sabato 19 aprile 2025

Lezione dalle rovine di Davide Bregola

 


Davide Bregola scrive del suo incontrare, al voler preservare dall’usura del tempo poeti e scrittori, scrittrici quasi dimenticate, un mentore, lui, colui che si fa carico di far conoscere, come un testimone, un tramite. Se nessuno si prende carico di far conoscere un altro, l'altro non esiste.
Sono quattro gli incontri raccontati da Davide, incontri fatti in diversi periodi della sua vita, una vita la sua di molteplici cambi di lavoro ma pur sempre mantenendo il suo amore per la scrittura. 
Sembra che Davide viva moltissime vite, tanto sono i cambi lavorativi che lui deve provare, li vedo come una prova, una prova a farcela.

La lettura e la scrittura, come due sorelle nella nostra famiglia creata per sottrarci "con un verso, con un periodo scritto bene", io la chiamo zattera ma la letteratura di chi legge e di chi scrive è il nostro balsamo. 

“La cerco perché morendo sembra essere sparita di colpo anche la sua scrittura, sembrano essersi dissolte tutte le sue storie, eppure se leggo le sue pagine mi ritorna in mente la sua presenza. Sembra un po’ come quelle nuvole portentose, enormi, piene, che si disperdono in un baleno quando arriva il vento. Marosia Castaldi e il vento.”

Marosia Castaldi autrice di Per quante vite è morta nel 2019. Nel 2013 si conosce con Davide Bregola e lui ora racconta i due incontri con lei, di cui il secondo molti anni dopo l’uscita del libro Per quante vite. Lui le scatta due foto che non è riuscito a ritrovare ma a Mantova gli sembra di rivederla camminare lungo la statale di Gavernolo, l’ha rivista lungo le pescherie della città e ciò è impossibile. Sono rimasti i suoi libri, "Mentre scrivevo", e "Il Dio dei corpi", e Davide ha letto ad un incontro in una struttura psichiatrica  dove insegna l’inizio del libro ”Per quante vite” 

Davide qui in questo luogo diverso ma sempre un luogo chiuso dove la libertà viene offerta dalla letteratura legge Marosia Castaldi ed è come  prendere quella chiave per aprire una fantasia imbrigliata in letture sciocche. 

 Lezioni dalle rovine ci fa vivere nel vento letterario che ci porterà lontano o vicino a prenderci per mano ai libri veri

Capisco Davide Bregola, me lo sento mio familiare, capisco il suo pensiero e vedo gli autori attraverso il suo stesso pensiero nel galleggiamento, vocabolo che uso spesso anch’io per dire come ci portiamo accanto pezzi di libri, di autori, nel nostro scrivere. Capisco Davide ed è come se incontrassi anch’io Vitaliano Trevisan e lo ascoltassi dire che l’errore è quello di considerare il libro un blocco finito. Mi ritrovo a sottolineare la frase e me ne pento subito dopo, troppo tardi ormai. “Ma la struttura me la deve dare la dinamica di quello che scrivo” continua a dire Vitaliano. 

Di Trevisan ci sono poche immagini. Di Umberto Bellintani solo una foto con gli occhi spersi verso l'obiettivo, di Ivano Ferrari pochissime e stranamente anche di Marosia Castaldi pochissime come se loro stessi si nascondessero 

Poi mi leggo Cavi e il suo incontro con Marosia Castaldi e già li vedo ne sento la letterarietà. Da Marosia Castaldi Km 501«Anche le case prendono la forma della solitudine. Se in una casa non entra più nessuno per molto tempo essa si stupirà che qualcuno entri di nuovo e le mura si raggrinzeranno confuse o si cupiranno all’abbraccio dell’amico che finalmente vedo. Dopo tanto tempo.»

In un libro di Bellintani leggiamo: dove il fiume rode alla boschiva sponda/...ogni nome di chi giace sotto l'acqua/come fosse al lieto coro sulla riva

e di Ferrari leggiamo: Nei fogli c'è una regola/disordinare i tempi della storia

e noi con Ferrari, Bellintani, Trevisan, noi con Marosia Castaldi e Davide Bregola disordiniamo i tempi della storia, almeno su un foglio, su una pagina, per allietare o per darci un motivo che ci faccia conoscere, che ci faccia incontrare.

Nel Regno della Litweb il commovente e amatissimo libro Lezioni dalle rovine di Davide Bregola 

Ippolita Luzzo 

DAVIDE BREGOLA è scrittore e consulente editoriale. Ha pubblicato vari saggi e romanzi per diverse case editrici. 

Nasce in provincia di Ferrara, vive l’infanzia in provincia di Mantova a Ostiglia e successivamente a Sermide. Studia a Ferrara, dove frequenta la Facoltà di Legge.

Esordisce nell’ambiente letterario nel 1996, quando due suoi racconti vengono pubblicati nell’antologia Coda, che seleziona testi di giovani scrittori sotto i 25 anni. Nel 1999 pubblica Viaggi e corrispondenze, con cui vince il Premio Tondelli per la narrativa.

Inizia poi a lavorare nel campo dell’editoria e del giornalismo e a tenere incontri e seminari di scrittura creativa.

Sul tema della letteratura migrante in lingua italiana pubblica nel 2002 il libro Da qui verso casa, che raccoglie interviste con narratori, e nel 2005 Il Catalogo delle voci, in cui intervista poeti.

Altre sue opere narrative sono Racconti felici (2003) e il romanzo La cultura enciclopedica dell’autodidatta (2006).

Vince il Premio Chiara nel 2017 con la raccolta di racconti La vita segreta dei mammut in Pianura Padana.

“Può succedere, allora, che chiunque si possa sentire attratto dal mistero di esistere.

È l’arte della sottrazione, non per negare ma per affermare se stessi.”

[Davide Bregola]


lunedì 7 aprile 2025

Saverio La Ruina La Borto

 


La Borto è uno spettacolo del 2009 di e con Saverio La Ruina, con 
musiche composte ed eseguite 
dal vivo da Gianfranco De Franco e disegno luci Dario De Luca, 
organizzazione e distribuzione Settimio Pisano, 
produzione Scena Verticale, con il sostegno di MIBAC | Regione Calabria

Premio UBU 2010 "Migliore Testo Italiano",  
Nomination Premio UBU 2010 "Migliore attore", 
Premio Hystrio alla Drammaturgia 2010

Ieri sera al Teatro Grandinetti per assistere a ciò che raccontare non si può se non si possiede la sensibilità di Saverio La Ruina che mostra la condizione della donna al Sud e di riflesso la condizione dell'uomo, dopo Dissonorata. Un delitto d'onore in Calabria (2006).

La vicenda di Vittoria narrata in cielo, o almeno in sogno, davanti al tribunale eterno e universale, davanti ad un tribunale che le darà il tempo non avuto durante la vita terrena, il tempo della narrazione. 

Vittoria come in sogno non è più di questa terra e attraversa il cancello del cimitero e incontra in una grande stanza dodici persone sedute intorno ad una lunga tavola sei a destra e sei a sinistra con Gesù presente. Gesù le dice di non essere degna di sedersi con loro, di essere lei come Giuda, di essere lei nel peccato. E nello sconcerto più totale Vittoria rivendica la sua innocenza, e di non aver fatto male a nessuno, forse aggiungerei io solo a sé stessa. A ventotto anni ha già sette figli, sposata venduta a tredici anni dal patrigno ad un uomo zoppo e più adulto. Storie diffuse purtroppo e sento una vicenda simile da me non raccolta ma ora presente. Rivedo la donna ormai di ottanta anni dirmi di essere stata sposata venduta ad un uomo più grande e nel raccontare le moltissime gravidanze, i soprusi orribili e indicibili avute a soli tredici anni, le angherie di una suocera strega che le chiudeva lo stanzino del vaso dove poter fare i suoi bisogni e lei era costretta a fare la cacca in un giornale, le cinghiate del marito e l'orrore dell'impotenza della sua di madre che invece dopo aver immolato la prima delle figlie ad un destino immondo riusciva a garantire alle sue altre figlie una diversa dignità. 

Ne scrivo come sorellanza di questa donna a Vittoria a Sciolla, sorellanza che non ha avuto da nessuna altra donna. Nel terribile vivere male relazioni e matrimoni anche il marito di Vittoria sembra incarcerato in un ruolo castrante e tutti gli uomini mostrati nella miseria del prendere la misura di una ragazzina calcolando le forme. Sembra una assurdità ma ricordo alcuni colleghi maschi in una scuola del crotonese parlare delle alunne tredicenni in consiglio di istituto sottolineando le forme. Ne rimasi scioccata e non volli andare da insegnante  in gita d'istruzione con loro reputandoli esseri meschini.   

Sulla tragica vicenda dell'aborto vissuta all'epoca con ferro da calza e con pediluvi bollenti, così mi raccontano, io ho visto donne vivere questa decisione o subirla. In alcune famiglie doveva per forza abortire chi restava malauguratamente incinta per mancanza di possibilità economiche e quella decisione subita veniva ricordata sempre, sempre, perché la vita è fatta di attimi, di momenti, di atti subiti. "Chissà come sarebbe stato ora quel figlio che non ho fatto nascere!" raccontano alcune, mentre altre riescono a dimenticare. 

Vittoria non ha contezza di aver fatto peccato per aver dovuto interrompere una gravidanza e non ha contezza proprio per lo stato di necessità, per l'indigenza del vivere senza possibilità di scelta. Un mondo ruvido e cattivo, senza luce, ha avvolto la vita di donne e uomini. 

Gesù apre la porta e si commuove, e intanto la storia si ripete nella recita e nelle situazioni 

Saverio diventa Vittoria, Saverio è Vittoria, Saverio crede nella giustizia, nella giustizia del dire, del gesto, della scena. 

Anche il tavolo dove Vittoria si siederà è quel teatro eterno fatto delle storie subite senza scampo

Ippolita Luzzo  




Lo spettacolo, realizzato da Scena Verticale, è inserito nel progetto “CalabriaTeatro” Terza edizione, cofinanziamento bando Distribuzione teatrale triennio 2022/2024 – Psc Calabria e Legge regionale n.19/2017 e realizzato dall’associazione teatrale “I Vacantusi” di Lamezia Terme". 

giovedì 13 marzo 2025

I giorni pari di Maria Caterina Prezioso


 “8 dicembre 1940

I preparativi fervevano da alcuni giorni.

Quella domenica pomeriggio, festa dell’Immacolata Concezione, Roma pareva dormire distesa lungo gli argini del Tevere. Il giorno prima aveva lasciato l’amaro in bocca a mia madre Miriam che non si dava pace.

«Che sia maledetto il sabato fascista.»

Mio padre, incollato alla radio tenuta a basso volume, seguiva la partita Lazio-Torino, non sembrava prestare attenzione alle parole di Miriam, ma all’improvviso si alzò dalla sedia, andò da lei e se l’abbracciò stretta.

«Vedrai, si aggiusta tutto. Facciamo passare la buriana. Intanto sistemiamo Sara al sicuro. Noi staremo bene cara vedrai, vedrai.»

Se la cullava come fosse una bambina imbronciata. «Dio conta le lacrime delle donne.»

«E allora che le contasse per bene perché le ho finite.»”

Inizia così il libro di Maria Caterina Prezioso e poi continua con la proclamazione della guerra il 10 giugno 1940 quando Mussolini dal balcone di Piazza Venezia annunciò l’entrata in guerra dell’Italia al fianco di Hitler. Sappiamo che un mese prima, l’esercito nazista aveva occupato il Belgio e le truppe tedesche avevano occupato Bruxelles. 

 Sara e Silvana, l’una scampata alla Shoa, troverà rifugio a Sperlonga, l’altra verrà ricoverata al Forlanini, intrecciando le loro storie e nella dedica l'autrice scrive “A Silvana del mio ricordo. A Sara della mia immaginazione” ci sono due elementi fondamentali della sua  scrittura. Il ricordo e l’immaginazione.

 E mentre la guerra infuria Silvana si ammala di tubercolosi e conosciamo il Sanatorio e il modo come allora, senza antibiotici, si veniva curati. 

L’ospedale Carlo Forlanini, il “Sanatorio” ospitava tanti ragazzi e ragazze con  duemilasessanta posti letto a fine del 1940.  L’ospedale era diviso in quattro padiglioni, due riservati alle donne e gli altri due agli uomini, più un reparto chiamato clinica medica-donne. Nel 1941 si aggiunse un nuovo padiglione ortopedico costituito da altri duecentocinquantuno posti letto dedicati esclusivamente a quelli che erano affetti da forme tubercolari osteoarticolari... la tubercolosi ossea. Vi era a capo il professor Giusto Fegiz un medico umano e professionale. 

Leggiamo nelle pagine del libro la storia d'Italia fino alla fine della guerra fino al voto con la grande speranza verso un futuro "Il 2 giugno noi donne andammo per la prima volta a votare. Ci recammo in massa alle urne. Non fu una concessione, ma una conquista. Anche noi avevamo fatto la resistenza, partecipato attivamente alla lotta di liberazione. L’Italia uscita dalla guerra era chiamata a decidere con voto finalmente libero tra Repubblica e Monarchia."

Un libro molto accurato nella ricostruzione storica e un libro che tutti dovrebbero leggere per sapere com'è facile piombare in una guerra. 

Una testimonianza seria questa di Maria Caterina Prezioso, nostra amica nel Regno della Litweb con  un romanzo di un “nuovo neorealismo poetico”

Ippolita Luzzo 




martedì 11 marzo 2025

Gianni Barone recensisce Pezzi

 

 Ippolita Luzzo, Pezzi (dal Regno della Litweb), Città del sole, 2018.


Da sempre il mio cuore ha battuto e continua a battere più forte per il sud della nostra penisola: per gli amici di quelle regioni, per le scrittrici e gli scrittori che da lì provengono e per le loro opere, per la storia, la cultura, i paesaggi, per il loro saper essere resistenti a tante sciagure e a tanti sciagurati. E in quest'ultimo periodo, in particolare, è soprattutto la Calabria che mi sta traboccando dal cuore: nonostante i noti problemi economici e strutturali che affliggono la regione, nonostante una politica che latita e che costringe molti giovani a tentare di farsi una vita altrove, so di sacche di resistenza assolutamente ammirevoli, miracolose. So di una casa editrice indipendente che si rifonda per merito di Pina Labanca   e che sceglie come sede Tortora, piccolo paese del nord della regione; so di Mariangela e Maria Rosa poetesse di Reggio Calabria, come di Reggio è Antonio, sperimentatore di scritture, che però è emigrato; so di Giuseppe, che vive a Catanzaro e che ha pubblicato tanti saggi critici (su Bianciardi, Fortini, Palazzeschi, Roversi e altri) e sempre a Catanzaro c'è Elisa, attiva anche lei per la diffusione della cultura;  so di Antonella che vive a Paola, che scrive, ha un blog e promuove scritture altrui; so di Rodolfo, di Limbadi, che legge e diffonde poesia; so di un gruppo di resistenti / divergenti di Lamezia Terme (Daniela, Alessandra con Gianfranco, Domenico, Valeria) che si muovono tra scuola, scrittura, teatro, carta stampata; so di Antonella di Cosenza, che si occupa di letteratura e cinema e che forse si è trasferita a Milano, credo; so di Martino, di Tortora, scrittore, blogger, giornalista, moltiplicatore di cultura; so di Carmine, che pubblica libri e testimonia la lingua e la cultura arbëreshe. Insomma, tanta vitalità, tante energie, tanta letteratura, tanta passione e tanta voglia di fare e di cambiare questa terra seducente e dolorosa

E queste passioni, questo fare combattivo, propositivo, canalizzato e condiviso nei social (ma non solo), li ha impersonati colei che tutti noi conosciamo come la creatrice della Litweb: Ippolita Luzzo, anche lei di Lamezia Terme.

Il suo libro "Pezzi", di cui ora parlerò, raccoglie frammenti dello storico blog che Ippolita ha condotto dal 2012 e che tuttora è seguitissimo. Fu subito un boom di visualizzazioni e interazioni perché, oltre a recensire libri, la blogger condivideva commenti ai fatti del giorno, interviste, suoi testi, riflessioni politiche, analisi sull'editoria e supporto alle case editrici indipendenti, inaugurazioni di mostre d'arte contemporanea. 

Il movimentismo di Ippolita fu talmente frenetico e coinvolgente che ben presto i limiti del social verranno superati; la popolarità raggiunta la porterà a far parte di giurie di premi letterari e di Fiere e Saloni del Libro. 

Ricollegandomi a quanto dicevo prima, l'esempio di Ippolita Luzzo lo ritengo emblematico di quanto si possa fare quando si è animati dalla voglia di cambiare le cose e di lasciare il segno. E allora penso che anche dagli amici che citavo all'inizio, animati dallo stesso fervore, dalle passioni e le disperazioni che serpeggiano per  le contrade e le città di Calabria, dagli umori e dagli spiriti divergenti, giacobini e anarchici che girano in quelle terre, potrei aspettarmi le medesime egregie cose, e forse anche di più. Se unissero le loro forze, lavorando su progetti diversificati

e condivisi, su obiettivi concreti, i miei amici (e altri con loro) potrebbero, non dico risollevare le sorti della Calabria ma, oltre a fare letteratura, cominciare a cambiare le cose.


Il libro di Ippolita Luzzo, edito da Città del sole, inizia subito con una splendida provocazione, quando nei primi versi scrive:

"Io non sono una donna del sud

Non ho mai fatto la salsa di pomodoro/

Le melanzane ripiene, la conserva di peperoni(...)"

 per poi aggiungere

"Il sud lo porto nel sangue, nel suo colore, nel suo calore/

Nella storia, nel presente, 

Nel mio viso da bambina,

Nel dolore delle mamme,

Delle donne (...)"

I Pezzi si alternano, tra prose e versi, sempre percorsi da una vena corrosiva, da visionarietà e da dichiarazioni di intenti, come quelle che troviamo in "È meglio scrivere che drogarsi" o nel testo "L'invenzione più innaturale del nostro secolo è stata la famiglia monocellulare", ricca di affermazioni apodittiche e anticonvenzionali. Insomma, il libro è una selezione dei post e dei contenuti pubblicati nel blog di Ippolita. Molti li ricordiamo. Molti continuano a sorprenderci per l'attualità delle riflessioni. Dall'insieme, ne emerge a tutto tondo la personalità di Ippolita, ricca di interessi e di passioni, che da Lamezia è arrivata a conquistare il web; ma anche -in filigrana- la lettura e le considerazioni riportate nel libro ci fanno ripensare e riflettere su un periodo della nostra storia recente, che la stessa blogger definisce "parte di un secolo sperimentale". È dentro questo magma, in questo sperimentalismo già percorso da Ippolita, che mi auguro che i "ragazzi di Calabria" di cui sopra possano portare avanti le loro ipotesi di lavoro per cambiare non dico il mondo, ma qualcosa della loro amata amara terra.

Gianni Barone 


Giovanni Barone Traduttore indipendente ha collaborato alla collana Autores italianos contempóraneos pubblicata dall’editore argentino Laborde, per la quale ha tradotto, con la moglie Mirta Vignatti, La sonrisa del ignoto marinero di Vincenzo Consolo. In seguito ha dato voce italiana ad Animali domestici di Guillermo Saccomanno e a Carne di cane di Pedro Juan Gutiérrez (entrambi per le edizioni e/o). Da poco è in libreria la sua ultima traduzione, La metà del doppio di Fernando Bermúdez (Edizioni Spartaco): sette racconti in cui l’autore dimostra la sua abilità nell’esibire la tecnica narrativa senza farle perdere efficacia https://www.diatomea.net/author/gianni-barone/

sabato 15 febbraio 2025

15 febbraio 2015

 Ritrovare pezzi 

Mentre parlo con te io vorrei vedermi. 

Vorrei vedere mie espressioni. 

Sempre fuori le righe di un composto muover, mi spaventerei. 

Io Penso mi spaventerei.

Così ricompongo viso e riassetto muscoli, stirando verso il basso l'esagitazione scomposta. 

Nello spazio mi riapproprio della mia immagine, volata per un istante nella testa tua.

Ippolita in ritrovamenti 

mercoledì 12 febbraio 2025

Wanda Marasco Di spalle a questo mondo

 


Wanda Marasco
nel regno della Litweb con questo suo libro presente nelle librerie da nemmeno un mese ed è da allora che io lo porto con me, ne parlo con amiche e non so scriverne. Non so scriverne per pudore, per paura di non sapere, per lasciare intatto il piacere della lettura. A volte anche il silenzio è una forma altissima di gradimento. Ci provo dunque ma già confesso di non aver terminato la lettura, non si può leggerlo saltando, d'un fiato, bisogna invece recuperare una lettura lenta e accurata per entrare nel mondo di Ferdinando Palasciano. Una forma di resistenza credo sia scrivere libri con ricostruzione storica dettagliata, con fonti certe, con testimonianze accurate e poi scrivere le storie con la cura di un linguaggio ricco, corposo, con aggettivi che a volte appaiono ma non lo sono  desueti tanto non siamo più abituati alla ricchezza della lingua italiana. 



Come vi ho già detto dal 23 gennaio sto leggendo Wanda Marasco nella bellezza della letteratura e qui è insieme a Fabrizio Coscia che raccoglie e omaggia artisti immensi e sfortunati, immensi come il protagonista del libro di Wanda Marasco il dottore Ferdinando Palasciano. Due libri arrivati insieme in Litweb ed entrambi amatissimi. La grande letteratura abita Il Regno della Litweb. 

Questo libro racconta la storia di Ferdinando  Palasciano, medico di Capua vissuto nell'Italia dell'Ottocento sotto la dinastia borbonica e dai Borboni condannato a morte e poi graziato perché  aveva deciso di curare anche i nemici in guerra.  Chirurgo di fama si vide strappare d'autorità alcuni reparti della Facoltà di Medicina e dislocati poi presso il Convento di Gesù e Maria, in poco tempo trasformato in struttura sanitaria, quale ancora è, e che già allora  Palasciano riteneva non rispondente a quei minimi requisiti igienici indispensabili per la nuova destinazione.  

Questa grande ingiustizia lo segnerà e lui non reggerà tanto da dover essere internato in manicomio. A nulla varrà l'affetto della moglie, e la residenza a Capodimonte,  splendida turris eburnea, riproduzione della fiorentina torre di Palazzo Vecchio, dove  veniva fin Thalberg a suonare il pianoforte, e la Torre svetta ancora oggi a Capodimonte e l'autrice l'avrà ammirata nel corso degli anni. E mi piace riproporre uno stralcio dell'intervista a Mirella Armiero per Il Corriere Del Mezzogiorno " Come nasce l’interesse per Palasciano?

«La Torre di Palasciano fa parte della mitipoietica dei luoghi della mia infanzia e della mia giovinezza. La vedevo costantemente dai miei balconi, come fosse una quinta dell’animo. A volta mi faceva paura, a volte mi destava un umore sognante. Da piccola non sapevo nulla dei suoi abitanti, eppure compare in tutti i miei romanzi. A un certo punto ho iniziato a studiare Palasciano e mi si è aperto un mondo, sono stata sulla sua tomba e ho scoperto la scritta in cirillico che riporto nel romanzo: “Dio non respingere la sua anima sconvolta dalla crudeltà del mondo. Il male che era in lui non era il suo male, ma il male del mondo”. Non potevo non scriverne. È stato un grande personaggio, il primo a proclamare il principio di neutralità dei feriti di guerra. Un monito che oggi viene calpestato, in questi nostri tempi di guerra in cui si spara sui civili, su donne e bambini, quindi mi è sembrato che ponesse temi attualissimi. Ma ho lavorato a lungo, non ero mai contenta, strappavo i fogli, finché le mie amiche scrittrici mi hanno fermato... così in tre anni e mezzo ho finito il romanzo»."

Il racconto degli ultimi anni di vita di Ferdinando, ripercorre  tutta la vita, per frammenti, dall’infanzia  all’incontro con Olga, la nobildonna russa sua paziente e moglie, le amicizie con Nicotera, Dalbono, Schilizzi e con Antonio Ranieri, con in quale ebbe contatti sia in Parlamento essendo entrambi senatori, e  condividendo con lui il culto di Leopardi. 

Leggiamo dunque Wanda Marasco Di Spalle A Questo Mondo vivendo con lei e con i suoi personaggi e parlandone con l'antico piacere di sentire "una liquidità sonora intorno alle parole"

Ippolita Luzzo 

Wanda Marasco è nata a Napoli, dove vive. Ha ricevuto il Premio Bagutta Opera Prima per il romanzo L’arciere d’infanzia (Manni 2003) e il Premio Montale per la poesia con la raccolta Voc e Poè (Campanotto 1997). I suoi testi sono stati tradotti in inglese, spagnolo, tedesco e greco. Il genio dell’abbandono (Neri Pozza 2015) è stato selezionato per il Premio Strega 2015 e portato in scena dal Teatro Stabile di Napoli per la regia di Claudio Di Palma. Nel 2017, sempre per Neri Pozza, è uscito il romanzo La compagnia delle anime finte, arrivato finalista al Premio Strega.  





venerdì 7 febbraio 2025

Inverness di Monica Pareschi


 Inverness, una raccolta di racconti che Monica Pareschi pubblica per Polidoro nella collana diretta da Orazio Labbate nell'ottobre 2024 mi giunge ed io la leggo con una commossa partecipazione e veramente lusingata di poter avere la possibilità di parlare sia di una bravissima scrittrice quanto di una apprezzata traduttrice. 
Lei pubblica questi racconti a distanza da dieci anni dal primo suo lavoro e cosa siano i racconti per lei lo faccio dire all'autrice,  in questa intervista di Valentina Barengo Monica confessa:"  i racconti sono più gestibili, non richiedono la metodicità di scrittura di un romanzo. La scrittura di un racconto può essere episodica, durare qualche giorno, o anche anni quando certi nodi non si risolvono, ma non richiede l’impegno costante ed esclusivo di un certo numero di ore al giorno. I racconti sopportano di essere abbandonati, anzi, a volte i mesi di “non scrittura” sono funzionali per capire dove si sta andando, per trovare l’elemento che fa tornare i conti. Il bello dei racconti – o perlomeno i miei funzionano così – è che si può partire senza sapere dove si sta andando, lo si scopre man mano; a volte, come dicevo, grazie a lunghe soste. Il racconto è un viaggio particolarmente avventuroso, che richiede la disponibilità dell’autore (e del lettore!) a lasciarsi sorprendere dall’esito, che a volte è del tutto imprevisto. Il racconto, per come la vedo io, si gioca tutto sull’effetto di mistero che producono i non detti, gli spazi bianchi, le lacune del testo." e ancora "La scrittura è un’attività ordinatrice, crea nessi, porta senso dentro un caos apparentemente irriducibile. E dare senso al caos – perlomeno di tipo estetico – mi pare la funzione più evidente e forse anche più utile della scrittura."


 Eccomi con la sua scrittura e con i  suoi otto racconti, uno più intrigante dell'altro, sui Baci di Munch, o la percezione dell'amore mi sono ritrovata a pensare come la protagonista, oppure credo che l'autrice eserciti un tale grado di convincimento da farci immedesimare e poi Fiori è un amore che finisce che è finito ma ancora non si è detto che è finito e allora i gesti si ripetono fiacchi e stanchi, ripetitivi, e Troppo amore uccide tra "il ghigno e il singhiozzo" e "I Gabbiani" mi ha precipitato nel film Gli Uccelli di Hitchcock e a guardare con sospetto il grasso piccione che ogni mattina fa la sua passeggiata sul parapetto del balcone della camera da letto. Nella tristezza della vecchiaia con Mors tua vita mea e la vita scivola mentre Gheri non sembra voglia accettarne i segnali. 

E poi Inverness che dà il titolo ai racconti. Inverness è un viaggio, una destinazione, ma anche un immaginario sostantivo inglese, l’“invernitudine” che caratterizza lo sguardo dell’autrice e il destino gramo di noi tutti. La storia di un'amicizia nata dove nascono le amicizie,  tra i banchi di scuola, la storia delle nostre assemblee, dei nostri cortei, delle manifestazioni in cui si gridava "Lotta dura senza paura" e “Ce n'est qu'un début”e poi le cariche e poi i viaggi con l'autostop. Il malessere dell'adolescenza, il malessere di crescere, il malessere di non conoscersi, di non accettarsi, i medici, le pillole, il corpo curato come una cosa e non come essere senziente. C'è tutto in questo viaggio di Monica, un viaggio con una amica verso questo paese pieno di sole e di luce ghiacciata, azzurra. Viaggiando con Monica abbiamo accanto la grande letteratura che ci interroga, che ci spaventa e ci rimprovera delle nostre disattenzioni.   

 Poi ciò che conta è lo stile, è il ritmo, il suono di questi racconti, una scrittura unica, nel senso proprio della creazione pura. La purezza dello scritto è ciò che tiene fermi alla lettura e Monica Pareschi la possiede e per questo noi la amiamo nel Regno della Litweb 

Ippolita Luzzo 


 Monica Pareschi vive a Milano e dove da oltre vent'anni traduce e lavora come editor di narrativa per le maggiori case editrici autori di lingua inglese tra gli altri i racconti di Kevin Barry per Adelphi, Doris Lessing, James Ballard, Bernard Malamud, Willa Cather, Shirley Jackson, Charlotte Brontë, Alice McDermott, Hisham Matar, Mark Haddon, James Hogg, Paul Auster, Muriel Spark. È autrice di È di vetro quest'aria (Italic 2014, Premio Renato Fucini). Insegna traduzione all'Università Cattolica di Brescia. Nel 2020 ha vinto il Premio Gregor von Rezzori per la traduzione di Cime tempestose, pubblicata da Einaudi nel 2019


Nel 2020, per la sua traduzione di Wuthering Heights, ha vinto il Premio InternazionaleVon Rezzori e il Premio Letteraria  e  nel 2023 il Premio Fondazione Capalbio per la traduzione di Piccole cose da nulla di Claire Keegan).
 Attualmente è impegnata in una nuova traduzione di Wuthering Heights per i Classici Einaudi. Suoi racconti e interventi sono apparsi su diverse testate. Tiene corsi e seminari di traduzione letteraria e editing in diverse università. Ha inoltre ricevuto una menzione speciale al Premio Arturo Loria 2014, ed è stata finalista al Premio Bergamo 2015. Vive a Milano con suo figlio

Da dopo l’estate  del 2024 sono ben cinque i libri tradotti: Quando ormai era tardi di Claire Keegan, Christopher e quelli come lui di Isherwood, Una nuova vita di Tom Crewe, Elizabeth di Ken Greenhall e La roccia bianca di Anna Hope 

sabato 1 febbraio 2025

Fabrizio Coscia Esercizi d'ammirazione


Esercizi d'ammirazione o piuttosto il racconto autobiografico di un'ossessione, narrato attraverso le vite degli altri. Fabrizio Coscia ci ha abituato a libri come Soli Eravamo, come La bellezza che resta, libri amatissimi dove lui racconta la vita di grandi autori, di grandi artisti da lui, da tutti noi, ammirati. In questa nuova opera letteraria ammiriamo con Fabrizio chi pratica l'arte ma nello stesso tempo è in lotta con il mondo intero per la sua sopravvivenza. Un mondo piccolissimo e ristretto fatto da quei quattro o cinque che dovrebbero sostenere l'artista e invece lo dileggiano. "La sopravvivenza in un mondo che gli rimane estraneo e in cui vive come perenne esilio" scrive Fabrizio nell'introduzione di Suicidi Imperfetti

 Si possono leggere uno alla volta, così come alcuni di questi capitoli sono apparsi negli articoli pubblicati su Pangea. Si possono leggere seguendo i nomi degli artisti ricordati da Fabrizio Coscia nell’indice: David Foster Wallace il primo e per ultima Marina Cvetaeva, scorrendo dall’America alla Russia, scorrendo l’infelicità individuale e l’infelicità collettiva, la grande sofferenza di Cesare Pavese, di Francesca Woodmann.

Attraverso loro, i protagonisti del libro, passano le epoche storiche di ingiustizia e soprusi, la fine dei genitori di Paul Celan, il padre morì in un campo di concentramento, la madre con un colpo di pistola in un campo ucraino. Ogni capitolo ripercorre la vita di artisti “nell’asfittico spazio del destino” per dirla con un verso di una mia amica poetessa. Per ora ne ho letto quattro e intanto ammiro sempre la scrittura di Fabrizio nel suo raccontare amandoli questi autori di un amore smisurato.

Sono scrittori, poeti, attrici come Marilyn Monroe e Jean Seberg, fotografi come Francesca Woodmann o pittori come Rothko, sono artisti esuli, estranei, pur nel successo internazionale.

Porto con me il libro di Fabrizio, tutti i libri di Fabrizio, come amici cari, come un discorso ininterrotto fatto con lui in persona un solo istante, pochi minuti al binario due o tre della Stazione di Lamezia Terme ormai parecchi anni fa. Il dialogo continua e continua l'ammirazione verso i suoi libri, verso la sua persona sempre amatissima nel Regno della Litweb

Ippolita Luzzo


Fabrizio Coscia (Napoli, 1967) è docente, editorialista e critico teatrale del quotidiano «Il Mattino». Ha pubblicato la raccolta di saggi narrativi Soli eravamo e altre storie (ad est dell’equatore, 2015, tradotta in tedesco), La bellezza che resta (Melville Edizioni, 2017, finalista premio Brancati), Dipingere l’invisibile. Sulle tracce di Francis Bacon (Sillabe, 2018), I sentieri delle Ninfe. Nei dintorni del discorso amoroso (Exòrma, 2019), Lo scrivano di Nietzsche (Mattioli 1885, 2019). Per questa collana, che dirige, è autore del volume Nella notte il cane (2021).


martedì 28 gennaio 2025

Codice Canalini amatissimo


 "Questa era la mia vendetta contro il sistema: prendere gli scarti dei colossi, e farli diventare stelle. Gli scarti, sì, quegli scarti alla riscossa di cui aveva parlato Tondelli a proposito degli under 25. Ma oggi l'intera editoria si rivolge ai giovani esordienti, gli scarti editoriali non sono più loro. Gli scarti oggi sono gli over 65, gli anziani senza mappe sul presente di cui nessuno sa più cosa farsene.

Mi piace cominciare con la testimonianza di Giulio Milani che nel 2009 esce con la raccolta "Over Age. Apocalittici e disappropriati" grazie alla quale scopre autori come Roberto Pusiol, Elio Lanteri. 

Mi piace cominciare con "Scenità" il primo volume di un progetto visionario di Canalini, sempre nel 2009, con collaborazioni come i Wu Ming, Fabrizio Gatti, Vanni Santoni. Mi piace cominciare con la visionaria vita di Massimo Canalini nella letteratura, vivendo idee, facendole vivere, vivendo nei libri. Mi piace cominciare col 2009 perché è un anno importante anche per me che dopo una vita di onorato silenzio scopro i siti letterari, Neteditor, La Recherche, ed inizio a scrivere sul computer dopo aver strappato tutti i fogli scritti in precedenza. Bannata da Neteditor nel 2012 Bruno Corino mi apre il blog Il regno della Litweb e da lì condivido lo stesso slancio di chi fa editoria, di chi scrive, di chi ama i libri. 

Tutto si trasforma velocemente in quegli anni, Giulio Milani racconta con entusiasmo travolgente, con un ritmo avvolgente, sembra un ballo, gli anni dal 2009 al 2013 e fa nascere Transeuropa e poi il TRanseuropa Discovery Tour! Un vero e proprio camper che partirà il 2017 ad Agosto, con incontri in piazza, in biblioteca, con i libri dietro, con le figlie e fra momenti di panico poi risolti e viaggio folle si va si va perché la letteratura è ricerca. 

Guardo con immensa tristezza la fotografia della libreria "La pecora elettrica" di Centocelle, due volte bruciata e chiusa nel 2020, dove Giulio Milani tiene un laboratorio di scrittura e mi sembra sempre inane il nostro resistere a questi vorticosi cambi di significato impressi sulle nostre esistenze, dal libro al cinema, all'arte, alla musica. 

Noi spettatori ci ribelliamo, resistiamo, e Giulio Milani inventa, inventa un nuovo regime letterario, "La realtà possibile"- 

Massimo Canalini vedeva in questi ultimi decenni una immersione nella paraletteratura, una letteratura senza passato e senza complessità, libri senza forma, una indifferenza stilistica segno dei tempi. Tempi senza coraggio, tempi ignavi, dico io dal mio luogo di periferia dove guardo la critica letteraria adulante il fenomeno di mercato, dove vedo blogger farsi carriere televisive e giornalistiche sul plauso conforme. 


Massimo Canalini pubblica per Cattedrale Libri sulla traccia antica di il Lavoro Editoriale, un ritorno alle origini perché si deve sempre tornare indietro per prendere la rincorsa, come gli atleti ed intanto io mi porto dietro dappertutto questo libro amatissimo, la nostra Cattedrale di Carta 

“Scrivere non è altro che un tradimento. Pensi di avvicinarti a ciò che ami - una persona, un’idea, un sentimento - e invece bang, lo imprigioni, lo blocchi su carta neanche fosse una farfalla infilzata da uno spillo. L’amore, la passione, l’emozione? Morti, stecchiti. Fissi per sempre su quella pagina gelida. Vuoi raccontare qualcosa? Bene, preparati ad ammazzarlo, perché scrivere è spesso il bacio della morte. La scrittura è uno strumento letale: ti promette vita eterna, ma in realtà spegne la fiamma nel momento stesso in cui la racconti”

Su “Fenomelogia dell’abbandono” Pier Vittorio Tondelli in conferenza ad Ancona nel 1982 invitato da Canalini, Mangani, Montanari. “Parlare di una cosa significa molte volte farla morire” La differenza fra noi la fa proprio il gusto che ci fa scegliere alcune letture invece di altre. Da sempre. Scegliamo cosa leggere e nello stesso tempo scegliamo chi essere. Stare qui per me ha un significato di scelta, scelgo di volta in volta cosa sia per me più vicino al mio vivere e mi ritrovo poi vicini di letture, di stima e di ammirazione persone come Canalini, il visionario editore, ma molto altro, raccontato da Giulio Milani. 

Un racconto vivente, pagine vive di avvenimenti risalenti agli anni ottanta e di cui io devo proprio riprendere ancora i giorni e gli anni, anni in cui Canalini, mio coetaneo, trovava la strada di una editoria libera da pregiudizi. 

Giulio Milani diventerà il suo discepolo, quasi,  prediletto e daranno vita a Transeuropa, con libri veri. Faccio sempre la distinzione fra libri veri, creati con passione, e libri oggetto, libri falsi, anche carucci, bellini, che vendono moltissimo ma falsi. Falsi perché non liberatori, non liberano un bel niente. Basterà invece leggere una pagina di Codice Canalini per sentirsi liberi, per capire cosa sia Il lavoro editoriale, per capire cosa è stata la storia dell’editoria, per capire come sia stato possibile vivere e scrivere pur nelle maglie delle strettoie del commercio. Fra chi crea e chi vende ci dovrebbe essere quella fiducia che vediamo vitale nelle pagine di questo libro che ci commuove per la sua testimonianza viva. Grazie moltissime a chi come Giulio continua a tenere in vita la voglia di resistere.

Ippolita Luzzo 


lunedì 6 gennaio 2025

Mia Madre: Un secolo di mamma

 

Mia madre. Un secolo di mamma.


 Rita Levi Montalcini, Franca Valeri, Rachele mia madre

“La vecchiaia si può programmare, scrive Franca Valeri. A parte la conclusione. È una preparazione che comincia presto.” Da giovani, dico io. “La mia testa è come una piazza” continua Franca Valeri e uno spazio immenso e sconosciuto è la curiosità e poi immaginare ed è ciò che univa Franca Valeri alla mia mamma. Rimanere giovani essendo curiosi. Ogni periodo ha un suo aspetto che deve vestire prima di imporre la sua verità umana. E nei tanti personaggi si rivede l’attrice chiamando poi i suoi amici settantenni giovani. I libri che ho regalato a mia madre La vacanza dei superstiti di Franca Valeri, l’asso nella manica a brandelli di Rita Levi Montalcini e con lei diciamo che “la vecchiaia non debba essere vissuta nella memoria del tempo passato, ma nel programmare la propria attività per il tempo che rimane, sia questo un giorno, un mese o anni, nella speranza di poter realizzare progetti che negli anni giovanili non era stato possibile attuare” 

 Rita Levi Montalcini da lei amatissima

Mamma dall’Epifania è diventata altro da noi, da noi lasciati qui in balia del tempo. Lei senza tempo sta e a febbraio di questo anno per noi viventi avrebbe compiuto 100 anni. Cento anni un soffio e via.

«La vita è un soffio», mi disse lei pochi giorni prima lasciarci senza mai perdere la lucidità con la quale aveva letto gli avvenimenti epocali, la fine del mondo; di questi nostri anni di trasformazione, senza mai perdere la lucidità con la quale aveva sempre letto i rapporti familiari e di buon vicinato, l’aridità negli affetti, la dissoluzione di ogni famiglia, il vuoto nelle strade.

 X agosto era la poesia di Pascoli recitata tante di quelle volte nell’agosto del 2023, Ritornava una rondine al tetto e con tutta la poesia a memoria lei ci accompagnava.

Ne scrivo come testimonianza, come ciò che appartiene a me nella sfera personale, ma anche come ciò che appartiene a tutti nel far parte di una storia universale di affetti e ricordi.

 

La storia

 

Quando mamma aveva dodici anni era il 1936: lei ricordava la miseria, i bambini, scalzi d’inverno, vestiti con pantaloni aperti dietro affinché con facilità, afferrati i lembi della stoffa, potessero aprirli e fare la cacca per strada. Era appena arrivata la prima lampadina nelle case, in pochissime case, e lei si sentiva nel meraviglioso mondo della luce e guardava il prodigio di poter accendere e spegnere la luce. Qualche tempo prima, quando ancora non c’era la luce, nel buio delle prime ore del mattino mia nonna confuse il caffè con i chicchi da dare alle galline e quando si accorse dell’errore, per salvarle, prese una forbice e le operò ricucendole dopo aver svuotato il gozzo. La nonna, come nelle fiabe, con il ricavato della vendita delle uova riuscì a farsi un forno e durante la guerra mia mamma da una finestrella regalava il pane, restando spesso lei senza pane. Mia nonna le diceva che a loro bastava il profumo mentre tutti gli altri non avevano nemmeno quello. Mia nonna si privava per dare agli altri mentre ora, impunemente, vedo la miseria spirituale sbandierata come vessillo di grande idealità. Anche allora come ora una guerra è in atto.

 

Mia madre, da bambina, alla scuola elementare, si lavava il grembiule poi lo appendeva ad una frasca e lo infornava per asciugarlo. «Lei mi detta e io scrivo. Poi rileggo a voce alta per avere la sua approvazione». D’inverno, dunque, asciugava l’unico grembiule che aveva grazie al forno a legna di sua madre che faceva il pane per rivenderlo.

A scuola era molto brava a leggere il tedesco e il suo professore sempre le diceva «Leggi, Gigliotti» e lei era molto fiera di ciò.

 

15 maggio 2016

 

Mia mamma continua a sognare la scuola. L'altra notte ha sognato di stare con la nipote ed di chiedere a lei la giustificazione per andare a scuola dopo una assenza. Nel sogno la nipote le diceva: «Nonna, puoi andare senza, che ti serve giustificarti?».  Mia mamma allora argomentava che già un’ altra volta si era presentata a scuola senza giustificazione: questa volta doveva portarla, quindi le chiedeva di firmarla. Alla nipote. Ascoltavo quel sogno di mia mamma, che ha frequentato fino al quarto anno dell'istituto magistrale senza poi diplomarsi, ancora non so perché, e passò tutta la vita a rimpiangere la scuola dove sarebbe stata felice come insegnante.

Intanto arriva il 1974 e mamma va a votare per il divorzio, felice che le donne abbiano la possibilità di divorziare. Vedeva l’approvazione della legge sul divorzio come un atto di grande civiltà ed era attenta a tutte le esigenze delle donne, sapeva quanto fosse importante l’indipendenza economica che, a suo vedere, avrebbe consentito alle donne maggiore autonomia.

Leggeva i giornali, La Domenica del Corriere ed era una estimatrice di Susanna Agnelli. Era come tutte noi innamorate di Lady Diana.

Parliamo con la mia mamma di Lady Diana e lei mi risponde: «Quando uno ti vuol male c’è poco da fare». In realtà, il proverbio era: Per chi ti vuole male anche con cento sottane la carne ti pare. Su Carlo e Camilla dice che sono una coppia affiatata, e poi non posso riferire altro. Io non ho responsabilità penale su ciò che afferma mamma e lei ridendo mi risponde: «Ma io posso dire tutto. Ho cento anni». Rivendicando il diritto di parrasia afferma che il re Carlo è uno scimmio anche se pur sempre il re istituzionale di una monarchia costituzionale e la regina consorte lo è a sua volta perché è la moglie del re.

 

Alcuni stralci di conversazione 

10 ottobre 2023 “Queste lacrime sono inutili” mi dice lucida e ragionevole mia madre dopo un suo pianto bloccato sul nascere. 

31 ottobre 2023 “Ricordo tutto, anche le più piccole cose. Sì sì l’infinito, il gerundio, i verbi, gli articoli, tutti. Loro invece non ricordano niente. Ricordo i miei compagni di scuola. La Torrisi mia compagna di banco, la figlia del preside, bell’uomo, il preside Torrisi” e qui mamma mi dice i nomi dei suoi compagni di scuola! E mi recita X Agosto di Pascoli. 100 anni in poesia

16 settembre 23 Mia madre ora:- Quanta forza! Ed ora sono una canna - ed io di rimando:- Canne al vento Grazia Deledda- 

28 settembre 2020 E oggi mia madre mi fa:- Ora che sei qui raccontiamoci delle storie - e sulla narrazione dei fatti vicini e lontani si trascorre il pomeriggio dei “cunti” 

14 novembre 2021: Il tempo si è arrotolato sulle domeniche e da domenica a domenica sembra non ci siano più i giorni infrasettimanali. Scomparsi. Esistono solo queste tremende domeniche in cui mia madre, con la sua estrema lucidità, asserisce che il mondo si è capovolto, che non esiste più nessuno, non esistono i vicini di casa, i parenti, le visite di cortesia. È sparito tutto e ci resta solo da pregare, lei continua a dire, assertiva. La domenica è il giorno di libertà delle signore che vengono ad accudirla! Certo ci siamo io e mia sorella ma ma sempre poche siamo! Uno squallore! Ora anche Argo abbaia nelle scale. 

16 novembre 2018 Mia madre spolvera ogni oggetto di casa e oggi la trovo alle prese con la cristalleria. Mi chiede una mano per salire sulla sedia. Ohibò! Le dico di non fare simili esercizi ma lei è felice così e mi invita a prendermi un servizio di tazze, suppongo mie, che io rifiuto. A che serve oramai un servizio di tazze?

 29 novembre 2020 mia madre stamattina: “Il mondo è crollato, le persone chiuse in casa ammutoliscono paurose, cosa c’è da aspettare ancora dopo questo vuoto? Può durare così? Non può durare e ci sarà un cambiamento “ meglio lei che gli opinionisti 



estate 8 giugno 2023

 

Mia madre oggi mi dice: «Unmbalinu, ci fazzu na lienda, nu lavabis». Chiedo spiegazioni e lei mi chiarisce che la lienda è una lezione, e lavabis un discorso credo sempre di rimprovero a coloro che non valgono.

9 novembre 2017 Mia madre, anni 93, riceve suo primo fascio di rose rosse da un caro amico di gioventù. A 93 anni esser vedova alleggerisce i giorni e lei può permettersi la prima chiacchierata amichevole della sua vita.


14 settembre 2020 Sabato mia madre fa tre rampe di scale per andare a messa con mia sorella e io la fotografo al rientro vicino casa. Lunedì cade, si frattura il femore e l’omero. Giovedì la operano al femore e mettono tutore al braccio destro. Domani la dimettono e giustamente vuole ritornare a casa. A casa a casa. Intanto un evviva alla sanità pubblica, all’ospedale di Lamezia Terme con un ottimo reparto di ortopedia. Evviva ciò che ancora abbiamo

 16 settembre 2020 “Se non si è capaci di capire è tutto perso” mi dice la mia mamma ora al termine di un suo lungo ragionare. Lei ringrazia il reparto di Ortopedia, le infermiere che l’hanno accolta e coccolata, tutti quelli che l’hanno elogiata per la sua serenità e la sua limpida visione della realtà. Mi chiede di scrivere un pezzo difficilissimo per me, io non possiedo nemmeno un quarto della sua saggezza, della sua benevolenza e della sua grande pazienza


 

24 luglio 2021

 

Mia madre stamattina apprezza come mi sono vestita ma poi aggiunge: «Stamattina ti sei vestita bene ma tante volte pari na sciacquitta» Le chiedo il significato di sciacquitta e lei mi dice «sciacquitta come ‘na scupittinella». Ne so quanto prima.

La mia mamma non poteva mettersi un vestito senza maniche in estate ed io non potevo indossare pantaloni nel 1970. Regole di casa mia. Vietate minigonne e viaggi, vietato vivere. Vietare sembrava più facile al mio papà, sempre in contrasto col divenire dei tempi. Ora che sembra non ci sia più nulla da vietare si vieta di vietare così schizoidi e schizzati rimangono gli abitanti dei vestiti.

 

20 agosto 2016

 

Scherzando, lei di una sua coetanea centenaria dice che è una Cacafanara. Le chiedo cosa significhi e lei «una cosa che non serve». Mamma non aveva sorelle, la sua unica sorellina morì bruciata infilando un pettine in un braciere e suppongo fosse sola quando cadde nel braciere e morì. La nonna allora tesseva, lavorava sempre al telaio, prima di avviare il panificio, contro il volere di suo marito. Mamma aveva però due cugine quasi coetanee e con loro ha sempre avuto affettuosissimo rapporto.

Questo pezzo mamma lo lesse ridendo, perché era contenta di aver ritrovato sulle pagine quel momento della loro gioventù, quando zia Maria Gigliotti, da donna moderna, diede una svolta alla sua vita, negli anni Sessanta, suppongo.

 

Tutte le cose 17 ottobre 2011


Tutte le cose hanno un principio e una fine in questo misero mondo anche quelle che non iniziano…

muoiono, 

all'alba  grigia di un divenire.

La prima parte della frase era proverbiale a casa mia, sempre ripetuta, col commento scherzoso della reazione della cugina di mia mamma nel ricevere la lettera del fidanzato che, appunto con quella frase, chiudeva il legame, la lasciava.

Lei fece in mille pezzi la lettera e disse tante parolacce, così raccontano, poi seccata se ne andò ad insegnare a Merano dove sposò l’uomo più buono che noi avessimo conosciuto.

Un uomo che lei comandò aspramente, forse facendo scontare a lui il rifiuto del suo primo amore. Lui, dolcissimo, la adorava

Lei, malgrado le sue stranezze, le sue uscite spiazzanti, corrosive, era benvoluta da tutto il parentado, era così, "sprudente" -diceva la mia mamma.

Credo invece che questa mia zia sia stata una donna  pratica  e non  si sia fatta comandare da nessuno e che abbia attraversato fascismo e guerra con la freschezza della sincerità ed abbia anticipato movimenti  e ideologie con una semplicità disarmante.

Quasi tutte le altre donne, compresa la sorella, rimasero ingabbiate in rapporti  subiti, dolorosamente distruttivi, ed a nulla valse loro una laurea, un insegnamento o una abnegazione costante ma  rimasero stritolate da uomini incapaci, fannulloni e prepotenti e conclusero la vita con l’amarezza di averla malamente sciupata.


Guardo mia mamma e la sorella di mia zia, guardo queste donne ottantenni, capaci, intelligenti, che hanno allevato figli, hanno insegnato eppure ingabbiate. 

A mamma non è stato concesso nemmeno di terminare l’ultimo anno di scuola superiore ed ha trascorso la sua vita sognando di insegnare.

Guardo queste donne che non vogliono parlare più, che vogliono solo dimenticare lo sciupio delle loro capacità e ne provo una pena infinita.

 

Otto marzo 2023

 

Dovrei parlarvi di mia madre, anni 99, che voleva finire l’istituto magistrale, le mancava un solo anno, ma la bocciarono, almeno questo io so, e le impedirono di ripetere l’anno perché intanto le sciagure si avvicinavano nella sua vita rendendola vittima delle situazioni come in Berta Isla con Tom Nevinson. Così si sposa per modo di dire, cioè, sposa un vita di servizio al servizio di una numerosa famiglia da accudire tutta. Una donna angelo che si è fatta carico della malattia di mio fratello rendendolo autonomo e regalandogli una vita decente a discapito della sua. Non ho mai visto servizi sociali aiutarci. Mai. A mia madre che ora mi bacia le mani e mi carezza le guance, cosa mai successa negli anni passati, a mia madre che sa perdonare e sa amare, a mia madre che ha sempre un sorriso nella cattiva sorte, dedico la giornata dell’unica donna per me. Lei era per me sempre lei, ma anche tutte le donne di un secolo di storia.

 

Ho visto donne                                                                             

Ho visto donne preparare tinozze d’acqua calda e strofinare suocere e mariti

Ho visto donne che lavavano i piedi a uomini giovani, maturi

Ho visto donne spadellare pranzo e cena, primo, secondo, contorno e frutta, senza sedersi, servendo mariti, cognati, figli.

Ho visto donne preparare grandi bracieri dove loro non si sarebbero mai potute riscaldare,

lavare lenzuola al fiume e lasciarli poi in grandi ceste con la liscivia a profumare,

donne curve su camicie da stirare, su melanzane da tagliare.

Ho visto donne partorire e rialzarsi perché lui era tanto stanco.

Allattare pulire il piccolo e senza cibo riallattare, senza tempo per sé stesse.

Ho visto di tutto di più ed ho trascorso infanzia e adolescenza borbottando, ribellandomi e schifando un servilismo immondo anche per lo stesso uomo al quale era diretto. 

Mi ero giurata che mai avrei perpetuato nessuno di quei gesti e così ho fatto, non per mia bravura, ma perché la modernità avanzava e disfaceva il feudalesimo con lavatrici, lavastoviglie e riscaldamenti.

Le donne hanno studiato, si sono laureate, ma la mente imprigionata ha imbracato, imbavagliato, le donne per metà.

Il tempo delle donne è ancora a disposizione di un lui, di una famiglia, di un figlio, di un nipote.

il tempo delle donne è sempre tempo perso ad aspettare un lui che dice: - Sei pronta? Sto arrivando.

Siamo pronte… ma…

Le donne ancora aspettano con costanza, senza nessun cedimento, senza accorgersi di ripetere le nonne, le mamme, le zie, tutte le altre donne che hanno condannato. Aspettano

Ancora oggi

Troppe donne vengono uccise, troppe donne vengono picchiate e tutte, proprio tutte, chiudono un occhio, anche due, sulle innocenti evasioni di un carissimo lui, basti che torni a casa.

Basti che torni a casa

La strada è lunga, è tanto lunga

E passa per un solo sentiero ancora poco asfaltato

Il sentiero del rispetto e della amicizia

Delle donne con sé stesse



Questa è la mia riflessione sulla vita di mia madre, di mia zia, di tante donne che dovranno conciliare un femminile empatico ed un femminile pratico, un patto con le nostre emozioni e la realtà effettuale delle cose.


e poi Mia mamma ci ha insegnato che, quando qualcuno ci veniva a trovare a casa, doveva essere messo a suo agio, gli si doveva offrire subito un caffè, un bicchiere d’acqua e poi, quando andava via, lei regalava qualcosa: un litro d’olio, una bottiglia di vino. Lei ci ha insegnato ciò come regola di buona educazione. Stamani, dopo la sua morte, siamo stati a fare gli auguri per un compleanno e abbiamo portato un dolce. Mah! Nemmeno la finta di offrire un caffè! Evidentemente non si usa più, veramente la fine del mondo! La fine dell’educazione.


Voglio terminare con la mia mamma nel suo ragionare. Mi dice:  «Continuo a progettare e a pensare che quando mi riprenderò, farò cose, andrò fuori, preparerò pranzetti a Francesco (suo nipote) poi dopo aver progettato, mi dico che non farò nulla di tutto questo. Le corna che tengo in testa farò, ho cento anni cento anni».

 Ciò che lei mi dice appartiene a noi tutti al nostro continuo attaccamento al futuro, proprio come ci dice Rita Levi Montalcini

 



30 dicembre 2023

 

Ieri pomeriggio mamma ha mangiato una pera grande, morbida e dolce. L’ha mangiata tutta e io ero contenta come si è contenti quando mangiano i bimbi, ed ho capito che la vita è il cerchio che si ricongiunge. In fondo la vita è niente, mi ha detto mamma pochi giorni fa, ed io aggiungo però che in quel niente ci sta tutto il bene e tutto il male conosciuto. La vita è una pera, penso sorridendo e ricorderò la pera nella sua e nella nostra unicità.

 


Da mamma


Mamma, vado in edicola, ti porto un giornale? Certo, portami la Gazzetta del Sud così pulisco i vetri.

Ippolita Luzzo 


sabato 4 gennaio 2025

L'ombra di Pirandello Le circostanze fragili di Virginia Asaro

 


Nata ad Agrigento Virginia Asaro già editor freelance per Navarra Editore, si cimenta con la sua scrittura, col suo stile, e racconta gli anni a cavallo del Novecento in Sicilia, a Girgenti, luogo dove vivono la famiglia Portulano e la famiglia di Luigi Pirandello, peraltro imparentate. Si intreccia fra la storia di queste famiglie, famose per essere i suoi consanguinei gli uni e gli altri, la moglie appartenente ai Portulano, la storia di Francesca, di cui nulla sapremmo se non avessimo avuto la ventura di leggere questo bel racconto. 

Dedicato a Francesca, Francesca la cui vita viene riportata dagli atti notarili, ritrovati dalla autrice. Francesca è la bisnonna di Virginia Asaro e sembra che lei abbia dettato alcune pagine. 

Francesca vivrà in casa Portulano senza essere mai accettata da Antonietta sua coetanea, e dai fratelli di Antonietta, figli della prima moglie di Calogero Portulano, scomparsa da giovane. Vivrà da esclusa malgrado Calogero Portulano portasse verso di lei un sincero affetto e fossero entrambi nella possibilità di sposarsi.  

Appena letto appena arrivato mi ha trascinato nella sua storia e non ho potuto che farmi prendere e portarmi da loro, dalle due protagoniste. Di una, Antonietta Portulano, la moglie di Luigi Pirandello, ne sentiamo la voce, ci parla e ci ripete il suo malessere, la sua esclusione dal mondo, il suo odio verso la nuova compagna del padre, la sua gelosia e insieme l’amarezza di un matrimonio fatto per interessi. 

Venduta quasi lei era stata a Luigi Pirandello che aveva accettato perché era lui a vendersi in realtà. La dote di Antonietta Portulano accettata per fare più facilmente il suo lavoro di scrittore.

 E poi la storia di Francesca la compagna di Calogero Portulano, il padre di Antonietta. Una storia sconosciuta di rimozioni, di carte ritrovate, di avidità assoluta dei figli di Calogero che impongono al padre di rinnegare Francesca. 

Francesca non ha voce nel libro se non quando si rivolge a Calogero per informarlo che è incinta. Francesca è la ragazza che lavora a casa Portulano e alla morte della moglie di Calogero Portulano rimarrà nella casa e vi rimarrà ma non sarà accettata dai figli di Calogero di cui lei è coetanea, coetanea quasi di Nietta, Antonietta. Nietta però non ha nessuna sorellanza con lei anzi la odia, la invidia. E Francesca non ha voce, per lei parlano gli atti notarili ritrovati da Virginia Asaro, da lei che con grande sensibilità letteraria è riuscita a dare voce, a dare forma ad una indicibile ingiustizia. 

Mi ricorda il libro di Jane Austin Ragione e Sentimento, quando il figlio legittimo spinto dall’ avarizia della moglie negherà ogni eredità alle sorellastre. Orribile anche in quel libro la grettezza della cognata verso le sorelle del marito. 

Qui nel libro, già amatissimo, giganteggia per cattiveria, per povertà di sentimenti, per essere anche lei una vittima, Antonietta Portulano, ma giganteggia con la sua lealtà con la sua abnegazione, Francesca, nella semplicità e nella dolcezza di cercare una vita dignitosa malgrado ogni inciampo a cui doveva sottomettersi. 

Libro scritto quasi con la voce di Francesca che io ormai vedo la vedo sulle scene a raccontare a raccontarci oltre il tempo la condizione di essere donna, madre, compagna, di essere privata dalla volontà di decidere e rimanere però con l’affetto e la dedizione immutati.

 Ciò che conta ora è leggere questo libro, farlo leggere e conoscere, ciò che conta è come Virginia Asaro lo ha fatto, anch’esso nato come un atto d’amore verso la verità di fatti storici taciuti, nascosti ma che lei ha ritrovato con in mano quella torcia illuminante che si chiama letteratura. Ci consegna due figure di donne vive: la tragica Antonietta e la dolce Francesca, due donne che resteranno a lungo nel nostro immaginario.

Resta in ombra Luigi Pirandello, grande scrittore e drammaturgo ma incapace di capire la moglie e di essere da luce in una esistenza, quella di Antonietta, già di prigionia. 

Resta vittima delle circostanze lo stesso Don Calogero Portulano, vittima dell'avidità dei figli e quindi impedito a sposare una donna che amava ed anche lui un debole. 

Restano le circostanze a fare una vita riuscita o meno, le circostanze che ci fanno trovare in un luogo oppure in un altro, in una famiglia oppure in un'altra, ed anche la ricchezza sembra un cappio per la buona riuscita di una esistenza. 

Svelare è letteratura. Svelare e raccontare con atti notarili una vicenda individuale ma nello stesso tempo letteraria proprio per lambire la vita di tanti personaggi letterati creati da Luigi Pirandello. Luigi Pirandello luci ed ombre. Luigi Pirandello come non è stato mai raccontato. Ed insieme qui la voce di una donna mai raccontata, di Antonietta Portulano ci parla e ci dice, si parla in un dialogo interiore oppure parla ad un interlocutore che non ebbe mai. Lei orfana di padre, orfana di figli, non perché non ci fossero ma perché inesistente il dialogo con lei. Appare in questo svelamento Francesca, la compagna amata da Don Calogero ma mai accettata dai figli avuti dalla moglie. A Francesca è dedicato questo libro ed io lo raccomando vivamente alla lettura per vederlo poi recitato come atto teatrale su quelle scene dove le commedie di Luigi Pirandello giganteggiavano riportando la vita vera. Ed è questa la verità

Comincia così il 2025 con un libro amatissimo nel Regno Della Litweb 

Ippolita Luzzo