martedì 18 giugno 2013

Una piccola felicità- Baliva



Una piccola felicità- Baliva
Dalle novelle di  Giovanna Adamo Caparello  al racconto di  Marisa Provenzano

Una piccola felicità è una raccolta edita da InCalabria Edizioni, nel maggio del 2013, di storie pubblicate su Bella, rivista femminile, negli anni che vanno dal 1954 al 1965 dall’editore Rizzoli.
Ogni novella veniva  regolarmente pagata tremila lire a cartella, ogni novella era un regalo che la scrittrice donava a se stessa, con la segreta gioia di usare penna e foglio.
Lei aveva dovuto interrompere gli studi da bambina, era morto il suo papà, ed  a quel tempo la bimba, le bimbe, erano tutte o quasi cresciute senza scuola.

Mi sembra un delitto incruento e sofferto privare moltissime dall’immenso mondo del letterario, del conoscere… alcune si organizzarono
Fra queste  Giovanna riprese in mano libri, tanti libri, fogli, penna e iniziò a scrivere dappertutto.
 Saltò la prigione del non leggere, saltò ed evase nel libero mondo della fantasia
rimanendo una signora composta e attenta, una moglie devota, una mamma affettuosa.
Scriveva
La stranezza, però, venne incanalata, venne regimentata, venne aiutata da un concorso su una rivista, concorso che lei vinse e vide pubblicate sul giornale nazionale il suo piacere.
Una fiaba vera la sua.

Baliva è un racconto edito nel 2011 dalla casa editrice Arduino Sacco Editore
Un racconto del nostro presente
Marisa, la scrittrice, ha studiato, si è laureata in filosofia, è una donna che scrive
Lei, come noi,  ha riscattato tutte le donne che… subirono l’arresto dei loro studi e trascorsero sognando un banco una cattedra un libro tutti i giorni a venire.
Lei ha insegnato, lavorato, ha scritto divorata dal fuoco, dall’urgenza impellente di fare storie, senza mai considerare una stranezza quella febbre. 
Baliva è la sua fiaba
Poi verranno gli origami.
Mi piace pensare che due donne di tempi diversi, di luoghi diversi, Giovanna vive solo nel ricordo della figlia, mi piace vederle vicine nel tessere insieme trame dolorose e sentimenti profondi con una mano leggera.
La stessa mano
Una femminilissima sensibilità e pudicizia, una accoglienza calda  trattenuta da educazione, un voler, entrambe, sfiorare, solo sfiorare, il difficile mondo del vero, del reale.
Auguro a tutte le donne
Auguro a noi tutte di poter saltare nei prati verdi del nostro immaginario con libri e con fogli, auguro storie come Baliva, come Una piccola felicità
Auguro che il nostro tesoro sia sempre attingibile in libertà
Nel volo che con  ali di fantasia solo si fa, nel sogno tangibile... una frase per dire



domenica 16 giugno 2013

Culturannoiando si può



Culturannoiando si può
Cultura uguale noia
Molto bene molto bene.
Se è questo il manifesto dei nuovi futuristi del millennio appena iniziato
Se non passarono invano Balla e Marinetti
Se stiamo con Breton e i suoi collage, se abbiamo letto Barthes e i suoi frammenti
Come possiamo ora annoiarci all’alba del nuovo che avanza?
Una fatica pazzesca.
Eppure ce la mettono tutta, tutto il sapere, l’impegno, gli studi e a volte finanze, tempo e danaro, gli organizzatori, le associazioni, il comune, per darci il frutto del loro lavoro.
Una cultura deve essere fatta, così dicono nel manifesto, da tanti invitati che relazioneranno, dal politico o vescovo benedicente, dal critico premiato e onnisciente, da un pubblico plaudente e connivente.
Molto bene molto bene.
Spettacoli musicali, teatrali, artistici si susseguono, presentazioni su presentazioni dell’ennesimo libro, uguale preciso a quello di ieri, giornalisti solerti poi su carta stampata riportano il garbo, il calore e l’accoglienza degli spettatori in sala.
Molto bene molto bene  se non fosse che, appena il teatro, la sala, il cortile sfolla, già si odono rumori di fondo sulla noia profonda di essere stati puniti ancora una volta.
Molto bene. L’ingenuità di credere che cultura sia leggerezza e colore, brevità e rapimento, stupore e sorriso, l’ingenuità è un peccato.
Scontiamolo dunque con tre Gloria al Padre, cinque Pater Noster, e sorbiamoci il luogo cultura del genio dei tempi.
Senza obiettare. Noi, spettatori,  siamo nessuno. Noi siamo soltanto delle sedie occupate che servono tanto alla scenografia.
Ci sostituiranno nel tempo con manichini, con droni telecomandati.
Veramente lo hanno già fatto… culturalmente.



domenica 9 giugno 2013

La fruizione culturale



La fruizione della cultura al tempo dell’offerta senza troppe domande.
Tu sei una fruitrice-  mi dice il libraio al termine di uno scambio di idee
Io sono una fruitrice-  mi ritrovo a pensare, mentre mi allontano perplimando, verso la mia panda viola abbandonata a sghimbescio accanto a un muro.
Fruisco di un’offerta culturale, era questo il contesto della conversazione.
Fruisco di eventi proposti che mi permettono di ascoltare Luca Telese a tu per tu, con mia grande partecipazione
Fruisco  Freccero e la sua storia della televisione privata e pubblica, naturalmente e chiaramente- avverbi ripetuti da lui fra una frase principale e una secondaria, innumerevolmente
Fruisco  conversatori ferventi che infilano un praticamente fra un nome e un cognome  deliziando il pubblico affluente
Fruisco tanti - diciamo, cioè, appunto, comunque – fruiamo messe in scene di vere opere d’arte e spettacoli scadenti
Fruiamo una offerta eterogenea che non segue nessun criterio logico di selezione e che ha l’applauso indipendentemente dal prodotto culturale.
Chi dovrebbe selezionare l’offerta?
Io questo non lo so, io sono una fruitrice, posso alzarmi e andare via se il prodotto non mi interessa oppure annoia, posso  restare e scriverci sopra se mi interessa e mi sollecita, posso liberamente esprimere cosa mi piaccia o meno e ringraziare gli operatori culturali che incidono con anestesia dolce o pesante una artistica escrescenza tumorale.
Nessuno leggerà mai le pur leggere osservazioni di una fruitrice ignota, incauta e irriconoscente che si estasia all’ascolto di Fabrizio Basciano, vero talento musicale, alle fotografie rarefatte eppure vive di Tommaso, alle opere pittoriche e materiche di Rina, alle tentazioni di Cimorelli,ai suoi cuori di lamiera, solo materiale di recupero,  alle tante sollecitazioni che propone il Teatrop,
 nessuno domanda all’ignota fruitrice se ha gradito il pranzo offerto, cucinato dal Miniculpop... scherzi a parte!
La cultura cucinata da cuochi che non chiedono ai commensali capacità critica è solo un piatto di portata che i comuni, gli enti locali e le province,  regioni e assessorati , danno al popolo festante come alla corte di Lorenzo il Magnifico veniva offerta al pubblico la visione dei pranzi nobiliari.
 Passavano le portate fumanti e il popolo annusava
Rotolavano le briciole per terra e il popolo litigava

La fruizione culturale al tempo di lor signori.


Ma io vivo altrove e  nel mio  regno sento che 
 sono intorno nate le viole...


giovedì 6 giugno 2013

Scrivere Polvere-



Scrivere polvere – la storia di chi scrive al sud-

Chiudo il libro e sento lo stomaco stretto, ingoio  un vuoto spesso e polveroso, mi alzo dal lettino retato che mi aspetta ogni giorno al  sole del  mio piccolo terrazzino assolato, mi rigiro con il libro in mano e tante associazioni nella mia mente: figure, anime
lo zio della mia amica Elisabetta che stendeva ottimi canovacci  di commedia dell’arte, persi, mai scritti, oppure scritti su polvere
lo zio del mio amico Piero che riportava su quaderni neri, fitti, fitti, i fatti di tutte le generazioni precedenti,  persi, oramai nella polvere
Le lettere di mio nonno a mia nonna- strappate-  mio nonno scriveva benissimo, suo padre lo tolse da scuola, lo mandò in campagna a fare la rame alla vigna,
 mio nonno si riscattò, non scrisse più, perse, nella polvere di un vivere piatto  e comune, i suoi pensieri.
 Allora la vita nel sud aveva tempi lenti e tragici scanditi dallo sciupio di una leggera allegria-
Quale allegria …per essere stato ucciso quindici volte in fondo a un  viale…
Senza allegria. Un sud dove il malocchio, la jella, sono il mercato nero di sentimenti atavici e mostruosi , dove il bozzo sulla testa, frutto di una noncuranza, segna per sempre e decide il destino di uno solo e  trascina quello  di tanti.
Senza allegria- Un sud tragico da vero e proprio mangia polvere, come le nostre strade che non portano mai a niente.
Un libro scritto sotto un tavolo, fra le briciole, scritto a testa in giù, scritto per riscattare i tanti, i troppi scrittori silenziosi e dolenti che hanno impresso sulla tela pulviscolante del  nulla i geroglifici di anime non comprese e addirittura  modellate dalla plastilina fino ad assumere l’orrido aspetto del Poeticchio
Un mondo duro, un mondo nero, e la copertina del libro è nera, con riquadro sangue, con cuore appeso al gancio ed esposto alla finestra sociale.
Senza pudore e senza misericordia … il sud che è stato, il sud che ancora è, sotto la coltre  del consumo, dei centri commerciali, dell’arroganza del potere, della sciatteria dei cenacoli che continuano a lasciare solo polvere alle anime pure.
Un libro denuncia sommessa, un libro, che fra maledizioni e chianche infestate dalle erbacce dei trulli pericolanti, trova, nell’asfittico spazio della poesia, il canto e la luce degli affetti, unica speranza salvifica che nulla venga più scritto sulla polvere
Scrivere polvere – primo romanzo di Daniele Semeraro, lo pubblica Incipio –una collana per esordienti della Lupo editore-
Un inizio non più nella polvere ma nel foglio, nel libro che apparterrà ai lettori, che leggeranno tutto quello che una sbadata scopa portò via da sotto il tavolo di tutti noi.  
Ippolita Luzzo 

martedì 4 giugno 2013

Un libro può- da Il Quotidiano di Calabria

Lunedì 3 giugno  a pagina 14 su Il Quotidiano di Calabria


Cirò Marina- Lo lascia e lui la pesta, in coma.
Il padre della ragazza:- Non denuncio perché è inutile ma scriverò un libro-
Leggo l’articolo con commozione, con partecipazione.
Vicende così, di maltrattamenti, sono frequenti, meno usuale è la risposta.
Scriverò un libro.
Tolstoj scriveva per giustizia. Raccontava le falsità con tensione morale, raccontava e cercava una società buona, ci  indicava sempre una luce …
Leggo di nuovo le parole del padre della ragazza, mi sembrano bellissime, Tolstoj ne sarebbe stato felice.
Cercare una luce nello scritto e  condividere la sofferenza  in unione con chi leggerà forma una comunità che forte ci renderà.
Sono parole di Tolstoj, l’unione che vince il male, la disunione accresce il male.
Bene ha fatto la giornalista a sottotitolare  un articolo di violenza con  il proposito di un padre che va oltre il suo momento personale e  vuole dare un avviso a tutte le adolescenti.
Un gesto di volenza non è un gesto d’amore- lui dice.
A Cirò Marina come in ogni altro luogo del mondo comune, noi, che amiamo leggere e scrivere, deleghiamo a pensieri scritti una verità semplice di ragionevolezza, di non imposizione, di non soprusi.
Nel tribunale ideale, senza carceri e senza pene, il giudice si appella alla coscienza dei presenti in un immaginario confessionale lavacro storico di ogni comunità.
Se un libro possa o non possa lavare coscienze sporche, se un libro possa o non possa illuminare vite buie, noi questo non lo sappiamo, nessuno lo sa, ci basta però tendere un foglio, un blog, un racconto per dare aiuto a noi stessi e agli altri di noi in un bene comune che chiamiamo persona.
La dignità di questo uomo, di un padre addolorato, la sensibilità della giornalista e del suo quotidiano, il mio leggere accorata e di chi mi leggerà costituiscono insieme la società giusta e dolente, l’aperto cielo dove gli ideali, come aquiloni coloratissimi, scriveranno sulle nuvole regole eterne di rispetto per chi sta giù.
Un libro è per tutti un libro che va oltre la violenza e la cattiveria, oltre il disgusto e la rabbia, oltre l'impotenza
un libro può 
Ippolita Luzzo