domenica 25 agosto 2013

da solitaria fra tacchi altissimi- W gli sposi



Da solitaria fra tacchi altissimi- w gli sposi



La liturgia è iniziata, io fisso i tacchi sottilissimi e lunghi della signora, forse coetanea, più o meno, davanti a me.

Due o tre frasi su di lei, non propriamente da riportare, mi ritornano in mente

Il vento le sussurra dopo averle sentite dette da chi la conosce

Io non la conosco, certo so il nome e il cognome, il lavoro e il marito, nulla più.

Eppure da quelle frasi che altri mi hanno detto, da due o tre immagini pubbliche, io guardo i suoi tacchi  che corrispondono a quello che …

Sono i tacchi della persona appoggiata , che si appoggia e svetta, con religiosità intensa, ha anche il cellulare aperto, ogni tanto da un occhiata… una minuzia eh, lo faccio anche io. Ma non si può, non si deve e non si vuole, soprattutto.

Tacchi vari, più grossi, più alti, zeppe,

 scarpe lacoste rasoterra, ai piedi di un ragazzo mi riconciliano con le nostre zampette, ornate.

L’azzurro intenso veleggia il mare dell’abbraccio materno, sempre vigile, verso il rosa pesca vellutata, olezzante di frutta appena colta, un peplo romano scende a colonne sfilanti un tempio attico, lei è bellissima.



Capitelli, fregi e putti, foglie di acanto, e sono già lontano, nei luoghi storici di canti pagani che accompagnavano la sposa con ditirambi e imenei.



Una arancio rosso mi rapisce, io mi innamoro all’istante, salvo scoprire che è lei la donna che vidi bambina in fiore, che è sempre lei, deliziosa umana, figlia dell’amica di assonanze.

Abbiamo colori diversi questa sera, chissà che colore avrebbe scelto sua mamma se avesse lasciato Roma per venire fin quaggiù!



Un cerchietto, un vestito a palloncino giallo mi danno  Audrey Tautou, sarà del gruppo francese, penso io, e il giallo si ripete in un’altra e un’altra ancora.

Sono molto soddisfatta del mio vestito con del giallo, mi sento un po’ francese, come lo sposo, principe azzurro perfetto dei romanzi di Delly e Liala.

Il principe azzurro, alto, biondo, occhi azzurri, giovane, che lavora nel campo ingegneria aerospaziale, modi educati e affettuosi, intelligente, disponibile all’ascolto, e questa è la favola più grande. 
Un uomo che ascolta e che invera quel che tu dici.

Meglio dei romanzi che tutte abbiamo letto

Qui siamo oltre.

Tu chiacchieri con una tua amica, dietro in macchina, di quello che vorresti fare, lui ha già conservato ogni parola e la traduce in realtà.

Una vera sciccheria, una goduria senza equivoci.



Me lo sbaciucchio, bacio la sposa e già mi sono seduta fra due donne che dal romanzo sono andate oltre il racconto, nell’esistenzialismo di Sartre e della Beauvoir, fra incastri e bivi, fra strade ferme e coincidenze, di un passato ripetuto mille e mille,  ricostruito ogni volta per non fare troppo male

La nostra serata finisce così… da domani chi lo sa

Il ritorno è interessantissimo. Io mi rinnamoro di una lei, bruna, effervescente e saggia, di una donna in verde ottanio il suo vestito, un verde blu che non lo è più, di una donna verde come la speranza vera che insieme si possa ancora comunicare bellezza, verità e sentimento in un frullato denso, di vitaminica energia…  e mentre lui  le cede  il volante della sua automobile, e mentre lei si toglie le scarpe anch'esse con zeppe o tacchi altissimi, e mentre  mette la cintura di sicurezza, io " m'accorgo che la vita è poesia se c'é l'amore"    w gli sposi.
 

sabato 24 agosto 2013

Ecco dov'è finito Ennio Scalercio- A Michele Placido







Laboratorio Gruppottanta di Cosenza



" CASA DI BAMBOLA"



di H. Ibsen



Regia di



Ennio Scalercio



Trovato  Ennio, compagno di scuola all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica a Roma, nel 1969, ora Michele Placido può dirci a  cosa serva avere un fermo proposito da calabrese testa dura?
 Forse di più potrà risponderci Ennio, che in quel sogno si fermò e lo realizzò.

Serata fuori binario stasera all’Abbazia benedettina,-Balada para un loco- , canta la voce della donna, questo che non è un tango tradizionale, brano composto nel 1969, da Astor Piazzolla una introduzione recitata, un  preludio come evocante un carillon di tempi che non ci sono mai stati se non nella fantasia o nella pazzia.

Un 1969 che ritorna nell’aria delle parole di Michele Placido come voce dal sen fuggita.

Serata che va per strade inusuali malgrado l’uso di poesie notissime che vivono di vita nel porgere nuovo del  verso  con maestria.

Avrebbe potuto anche leggerci un cartone di detersivo, stasera, e tutti saremo stati esaltati dalla bravura, dal saper leggere, dalla strabiliante empatia e amore fra chi legge e il suo foglio.

Lui, magnanimo, comincia con Anacreonte e un bicchier di vino, poi mima l’amplesso, sempre col foglio!, con la Pioggia nel pineto e si distende beato in compagnia di Neruda e la sua Ti amo quando taci.
 Mette uno zuccherino goloso di Gozzano e già siamo a Montale

 Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

      e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

      Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.


Già

Avremmo potuto chiudere anche senza Dante che ormai imperversa dai vari e improponibili viaggi di Dante che ci vengono continuamente riproposti in questa estate lametina.

Per fortuna  Michele Placido ci recita” Qual colombe dal disio chiamate”, e noi tutte chiamate e ammaliate dal suo garbo e dalla sua bellezza vorremmo fuggire dovunque con lui, con un foglio in mano, con un libro in mano, come Paolo e Francesca che proprio leggendo persero i freni e si innamorarono. 
Potenza della lettura!

Grazie a Michele, trillanti e felici, noi tutte torniamo alle nostre  case, ingombre di libri, cartelle e penne, fogli e poesie, amandoli tutti una volta di più.



     

martedì 20 agosto 2013

Donne senza orgasmo



 Donne senza orgasmo- il non detto ammala

La terribile diseducazione sulle nostre pulsioni elementari.

Seduta accanto a lei ascolto un racconto di una vita apparentemente soddisfacente ma terribilmente vuota di piacere, il piacere incredibile e saziante che viene dall'incontro con l'amato.

Lei beve pasticche, ansiolitici e antidepressivi a gogò, convinta di essere sbagliata.

Mai avuto un orgasmo- mi confessa-

Io allibita- forgiata teoricamente sulle tante letture “ Noi e il nostro corpo” sulle riviste e su tomi di filosofia…

Avrei voluto domandare:- Nemmeno con la masturbazione?-

Ma questa  è una domanda che non si deve fare a chi, pre sessantotto, la reputava una pratica sconveniente anche ai maschietti, figurarsi alle femminucce!

Infatti non la faccio.

Comincia a raccontarmi di come  abbia sopperito a questa sua mancanza con tavole imbandite, con casa ben arredata, con figli ben seguiti, con camicie stirate.

Tutto perfetto tranne il letto.

Sul letto  si irrigidiva, fredda come il marmo, e lui sempre inesperto, nemmeno ci provava. Sbrigava il suo daffare con gran celerità ed era già finito prima di cominciare!

Non ci posso credere!

Lei avrebbe voluto che fosse stato lui ad insegnarle il sesso, lui, timido come lei, suppongo avrebbe desiderato che fosse stata lei…

Passarono tanti anni, adesso sono troppi, per disincagliare un logorio antico, meglio attutirlo con tante pillolette.

E si sa

Poi, si sa, col tempo anche le rose

un mattino non fioriscon più

e così andarono le cose

anche il buon vento non soffiò mai più.



Quelli erano giorni

oh si, erano giorni

al mondo non puoi chiedere di più

ma ripensandoci mi viene un nodo qui

e se io canto questo non vuol dir…


Dire le cose attutisce il tormento?

Comincio a dubitare del potere salvifico della scrittura che mi spinge sui tasti a dare voce alle tante, ai tanti che mi chiedete un foglio…

Potrò ridarvi il piacere sciupato da una educazione repressiva e ignorante che tratta il sesso come curiosità, come il morboso da cancellare, oppure al contrario da una televisione che usa il sesso per vendere prodotti e fiction?

Fra uno e l’altro lo stesso identico disprezzo per un corpo, per l’incontro, per il sacro e delizioso momento che ci creò.

Un annichilimento che mi procura sempre amarezza  e dolore… lo sciupio dei nostri giorni, del dono della vita.


domenica 18 agosto 2013

Se ami troppo non puoi uscirne viva... continuazione del post precedente



...da- il re di chi ama troppo- canzone di Fiorella Mannoia

Se ami troppo non puoi uscirne viva. O vivo.

Se aspetti dall’altro la stessa cura e attenzione che metti tu, puoi già metterti una corda al collo che più dolce sarà  il soffocare.

Chiedo al mio pargolo se mi accompagna  in montagna per assistere alla presentazione di un libro.

Ci tengo a questo appuntamento e lui promette:- Certo-

Passano due giorni e arriva il dì e il piccolo mi dice che non può.

Mattina trascorsa nel rimpianto di quel momento che svanisce al sole senza un perché.

Organizzo altro e già mi sono decisa, quando lui, il tesoro, a poche ore dal lieto evento, mi informa che mi accompagnerà.

Sì, ma quando?

-Tranquilla- mi fa lui, ci vogliono solo tre quarti d’ora. Risparisce.

Io, intanto disdico il progetto alternativo e aspetto lui.

Mi doccio, mi vesto e aspetto, aspetto fino allo sfinimento. Il suo telefono mi da segreteria telefonica.

Arriva fuori orario, ancora da cambiare:- Tranquilla- lui mi fa, arriveremo in tempo.

Saliamo in macchina e la strada?

Chissà quale sarà! Io dico vai di qua, lui invece va di là, io protesto e digito un maps e ricordi.

Lui prende il cell e telefona al suo papà, che ne saprà uguale, intanto già che c’è imbrocca una statale, forse per l’autostrada?

Ma se si pigliava prima… Comincio a urlare e urlare, ora me ne voglio andare, in quella macchina e in quel modo  ci ho buttato gli anni miei, nel nulla che è importante, del tutto e che ci vuole?

Rivedo uguali uguali tormento e indegnità, voglio scappare via, via da questo qua.

Se questo è amore, lasciatemelo dire, è una gran boiata.

Se stare con un uomo, figlio marito o padre, comporta sta bellezza, tutta sta giostra è inutile, amore più non è.

Sciupio di forze, di entusiasmo, di grandi energie, buttate nel cassone dell’ideale family.

Io sono esausta e voi, ancora rimpiangete amore amore amore?

Amore un corno!
Alfonso Berardinelli scrive:- Quando l'amore è vissuto come surrogato, come risarcimento di una esistenza sentita per tutto il resto come fallita, allora implode, distrugge se stesso- 
ed il filosofo Alain:- C'è in fondo a tutti i viventi un potente amore di ciò che è, cose e persone. Senza questo amore un nonnulla vi ucciderà, anche un rimprovero-
Ed allora non dobbiamo essere re o regine di chi ama troppo ma semplicemente avere rispetto del nostro amore che è creazione e entusiasmo, non distruzione, possesso, morte, disprezzo, indifferenza.. tutte cose. che si accettano per paura di restare soli, senza amore... proprio quando di amore non ce ne sta.



 

" Il re di chi ama troppo"



Carissimi- Tiziano Ferro scrive ”Sono il re di chi ama troppo”
Canta insieme a Fiorella Mannoia, una bella voce.


Donne che amano troppo- Norwood Robin
La bibbia per amori distruttivi

Ascolto la canzone imbestialita e seccata da tanta agiografia.

Sulla parola e sul verbo amare troppo si è detto.
Secondo la canzone Amore è pazienza, affetto, attesa, perdono
Poi questo amore va via e lui, il re di chi ama troppo, nemmeno se ne è accorto!

Incontro, studiando questo testo, un altro testo- Il movimento del dare- l’album in cui è presente la suddetta  canzone  “ una ballata che racconta il punto di vista di chi si spende totalmente in amore, rischiando così spesso di rimanere bruciato.
Ok
Poi mi leggo- Il movimento del dare-
Anche questo testo banalmente scrive che abbiamo imparato dagli insetti o dalle rose il movimento del dare.

Mah!
Cerco di capire dove stia la magia nel dire che
 “Sono il re di ciò che ho detto
Condannato dal difetto di chi
Pensa sempre nero solo
Perché ama per davvero”

Cosa voglia dire questa frase io ancora non ho capito… che è pessimista e pensa che vada tutto alla malora., perché ama e sa che finirà?
Allora se la va cercando la sfiga, dico io!

Forse l’unico pensiero di senso compiuto è questa strofa:


Sono il re dei troppi errori, dei pensieri messi fuori
Sono il re della distanza, sono il re di te e di me
Sono il re di chi lo dice ciò che sento
Sono il re del tuo ricordo buono a niente


Carissimi ragazzi, l’amore non è…
Sicuramente le pulsioni ci sballottolano verso un altro, altro che poi costruiamo noi, con la fantasia.
Non amiamo l’altro, amiamo il prodotto che elaboriamo.
Ci sembra l’aria che respiriamo e re o regine amiamo troppo.
Vorremmo da lui o lei attenzione e tempo, pazienza e affetto, quello che noi crediamo di stare dando a lui o a lei.
Se lei o lui facesse similmente con noi, noi scapperemo via a gambe levate, il troppo amore è una catena, una prigione.
Lei o lui, per fortuna, per l’altro, ci sfugge, e noi ci incaprettiamo da soli , mani e piedi, col fenomeno ben noto ai mafiosi, che eliminano così i parlanti, col sasso in bocca e per strozzamento da voglia di liberarsi da lacci.
Amore questo? Io direi malattia.
Dipendenza da un altro, terribile incapacità di essere felici senza che un altro o un’altra ci gratifichi.
Amare troppo vuol dire fissazione, possesso, non vivere
Re e regine che noi siamo, uno solo sarò il nostro grido:- Ah, Tizià, e datti na regolata!-
Noi non amiamo troppo, ci basta amare e respirare, anche se lei o lui non ci fanno la respirazione bocca a bocca.
Noi vogliamo amare e dare, cantare ed essere liberi di un vivere dignitoso che solo ci darà una felicità.