venerdì 21 ottobre 2016

Non ti parlo. Non mi parla. Sappiate che non mi interessa più

Indietro tutta.
Come scrivevo prima dell'avvento del regno della Litweb

13 Marzo 2010

Professoressa, non mi parla. 
No, è lui che non mi parla 
Ribatteva il compagno di banco.
Non mi parla ed io non lo parlo.
Si susseguono così le ore di lezione nel mio primo anno di ruolo nella scuola media.
Io, ignara o dimentica di dinamiche, non prendevo posizione, incerta e confusa agivo, secondo me, con buon senso, cercando malamente di  arginare le urla, il vociare, i dispetti che i miei piccoli alunni si facevano l’un l’altro.
A volte, stanca di tutto quel baccano, demoralizzata, alzavo la voce ed era la fine della lezione, gli alunni, invece di calmarsi riprendevano con più veemenza protestando le loro  rivendicazioni. Chiedevo consigli ai colleghi più esperti.
-Non si parlano- dicevo.
I maschi risolvevano con l’autorità, con il potere, con il timore, le donne, materne, con la comprensione, con le favole, mi consigliavano di cercare di distrarre quei piccoli esseri portandoli verso il regno della fantasia e dell’immaginazione.
Seguii quel consiglio e restai nel mondo dell’immaginazione dove tutto si placa, dove i conflitti ci sono, terribili, ma trasfigurati e combattuti da creature angeliche, da guerrieri della luce, da fate dai capelli turchini, dove il bene trionfa sul male e i sentimenti sono il valore della vita.
Che mondo fantastico, finché ci sono rimasta!
 Perché ora punirmi e catapultarmi di nuovo in questa triste dimensione dove – Non ti parlo – Non mi parla – dove nessuno parla più con l’altro, dove anche gli adulti peggio dei mie piccoli alunni non si parlano più, per dispetto, per ripicca, per vendetta, per creare disagio e tormento?
Amici carissimi che all'improvviso non si parlano più, colleghi di lavoro che non si rivolgono un saluto, vicini di casa che non osano fare nemmeno una domanda per paura di invadere, di essere di fastidio, vicini di casa a volte suscettibili, permalosi, a volte impauriti, diffidenti, perché non ci si parla più, anche se si vive gomito a gomito.
Sconosciuti.
Non ci parliamo più.
Cosa avrà fatto di male questa parola per essere trasformata, come arma di offesa, maneggiata come una bomba ad orologeria pronta ad essere lanciata?
Le parole usate solo come dardi, lance infuocate eppure tenute ben strette, non usate, perché il silenzio sia la giusta punizione verso chi non ci merita.
Che cosa triste e com'era bello il mondo delle parole nel paese della immaginazione!
 Voglio ritornare laggiù.
Il mio paese però non è quello di Alice, un po’ catastrofico, anche se rutilante di colori, il mio paese non è quello di Avatar, è il paese dove i classici della letteratura si parlano, il paese dove i libri si parlano fra di loro, visto che le persone hanno cessato di farlo.
I libri, io credo, si faranno tante risate, vedendoci litigare come le rane nello stagno.
-Mia figlia non mi parla, mi racconta al telefono una cara donna che ha vissuto per questa figlia e per un figlio, ha lavorato e messo da parte risparmi per darli poi a loro,- mai un cinema, una passeggiata, una pizza, una gita, sempre ho messo da parte per loro  e quando poi hanno avuto bisogno io ho pulito, cucinato, lavato, rassettato, per amore, felice di farlo ora, ed ora il nipotino, la nipotina… ed ora non mi parlano più 
Sono diventata di troppo, sono invadente, mi dicono, mi impiccio, ho idea diverse mi devo togliere dai piedi.
Così  il suo sfogo!
Beati i tempi in cui ci si rivolgeva ai nostri genitori chiamandoli signora mamma, signore babbo.
Beati i tempi in cui il timore diventava rispetto, il pudore tratteneva gli istinti, il denaro non veniva agitato come unico lasciapassare per entrare! Ma quali tempi?
Ma dove? dico io
Nel vuoto del mondo senza immaginazione viviamo di suoni, di figure, di sollecitazioni, di consumi, di appuntamenti, di spostamenti, di acquisti. Nel vuoto le nostre parole vuote, i nostri sguardi vuoti, le nostre mani vuote, il nostro portafoglio pieno di carte.
Ma, per favore!
Riprendiamoci la fantasia e ridiamo di noi stessi, che siamo rimasti sempre come i miei piccoli alunni di scuola media



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