mercoledì 9 gennaio 2013

Parafrasando Anthony De Mello- Le aquile che noi siamo



Parafrasando Anthony De Mello-  Credevamo di essere aquile 

E invece siamo polli, nemmeno liberi di razzolare.
La vita è quella cosa che non ci accade mai mentre siamo disoccupati a fare altri pensieri.
Anthony De Mello ci invita con una favoletta ad essere consapevoli delle nostre potenzialità
E ci racconta di un’aquila che, precipitata, da uovo, in un pollaio, crebbe credendosi sempre un pollo. Da adulta vide nel cielo stormi di aquile e li ammirò domandosi chi fossero.  Lei morì senza sapere che, anche lei, era un’aquila.
Potenza del pensiero, della suggestione, della situazione che ingabbia e imprigiona, potenza  di una educazione che, invece di liberare, offusca.
Forse.
 Cosa dice Anthony De Mello?
Di credere in noi, aquile e aquilotti , capitati in un grigio pollaio che ci impedisce di volare.
Noi, a dir la verità, non abbiamo bisogno di simili consigli.
Tutti ci crediamo aquile, tutti voliamo felici nei cieli più blu , tutti,  convinti che siamo all’apice del successo,  che  elaboriamo teorie degnissime, che siamo altruisti e magnanimi e che più aquile di noi, al mondo, proprio non potrebbero volare più in alto.
Fermi su questo pensiero poi crediamo gli altri tutti meno, tutti in difetto, tutti mancanti di una o più ali per poter volare.
 Se noi, per caso,  non sempre  voliamo, la colpa è sicuramente  dei nostri simili che, come una zavorra, ci tengono ancorati al pollaio, invidiosi  delle nostre ali e rancorosi se dovessimo saltare lo steccato.
Così va il mondo, stamani, all’alba chiara di un duemila e tredici, con accanto a me il libro di De Mello, un libro di uova che si schiudono in luoghi diversi e che, aquile o no, crescono male in pollai, ma-
Credevo di volare e non volo-
cantava Lucio Battisti nel lontano 1970
Ripensiamoci un momento e con umiltà, prima di riprendere il volo, fermiamoci a riflettere.


domenica 30 dicembre 2012

Se si polverizza in un pulviscolo la ricostruzione storica



Se  si  polverizza in un pulviscolo la ricostruzione storica di un nostro passato, collettivo o individuale, al singolo, solo, non rimangono nemmeno gli occhi per piangere.
Se polverizziamo e banalizziamo il nostro vissuto, la disperazione o l’esaltazione ci possederanno e alterneremo, ubriachi, momenti di grandi sogni politici a ore di sconforto più appiattente.
Nel nostro passato risiede la miracolosa formula del nostro equilibrio nel presente,
nel nostro studio e nel nostro impegno, poi, la capacità di realizzarci e realizzare intorno a noi un benessere sociale e familiare.
Se non crediamo in niente oppure se crediamo troppo senza un minimo dubbio, ci consegniamo all’incaprettamento generale .
La Calabria ha una storia dolorosa, è stata una terra sciupata e ferita, lo è ancora,
in Calabria sono presenti realtà di eccellenze, sicuramente, ma non trascinano altre realtà.
Tre studiosi di storia nell’arco di un mese mi hanno dato tre ricostruzioni differenti di una unità d’Italia, fatta nel sangue e nella violenza.
Il professore Sabbatucci, docente universitario, ci racconta nell’aula magna dell’istituto pedagogico di Lamezia terme che non esisteva una cartografia in Calabria e che i poveri funzionari sabaudi scrissero sui loro resoconti di viaggi perlustrativi- Monte cchindisacciu-la risposta che ottenevano dagli analfabeti e inconsapevoli abitanti dei luoghi.
 Una storia inventata per
offendere in un colpo solo una verità storica e cioè l’esistenza di una cartografia,  a Napoli, e offendendo un popolo, il nostro,  che avrebbe dovuto essere grato, gratissimo ad un regno sabaudo che portò la civiltà,( sempre secondo lui, furono i sabaudi a portare progresso e modernità)
Che un professore universitario propugni ancora queste tesi in una lezione di storia mi sembra pericolosamente menzogna ma maggiormente mi sembra fuori la dissertazione di Pino Aprile che trasforma il patriottismo ed il sogno dell’Italia unita in una invenzione dell’Inghilterra e lascia spazio ai  sognatori  sul nuovo regno che nascerà con i ducati al posto dell’euro.
Il Professore Vito Teti, meridionalista e antropologo attento cerca una lettura di ombre e luci , cerca e trova idealisti sia fra i patrioti che fra i sostenitori di un regno borbonico, cerca e trova storie diverse su una storia che poi unisce e trasforma amalgamando popoli e famiglie.
Nemmeno questo è proprio vero.
I nostri emigranti restano sempre tra loro e non si amalgamano, se non  appunto nelle eccezioni. Trascorsi una festività a Bergamo, in un parco, erano tutti meridionali, nemmeno un lombardo.
Ma la storia è fatta di eccezionalità, di fatti e misfatti del condottiero, di invasioni e di scoperte e ben poco risultano i fatti minimi di un volgo che proprio voce non ha.
Ma è questa la storia di tutti noi, la storia di una dignità e di un rispetto sempre più desiderato, di una giustizia che faccia giustizia di un vivere ormai ben oltre lo schermo di un banale  telegiornale.



sabato 22 dicembre 2012

A Leonia. Una coperta ci basterà- Il regalo che arriverà

Da Italo Calvino- Le città invisibili- Leonia


Una coperta ci basterà- il regalo che arriverà



Una coperta per coprire tutto, l’immondizia a sacchi scomposti lungo i cantoni del nostro paese

una coperta  per tutto lo sporco, per tutte le scritte che imbrattano i muri della nostra città

una coperta per non vedere, per non sentire, per non urlare ed essere scomposti, ma per sapere

come ci si comporta nel nuovo anno che arriverà.

Una coperta ci basterà per coprire anche noi il nostro malessere, per non mostrare ferite e dolori, ma solo rossetti e unghie smaltate, borsoni e borsette e sciarpe svolazzanti.

Una coperta  ci regalerà una nuova e grande felicità, basterà solo chiudere gli occhi, basterà solo chiudere il naso e non vedremo e non sentiremo la puzza che arriva fino a quaggiù.

Sarò disfattista, sarò una menagramo,  sarò solo io a sapere che la raccolta differenziata ha dato finora degli esiti scarsi, chissà perché!, che le discariche dovevano durare almeno dieci anni e sono già esaurite?

Lo sappiamo tutti vero? Ma tutto questo non ha importanza, il rimedio fra poco arriverà, basterà nascondere tutto e nessuno ci penserà.

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore

Lontano da dove-  noi ce ne andremo, lontano dai fumi dei nostri zingari, lontano dal puzzo e dai veleni.

Lontano lontano dalla Calabria, sempre più bella, sempre più verde, sempre più azzurra e sempre odorosa di coccolino, l’ammorbidente.

Una coperta verrà distribuita ai terremotati dell’anno in corso, perché possano tutti adoperarsi a ben coprire, a chiudere finestre, e nelle scuole verrà regalata ad insegnanti demotivati che la metteranno fra banchi e cattedra per non vedere gli alunni svogliati, viziati e webbizzati che chattano invece di stare a sentire.

Una coperta negli ospedali fra le corsie e gli ammalati, così i medici non sentiranno i lamenti di tanti numeri, sono solo numeri i ricoverati, e sono i medici anche loro stanchi, stanchissimi e solo sfruttati.

Una coperta televisiva per annerire uno schermo al plasma, per occultare una menzogna che parla e parla dall’alba al tramonto.

Una coperta per grandi e piccini e sotto al calduccio noi poi staremo e racconteremo di quel Natale in cui tutto ebbe il colore del grano, il calore del sole e l’odore del mare.Un Natale che rimane solo un racconto da raccontare



sabato 15 dicembre 2012

Un sogno- Mariano Sabatini:- Davvero pazza, Ippo Lu.



Mariano Sabatini:- davvero pazza, Ippo Lu, genialmente folle-

Giovanna, questo è quello che mi dice Mariano, oggi su Facebook, a proposito del mio post- Hanno rubato l’ipad a  Mariano Sabatini. L’amplificazione del web-  beh, me lo dici anche tu, che scrivi sulla Repubblica,
 ma allora perché non mi trovate un posticino su un giornale, sul vostro giornale?
Vi prego, vi supplico, leggetemi ancora, leggetemi tutti ed io, a dire il vero, sono contenta di già.
Proprio non potrei scrivere a comando, scrivere per riempire una colonna, un inserto, un foglio.
No, non vi invidio, a me piace già l’immensa gioia di vedermi su tiscali socialnews Calabria, di vedermi bambina a quattro anni, in motoretta, sognare e sognare e leggere ancora.
Si, perché a quattro anni leggevo e sognavo e parlavo con me.
Mi piace poi scrivere di tutto il mio amore per fogli e giornali, per giornalisti e per scrittori, per tutto un mondo che io ritrovavo solo sedendomi sui banchi di scuola.
Lo so che la vita non è la scuola, lo so che la vita è un’altra cosa, è una finzione che fa tanto male, è un corpo che invecchia e si ammala, è il puzzo di piscio e di bava dei vecchi ma è anche il sorriso delle persone che credono, che hanno ancora un ideale da spendere o da tenere caro.
La vita, cosa sia, io proprio non so, ho visto tante e molte brutture, continuo a vedere mistificazioni e tante recite su questo teatrino, che proprio ho smesso di batter le mani.
Giovanna carissima, ho sempre strappato, continuerò a farlo perché io con lo scritto non devo arricchire , non  devo nemmeno avere successo, mi basta soltanto un lettore, uno solo ed io sono già nella felicità.
Stamani ne ho due, ho te che scrivi davvero su un giornale e ho Mariano che parla addirittura da un telegiornale, un vero e conosciuto scrittore  nazionale.
Cosa voglio di più?





Tutto quello che muta muta per sempre



Tutto quello che muta muta per sempre.
Ci sono dei cambiamenti irreversibili e mai più si ritroverà quella cosa mutata, mutata per sempre.
Cambiano nel tempo i nostri visi, la nostra pelle, i nostri sguardi.
Non tornano più la gioventù, la nostra mamma di nuovo quarantenne, il catechismo, le rondini in volo sul giardino scomparso, non tornano più quei giorni perduti a rincorrere il vento…
Muta per sempre il nostro umore insieme ai dolori articolari, muta per sempre il nostro entusiasmo vedendo passare inutilmente i mesi e gli anni, in silenzio perfetto.
Muta anche il tempo e la stagione, mutano sempre tutte le mode e non è vero che poi ritornano, niente ritorna e tutto muta, lasciando solo una scia, una bava, un risentimento o una gioia lieve.
Beati coloro che in questo mutare possono ancora poter conservare un affetto, un sorriso, una stretta di mano,
possono ancora poter contare su una stima, un rispetto, una risata.
Beati coloro che possono guardare ancora con fiducia il salumaio, il proprio vicino, il proprio cane.
I nuovi beati, in questo mutare, sono pochi, pochissimi, forse nessuno, ma ci illudiamo di essere in tanti e di essere tutti sempre più in gamba, sempre più forti, sempre più in alto, gonfiando e gonfiando il nostro ego davanti una specchio che non rifrange.
Cambiato è infatti lo specchio dei nostri tempi, uno specchio illusorio e televisivo, uno specchio soltanto computerizzato che ci rimanda immagini senza.
Senza più un solo ricordo, senza più impegno, ma solo saltelli, seni rifatti e labbra a canotto, fucili e omicidi senza ragione, violenza gratuita e amore erotissimo, senza nemmeno conoscersi un po’.
Ma tutto muta, muterà anche questo e mai più niente ritornerà all’alba di un nuovo anno
Un anno che muterà tutto
Perché la speranza rimane immutata di farcela ancora stavolta al destino, di andarcene via senza fardelli, senza sporcarci e in un solo momento.
Di andare felici per strade e per campi, di respirare l’odore del mare, di rincorrere farfalle e coccinelle all’alba rosea di un divenire
Di volare e volare nel cielo più blu tenendo stretto per una mano un figlio, un amore, un amico perfetto, tutto quel mondo che avremmo voluto e che è mutato mutando con noi.
Mutatis mutandis- cambiare le cose che devono essere cambiate, dicevano i latini, ma non siamo sempre noi a cambiare le cose,  spesso sono le cose a cambiare noi.
 Brindiamo felici al nuovo anno, leggeri e oramai consapevoli che un altro anno ormai passerà e tutto muta e mai più tornerà.
Sarà un anno bellissimo e fortunatissimo, sarà un anno diverso perché anche noi siamo diversi, diversi da ieri e da tutti gli altri anni che abbiamo aspettato col calice in mano.
Evviva il nostro anno, evviva noi, evviva un anno che ci porterà... tutto quello che muta nel nostro sentire.