mercoledì 9 ottobre 2024

Intervista a Vito Di Battista Il buon uso della distanza


 Intervista a Vito di Battista da Ippolita Luzzo 18 gennaio 2024

Il buon uso della distanza


[Ippolita Luzzo] Ho conosciuto Vito di Battista penso nel 2018 poco dopo dell’uscita del suo libro “L’ultima diva dice addio”, un fascinoso racconto diventato il libro del mese del nostro gruppo lettura di allora. Vito è stato nostro ospite a Lamezia presso la libreria Mondadori e ne ricordo la gentilezza e la competenza. 

Ora sono presa moltissimo dalla lettura di questo suo secondo romanzo, “Il buon uso della distanza”. Quando di un libro io mi innamoro stranamente non so più parlarne perché perdo proprio la distanza. 

Ora però provo a dirvi le tante parole che vorrei. Intanto lo spunto iniziale del racconto è una storia vera. È esistito uno scrittore, a Parigi, Romain Gary, che ad un certo punto per avere di nuovo successo è dovuto ricorrere ad uno pseudonimo e con quello ritornare in cima al gradimento del pubblico. «Ho creato Émile Ajar per nostalgia della giovinezza, degli inizi, per riprovare l’emozione del primo libro», scrive,in una lettera all’editore, Romain Gary, autore del libro “La vita davanti a sé”. 

Su questo autore Vito di Battista aveva fatto la tesi di laurea per la triennale e si era innamorato di questa storia. La riprende immaginando un altro scrittore, nato a Firenze da padre francese misterioso e da madre fiorentina. Lui, Pierre Renard, decide dopo gli studi di lasciare Firenze per andare a Parigi e lì lo incontriamo in una casa editrice dove lavora. Qui entra in gioco un imponderabile destino che chiameremo Madame. Madame propone a Pierre un accordo: lo pagherà per continuare a scrivere romanzi a patto che lui li scriva in anonimato, scegliendo sempre nuovi pseudonimi, da sembrare sempre nuovi esordi, e nei romanzi dovranno esserci dei riferimenti in cui lei, Madame, si possa ritrovare perché sono scaturiti dalle sue lettere. Il protagonista è titubante ma poi accetta. Aggiungo un brevissimo passo del libro per immergerci nella storia e chiedere a Vito se lui avrebbe accettato il patto. 

«“Si scrive per colmare una lacuna” ha detto a un certo punto, evitando di incrociare il mio sguardo. “Per rimediare a una distanza, per compensare uno squilibrio naturale verso il mondo che non si lascia dire. Non si può fare altro che questo, allora: stare alla larga dalla verità, ma avvicinarsi quanto più ci è consentito. Non esiste altro modo di trattare il mondo. Un mondo che, come la verità è come tutti noi, è nato senza parole”». 

Dal libro di Vito di Battista “Il buon uso della distanza”.


[Vito di Battista] D’istinto ti direi che sì, avrei accettato quel patto, e proprio per i motivi per cui lo accetta Pierre: non per il successo (che resta sempre un’incognita), ma per l’abbaglio di una libertà paradossale, del poter tornare continuamente all’inizio, del non farsi toccare da giudizi e pre-giudizi. Togliendo se stessi dall’equazione, ci si può illudere di mettere al centro solo le parole: un atto all’apparenza privo di ego, poiché si rinuncia al riconoscimento diretto, ma che forse è una scelta profondamente egoriferita, e per tutti i motivi di cui sopra. Poi però mi pongo da solo un’altra domanda: quello che intesse Pierre per far sì che questo patto abbia delle conseguenze, che entri davvero in azione, era indispensabile? Era l’unico modo possibile? E a questa domanda non esiste altra risposta se non quella del romanzo, ovvero la traiettoria sempre più perversa e oppressiva in cui Pierre si ritrova coinvolto. Con questo orizzonte in mente, la mia risposta allora cambia e diventa: “No, non avrei accettato quel patto”. Facendo una media fra gli opposti, mi sembra allora che l’unica risposta sensata alla tua domanda iniziale sia: “Non lo so”.


[Ippolita Luzzo] Continuo chiedendo e ricordando a Vito ciò che scrivevo nel 2018 sul suo libro “L’ultima diva dice addio”. Credo che ci sia già in embrione qualcosa di presente e sviluppato nel “Il buon uso della distanza”, vero? «L'ultima diva, nel romanzo di Vito, è la memoria. Ciò che noi facciamo con la memoria, cosa raccontiamo e come quando vogliamo essere ricordati, cosa vogliamo ricordare e tutte le trasformazioni con cui rielaboriamo i fatti. La memoria ultima dea.

In Foscolo era la spes, la speranza, ultima dea, qui, nel libro di Vito è la memoria. Una memoria circolare che ritorna spesso su alcuni dettagli. Sono infatti i dettagli a dare le epifanie, le rivelazioni. Un affresco a pennellate ripetute, questo il libro di Vito, originale e inusuale, una spennellata sulla memoria dimenticata attraverso un pretesto immaginifico e cinematografico, la biografia di una diva del cinema ormai ritiratasi a vita privata.» 

Madame somiglia alla diva del libro precedente?


[Vito di Battista] Madame somiglia a quella diva, Molly Buck, in quanto personaggio che inventa Pierre. Così deve essere per via del loro patto. Perché in realtà – lì dove la “realtà” è il gioco meta-letterario che soggiace un po’ a tutto – anche “L’ultima diva dice addio” è uno dei romanzi di Pierre, solo che ne “Il buon uso della distanza” ha un altro titolo, che era il mio titolo di lavorazione al tempo. Pierre lo scrive in omaggio a Claire, uno dei personaggi di “Il buon uso della distanza”, dandole un altro nome e immaginando per lei un futuro da grande attrice ritiratasi a vita privata. Quindi Madame somiglia a Molly Buck, ma Claire è Molly Buck. Ed è come se, sempre dalla prospettiva di questo gioco, io fossi un altro degli pseudonimi di Pierre. Ho pubblicato due romanzi con il mio nome sopra, ma nel mondo della finzione letteraria entrambi questi romanzi sono opere sue, e questo è forse l’unico vero punto di contatto che esiste fra me in quanto persona e Pierre in quanto personaggio.


[Ippolita Luzzo] Ed adesso entriamo nel mondo dell’editoria, nel mondo dove ogni sgambetto è lecito, nel mondo dove si decide chi pubblicare e chi osannare, chi recensire sulle pagine più importanti, sulle televisioni, e farne un caso editoriale. Qui il libro si articola e ci regala uno spaccato veritiero di come e quando si decide e perché si decide, di chi ricatta chi, di chi odia chi, magari senza motivo oppure con un motivo lontanissimo nel tempo. Nel mondo intellettuale gli odi e i rancori restano fermi al primo momento di lettura, di incontro. Un quadro che Pierre Renard ci regala con esattezza. Quanto è vicino vero ce lo dirà Vito, per me è proprio come lo leggerete nel libro.


[Vito di Battista] Pierre vede e vive un mondo come tanti, anzi come tutti, che è fatto di compromessi, di bassezze, ma anche di intenti positivi e di genuinità. Si cala però soprattutto nel male che c’è, e lo fa per i propri scopi o spinto dalle ramificazioni involontarie del progetto che vuole portare avanti. E il male chiama sempre il male, in editoria come ovunque. Tutto sta a cosa si decide di farne, di questo male; come scardinarlo o sfruttarlo, ignorarlo o alimentarlo. Fino a che punto farsi contagiare o cercare un equilibrio, più o meno a distanza di sicurezza. Riguardo quanto sia veritiero ciò che si legge nel romanzo, potrei dirti che lo è totalmente, che ogni dettaglio e ogni episodio sono ispirati da fatti reali o ne sono una fedele ricostruzione, oppure che al contrario è un’invenzione, una menzogna esagerata per fini puramente narrativi. Non credo importi molto quale sia la mia verità, in tal senso, e lo credo perché una risposta netta sarebbe comunque solo la mia prospettiva e darebbe un’altra chiave di lettura alla storia, ne sposterebbe le coordinate in un campo di analisi che è molto più complesso e va oltre la storia in sé, oltre lo spazio che ci è concesso qui o anche semplicemente la mia esperienza in merito. Credo invece che a importare sia quanto ciò che si legge nel romanzo risulti plausibile, e poi ognuno trarrà le proprie deduzioni da questa plausibilità. Il tuo ritenerlo aderente al vero mi fa piacere soprattutto per questo motivo: dalla tua prospettiva, la plausibilità che ho cercato di raccontare ha funzionato perché è parsa reale, a prescindere da quanto lo sia davvero.


[Ippolita Luzzo] “Il buon uso della distanza” ci invita ad usare bene la distanza, anche dall’ossessione della scrittura, anche dalle critiche feroci o dagli elogi entusiastici, e ci aiuterà poi a trovare il bandolo come farà Pierre Renard nella sua storia raccontata con uno stile originale e affabulante. Nelle sue lettere a Madame ho ritrovato una mia lontanissima corrispondenza con un autore che avrebbe voluto avere successo, e le nostre e-mail ormai chissà chi le leggerà. Resteranno le e-mail come le lettere di una volta nei cassetti e saranno ritrovate oppure scompariranno nel nulla di un ricordo estinto? Me lo domando e te lo domando essendo appunto il tuo un libro di lettere inviate, di lettere che compongono una storia umana che riguarda sempre due persone, chi scrive e chi legge, chi risponde e chi ne farà un romanzo. 


[Vito di Battista] In una qualche misura, forse meno affascinante ma solo per via di un gusto rétro, sì, resteranno, o comunque potrebbero farlo. Alla fine, ciò che ha una qualche ragione che vada oltre resta sempre, o quasi sempre, o scalpita per riuscirci. In potenza, tutto quello che ci riguarda può rimanere e, per un tempo più o meno limitato, dire ancora qualcosa. Il problema è che gran parte delle cose di cui ci circondiamo perde di senso nel momento in cui non c’è più una voce che le spieghi, che le racconti. Le parole, che siano in forma di lettera o di e-mail, per fortuna si raccontano da sole. Bastano a loro stesse. E uno dei grandi paradossi di Pierre sta forse proprio in questo: mette in piedi ricatti, sotterfugi, vendette, ma quello a cui mira è che le parole, un giorno, quando tutti i ricatti e i sotterfugi e le vendette saranno dimenticati poiché nessuno potrà più raccontarli, possano restare perché bastano a loro stesse. In un punto nel romanzo Colette, la maîtresse di un bordello illegale, dice a Pierre che «deve passare del tempo prima di raccattare cosa resta fra le macerie», che «il grano deve morire prima di diventare un tozzo di pane». Pierre (citando Gide) le chiede di rimando: «E se il grano non muore?». Colette risponde che allora ci si dovrà accontentare «degli avanzi della sera prima». Sta qui, forse, la risposta alla tua domanda. Il presente scivola presto via e si fa futuro per diventare passato. Ed è il passato che rimane, solo che non possiamo sapere in che misura accadrà, non a priori. Non possiamo saperlo quando è ancora presente ma non si è ancora fatto futuro. Decidono il tempo e la distanza, il caso e le circostanze. Noi, come Pierre e Madame, per il momento possiamo solo scrivere, e come Pierre possiamo cercare di fare un buon uso della distanza e delle opportunità. Lui forse ci è riuscito, forse no, sicuramente non del tutto, e la sua sorte in quanto personaggio racconta questo tentativo. Il tentativo di dare valore alle macerie del futuro e non alle ossessioni, alle critiche e ai giochi di potere del presente, per quanto siano indispensabili anche loro. Forse purtroppo.



Vito di Battista è nato nel 1986 in un paese d’Abruzzo a trecento gradini sul mare e vive a Bologna. Nel 2012 è stato selezionato per il Cantiere di Scritture Giovani del Festivaletteratura di Mantova. Agente letterario, editor e traduttore, ha scritto su “Futura”, la newsletter del “Corriere della Sera”, e su “Nuovi Argomenti”. Il suo primo romanzo, uscito nel 2018, è L’ultima diva dice addio. 


domenica 6 ottobre 2024

"Via del popolo" Il cronometro di zio Nicola di Saverio La Ruina



Lamezia Terme, 5 ottobre 2024, Teatro Comunale Grandinetti, nell'ambito della rassegna "Calabria Teatro" con la direzione artistica di Nico Morelli e Diego Ruiz stasera Saverio La Ruina vincitore di 5 Premi UBU, l'ultimo, nel 2023, per il "Miglior nuovo testo italiano" proprio con "Via del Popolo"

Saverio La Ruina ci ha raccontato l'infanzia e l'adolescenza, ci ha raccontato Castrovillari e Via del popolo negli anni settanta, ci ha raccontato suo padre e suo madre, il bar e il futuro, la storia di tutti, la guerra, l'emigrazione, il '68, le canzoni.

Cosa ne faremo noi degli anni, ci chiediamo guidando verso casa con in testa il cronometro di zio Nicola in dono a Saverio che stasera sul palco del Teatro Grandinetti ha bloccato e poi sbloccato ogni qual volta voleva giocare la partita, le tante partite con cui si affronta la vita. Noi e il tempo, il tempo è il nostro mutamento individuale mentre intorno a noi muta il nostro quartiere, la città, le ideologie, la musica, il cinema.

Il tempo è il mutamento, partono gli zii per Rio de Janeiro, ne restano solo due o tre a Castrovillari, la città dove si erano spostati i sette fratelli La Ruina dai monti verso la pianura. Siamo negli anni settanta Saverio ha tredici anni e mentre il padre avvia il bar e compra casa e mentre il mondo sembra un’avventura, non sarà un’avventura ma una cosa tremendamente seria, il mutamento sembra essere una effervescenza.

Ripercorriamo con Saverio La Ruina dai suoi quattro anni ad oggi, nella quasi vicinanza d’età, i momenti salienti del nostro vissuto, il Living Teathre, la musica i Procol Harum A Whiter Shade of Pale, i Creedence Clearwater Revival, e nel buio sento sussurrare ancora quel tempo che vive nei gesti di Saverio.

Gli anni settanta scompaiono con la morte di Aldo Moro, con il sacrificio di Aldo Moro, agnello sacrificale offerto agli dei per consentire un regime sempre più disonesto. Una sconfitta irrimediabile. Morì un po’ tutto con Aldo Moro. Morì la fiducia nel sentirci decisivi.

E nel mentre Saverio cresce, dà il primo bacio e i genitori imbiancano e il padre una sera non torna più a casa. La mamma chiama Saverio preoccupata, il papà di Saverio ha 84 anni. Lo cercano, lo cercano ripercorrendo Via del Popolo, la via che poi finisce su via Roma, la via dove sta il Bar Rio, il bar dei ciuati, così era soprannominato il bar del papà di Saverio.

Ripercorriamo ogni attività commerciale su via del popolo, quando la via pulsava di vita, ed ora tutto viene relegato agli orridi centri commerciali, luoghi di non sense, ripercorriamo con in mano il cronometro di Saverio e partecipiamo alla sua ricerca, alla ricerca del padre, alla angoscia della madre.

Ma ritorneremo presto alla prima scena e dove stava Saverio nella prima scena? Stava nel cimitero a far visita ai morti, davanti alla lapide di chi non gli permetteva di poter assaggiare una pastarella, e quelle pastarelle negate restano nel languore della felicità assaggiata poi nelle tante paste offerte nel bar del Rio, continua in un dialogo con il suo papà, un dialogo che ancora un ultima domanda ci sta. Finisce Saverio il tempo della recita, nel mentre gli applausi, nel mentre la commozione, nel mentre e nel mutamento di un tempo che è già passato.


Ma cosa ne faremo noi di questi anni, aspettando Saverio per abbracciarlo come negli anni passati, abbracciando il passato, il presente e il mutamento, abbracciando il teatro amato amatissimo, il teatro vero

Ippolita Luzzo

venerdì 4 ottobre 2024

Ti guardo e non ti conosco


4 ottobre 2010

Ti guardo e non ti conosco


Una estraneità familiare come un tessuto, una trama che la moda fa riporre in uno scaffale. 

Ben conservato, ripiegato, al riparo dalla polvere, così ti ho conservato bene nella mia memoria, dove proteggo ricordi e attimi, pochi, sfuggenti.

“Non recidere forbice quel volto” implora Montale alla memoria. Non allontanare Euridice, ma già lei si allontana e lui, in quel caso è un lui, con la lira in mano, vede lei sempre più diafana, sempre più confusa, nelle tenebre dell’Ade. 

Eppure la storia era iniziata piena di speranza. Sì, c’era stato un dramma, una separazione, Orfeo era il più famoso musicista e poeta mai esistito, la mamma era Calliope musa della poesia! Quando suonava la lira dono di Apollo, tutto si placava. Innamorato della sua Euridice, la sposa, ma lei muore per il morso velenoso di un serpente, mentre fugge da un uomo che la voleva per sé. Orfeo non si rassegnò e con la sua lira scese nell’Ade per riprenderla. Gli dei, impietositi, daranno a lui un’altra opportunità, egli potrà condurre Euridice con sé, ma nel cammino non si dovrà voltare. Mai. Pena la perdita dell’amata per sempre. 

Tante le versioni di questo momento. La più struggente vede Euridice chiamare Orfeo e chiedere a lui – Perché non mi guardi? Sono forse ora brutta? Guardami – E lui non resiste, si gira e lei viene sospinta nel vortice dall’aria fredda dell’oltre tomba e capisce di perderlo definitivamente. Ringrazia questo amore che ora perde e porge la mano a stringere quella di lui ormai lontana. Chissà perché il dio comandò ad Orfeo di non girarsi, chissà perché gli chiese questa prova!

“Non recidere, forbice, quel volto, solo nella memoria che si sfolla, (non far del suo grande suo viso in ascolto la mia nebbia di sempre) Montale.

Montale, Orfeo e Euridice, per indugiare su un momento, su un tempo nuovo, nuovissimo, permeato da ricordi passati immaginati ma non vissuti. Un immaginario tanto forte da crearmi questa dolorosa sensazione di perdita. La forbice nella poesia è il tempo, nella realtà tutti noi agitiamo forbici più o meno taglienti, per recidere volti che un tempo erano a noi più cari della nostra stessa persona. Cari che hanno scelto altro, lontane dalle nostre cure, hanno preferito altre cure, hanno seguito un sentiero che a noi non è mai stato chiesto di percorrere.

Ippolita Luzzo 


ps foto di settembre 2024 a Sciabaca con Giovanna Villella 



 

Una bellissima mattina di sole


Una bellissima mattina di sole   3-12-2014 

Estate qui con foglie secche ingiallite da sole che lasciano stanche il ramo, oramai.

Estate qui con fiore rosso, ibisco del mio terrazzo, che in agosto non fiorì, essendo stato piovoso e inutile come ogni agosto che vivo, oramai.

Estate qui con i suoi sommari, con calendari scaduti di un anno che va incontro alla fine scaldando i rifiuti dei giorni finiti, oramai.

Estate forever senza averla vissuta, mancante di tanto eppure con bilancio positivo, esperienze e delusioni, ho perso ancora ma, oramai.

Estate che non finisce in un anno senza estate, piovve a luglio, il mare sporco, nemmeno profuma questo sole, oramai.

E state bravi tutti che poi se arriva inverno non ci lascia scampo, ora possiamo uscire e andare a spasso, non in centro occupato dagli intelligenti, solo in periferia, oramai

Anno nuovo

Un appuntamento da procrastinare ai primi botti dell’anno che non verrà

Estate per noi senza bagagli, senza partenze e senza arrivi, senza grigliate e senza cori, senza la noia della compagnia, oramai

Oggi e sempre resistenza, oramai 

Basta che ci sia il sole e tutto scalda anche i microfoni, le pinzillacchere, il mio libraio, i gruppi e le generazioni, oramai

Scaldati al sole tutti, care generazioni, come scaldatelli al finocchietto, oramai

Ippolita Luzzo

 

ps nella tenerezza verso ciò che si è scritto un tempo ci sta la rilettura a dieci anni da quel dì

Foto recentissima di domenica 29 ottobre 2014 al Palazzo Arnone in visita alla mostra Natura di Antonio Pujia Veneziano. Foto di Alberto Badolato.


venerdì 27 settembre 2024

La Benevolenza

 Mer, 24/07/2013 - 17:32 

Prima telefonata:- Scusami, potresti passare a prendermi per andare a mare?

I tuoi orari? Allora passi, vero?-

Io rispondo che per andare da lei dovrò risalire la città, lei invece non può scendere da me perché non sa far uscire la sua auto dal garage, io prometto che andrò e per due giorni risalgo e trascorro, a dir la verità,  due ore piacevoli con questa prof di italiano e latino, ormai in pensione e presidente di una associazione di cui faccio parte.

Seconda telefonata da un'altra referente di una associazione culturale:- A M. domani sera relazionerà Tizio, ti andrebbe sentirlo?- e dopo il mio assenso- allora puoi passare a prendermi domani sera?-

Qui io rispondo la verità, e cioè che di sera non so guidare e che certo mi piacerebbe, potrei portare la mia auto e lei guidare.

Risposta negativa, lei cercherà un passaggio altrove e di me non sa più che farsene.

Terza telefonata uguale.

Stessa richiesta stessa risposta  e ora che avranno trovato chi le porterà nessuno più mi chiederà se, nel caso ci sia un posto, io voglia andare.

 Mah!

Mi sforzo di non pensare a niente

l'unica volta che io chiesi un passaggio ad un'amica di mia sorella per una serata musicale lei, elegantemente, 

mi rispose:- Certo, sarò felice che tu venga, vieni, vieni, non hai una tua amica con cui venire?- ed io incassai e trovai un'amica che andai a prendere, allora guidacchiavo di sera, con molta paura.

La benevolenza sociale mi impedisce di pensar male ma io, giuro, non ho il brevetto di Autista, allora perché, ditemi perché, si ricordano di chiamare da me, ultimamente, stranamente, solo per non chiamare un taxi?

 

Ed ora scrivo e scrivo sì, autista no.

Non so guidare!


mercoledì 18 settembre 2024

Daniele Semeraro

"Daniele Semeraro nasce a Locorotondo nel Maggio del 1977. Vive a Martina Franca fino al 2012, quando si trasferisce a Firenze dove oggi risiede. 

Chitarrista autodidatta, grande appassionato di musica e letteratura, si affaccia al mondo della scrittura da cantautore. Compone brani musicali per sé e per altri e nel 2008 si avvicina alla scrittura in prosa." dalla sua biografia prendo le prime note. 


"Scrivere polvere", pubblicato nel 2011 dall'editore salentino Lupo,  il suo romanzo d'esordio. Accolto dalla critica come uno dei migliori esordi dell'anno, Scrivere polvere appare tra le nomination del Premio PubliaLibre come miglior romanzo di autore pugliese uscito in Italia nello stesso anno. 


A fine 2014 pubblica ancora con Lupo editore il romanzo Nel segno di caballero che si avvale di una nota di presentazione a cura di Shel Shapiro, storico leader del complesso dei Rokes.


Intanto, sempre nel 2014, partecipa alla terza edizione del Premio letterario La Giara indetto da Rai Eri.


L'inedito, "Nà jé m'/Non è adesso, si aggiudica la Giara di bronzo. La premiazione condotta da Giancarlo Magalli viene trasmessa a Luglio in diretta su Rai Due ed il romanzo, con cui torna a narrare la sua Puglia, va in stampa con Rai Eri nell'aprile 2015.

Seguiranno Ana Macarena edito Castelvecchi Premio Presidi del libro "Alessandro Leogrande"  e L'ultima perla del filo

La perfezione della solitudine è il sesto romanzo di Daniele e tratta del periodo storico dalla costruzione del muro alla caduta del muro di Berlino, dalla pandemia al 2029 in salti temporali dal passato al futuro prossimo. 

Nei miei precedenti pezzi su Daniele, presenti in questo blog, scrivevo 

"Un inizio non più nella polvere ma nel foglio, nel libro che apparterrà ai lettori, che leggeranno tutto quello che una sbadata scopa portò via da sotto il tavolo di tutti noi.  

"Una lunga strada di racconti davanti a lui"

Leggendo La perfezione della solitudine:

"Il colore rosa, l'azzurro, il blu elettrico e il giallo acceso delle copertine degli album glam del Duca Bianco e dei T-Rex sembrano tonalità provenienti da un altro pianeta."

C'è tanta musica in questo libro, ci sono le band del 1974, la storia dei Klaus Renft Combo e dopo essersi sciolti Klaus sarebbe scappato a Ovest mentre gli altri sarebbero rimasti nella Germania dell'Est. La Rock band più ribelle della Germania. 

La musica apre mente e conoscenza, scrive Daniele Semeraro, ricordando questo gruppo che lavorava sugli spezzoni di registrazioni fortuite, ciò che riusciva a captare dalle radio dell'Ovest, testi dei Pink Floyd, degli Stones, testi che poi assemblava e dava vita ad altri pezzi, di ribellione, di derisione al potere.  E poi in quegli anni in Inghilterra un musicista poliomielitico Ian Dury guariva dalla solitudine e dall'invalidità attraverso la musica. 

I Klaus Renft Combo furono costretti a sciogliersi ma rimasero una leggenda, e stiamo qui insieme a Daniele ad accarezzare loro e insieme le copertine degli album dei Ramones, dei Who, dei Sex Pistols, dei Led Zeppelin. 

Pur nella ricostruzione precisa di momenti storici terribili lo scrittore trova il varco della musica per dare un senso ad avvenimenti ingiusti, a torture e a carcere, a privazione della libertà da parte di un potere bieco. Ad un certo punto troviamo il canto di Neil Young After Berlin e con lui vi rimando alla lettura del libro di Daniele Semeraro

"Proprio come un ragazzino che corre per strada

Canto la stessa vecchia canzone

Non posso tornare da dove sono partito

La strada va sempre avanti
Mi aiuterai, mi aiuterai, mi aiuterai, mi aiuterai
Mi aiuterai, mi aiuterai, mi aiuterai, mi aiuterai
A tornare verso casa?
Aiutami a tornare verso casa
Dopo Berlino 

Ippolita Luzzo 

sabato 14 settembre 2024

I fuochi Saverio Fontana

 

I fuochi, racconto di Saverio Fontana, è ambientato in un quartiere della periferia di Catanzaro.  Un quartiere di difficile abitabilità e pur nella diversità lo sento vicino ad alcuni quartieri di moltissime città italiane, dove il degrado impera,. Conosco Saverio Fontana e so con quanta serietà e con quanta preparazione lui  affronti ogni argomento e situazione.  Un quartiere di difficile abitabilità e pur nella diversità lo sento vicino ad alcuni quartieri di moltissime città italiane, dove il degrado impera.  Saverio Fontana, pur nella reale e difficile analisi del luogo e della sofferenza, lascia sempre spazio alla speranza credendoci in prima persona. Qui la storia ruota intorno a un gruppo di ragazzi che vorrebbero rendere redimibile il vivere e vorrebbero portare a termine un progetto con l'aiuto di Don Nino, il prete del quartiere. Saverio Fontana, pur nella reale e difficile analisi del luogo e della sofferenza, lascia sempre spazio alla speranza credendoci in prima persona. 

Un libro come possibilità di riscatto, come luce che si accende su tanti, troppi quartieri dormitorio, periferici e abbandonati, un libro come anche un film , ricordo le belle iniziative di portare in questi luoghi maxischermi e fare rassegne cinematografiche, iniziative che servono come denuncia all'aberrazione creata da politiche terribilmente miopi che negli anni lasciato sedimentare il male di vivere. I fuochi che si accendono ne sono la visibile realtà, d'altronde io abito vicino il più grande Campo Rom del meridione e di fuochi e diossina sono impregnati i nostri bronchi essendo esposti al continuo bruciare come smaltimento delle gomme delle auto. 

Un plauso dunque a Saverio per la sua sensibilità e attenzione da tutta la Litweb 

Ippolita Luzzo