venerdì 17 maggio 2013

alle prime luci dell'alba



Arrivano così,vero?
16 maggio 2013

Alle prime luci dell’alba nella Locride altrettanto povera e disperata.
Povera di spirito e non preparata, una comunità di indigeni guarda con sospetto e sfiduciata  questa gente, pulviscolo umano numeroso e bisognoso di tutto.
Le forze dell’ordine obbediscono agli ordini e con i pochi mezzi a disposizione impongono l’ordine e i primi soccorsi poi questo pulviscolo sarà distribuito in centri di accoglienza.
Sarà messo in quarantena, come facevano con noi italiani in America, probabilmente.

Io li incontro sulle strade che non portano mai a niente con in mano bottiglie e buste di plastica, li vedo camminare e camminare, a camminare sulla nostra statale 106  si arrischiano solo loro che non sanno di camminare sulla statale della morte.
Li incontro e ne sento una solitudine fraterna, una desolazione di sperdimento, un essersi perduti per sempre, noi insieme a loro, in un involucro insociale incredibilmente sempre più stretto malgrado la sua inconsistenza.

Alle prime luci dell’alba
Un film con David Carradine, un romanzo,
le prime luci dell’alba di un millennio medioevale oscuro e terribilmente cruento per molti per tanti
le prime luci dell’alba per pochi ricchi, molti ricchi sempre più egoisti, rinchiusi nei loro fortini, nelle loro dacie, nei loro privilegi

Le prime luci dell’alba di un agire medioevale sul medioevo futuro e tecnologico che sono i nostri giorni

Ci basterà una preghiera? Potremo noi arginare il mare se non siamo nemmeno uno scoglio?
E come possiamo, noi europei, italiani, calabresi, reggini, locresi accogliere, aiutare e dare un’alba a chi sbarca sulle nostre coste?
Una volta all’arrivo dei saraceni scappavamo sulle montagne
Ora anestetizzati da un falso benessere e da mezzi di persuasioni di massa siamo certi che saremo in grado di assicurare a noi e a loro un nuovo giorno da vivere
Una fideistica speranza
Ippolita Luzzo 

martedì 14 maggio 2013

I droni siamo noi?



I droni siamo noi?

Nati come aerei spia senza munizioni a bordo, oggi sono dovunque.
Fanno il ronzio di un’ape quando si avvicinano, spariscono dopo la ricognizione,
oppure  dopo aver seminato un po’ di fiele.
Telecomandati. La resistenza è inutile.

In Star Trek i droni assumono visi umani, espressione e mimica facciale uguale a noi,
Il drone Borg è una specie ibrida cibernetica tra organismi umanoidi e macchina, il concetto di singolo individuo non è concepibile all’interno della collettività in quanto ogni drone è interconnesso attraverso una coscienza collettiva, il fine ultimo è l’assimilazione degli individui ancora pensanti
L’individualità personale del soggetto subisce un percorso di inabilitazione…per mezzo dell’isolamento dei percorsi sinaptici
Sembra fantascienza.
Asimov, vero?
Osservo il nuovo eppure antico muoversi delle genti in centri commerciali abitati da Droni, osservo piazze e municipi sventolanti bandiere inneggianti la società umanoide Borg
Osservo, nel molto piccolo, posti a sedere occupati da droni.
Telecomandati. La resistenza è inutile

Sia come macchine da guerra, sia travestiti da agnelli, il fine ultimo è l’annientamento della coscienza individuale, la distruzione di chi non  si sottomette, l’omologazione.

Sposto sempre nel molto piccolo e nello scherzoso una fantascienza che non ci appartiene, che mi auguro non diventi realtà e guardo sedersi in tanti ai loro posti per ascoltare una conferenza.
Educati e composti, ben vestiti e disciplinati, occupano le sedie del convegno promosso dalla loro associazione.
Non importa quale sia l’associazione, basta che sia la loro associazione.
Telecomandati. La resistenza è inutile



martedì 7 maggio 2013

Col cuore in gola- di Gianni Caruso




 A Gianni scomparso improvvisamente solo ieri


13 luglio 2011

Col  cuore  in gola- il libro di Gianni
Non leggo in modo neutro, non leggo in modo obiettivo, non leggo. Interpreto. Specialmente ora. Specialmente questo libro che appartiene alla mia città, alla mia adolescenza, ad un tempo vissuto sul corso Numistrano, ad un tempo reale ma irreale, trasformato dal ricordo.
Lo scrittore non è uno scrittore, è Gianni, il ragazzo di allora, insieme a Stefania, mano in mano, ed io non sono io, sono sempre la ragazza liceale di un tempo. Siamo seduti tutti insieme su quella panchina con un giornale aperto. Fermi nel ricordo.
Leggo ancora avidamente, veloce, saltando le pagine, ritornando indietro. Poi rileggo. Con calma   
 IL cuore in gola-  Anna e l’attacco di panico-.
Un ostacolo, un ponte alto, sospeso nel vuoto, non puoi attraversarlo, una galleria buia, ti tremano le gambe, la curva di centuvinti,  ti fermi lì e non arrivi allo chalet!
Lo spazio diventa sempre più ristretto, il cuore batte a mille, la lingua si secca, le mani sudano, le gambe si bloccano. Il panico!
 Non avevamo panico allora. Si andava nella cellula e si veniva indottrinati. Sarò andata qualche volta anch’io, si andava e poi si gridava “Vogliamo tutto” (Nanni Balestrini)  e solo adulti, guardando il film “Le invasioni barbariche” film canadese che prese l’Oscar, abbiamo capito che non avevamo capito niente.
Ma è così per tutte le generazioni, è così per tutti i movimenti, è così anche per i rapporti umani, amichevoli, amorosi, di lavoro.
-Scusa, non ho capito-  vedi, forse non hai capito  tu-
non ci siamo capiti- non abbiamo capito un ca..o!
E’ per tutti così però è stato bello provarci e non avere il languore, la nostalgia il rammarico di non aver combattuto, di non aver litigato, di non aver amato, di non aver potuto mai dire le proprie ragioni.
Gianni, nel darmi il suo primo libro in mano,  ha aggiunto:- Hai sempre scritto bene, hai sempre parlato bene. Poi ti ricordi? ci facevi la testa così col femminismo!- Io?
Ero io quella donna che Gianni mi riportava? Io non ricordo o vagamente. Inghiottita nel passato  e dopo che ho fatto? Non  ricordo.
 Si fa così un percorso indietro. ”A ritroso”  Huysmans.
 Le citazioni mi vengono da sole, non le cerco, mi vengono come alle altre donne  o uomini vengono in mente fatti e rifatti di ogni pettegolezzo cittadino.
 Io invece unisco e collego libri, film, canzoni.  A volte sono quasi irritante,  non lo faccio apposta,  mi viene naturale.

  La mia città allora e dopo. La lottizzazione di Magolà, il restauro di via Garibaldi, le manifestazioni operaie sul corso Numistrano.
 La nostra città,  protagonista nel libro, la città che vive e si trasforma, le gru che alzano palazzi, il verde che non c’è più.
 Selvaggia, incontrollata, l’edilizia cancellò il giardino della chiesa di Santa Maria Maggiore, il palazzotto dove ora c’è l’ufficio del lavoro, la profumeria Valentino.
La nostra città che non c’è più. Perché... Todo cambia… D’accordo!
 Qui il cambiamento è stato fatto senza educazione, senza rispetto dei luoghi.
Ed i protagonisti del libro, gli uomini cambiano nello stesso modo.
 Sembrano bravi ragazzi, sembrano innocui, rispettosi, e poi lo scempio. Di tutto. Di  tutti. Innocenti. Non c’è violenza in quella coppia a tre. Solo sguardi. Non ci sono allusioni, solo pensieri.
 Ma è più letale pensare e non fare che fare e non pensarci più.
Tutto quel che non avviene eppur distrugge.
 Lo specchio illusorio confonde, disorienta, ubriaca. Presi al laccio i protagonisti maschili scompaiono. La donna dovrà elaborare il panico.
I personaggi sono volutamente semplici, banali come è banale la vita  di ogni giorno.
 Sono proprio così, penso, alcuni ceti sociali della media piccola borghesia.
IL mondo della piccineria, delle piccole cose, alla Goldoni, della noia della villeggiatura.
 Vite senza spessore rincorrendo facili guadagni, la barca senza la passione del mare, l’orologio da  venticinquemila euro, l’ultimo modello di automobile, di scarpe
. -Ceniamo da  P? Stasera, domani, ma sì! -Che bello questo vestito!  E’ di Prada?-  
Vanno a sentire musica ma non amano un genere musicale, forse si, Gianni Morandi, Massimo Ranieri – Bravi, per carità-.
 Vanno a sentire le conferenze  perché –  Sai… siamo sponsor-.
 Vanno, chissà dove vanno! E poi come Gino la fanno franca, spariscono, stanno sempre dalla parte vincente . E lasciano i cocci.
Ernesto muore. Povero Ernesto. Che pena mi fa! Gino è una lumaca, lumaca fino alla fine, non si vive ai margini di una coppia, non si beve senza sporcare  le labbra, non si guarda e si è innocenti.
E seppur donna non capisco lei che nel benessere non riesce a recuperare i suoi studi, come anestetizzata dal ruolo, in un gioco di specchi   fra due uomini in sfida.
 Io l’ho vista così, per ora, senza nemmeno il sollievo che il bravo psicologo sia riuscito a guarirla dal panico. Sono rimasta lì smarrita davanti alla malattia di Ernesto, alla sua morte, ad affetti cancellati, ad una bimba senza il papà, ad una donna senza il suo uomo. Chi  darà loro più quel che hanno perso?
Ed ho capito  che questo libro è una tragedia greca solo che al posto del deus ex machina ora abbiamo la tripla dissociazione!  Voglio finire scherzosamente. Non me ne volere!  E’ stato bello leggerti.
Il cuore in gola-seconda parte                      alla rilettura
 Ora non siamo nell’antica Grecia! Tutte ‘ste tragedie! Non ne possiamo più.
Ora le discipline psicologiche sono attrezzate. Tecniche diverse  si attivano per lenire il disagio, il dolore di non essere riconosciuti, di non avere una identità, di essere un nulla, un niente, solo una pedina sullo scacchiere della vita.
 Tutto si cura ed è una cura  fatta con la parola. Una parola per riprendere il cammino. Una parola condivisa perché anche lo psicologo ha bisogno di parole, ha le sue incertezze, i suoi dubbi, i suoi momenti no.
 Non ci sono farmaci per il malessere dell’anima, non ci sono ricoveri,  ma respiri, attenzione, fiducia. L’attacco di panico è solo la spia del disagio, ci inchioda nell’incapacità di reagire, ci inchioda per paura che poi liberi possiamo correre. Correre lontano dalla noi  stessa  che non piace più.
Una bella corsa, ma non lo sapremo fino a quando non proveremo
Lo psicologo termina di raccontare la storia dicendo:- Ci sono dei momenti in cui la vita  impone dei cambiamenti e se non siamo pronti il nostro corpo reagisce ammalandosi-
Comincia il folle giro dei medici  di famiglia, dello specialista, dello psichiatra, non me ne vogliano gli amici, ma ho sentito troppi psichiatri dare facilmente farmaci terribili per situazioni non patologiche,  ho visto troppe persone private della loro individualità per una goccetta di troppo.
 Non esistono farmaci per la felicità! Le minacce del mondo esterno sono create dalla nostra conoscenza, lo diceva anche Platone, l’uomo guarda le ombre  riflesse nella caverna e pensa che sia tutto lì .Così facendo si rimane intrappolati nello stesso pensiero e per anticipare la sofferenza tutti  ci avvitiamo in un gorgo che col tempo ci trascina alla disperazione e alla depressione. Non se ne può veramente più!
Ragazzi nel momento più bello, donne giovani alle prime delusioni amorose, cinquantenni  impauriti dalla defaillance, donne  mature abbandonate alle cure della casa e con i figli ormai lontani.
Tutti soffrono. Tutti prendono il Prozac, un po’ di Control, gli uomini una pillolina blu e tutto va. Ma dove va? Nel panico, appunto! Aiuto!
Dobbiamo andare dallo psicologo che ora  in un luogo aranciato, solare, verde muschio,  ci ascolta con attenzione, donandoci quello specchio che ostinatamente ci viene negato.
Così nel vedere la nostra immagine riflessa e nel sentire le nostre  stesse  parole, ma sì, insomma, tanto male  non siamo, anzi a dir la verità, siamo proprio in gamba, capaci, forti. Consapevoli che la vita è una, che noi ci siamo e che tutto ci appartiene.
 E nel ridare a Gianni in mano lo specchio che gentilmente ha sempre porto,nel ridare a lui la possibilità di rivedersi in noi, c’è tutta la verità delle nostre relazioni. Noi siamo gli altri, noi esistiamo se ci sono gli altri, noi amiamo per essere amati, per vivere  insieme una realtà vera e non virtuale.
 Vedrai com’è bello vivere con piacere in mondo di sogno  tutta  luce e libertà!
 Vero, Gianni?
Con affetto                            
  Ippolita

domenica 5 maggio 2013

Viaggio conclusivo



4 Maggio 2013

Viaggio conclusivo progetto ” L’oro del Mediterraneo”

Dal porto di Vibo a Capo Vaticano, con sosta davanti Sant’Irene, luogo in cui è sommersa una peschiera di tardo impero romano.

Duecentocinquanta ragazzi, dalla scuola primaria alla scuola secondaria, salgono sulla motonave Magic Panarea con gli insegnanti, la dirigente scolastica e alcuni  rappresentanti delle associazioni che hanno aderito all’invito del liceo Statale “ Tommaso Campanella”

Si parte.

Il mare é azzurro, il cielo é azzurro, gli occhi di molti ragazzi sono azzurri.

Tutto è azzurro.



Vivo per lei -suona alla pianola Giovanni

Cantano in tanti, cantano anche Giorgia e Bocelli, cantano e suonano i ragazzi che hanno trasportato strumenti e casse sulla nave per dire al mare che loro vivono per la musica.



C’è un grande entusiasmo, c’è disciplina, ordine e movimento, c’è una gioventù che fa tenerezza.



Incontro Tadzio di Morte a Venezia, mi fermo a domandare come si chiami ora, e lui mi risponde:- Domenico- e poi puntualizza di non essere polacco, di aver visto il film dal romanzo omonimo.

Incontro Carla Bruni e non oso fermarla, non posso andare in giro sulla nave chiedendo loro cosa facciano tra noi…la Primavera botticelliana, le donne di Raffaello e Tiziano insieme alla Carmen di Bizet e alle donne di Almodovar

Mi costringo ad essere discreta, ad osservare richiudendo i loro visi  in romanzi, in film, in canzoni.

Nel mentre la giornata si scansiona con le parole esplicative della prof Michela  e dell’esperta in archeologia Valeria che porterà personalmente alcuni degli alunni  nei fondali marini, immergendosi con muta ed occhiali.

Il sole è alto nel cielo azzurro.

Le bianche scogliere di Tropea si riflettono nelle acque che baciano le sabbie anch’esse bianche.

Si scende e si sceglie di andare al mare oppure sulla rocca.

Su un masso di arenaria compatta, palazzi sei-settecenteschi con ricchi portali scolpiti, strade strette,  piazze improvvise e squarci su un mare turchese vengono raggiunti solo salendo gradini leniti da una brezza leggera.

Alcuni si sdraiano sulla  sabbia, fanno il bagno, corrono e scattano fotografie, mandano messaggi, postano su facebook lo splendore.

Si riparte e si ritorna indietro per riprendere due o tre rimasti sul molo…

Imprevisti di tutti i viaggi… altrimenti che viaggio sarebbe?

Ora sulla nave  gli alunni si divertono ad imitare i loro prof.

E il thauma prende la parola.

Francesco, superata la timidezza iniziale, insieme ai suoi compagni ridà vita a  gesti e frasi di Sabrina, Michela e Franco…rispettivamente loro insegnanti di italiano, filosofia e matematica.

Credo che Michela abbia pronunciato tante volte in classe - thauma- da fissare il concetto indelebilmente sulla corteccia sinaptica delle loro menti

E così Aristotele e il libro primo della Metafisica, l’ultima parte del secondo capitolo di un libro che io adoro tenere sul mio comodino, vengono a farmi compagnia a bordo della motonave.

Tutto nasce dal thauma, il  mito, la filosofia e tutte le arti, ogni conoscenza che l’uomo ha preparato per difendersi dall’orrore e dalla paura.

Mito, parola, racconto, annuncio, l’uomo così riesce a contrastare il thauma, l’angosciato stupore provato  dall’incomprensibilità della sua avventura umana nel mondo.

Col mito e poi con la filosofia lui raggiungerà la  felicità.

La faccio breve… me ne scuso.

Sabrina, con una felice performance pop, ci stupisce e tutti chiediamo il bis, troppo in gamba è…sanno fare proprio tutto alunni e professori di questo istituto!

……..Siamo arrivati, si va via si chiudono gli strumenti musicali sulle note di … Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro…

 e mentre i ragazzi sciamano mi ritrovo a pensare che

noi, adulti,  partecipanti al gioco del vivere, vogliamo augurare a questi ragazzi una felicità azzurra come questo mare, una serenità azzurra come questo giorno ed insieme il mito e la sophia dove attingere nei giorni diversi del loro thauma.

 Sophia darà loro, ne siamo certi,  la trasparenza delle cose riscaldandole  al sole dell’estate…