lunedì 3 ottobre 2016

Docherty: leggere per capire

Il libro Docherty di McIlvanney William, pubblicato in edizione originale nel 1975, viene proposto nel 2015 in edizione italiana dalla casa editrice Paginauno e arriva in Litweb, più volte segnalato alla lettura da Giovanni Tranchida, un editore molto attento a questo autore del quale ha pubblicato altri suoi romanzi.
Sul sito editoriale di  Giovanni Tranchida leggo "La rassegnazione e la passività possono essere combattute promuovendo una letteratura dell’impegno: la convinzione che il cambiamento non sia solo auspicabile ma anche realizzabile è la base del potere rivoluzionario dell’arte. Questo l’ideale forte che molti degli autori del catalogo Tranchida, come  lo scozzese William McIlvanney, traducono nelle loro opere incentrate su personaggi che  non si sottraggono all'idea di poter cambiare il mondo lottando quotidianamente senza arrendersi mai."
Docherty
Ambientato in High Street a Graithnock in Scozia era il proseguimento di Soulis Street e Fore Street, insieme erano state le vie principali della città.
Ho letto questa descrizione con in testa la via del centro storico dove io ho abitato da ragazza ed ora non più, non più nemmeno abitata da coloro che vi erano alla fine degli anni sessanta. Ho ritrovato nel libro molte somiglianze di luogo e personaggi, di uno stato familiare e sociale. "Là dove si possedeva quasi  nulla il condividere era un riflesso  generato dalla  precauzione"
La storia inizia con un prologo del 1903, la nascita del capostipite della famiglia, Cornelius Docherty e attraversa il secolo raccontando come vivevano i minatori nella Scozia, giungendo e oltrepassando la seconda guerra mondiale con il ritorno di Mick, uno dei Docherty, senza braccio, senza un occhio.
Un libro che ci pone in continuazione una riflessione e che io ho martoriato di orecchiette. Sono più le orecchiette fatte che le pagine, ad alcune pagine ho messo due orecchiette, questo per dire quanto sia importante leggerlo e rileggerlo, non come lettura, bensì come studio, come qualcosa di scritto che sembra si sia perso per sempre, sia come corpo sociale che come corpo narrativo. 
Tutto il racconto è compatto, narra  descrive e disegna luoghi, modi di pensare, credenze religiose, rapporti religiosi, vita familiare e valori in cui credere.
Una grande malinconia forse ci potrebbe prendere alla distanza di quegli anni settanta  nel rivederci noi tutti ora  senza più quelle costruzioni che servivano ad un tessuto individuale per credersi un tutt'uno con la storia.
Davvero è sparita per sempre questa tensione che si percepisce in Docherty? Davvero quel mondo non esiste più? Se lo domanda anche il traduttore Carmine Mezzacappa, rispondendosi poi con i temi conduttori delle due case editrici che hanno deciso di pubblicarlo ed insieme pubblicare una letteratura civile, così la chiamo io, intendendo la civiltà le conquiste dei diritti per le classi sociali e per gli individui. Il diritto al rispetto. 
Docherty è un libro che viene ora  pubblicato in edizione italiana per insegnare a chi legge come possedeva un corpo l'arte del racconto negli anni settanta. Un corpo sociale. Lo leggo con calma e lo rileggo  per restare su una pagina ricreando modi di vivere e luoghi perduti.  
Nelle pubblicazioni continue di pagine senza storia, nelle pubblicazioni scellerate, le chiamo io, del nome di successo, del personaggio del momento che scrive quattro cavolate quattro, per vendere, Docherty sembra una proposta: il romanzo storico, da rileggere come testimonianza di un'epoca scomparsa. Scomparso il lavoro, scomparso l'orgoglio di essere bravi nel proprio lavoro, scomparsa l'appartenenza ad un nucleo familiare, ben poco resta a Docherty oggi in piena dissipazione. 
Una scrittura che è un monito ai tempi veloci e semplificati in cui viviamo e richiede l'impegno della continuità. 
Nella scia delle due case editrici che propongono una alternativa come scelta.       

"Paginauno di Walter Pozzi è un progetto indipendente più ampio della sola casa editrice: nel 2007 è nata la rivista Paginauno, che si occupa di analisi politica, inchieste, cultura e letteratura, e nel 2010 il progetto si è ampliato divenendo casa editrice. Il tutto affonda le radici in una realtà  precedente, quella della scuola di scrittura creativa, nata nel 2003 e che dal 2005 ha preso il nome di Paginauno.
La rivista è aperta anche a chi non è scrittore, è aperta a tutti: basta la serietà e l’impegno, la passione verso una tematica, la volontà di approfondirla e di inserirsi in una piattaforma di discussione che si pone in alternativa alla cultura cosiddetta ufficiale. E infine è nata la casa editrice con questo motto "la libertà esiste solamente quando viene data possibilità di scelta. Ma la scelta è possibile se esiste alternativa. E quando non esiste, non ce n’è: occorre crearla."            

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