martedì 20 settembre 2022

Gianfranco Cefalì intervista Ippolita Luzzo su Letto, Riletto, Recensito



Dieci anni della Litweb

Su Letto, Riletto, Recensito

#LoSpeciale

#Le interviste

In occasione del compleanno del “Il regno della Litweb” e in concomitanza con l’uscita del suo nuovo libro dal titolo ”10 anni del Regno Della Litweb – Il primo anno non si scorda mai” per i tipi di Città del Sole Edizioni abbiamo intervistato Ippolita Luzzo.

A cura di Gianfranco Cefalì


 


Ciao Ippolita e grazie per aver accettato il nostro invito. “Il regno della Litweb” compie dieci anni, davvero un bel traguardo. La Parola “regno” mi rimanda sempre alla monarchia, al potere assoluto, a ogni forma antidemocratica… Invece? Cos’è il “Regno della Litweb”?


«Sicuramente è un blog, ma è soprattutto il luogo dell’astrazione, del non essere. Avrebbe potuto non esserci, ed è questa la consapevolezza che io ho, sempre ricordando nel Vangelo la frase: “Il mio regno non è di questo mondo” che rimanda al sacro, al senso ultimo della nostra vicenda umana. Giocando con le parole si può costruire ciò che non c’è. Se lo immagini esiste.»


 


Dicevamo che sono passati dieci anni, e per questo esce un libro che racchiude i “pezzi” scelti dal primo anno di attività. Ma come è nato il blog? E soprattutto perché è nato?


«Sì, nasce l’otto giugno 2012, con il primo pezzo dal titolo “la nutella” una lettera ad uno scrittore che è morto da qualche anno. Ho moltissime mail, all’epoca ci si scriveva moltissimo, cominciarono a nascere i siti letterari, uno dei più famosi è La Recherche ed è su quel sito che ho iniziato a conoscere i tormenti degli scrittori incompresi. Scrivevo anche su Neteditor, piattaforma ormai cancellata dagli amministratori, e su Neteditor fui bannata. Subito però Bruno Corino, professore di filosofia, che aveva contestualizzato il fenomeno della Litweb, già al suo nascere, mi aprì un blog a mio nome. Litweb vuol dire letteratura nata e incontrata sul web, e lui che aveva letto i miei pezzi decise di regalarmi un regno.»     


Questa è la tua terza opera, infatti prima di questo sono usciti due libri, sempre editi da Città del Sole edizioni con il titolo “Pezzi” e “Dareide” entrambi partono sempre dal blog. La tua scrittura, come la tua vita in questi dieci anni sono sicuramente cambiate, ma come è cambiato il tuo approccio e il tuo rapporto con la letteratura e la stessa scrittura?


 «Salgo e scendo con la mia panda dalla periferia al centro della città più volte al giorno, a volte è la sola attività che mi rimane e ridendo mi dico: “Io non ho la peste” me lo ricordo con affabilità, riconoscendo alla scrittura il potere salvifico contro la solitudine e l’isolamento. Sono grata alla Casa Editrice Città Del Sole, ad Antonella Cuzzocrea che si è innamorata dei miei pezzi ed ha voluto pubblicarli. Io come dico in un mio pezzo “Io pubblicherò postuma” non pensavo di pubblicare libri non credendo molto nel mio compito di riuscire a vendere copie. Spiego sempre che io sono situazionista, mi piace creare situazioni, legami, affetti, mi piace riconoscere la bravura degli altri, mi piacerebbe dare senso ai nostri atti quotidiani. Reputo questi dieci anni un regalo della buona sorte, avrebbero potuto non esserci e non mi sarei potuta divertire come in effetti mi succede scrivendo, leggendo, chiacchierando con chi ha i miei simili piaceri, leggendo e incontrando belle persone.»  



Una caratteristica importate del tuo blog è la scelta dei libri, in un mondo, quello letterario, che segue facilmente le mode e solo le case editrici più importanti, tu hai fatto una scelta diversa. Perché?


«Fin da piccola ho letto, ho poi immaginato il mondo, non l’ho vissuto, l’ho immaginato, come se fosse un libro, tutto il mondo un libro. Nel mio incontro con gli scrittori ed editori permesso con l’avvento del computer e di internet, sui siti letterari, vedevo che ormai la letteratura delle grandi case editrici era soprattutto una corsa verso il mercato, per intercettare i gusti e produrre libri senza personalità. Questo in generale, spesso vi erano buoni prodotti ma soffocati fra tanti. Notavo invece quante ottime fossero le proposte di medie e piccole case editrici e ho cominciato a leggere autori stratosferici che vendono poche copie, che sono a volte sconosciuti ma bravissimi. Come forma di resistenza ci resta il compito di leggere bene, per questo poi metto sul podio gli scrittori amati.»


 


In questi anni il mondo letterario è cambiato, secondo te in che modo? In meglio, in peggio?


«Per me è come stare nel paese di Bengodi, ricco di ogni delizia, descritto dal Boccaccio nel Decamerone. Trovo ora una grande effervescenza letteraria, riviste attente, come Crack, Palin, Globus, Indiscreto, Spaghetti Writers, lankenauta, Borderliber, Cabaret Bisanzio, scrivo a memoria e mi sovviene tutto un fervore e una presenza di blog letterari e di riviste inimmaginabili anni fa.»


 


Si può dire che tu hai precorso i tempi, quando ancora nessuno parlava di libri su internet…


«Il fenomeno dei libri che cercavano spazio sui social era stato ben studiato da Massimo Onofri con un suo articolo sull’Avvenire. Articolo di molti anni fa e che io conservai. In quell’articolo Massimo Onofri, critico letterario, docente universitario, e scrittore, analizzava il nascere del fare critica letteraria sui social. Ricordo che citava fra gli altri Giuseppe Giglio, critico letterario siciliano, che mi onora della sua prefazione nella raccolta di pezzi di prossima uscita.»


Nei tuoi libri e anche in quest’ultimo non parli solo di letteratura e poesia, ma parli anche di te, tanto che ne esce anche un ritratto…


 «Come dice mio figlio io in effetti sempre di me parlo, un parlare di cose universali però. Credo che un mio ritratto sia nel pezzo “Dopo una vita di onorato silenzio”. Inizia così:


"Dopo una vita di onorato silenzio mi trovo a parlare soltanto sui tasti

Superando per pochi momenti il pudore e la vergogna di tacere un sapere

Intimo amato come se fosse un amante.

Mettendo in piazza i miei amici fraterni, i libri, gli autori, i miei film, le canzoni.

I pittori, gli artisti, il teatro e le scene, gli atti salienti del mio vissuto.

Mi sembra di averli traditi tutti per una gloria effimera, inutile, vuota

Per avere un click in più in un sito di autori anche loro in cerca di visibilità

Convinta di essere nell’Eldorado, nel giardino incantato del mio eden perduto

Non ho fatto caso a segnali e divieti, non ho fatto caso a meschinerie 

a scaramucce per motivi irrisori.”


 Ma potrai leggerlo tutto sul blog.»



C’è un “pezzo” a cui sei particolarmente affezionata? Il mio è “ Io non sono una donna del sud”.


«Sì, Io non sono una donna del Sud, che tanto faceva irritare mia sorella, mi era richiesto spesso e in tantissime si sono ritrovate. Ne sono molto felice. La letteratura serve a dare voce, chiunque può essere interprete di sentimenti unici ma nello stesso tempo patrimonio di tanti. Forse ho amato tanto il mio pezzo a Dino Campana ma li amo tutti, saranno in tremila i pezzi, veramente difficile scegliere ma  “Dino Campana Il sangue del fanciullo” credo sia il pezzo più adatto a noi due adesso, al tema dell’intervista, finisce così “Campana scappava nei boschi, io camminavo di lato, Campana , beh ora, ora suppongo avrebbe continuato a vivere strano, magari scrivendo per scherzo o davvero su un foglio bianco di un tablet, di un cellulare.


Ripenso che siamo veramente fortunati noi figli di un’epoca nuova, senza catene, senza legami, senza detenzione coatta se scriviamo, se cerchiamo ancora quel solo motivo che dall’infanzia ci portò al domani.

Campana ricorda un verso di Whitman…essi erano tutti stracciati e coperti con il sangue del fanciullo…lo scandalo della vita che si cerca ancora di negare; la sua vita, ovviamente, orridamente scempiata dai familiari, dai vicini, dai concittadini.

A lui non comprarono nemmeno un pc.

Noi, privilegiati, abbiamo incontrato sul nostro vissuto Joan Baez e Dylan, i Rokes e Lucio Battisti e l’infanzia ci aspetta, non ci fa paura.

Una adolescenza da padroni del mondo- una adolescenza lottante urlante caparbia e impegnata ci prese per mano

Noi abbiamo incontrato dopo quel bosco dell’infanzia l’entusiasmo e musiche e cinema, teatro e parole e

Ormai in quel salotto saremmo stati i primi ad entrare, a porger la mano, a chiacchierare, noi, noi che ritorneremo indietro solo per la rincorsa... come gli atleti.»


 


Per le tue mani e i tuoi occhi sono passati tantissimi autori, c’è un libro che ti è rimasto nel cuore?


«Non ti so rispondere. Di volta in volta ho amato moltissimo di Ezio Sinigaglia, Pantarei, libro che è un romanzo anche la sua genesi, ho amato moltissimo di Peppe Millanta Vinpeel degli orizzonti, adesso amo moltissimo di Elena Giorgiana Mirabelli Maizo. Ma sono tre libri che amo per motivi fantastici, figurati che ho uno sperone di Dinterbild il luogo del libro di Peppe Millanta intitolato a me, cioè mi hanno dato cittadinanza ufficiale, Come Regno della Litweb!»


 


Dieci anni sono tanti, tu come altri resisti a un mondo che va sempre più veloce e si fa sempre più superficiale, come si fa? 


«Io ritengo questa esperienza unica e non ripetibile sul domani nulla sappiamo.»


 


Il libro è memoria storica materiale, per quanto deperibile rimane sempre un bel traguardo. Per me è importante che qualcosa di bello venga messo sulla carta. Qual è il tuo rapporto con la scrittura e la pubblicazione?


«Non lo so, viviamo in una epoca di trasformazione epocale, ciò che ora sembra importante non lo sarà più, chi potrà mai sapere dove e come. La scrittura rimarrà certo, anche i libri buoni e veri, mi auguro. Pubblicare non so se sia importante, almeno io non lo so.  So però che al di là del successo o meno di vendite il libro ha già svolto il suo compito: Fare compagnia a chi l’ha scritto.»


 


Grazie Ippolita. Come sempre in chiusura a tutti gli scrittori faccio una domanda abusata ma che ritengo importante. Hai soli tre libri da portare nel “Regno della Litweb” quali sono?


«Oggi metterei L’attrito della vita. Indagine su Renato Caccioppoli matematico napoletano di Lorenza Foschini. Il libro di Anna Vinci su Tina Anselmi Storia di una passione politica e La mente rivelatrice di Massimo Scotti. Genio e passione insieme nel Regno della Litweb. Grazie a te.»



Biografia


Ippolita Luzzo, laureata in filosofia con tesi su Max Stirner, L’Unico e la sua proprietà.

Da giugno 2012 scrive sul blog “Il Regno della Litweb di Ippolita Luzzo” quasi un giornale di cui lei è editorialista, direttrice e cronista. Col suo blog indaga e legge ogni momento letterario ed artistico per lei autentico interpretando in modo originale il senso del testo. Ha vinto il premio Parole Erranti il 5 agosto 2013 a Cropani, nell’ambito dei Poeti a duello, X Festivaletteratura della Calabria. Nel 2016 ha vinto il concorso “Blog e Circoli letterari" indetto da Radio Libri nell’ambito di Più Libri più liberi al Palazzo dei Congressi a Roma. Dal 2017 fa parte della giuria del Premio Brancati. Il 6 ottobre 2018 vince il Premio Comisso #15righe, dedicato alle migliori recensioni dei libri finalisti. Sempre ad ottobre 2018 il suo blog è stato inserito dal sito Correzione di Bozze fra i Lit-blog e le riviste online nazionali che si occupano di letteratura. Fa parte, fin dal primo momento, della giuria scelta per la Classifica di Qualità dalla rivista L’Indiscreto. Dal 2019 Il Regno della Litweb collabora con Il Premio Comisso 15 Righe nella giuria di valutazione delle recensioni sui libri in concorso. Nel 2021 è Presidente di giuria del concorso Sperimentare il Sud. nel 2022 è in giuria nel Premio Malerba. Scrive su giornali e riviste on line e cartacei. Molti suoi pezzi stanno nelle cartellette degli autori che, fidandosi, le mandano i loro scritti. Nella libertà di lettura.


Dal blog http://www.lettorilettorecensito.flazio.com/blog-details/post/164320/?fbclid=IwAR0Zro_sqPMAQmRXb7b_x3bEeQl9JUxCA_l_6Kp5jyJreq7B5Zp4NYp-ffM 

domenica 28 agosto 2022

Patrizia Tocci recensisce Il Primo Pezzo non si scorda mai


 Il Primo Pezzo non si scorda mai, Città del Sole edizioni, 2022


A volte accade che ci si possa incontrare sui sentieri delle parole, in una Koinè culturale strappata, pezzo per pezzo, alla velocità dei social. Accade di ritrovarsi nel percorso apparentemente caotico di un libro che invece contiene tanti fili che tirano, punzecchiano, ricamano. 

La bella copertina del libro realizzata da Domenico Loddo ci avvisa: Ippolita  Luzzo  brandisce in una mano il suo precedente libro "Pezzi" e nell’altra una penna piena di inchiostro. 

E infatti da quell’inchiostro è nato "Il primo pezzo non si scorda mai" Città del Sole edizioni 2022. 

Questo volume conferma ancora una volta la capacità di fare storia del proprio quotidiano: sfilano le amiche, il pollaio, temi difficilissimi come le violenze e il femminicidio, riflessioni sui social o su situazioni contingenti che però grazie alla scrittura arguta e ironica, sorridente ed amara di Ippolita si condensano in  battute epigrammatiche, chiose fulminee. Persino i libri  di altri  su cui Ippolita riflette, facendoli suoi, diventano anche per noi finestre che  invitano alla lettura. Sono finestre sempre aperte per i lettori del suo profilo e del suo blog. Così puoi accadere che anche un social possa costruire ponti tra persone lontanissime, selezionando attorno agli  argomenti altri lettori o scrittori, formando così, grazie ad Ippolita Luzzo, un circuito virtuale ma reale. Persino i brani  di canzoni che entrano nelle citazioni finiscono per creare uno spazio condiviso. Anche le poesie arricchiscono questo nuovo manufatto di Ippolita Luzzo: c’è un nerbo di scrittura notevole che tiene legati tutti i pezzi, abbatte con decisione le barriere architettoniche tra prosa, poesia e scompiglia i generi consueti. 

È una bella singolare contaminazione di scrittura e di scritture. C’è  infatti una profonda fede, nonostante tutto, nell’esperienza  della scrittura.  Leggiamo  a pag.75:"un libro è per tutti un libro che va oltre la violenza e la cattiveria, oltre il disgusto e la rabbia, oltre l’impotenza. Un libro può."

 Mi torna in mente, per una sottile associazione di idee che l’autrice ha provocato, il bel titolo del libro di Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso: Forse, oggi, un libro non si può scrivere che a frammenti, a pezzi, appunto. Ma c’è sempre  anche qui – ed è forte – l’amore per la scrittura.

Patrizia Tocci


 Patrizia Tocci è nata nel 1959, a Verrecchie (AQ). Laureata in Filosofia all’Università La Sapienza di Roma, ha vissuto all’Aquila fino al 2015. Ora vive e lavora a Pescara, dove insegna materie letterarie negli istituti secondari superiori. Studiosa di Eugenio Montale, di Laudomia Bonanni e più in generale del Novecento, i suoi articoli e saggi sono stati pubblicati su numerosi periodici e riviste specializzate tra cui “Il caffè Michelangiolo”, “Leggere Donna”, “Oggi e domani”, “Abruzzo letterario”, “Rivista Abruzzese” “Il convivio” Collabora da molti anni con il quotidiano abruzzese regionale “Il Centro”.

Il suo ultimo romanzo, Nero è il cuore del papavero, con la presentazione di Paolo Rumiz, ha ricevuto il primo Premio internazionale Vittoriano Esposito

Ha pubblicato, nel 2019 una raccolta di brevi testi in prosa: Carboncini, sguardi e parole (Tabula fati).

Nel 2021 ha pubblicato Alfabeti: le parole di Dante (Tabula fati), un testo in prosa interamente dedicato alla rilettura della Commedia con cui ha vinto il prestigioso premio Città del Galateo Antonio Ferraris per la saggistica ed è stata finalista al Premio dell’Editoria Abruzzese.

Nel 2022 ha pubblicato la nuova silloge poetica I semi del silenzio (Tabula fati) con la presentazione di Giovanni D’Alessandro; e ha ideato, creato e realizzato insieme al compositore Giuseppe della Pia aka DJ Brahms il progetto “Diacromie”: un viaggio sonoro e poetico tra i colori, emozioni e parole.






sabato 27 agosto 2022

"Turning" di Alessandro Sciarroni ad Armonie d'Arte Festival


Catanzaro, 26 agosto 2022 Teatro Politeama Armonie d'Arte Festival, con la direzione artistica di Chiara Giordano, "Turning" di Alessandro Sciarroni, una creazione per 5 danzatori

"Piroetta – nel dressage di alta scuola, è il movimento circolare di raggio uguale alla sua lunghezza, imperniato su una sola delle gambe posteriori"

Gira il mondo gira nello spazio senza fine, il mondo, soltanto adesso io ti guardo, mi ritrovo a canticchiare pensando stamattina allo stratosferico spettacolo che ho avuto modo di applaudire ieri sera. Riprendo in mano i pochi appunti ed entriamo nel Teatro Politeama di Catanzaro. 

Sulla scena ci sono già i ballerini, nessuno li presenta, nel silenzio noi ci accorgiamo che lo spettacolo è in fieri. I ballerini seduti fanno qualche lento esercizio di riscaldamento, una preparazione alla prova, mentre suoni impercettibili cominciano a vibrare nello spazio quell'unica nota che man mano aumenterà l'intensità durante la performance. 

Ricordando il gioco ripetuto dell'infanzia, i ballerini si alzano, fanno un giro, ne fanno un altro, fanno il giro intorno a se stessi più volte. Muovono un braccio e il braccio fa spazio fuori dal corpo, poi le due braccia. I piedi ora si allungano in fuori e la musica sorge dalla base dei suoni. Con le scarpette da ballo dei danzatori di musica classica i cinque danzatori ora sulle punte fanno il giro, girando girando su se stessi. Intanto cambia tutto, cambia senza interruzioni, cambia la frequenza del suono e la modalità dei gesti, pur nella plasticità del movimento. L'unica nota batte il ritmo, ora aumenta l'intensità. 

Come le ballerine nel carillon i cinque artisti ballano ora vorticosamente, come se la musica creata dalle vibrazioni sonore di sottili lamelle metalliche li muovesse.

Poi all'improvviso si fermano e ritornano lentamente a girare. Tutti fermi ora nella pausa del ritorno, dalla velocità alla lentezza, dal movimento alla quiete. 

La musica diventa un ballo e, nel girare, lo stesso girare è un ballo dolce, ipnotico. La musica tace e i ballerini continuano a girare per inerzia, continuano a girare per poi fermarsi. 

Una circolarità che ci ammalia, movimenti perfetti, il corpo come una matita disegna lo spazio, allarga e chiude, crea la forma scenica come un compasso. Il corpo un compasso? 

Unisco con questo compasso coppie di concetti affiancate ad altre: iterazione, conta/interruzione, pausa; crescendo/accelerazione; stanchezza, sofferenza/riposo; adesione/giudizio.

Come una costellazione di punti, ognuno dei quali si unisce in sintonia con la drammaturgia musicale dell’opera dei Telemann Rec., che curano le musiche.

Nei punti anche noi del pubblico, pur rarefatto ma partecipe, nei punti noi del pubblico giriamo e giriamo con loro, con tutto il mondo che gira intorno a noi.

Ippolita Luzzo 





Fotografie di Angelo Maggio

TURNING_Orlando’s version

invenzione Alessandro Sciarroni

con Maria Cargnelli, Francesco Saverio Cavaliere, Lucrezia Gabrieli, Sofia Magnani, Roberta Racis

musica Aurora Bauza & Pere Jou (Telemann Rec.)


martedì 23 agosto 2022

Una città a misura d'uomo. Consuelo Nava

Una città a misura d’uomo- Con_testi sostenibili  18 Novembre 2014

(Il dispendio di Bataille)

Gli uomini sono mossi da un bisogno di perdita e di dono, di depense, e il principio classico dell’utilità sembra non esistere.  Non si spiegherebbe altrimenti come, ben consci di cosa voglia dire città, si sia costruito in modo totalmente difforme ai principi basilari dello sviluppo di un agglomerato urbano. Dagli anni sessanta in poi, il sacco di Palermo, mi diceva con le lacrime agli occhi una guida, sulla conca d’oro, ormai grigia, una bruttura di palazzi dove sua madre fu trasferita dalla sua umile casetta per finire i suoi giorni nel buio di stanze senza sole.

Una vera catastrofe umana 

Con_testi sostenibili. Una visione per la città metropolitana di Reggio Calabria, il libro di Consuelo Nava e Vincenzo Gioffrè invade il mio immaginario.

Ricordo le mie lezioni di geografia e di storia, a modo mio, su cosa significa vivere in una città, intorno a quali punti di riferimento si fossero sviluppate nel corso dei secoli, dalla città greca a quella romana, ai comuni medioevali, alle mura, alle città del cinquecento, ai falansteri idealizzati nelle città industriali, per arrivare infine alle città metropolitane dei giorni a venire.

Erano lezioni con ragazzini, ognuno di loro disegnava la casa dove abitavano, con i servizi di cui bisognava, acqua, luce, telefono, fogne e smaltimento rifiuti,   la strada che percorrevano per arrivare a scuola, se venivano con mezzi pubblici o con macchina dei genitori, disegnavano il quartiere dove avrebbero giocato… ma già a quel punto mi accorgevo che il quartiere, per molti, non esisteva più, che loro non erano autonomi, non potevano venire a piedi a scuola o in palestra, non potevano incontrarsi con i compagni se non accompagnati.

Perso il quartiere, perché a che serve un quartiere? persa l’autonomia. La depense. 

Con questi pensieri in testa, tornata da Reggio Calabria, ho cercato il volume che mi ha accompagnato per anni, non era un testo scolastico, era un libro mio, a me carissimo, con fotografie di città, espansione di città, e poi utopistiche città a passo d’uomo, città percorribili con sguardo e con respiro e non prigioni del viver male.

Ho cercato sui tre piani, inutili, su cui si sviluppa la mia casa a schiera, ho cercato per giorni. Non ho trovato nulla di quello che pur ho conservato gelosamente per anni.

Ho perso memoria di dove l’abbia messo, non so dove cercare, come succede a tutti quando conserviamo male, senza un metodo, ciò che dovremmo conservare. Lo avrò buttato per fare spazio? Mi domando con terrore. E guardo con rabbia tutte le carte inutili che ho conservato, giornali, libri, ricevute, analisi di tiroide che non ho più dal duemila, guardo sconsolata e continuo a buttare ora. Conservando inutili cose.

Lo stesso è successo nell’architettura, nei sogni e nei progetti di una architettura nata per umanizzare spazi, creare incontro, conservare con cura quello che doveva essere conservato e fronteggiare il vile e selvaggio sacco di città e campagne.

Hanno invece molti conservato l’inutile e buttato la guida, il metodo, il criterio base del nostro vivere in un luogo.

Sopraffatti da cartacce, da ricevute, bolli, burocrazia.

Un dispendio 

Dobbiamo imparare comunque a perdere, ricordando che sciupiamo veramente se dimentichiamo 

Con_testi sostenibili, le parole di Consuelo Nava sono un monito e una proposta. La scrittura della città può essere indecifrabile, danneggiata. Ma ciò non significa che non ci sia una scrittura; può darsi che ci sia un nuovo analfabetismo, una nuova cecità. In una sorta di Atlante dei luoghi, l’attività svolta da 150 studenti di architettura,  ha rimesso in funzione l’abecedario dei luoghi, per un vivere sostenibile.  Ce lo auguriamo vivamente. Sostenibile vuol dire che si può sostenere. Responsabile autonomia da regalare come un dono.

Ippolita Luzzo 


sabato 20 agosto 2022

Il vitello d'oro


 Ed eccoci con la Bibbia in mano per riderci su di minuzie e dimenticanze, di esodo e non esodo, di strade di periferia, in canto ampio verso le tante strade percorribili. 

Se anche Dio, che era Dio, ebbe bisogno di chiamare sul monte Sinai Mosè per dettare i Dieci Comandamenti, se anche Dio fu dimenticato dal popolo ebraico che innalzò a dio un vitello  per poterlo adorare  (Esodo 32:1 - allora tutto si tiene "Facci un dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto" 

Gli Ebrei, mentre Mosè era in missione sul Monte Sinai in video chiamata con Dio,  chiesero ad Aronne di creare un idolo e lui raccolse i loro gioielli d'oro e fondendoli forgiò una statua aurea raffigurante un vitello, ed essi la adorarono dichiarando: "Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto!" (Esodo 32:4).

L'ira di Dio fu terribile e incaricò Mosè di vendicarlo, ma Mosè intercedendo per il suo popolo blandì in un primo momento quel gesto, salvo ripensarci, quando ritornato presso gli Ebrei e vedendoli offrire sacrifici al vitello d'oro li ammonì severamente facendo una scelta fra chi salvare e chi eliminare. 

Mosè bruciò il vitello nel fuoco, lo ridusse in polvere, lo sparse nell'acqua e costrinse gli israeliti a bere. Infine si mise alla porta dell'accampamento e disse: "Chi sta con il Signore, venga da me!". Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi. Gridò loro: "Dice il Signore, il Dio d'Israele: Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell'accampamento da una porta all'altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente". I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uomini del popolo.   ( Esodo 32:26-28

E questa la Bibbia stamattina che mi sovviene allegramente per una sintonia immediata con Dio e con Mosè. 

Capita a tutti essere dimenticati, capita anche troppo che vitelli d'oro vengano innalzati e a loro  vengano fatte offerte, e ciò è nell'ordine delle cose umane che confuse e incerte animano il brulichio del mondo tutto. L'ira funesta del Pelide Achille  che tanti lutti addusse agli achei prende un po' tutti nelle simili situazioni ma...

Per non essere e non fare come Mosè e come Dio però Il Regno della Litweb guarda benevolo dimenticanze e nuovi idoli innalzati allontanandosi sorridente e già in viaggio verso la terra promessa. 

Ippolita Luzzo 

lunedì 15 agosto 2022

Metti giudizio secondo Kant

 -Metti giudizio - 

La critica del giudizio secondo Kant   4 marzo 2012

Le nostre nonne ce lo dicevano sempre un tempo  -Metti  giudizio bambina mia  non essere precipitosa  irruenta, controllo e disciplina  discernimento e prudenza-

La Prudenza

Una volta ci dicevano così ed una mia zia  aggiungeva -Come vi vedono muovere ridere  gesticolare così verrete giudicate perché solo così gli altri vedono noi, quindi bambine -perché  allora  eravamo  bambine  fino a tredici anni- comportatevi con compostezza senza schiamazzi senza risate sguaiate, controllate il tono della voce, non urlate, parlate senza parolacce, senza volgarità e lasciate parlare anche gli altri.

Poi aggiungeva- Quell’impressione, la prima, che noi abbiamo dato, si fermerà nella mente degli altri e noi saremo per sempre legati a quel giudizio su un solo momento  di conoscenza-

Una volta, caro Kant, esisteva il giudizio riflettente ed anche le zie  le nonne lo possedevano, anche mia mamma, ma lei lavorava troppo e non aveva tempo per parlare ma sicuramente era lei la più giudiziosa.

Secondo Kant l’intelletto riflette come uno specchio la realtà interiore su quella esterna e poi collega  il mondo naturale e il mondo della volontà  e associa e crea altro  il bello  l’agire  il sublime il teologico.

É l’uomo ad attribuire le qualità agli oggetti col giudizio

-qual è il tuo giudizio?-

Ve l’avranno chiesto e ce lo saremmo chiesti e ce lo chiediamo in continuazione anche qui sul web

Ci giudichiamo  ci mostriamo  riflettiamo e poi associamo  ed elaboriamo altri giudizi

Kant aveva speso molto del suo tempo a dirci che il dominio della natura, della necessità, determinata dalle leggi causa-effetto,  e la libertà della azione umana, la libera scelta  si sarebbero conciliate

Concilia?

C’è una conciliazione fra libertà e necessità?

Secondo Kant l’accordo fra i due mondi  è dato dal giudizio riflettente  un ponte  fra ciò che è e ciò che si vuole

Fra ciò che siamo e ciò che appariamo

Un ponte- come quello di Messina?-

Mi auguro di no

Il giudizio è meno costoso  del ponte di Messina ma richiede una disciplina  un pensare prima di agire  un accordo fra l’oggetto che noi percepiamo e l’esigenza di libertà che tutti abbiamo.

Un accordo.

Va da sé che disprezzare  imprecare  sottovalutare  ridicolizzare  non siano verbi che Kant usò per definire  il giudizio che, sempre secondo lui, avrebbe riconosciuto il bello nell’oggetto   un sentimento  disinteressato  puro  universale  e necessario per una normalità senza norma in grado di educare   perché è con la bellezza   con il giudizio teologico- il fine, vuol dire teologico- che scopriamo nella natura e negli altri, un fine uno scopo  e scoprendolo negli altro e nel mondo lo scopriamo anche per noi.

Ippolita Luzzo 


domenica 14 agosto 2022

Omaggio a Lucio Dalla con Dario De Luca Daniele Moraca e Sasà Calabrese


Siamo ad Aiello Calabro, stupendo paese dell'entroterra cosentino, abbiamo lasciato Piazza Plebiscito e scendiamo giù verso Piazza del Popolo, guardando i palazzi del settecento, il secolo dei lumi. Un paese ci vuole, ricordiamo e nel mentre le mie amiche esprimono il desiderio di poter vivere in un piccolo paese così curato come Aiello noi scendiamo. Scendiamo fino a Piazza Del Popolo dove nella bomboniera naturale dello spazio creato dalle mura ci sta il palco che ospiterà i tre artisti, grandi artisti. Un trio composto per affinità e sintonie, per amicizia e stima, un trio che si completa e si diverte, pur nelle differenze di ognuno di loro. 

Dario De Luca è la voce recitante, e nello stesso tempo il gesto del porgere la cantata, il gioco su livelli diversi, passare dal suscitare il riso sfrenato sul Disperato erotico stomp alla canzone scritta a Berlino da Lucio Dalla contro la guerra. Sasà Calabrese è l'arrangiatore delle musiche, è il sorriso della sua stessa passione, Daniele Moraca è voce e chitarra, trascinante voce in perfetta simbiosi con Lucio Dalla. Omaggio a Lucio Dalla presente anch'esso sul palco, nel video in alto, con spezzoni di lui fin dal suo esordio al Festival di Sanremo, ancora prima quando si esibiva col clarinetto nelle band jazzistiche, a cominciare dalla band dove suonava Pupi Avati, che fu da Lucio rimpiazzato. 

Scelgono di commemorare Luigi Tenco con un lungo pezzo, con l'intervista a Lucio Dalla sulla scelta di Luigi Tenco, una drammatica scelta vietata da Lucio. 

 "È vietato morire per una canzone" dice Lucio ma è quasi un divieto universale fatto a tutti gli artisti che poggiano il loro significato a vivere sul riconoscimento altrui. Un divieto assoluto. Non possono essere dei politici, dei festival, delle classifiche di vendita a decidere se un artista debba vivere o no.  

Lo spazio sta nella nostra immaginazione ci suonano cantano e recitano stasera tre artisti altrettanto grandi, che conoscono le difficoltà per portare la loro arte nelle piazze e nei teatri, "nei vicoli e palazzi" fin a noi, fino a tutti. Le canzoni scelte dialogano con noi, noi le canticchiamo a voce bassa finché non veniamo chiamati al coro di "A modo mio quel che ho fatto l'ho voluto io" 

Com'è profondo il mare, Anna e Marco, Bisogna saper perdere, Maria, La casa in riva al mare "e sognò la libertà, e sognò di andare via" Cara " Conosco un posto nel mio cuore dove tira sempre il vento" Chissà se lo sai, Futura, Piazza Grande, Caruso, Se io fossi un angelo, Caro amico ti scrivo, me ne sfuggono sicuramente altre. Intanto il pubblico applaude chiede il bis e continueremo a cantare con loro nella testa, nelle labbra, negli abbracci e nella gioia della gente come noi. Una immensità che appartiene a chi la merita.

Grazie a voi dal Regno della Litweb 

Ippolita Luzzo 

Dal comunicato stampa del Peperoncino Jazz Festival     "Il primo atto dell’incursione del festival musicale più piccante d’Italia sulla costa occidentale della Calabria sarà l’evento in programma stasera (sabato 13 agosto) alle ore 22 in Piazza del Popolo ad Aiello Calabro: l’interessantissimo reading/concerto “Aspettiamo senza aver paura, domani” ideato e realizzato da tre grandi artisti calabresi - Sasà Calabrese (cantante e autore, musicista, poli-strumentista), Dario De Luca (regista, autore e attore teatrale) e Daniele Moraca (musicista e cantautore) - per omaggiare l’indimenticabile Lucio Dalla.

Giocando con l’arte di teatralizzare la musica, tipica dello stile di Dalla, questo consolidato trio, reduce da una trionfale tournée nei teatri più prestigiosi d’Italia, cercherà di ricreare uno spettacolo dove le canzoni del genio bolognese arrivino sotto forma di racconto, proponendo un vero e proprio viaggio alla scoperta della musica, della profondità dei testi, dei significati nascosti nell’opera del grande artista, riproponendo tutti i suoi più grandi successi.