Accovacciata
ad ascoltare Umberto Galimberti
“L’uomo nell'età della tecnica” la lectio magistralis che tiene il professore Umberto Galimberti
al Tropea Festival Leggere&Scrivere questa sera di mercoledì comincia nella
corsa ai posti già occupati dalla precedente conferenza. Come possano ascoltare
una lezione dietro l’altra rimarrà per me un mistero rimanendo io sempre
imbevuta tanto da qualsivoglia unica lezione da non poter aver spazio per
altra.
Comunque i posti non ci sono ed io benché avrei due o tre requisiti per
aver diritto al posto mi siedo per terra, beatamente. Nell'era della tecnica è
la nuda terra, il pavimento, l’unica certezza del futuro. Penna e foglio dunque
e canticchiando Baglioni” accoccolata ad ascoltar l’Umberto” dunque e dunque
comincia con un dunque la presentatrice
in azzurro polvere e tacchi 35 sottilissimi e domanda all'ospite se “riusciremo
ad abbracciare la nostra fisionomia”.
La risposta
soffia nel vento e seguiamo la storia del pensiero filosofico fin dal suo primo
domandarsi chi noi siamo. Intanto quello che non siamo. L’uomo non è un animale
perché non ha istinti. L’animale si muove per istinti, l’uomo ha differito la
soddisfazione degli istinti, li controlla e li sublima. Rispetto all'animale,
nel suo rapporto con la natura, è un essere mancante, scoordinato, ha quindi
bisogno di inventare nuovi strumenti per soddisfare i suoi bisogni e dominare
la natura. Nella categoria della necessità deve coprirsi per proteggersi dal
freddo, deve procurarsi i cibi per
nutrirsi e conservarli per i periodi di carestia, deve occuparsi di una prole
per molto tempo non autonoma.
Nel Prometeo
incatenato di Eschilo la lotta degli uomini per affrancarsi dalla necessità, il
dono del fuoco per illuminare le notti buie è stato pagato da Prometeo con la punizione
divina. Ho sempre iniziato così le mie lezioni di storia facendo imparare ai
ragazzi i versi di questa tragedia. L’uomo che lotta, il preveggente che dona
la vista, e poi la storia, la scrittura che racconta.
Natura e tecnica
continua Galimberti passando per Socrate e Platone, e dalla Bibbia dove la natura
viene consegnata da Dio all'uomo.
Bacone e poi
la nascita della scienza moderna con il metodo di Galileo, una ipotesi, faccio
un esperimento e poi verifico. La rivoluzione copernicana. “L’uomo non è più
uno scolaretto della natura ma la obbliga e diventa padrone e protettore del
mondo. Dopo due secoli avremo l’universo tecnico di Hegel e il pieno possesso
degli strumenti con una modifica sostanziale del paesaggio perché quando un
fenomeno aumenta troppo il paesaggio cambia. Cambiano i rapporti e nel mondo
umano il denaro da mezzo diventa un dio. Il denaro come fine dice Marx e la
tecnica da mezzo diventa fine.
Se il mezzo
diventa fine tutti gli scopi diventano nulli e se oggi l’economia ed il mercato
sembrano che siano il fine e se la tecnica sia il fine tutto finisce, argomenta
amaro Galimberti ricordando che la democrazia, parola dimenticata e utopica,
non è andare a votare ma creare per tutti le stesse opportunità.
“L’età della
tecnica è iniziata col nazismo, quando importante era saper fare il compito che
era stato assegnato senza badare al contenuto. La tecnica ti chiede solo di
ubbidire all'apparato, ti fa servo.”
Servi io ho sempre pensato dei tecnici e di chi si fa schermo di questa
parola per non avere responsabilità, per rigettare le responsabilità che
abbiamo. La tecnica uccide il pensiero
alternativo, vorrebbe. La scienza invece ricerca in continuazione, lo scienziato
non sa lo scopo che ha la sua ricerca, e lui ci racconta di sua moglie, morta
nel 2008, che ricercò per anni una molecola e poi confessò che non sapeva a
cosa sarebbe servita ma la conoscenza servirà sicuramente, perché conoscere ci
rende liberi, liberi di cercare. Ora
siamo tutti con un cellulare in mano, conclude Galimberti, non si percepisce la
distanza e la prospettiva, ed anche l’arte è asservita ad un mercato che
ingloba il pensiero creativo distorcendolo a pura fruizione. Oggi funziona solo
l’utilità. Conclusione amarissima e pur nella sua verità procura in noi la
ribellione ad un mondo che vorremmo ancora a misura d’uomo e non di tecnica.
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