi sposò Celeste, Celeste restò incinta e perse il bambino, lui  morì di tumore ai polmoni. Pochi mesi dopo il matrimonio.

Il panno che pulisce si ammala e poi ritorna a pulire.
 Il panno buono








domenica 8 dicembre 2013

Il canto dell'amore perduto



Il canto dell’amore perduto

Aprile 2010
Racconto, attraverso le poesie di Ines, una storia antica quanto l’uomo, universale.
La storia di uno, la storia di tanti… uomo, donna, femminile, maschile.
La dipendenza amorosa non ha un genere.
Al Liceo Classico il professore di latino e greco associava la letteratura greca alla letteratura contemporanea europea e americana, lo ascoltavamo rapiti, con lui, tutti i poeti si incontravano nel giardino delle Muse, ci spiegava che, a cambiare, era  solo il modo di fare poesia, ma il sentire rimaneva sempre lo stesso.

Ed è proprio da queste lezioni del professore Piccioni che io ho appreso a leggere e sentire con continui rimandi e assonanze. Ho quindi cucito con un filo le poesie di Ines che più mi ripeto nella mente in questi giorni, come succede con il motivo di una canzone amata, che ogni mattina canticchiamo senza accorgercene. Ho cucito seguendo i miei pensieri e questi mi hanno portato indietro nella storia e con un balzo di nuovo nel nostro quotidiano. Dalle sue raccolte ho scelto questa volta il canto sull’amore perduto. Sono poesie ma potrebbero essere ritornelli. ♫…

Solo poesie e l’ultima é da ritmare e condividere insieme perché il sano riscatto che tutti noi possiamo pretendere quando finalmente smettiamo di amare l’altro più di noi stessi.

(Ines e l’amore)

Gli amori  non sono tutti uguali.

C’è il colpo di fulmine  tac  e all’improvviso non puoi più fare a meno di quella sconosciuta che sta vicino a te, c’è l’amore che nasce con la consuetudine a frequentarsi e poi diventa necessità, così per caso,  l’amore che nasce da ragazzi, vedi una bimba e ti innamori, la vuoi accanto per tutta la vita, anche se l’altra cambierà, anche se tu cambierai; c’è l’amore  affetto  stima  cammino fra due esseri che mettono in comune figli, interessi economici, vecchiaia, e serenamente concludono quasi insieme il loro viaggio.

Poi ci sono gli amori infelici.

Dalle famiglie di Tolstoj: tutti gli amori felici si somigliano, ogni amore infelice è infelice a modo suo. E sono proprio gli amori non corrisposti, non vissuti o vissuti male, le costruzioni immaginarie della nostra mente a creare il substrato di tutta la nostra letteratura, dagli antichi Greci a noi, dai lirici di allora ai lirici di oggi. Anche noi con la lira in mano cantiamo le pene di un amore sbagliato:
Perdersi  
…Vibreranno
le mie foglie
al vento 
delle tue carezze
Saremo
un unico
respiro
che si perde nel cosmo

 Concerto
Vorrei che i miei pensieri
restassero legati ai rami
 degli alberi che  circondano
questo giardino
Incatenati ai fili sottili 
che le note musicali stanno tessendo
invano griderei t'amo
 tu non sentiresti

Da allora ad oggi i nostri pensieri appesi ai rami degli alberi dondolano al vento; una melodia muta si propaga e ci riporta indietro nel tempo e nello spazio, sulle sponde del mare Mediterraneo a Reggio Calabria nel VI secolo avanti Cristo dove è nato il poeta Ibico, poeta della Magna Graecia,

Ibico è tra i nove poeti eccelsi della lirica greca, secondo Cicerone è il poeta più infiammato d’amore. Sono rimasti solo suoi frammenti, carmi eroici e poesie d’amore. Per lui ogni stagione è tempo d’amore, l’amore come possessione, sensuale, totale, così forte da gelare il corpo. Lo stesso gelo è in questa poesia di Ines
Gelo (Ines)
Il freddo un tempo,
invidioso del caldo
del nostro amore
bussava ai vetri della finestra:
voleva entrare.
Ora che intorno è gelo,
beffardo mi guarda, e, sguscia via
seccando l’aria

Lo stesso gelo dopo 2500 anni. Ibico cantava il suo amore usando la lira fenicia o sambuca strumento musicale forse inventato da lui .
Come il vento del nord rosso di fulmini
A primavera, quando
L’acqua dei fiumi deriva nelle gore
E lungo l’orto sacro delle vergini
Ai meli cidonii apre il fiore,
ed altro fiore assale i tralci della vite
nel buio delle foglie;
in me Eros,
che mai alcuna età mi rasserena,
come il vento del nord rosso di fulmini,
rapido muove: così torbido
spietato arso di demenza,
custodisce tenace nella mente
tutte le voglie che avevo da ragazzo. 



Per Ibico Eros, non solo verso una donna, ma più probabilmente verso un altro uomo, un efebo,( allora la passione di un uomo verso un altro uomo era riconosciuta, senza pregiudizi, come si invita a fare anche ora dopo tanti secoli di intolleranza), Eros non riposa in alcuna stagione, non da tregua, tenebroso  spietato  possente, nel profondo, domina l’anima.

Un amore che inganna:
Notte (Ines)
Notte che avvolgi nel tuo mistero
Il mio dolore,
hai sepolto nel buio quell’amore
che tu stessa cullavi.
Ora non bastano mille e più sirene
Per addolcire il suo cuore;
altre dita accarezzano nel sonno,
il suo corpo,
ed io ti guardo con occhi spalancati
mentre m’inganni ancora. 


Un amore che sporca:
Farfalla
Quando sto con te
Mi sporco, non so perché

Nella raccolta di novelle “Le mille e una notte”,  siamo a Bagdad in Persia, il re Shahiriyàr, per una delusione d’amore, ordina al visir, di condurgli una vergine ogni notte. All’alba l’avrebbe fatta uccidere, per impedirne qualsiasi tradimento. La strage continua per tre anni fino a quando Sharazade, bellissima figlia del visir,  si  offre di andare dal re. Sharazade comincia a raccontare al re una storia incatenata ad un’altra e tiene desta la sua curiosità tanto che alla fine, questi, dimentica di ucciderla, e se ne innamora. Raccontare per continuare la propria vita e salvare quella di tante altre fanciulle. Così Sharazade, così Ines.
Poi
Poi
Quando la passione non si rifrange  più, e l’altro non è più lo specchio per noi, l’amore diventa assenza, lontananza, sospensione, cerca uno sguardo, una complicità che non c’è.

Nel VI  secolo avanti Cristo era Eros che possedeva gli animi, ora si chiama dipendenza amorosa ed i libri sull’argomento vendono molto perché ognuno vuole imparare a liberarsene.

Qualcuno è riuscito.

 Il percorso é per tutti lo stesso: l’innamoramento, l’esaltazione, la gioia, la condivisione, l’apoteosi, il delirio e poi l’inganno, il tradimento, la bugia, la lite, la violenza, la delusione, l’amarezza, e il ricordo di un sogno cancellato malamente sulla sua lavagna. Una passione bruciante, senza rete, senza interessi, convinzione che amor a nullo amato amar perdona,

 …

poi constatato che non basta amare se l’altro non vuole più, non sa più cosa vuole, allora, bevuto l’amaro calice della passione fino in fondo, ognuno può scrollarsi le spalle, guardarsi allo specchio, mettersi il rossetto e dire: Ora, anche se torni, anche se, come in una delle novelle delle mille e una notte, io sono stata ad aspettare alla tua porta per novantanove notti, ecco, tu, potrai bussare invano alla mia, non aprirò più perché questa volta sarò io ad essere andata via, perché ora, non è più tempo:
Ora non è più tempo
M’ami.
Eppure qualcosa manca a questo amore.
Mancano i sogni.
Mancano i cieli
Carichi di fiordalisi
Il volo dei gabbiani
La certezza d’andare per
Strade tempestate di topazi.
Manca la gioia
Di rincorrere rossi arcobaleni;
le risate sommesse,
le frasi dette a metà
le pause, i lunghi sospiri,
le occhiate furtive
i batticuori,
il nodo in gola.
Ma,
dici d’amarmi.
Io ti credo, ma, penso, che ora
Non è più tempo. (poesia di Ines Pugliese)
Ippolita Luzzo 







lunedì 2 dicembre 2013

prima parte- La mafia uccide solo d'estate



La banalità del male e il dovere del bene
Pif- La mafia uccide solo d’estate

Come si fa a ricordare senza mettersi a piangere, rivendendoli ora?
Pif organizza un film dolce e delicato, partendo dallo spermatozoo che riuscì a perforare la barriera uterina malgrado l’attacco mafioso e il suono ripetuto dei mitra nello stesso palazzo dove abitavano i suoi genitori. Era la sera del 10 dicembre 1969, quella della strage di Viale Lazio, la notte di San Bartolomeo, la notte in cui fu concepito Arturo
Con le immagini di “ Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma…” di Woody Allen inizia la carrellata di morti ammazzati, a Palermo.
Siamo negli anni settanta ottanta e novanta, siamo al tempo del governo Andreotti.
Andreotti sarà l’idolo del ragazzino, perché in una puntata di Bontà Loro con Maurizio Costanzo, lui, il senatore aveva risposto, implicitamente, ad una sua domanda.
Sia Veronesi che Pif riconoscono che senza Maurizio Costanzo quel periodo non avrebbe connotati.
Cose di Cosa Nostra era il libro di Marcelle Padovani che io facevo ogni anno leggere ai miei alunni: Cesare Terranova, Gaetano Costa, Giovanni Falcone, Mario Francese, Boris Giuliano, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici...
Questo film é un atto d’amore a loro che hanno creduto, a loro che sono persone perbene.
Se la mafia uccide solo d’estate, la codardia e l’assuefazione uccidono ogni giorno.
Mi chiedo spesso cinicamente a cosa sia servito tutto questo sterminio, me lo chiedo e oltrepasso i secoli, mi ricordo sempre di altre stragi che privarono il nostro paese delle intelligenze più vive.
Nel 1799 a Napoli con le parole di Giustino Fortunato « Parlo di quella vera ecatombe, che stupì il mondo civile e rese attonita e dolente tutta Italia: l'ecatombe de' giustiziati nella sola città di Napoli dal giugno 1799 al settembre 1800 per decreto della Giunta Militare e della Giunta di Stato.
Anche a Palermo è stata una ecatombe decisa politicamente per deliziarci poi di tutto quello che è seguito.