mercoledì 7 aprile 2021

Daniele Petruccioli La Casa delle madri

 


Finalista al Premio Strega 2021 La casa delle madri di Daniele Petruccioli arriva oggi e ho cominciato a leggerlo nella casa di mia madre. 
Nella stessa casa quindi del romanzo. Leggendolo mi viene in mente Dora Bruder di Patrick Modiano 

“Ci vuole tempo per riportare alla luce ciò che è stato cancellato. Sussistono tracce in alcuni registri e si ignora dove siano nascosti, quali custodi veglino su di essi e se quei custodi accetteranno di mostrarli. Può anche darsi che ne abbiano semplicemente dimenticato l’esistenza."

Si dice che i luoghi serbano una lieve impronta delle persone che li hanno abitati. Impronta, segno incavato o in rilievo. 

Per Dora Bruder e genitori, Modiano dice: incavato.

Mi è sembrato di risentire l’eco di Modiano, anche lui parla di impronta, ciò che lasciamo nelle case e nei luoghi dove abitiamo. Una sopravvivenza che in effetti io credo sia una elaborazione di energie ancora da scoprire. Il fatto di essere io molto vicina alla tematica del libro me lo fa ancora più caro, fin dal fratello gemello con gravi difficoltà alla casa che viene poi svuotata. Le grandi case di famiglie patriarcali ormai scomparse non hanno più ragione di esistere ora che le famiglie sono composte da due o al massimo tre componenti ed intanto avanzano le famiglie mononucleari, un solo individuo in famiglia con sé stesso.

Leggo a mia madre di 97 anni l'incipit del libro e mi fermo "La casa è vuota. Le camere spoglie, le porte aperte, le finestre spalancate. I mobili non ci sono più, sono stati portati via da tempo. "

"Le ombre cominciano a risvegliarsi nei minuti di chiarore incerto che precedono l'alba prima dell'arrivo degli operai: si allungano, si rincorrono sui pavimenti grigi e polverosi che si susseguono identici di stanza in stanza" mi fermo su  "Il senso di sventramento generale"

Restiamo così quando ve ne andate, mi ritorna in testa, e poi ricordo che questo è il titolo di un altro libro bellissimo di TerraRossa Edizione, il libro di Cristò, che mi ritorna in testa, come se le ombre della casa delle madri ormai parlassero e ci dicessero questa frase. 

Tutto cambia, la grande casa viene frazionata, "in questo modo la schiera di spiriti da cui la casa era abitata si è ritrovata frazionata anch'essa"

"Poi tutto verrà tutto verrà buttato" e mi accorgo che copierei interi passi ricordando qui allo status delle rovine anche Lucrezio nel "De rerum natura"

Il ritmo del romanzo è poetico, sembrano versi i periodi, sembra che la casa sia la storia di tutti che, incessante, dice che tutto cambia, e "qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure" mi risento in testa cantare Rimmel di De Gregori. 

In un crescendo che si amplifica, Daniele Petruccioli, partendo dalla grande casa del notaio, racconta la storia degli ultimi cinquanta anni, l'Italia ancora paesana, il grande assetto feudale quasi, e il logorio del tempo che consuma e spoglia le case, le persone, e l'arrivo del tempo globale e senza identità, un fuori dal tempo. 

Fuori dal tempo ma non dallo spazio, ombre e corpi si incontrano "Ascoltano i vivi e i morti senza capire le parole di nessuno ma assimilando la voce di tutti"

Un libro prezioso che ci riconcilia con la letteratura, con la storia, con noi stessi alle prese con le nostre ristrutturazioni.

Un pezzo augurale affinché il libro possa essere moltissimo letto, a prescindere se rientrerà nella cinquina al Premio Strega, cosa che io mi auguro tanto nel Regno della Litweb

Ippolita Luzzo 

mercoledì 24 marzo 2021

I Famelici di Davide D'Urso

 


Ringrazio la bellissima opportunità della stima reciproca fra lettori e autori e sono felice di poter parlare di un libro che è un avvincente ritratto di anni appena trascorsi eppure ormai tramontati per sempre: Gli anni dei famelici.

Il libro di Davide D'Urso mi chiarisce in maniera inequivocabile del perché io, nauseata dalla trasformazione epocale che vedevo durante gli anni ottanta, mi sia ritirata, chiudendo televisioni e giornali.  La storia che viviamo è un soffio, la nostra personale dura poco, eppure la generazione dei settantenni e più ha vissuto fra il nuovo e il vecchio, con la pervicacia di distruggere il passato.

 I famelici di Davide D'Urso: Libro bellissimo. I famelici sono la generazione che ora ha settanta anni e più. Una volta vecchiaia ora non più. I famelici hanno divorato, senza per questo esserne felici, il piccolo, il dimesso, la morigeratezza di costumi ed hanno sostituito case grandi a case piccole, macchine grandi a macchine piccole, centri commerciali a negozi piccoli. "Ce ne ricorderemo di questo pianeta", diremo con Sciascia.

Una vera guerra ai valori, alle consuetudini, ai riti, alla morigeratezza. Gli individui sono stati interpreti di una finta rivoluzione e di un edonismo senza confronti, in un momento storico in cui tutto è sembrato possibile. Tutto è possibile, era il diktat, se vuoi comprare puoi fare un assegno postdatato, pagherò, se vuoi viaggiare ci sono mille opportunità a basso costo, crociere con navi da tremila passeggeri, se vuoi distrarti ci sono le televisioni private con svolazzanti femmine nude o scarsamente vestite, ci sono mille programmi televisivi sul nulla catartico dell'offerta riflessiva. 

Nel libro c'è lo sguardo rispettoso verso i personaggi, intrappolati nel corso degli eventi, ed è giusto così, lo sguardo di un quarantenne che di tutto quello sciupio vede ora la precarietà, vede un futuro fosco, un mondo imbruttito e sporcato, inquinato e difficile, vede schiavi e violenze, vede proprio un non futuro. In tutto questo gli "intellettuali" hanno giocato ai festival, ai premi, ai convegni, e insieme ai politici hanno fatto finta di autoflagellarsi

"Non so se è sempre stato così, ma oggi nei paesi di provincia la cultura è diventata lo strumento di gratificazione personale del professore di turno. Il quale, con l’autoreferenzialità tipica di queste terre, non fa altro che passare il tempo a rievocare modesti avvenimenti verificatisi in paese; rivolgendosi a un pubblico di attempati professori altrettanto esperti e fanatici della materia che, in seguito, lo inviteranno a presenziare ai loro dibattiti circa l’ennesimo, microscopico episodio storico che va assolutamente raccontato perché, dicono, bisogna valorizzare il territorio. Alla fine, gli interlocutori sono sempre gli stessi, il territorio non si valorizza mai e a ricevere qualche beneficio – un rimborso spese o, più spesso, la soddisfazione di un applauso e qualche ammirata stretta di mano sono gli stessi che li pongono in essere, e tutto finisce nel dimenticatoio dopo qualche giorno." 

I famelici di Davide D'Urso non sono da condannare ma da studiare, sono coloro che hanno avuto entusiasmo ed hanno creduto nelle "magnifiche sorti e progressive"

 Conosco il periodo storico  esplorato dall’interno con gli occhi, primo di un bambino e poi da adolescente e infine uomo. Conosco i famelici, intendendo una generazione che si è lasciata convincere a vendere i mobili antichi ereditati per una cucina in formica, a lasciare le loro scomode case senza riscaldamenti per orridi appartamenti senza luce. La storia di uno sciupio che è sembrato ai più abbondanza. Lo sguardo con cui l'autore guarda gli anni è affettuoso, attento a non far male, a rispettare ciò che ancora è da rispettare: il senso del sacro nei rapporti, le amicizie che stanno ferme tutta una vita, che saranno la vita per ognuno. A Serafino, l'amico sfortunato del padre del narratore, mi ritrovo a dedicare anche io una lettura appena terminata dei Famelici, Serafino che viene stritolato dalla famiglia che si sfalda, dalle vernici che lo intossicano, dal finto benessere che inquina tutti, chi più chi meno. 

Anche i vincenti, anche coloro che sembrano aver conquistato tutto, in effetti guarderanno le conquiste con il senso della vacuità di quel possesso.  

Il libro cerca di rispondere a domande che vedono la risposta negli occhi di una generazione di giovani, di quaranta o trenta anni, che ci guardano muti. Mi metto anch'io insieme ai famelici, anche se sono stata una digiunatrice, diciamo così, essendo impegnata in ossessioni simili a quelle dell'autore. L'ossessione di capire mio padre, mia madre, la mia famiglia patriarcale con le sue orribilità. 

Ed insieme all'autore ho trovato che la storia degli individui e delle famiglie si possa raccontare travasandola in letteratura, decantandola e purificandola per capirla e per perdonarla. 

Un atto di sublimazione al posto degli sputi, della rabbia, della contestazione che ora non si sa neppure contro chi dirigerla. 

Un libro da leggere, un libro nel Regno della Litweb, nella letteratura incontrata sul web, ma presente in libreria, un libro che porteremo nelle piazze di un regno che nacque proprio per abolire gli assegni, postdatati e non. 

Un libro di un autore che ama i libri, che ama viverci dentro con l'immaginazione della letteratura

Ippolita Luzzo 

lunedì 15 marzo 2021

Il calendario



10) Il calendario

Il calendario appeso in cucina

 è sottile oramai.

 Solo tre fogli.

 Il vento leggero dal balcone entra

 e fa cadere

 ogni giorno

 il calendario a terra.


 Ogni giorno raccolgo

 quel che resta dell’anno

 e lo riappendo

 al chiodo fisso della buona sorte 

(Ippolita Luzzo) 


sabato 13 marzo 2021

Martino Ciano Oltrepassare


 "Noi esistiamo in una vita che va oltre la vita stessa"

La copertina: Sulla copertina vorrei soffermarmi. Felice Casorati dipinge queste maschere nel 1921 e vediamo uno stralcio della Gazzetta del popolo. Di li a poco l’Italia piomba nella dittatura. Con sgomento io ho letto nel libro visionario di Martino Ciano quel terrore di essere sul baratro. Un libro che è quindi una scommessa sull’urgenza del dire, di fermarsi a riflettere


  “Un senso d’intimità ben descritto dallo scrittore Carlo Levi (1902-1975), che un giorno si trovò a passare nello studio del pittore Casorati, in cui erano sparsi un po’ ovunque i suoi quadri:

Ebbi appena un momento per guardarli, come un ladro, e mi parvero meravigliosi. È difficile dire che cosa sentissi… in quel momento rubato. Ma certo fu attraverso quei quadri che improvvisa mi venne la rivelazione della pittura come incanto libero di spazi, come manifestazione di quel tempo, interno alle cose e al profondo del cuore, che non è nell’oggetto immobile e morto, ma nella sua forma reale, nel suo numero. Il numero che è chiuso, implicito come l’esistenza nella realtà, nel tempio greco: il rapporto, il silenzio: il classico, pieno della dolente malinconia di essere nel nostro tempo.” Ho letto Oltrepassare come se fosse un quadro, e ricordando il libro precedente, Zeig.

In Zeig "Invochi la morte, ma in fondo vuoi esistere ancora per un po' e, mentre la luce del giorno è ancora forte, tu già sai che la morte porterà scompiglio. Che farai?"  Così scrive Martino Ciano in Zeig e mi ricorda "Che fare?" scritto da Lenin all'inizio del secolo scorso, un trattato sui temi della politica, dell'economia, del lavoro, della sottomissione.

Oltrepassare

Il coraggioso libro di Martino Ciano ci ricorda una Calabria ancora decorosa e poi stuprata dall’edilizia rampante e dai veleni verso la fine degli anni sessanta, nei primi anni settanta. L’orrore. Nelle pagine di Oltrepassare tutto lo sfacelo perpetuato per una falsa idea di arricchimento. Palazzoni senza nessun gusto estetico, appartamenti con lunghi e bui corridoi, finestre senza luce. Senza luce i nostri bei paesi sciupati. Da pagina 26 in poi io leggo in lacrime, forse perché vivo male questo orrendo sciupio, forse perché troppo attenta a ciò che leggo. Un libro coraggioso che invito a leggere per riflettere come ancora ora ancora ora lo sciupio non sia terminato.

" Scrivo per renderti testimonianza. Compongo parole nelle quali mi uccido per risorgere, nelle quali mi condanno, mi assolvo, mi amo, mi odio" Leggiamo il Post Scriptum per Emma, la ragazza scomparsa nel nulla, che conosciamo dalle parole di un narratore disperso. " Scomparsa nel nulla. Si cerca nella Capitale. Ansia e preoccupazione per la studentessa calabrese Emma Lanuara. Una lettera scritta dalla ragazza prima di sparire fa pensare al peggio" 

"Noi esistiamo in una vita che va oltre la vita stessa" così inizia la lettera d'addio, ma io non credo ad un addio.

 Nel luogo dell'immaginazione per eccellenza, nel Regno della Litweb, arrivano libri che daranno la carica, l'energia, per stare a guardare e fare. Che fare? fare ciò che sarà possibile, intanto leggere il libro di Martino Ciano e ospitarlo fra i libri buoni e veri ringraziando Martino. 

"Noi esistiamo in una vita che va oltre la vita stessa"

Ippolita Luzzo 

mercoledì 10 marzo 2021

Emanuele Trevi due Vite



Due Vite: Rocco Carbone e Pia Pera 

" C'è un tipo di saggezza che consiste nell'aspettare la verità come un eremita nel deserto, murato tra le proprie abitudini, insensibile alla mutevole varietà del mondo" La saggezza la accompagnerà, mi disse in un pomeriggio di giugno, dopo molto aspettare in fila a tantissimi, un missionario che leggeva le persone facendo aprire loro la Bibbia. Era la settimana della tredicina di Sant'Antonio e sul sagrato della Chiesa moltissimi pellegrini aspettavano il responso. Io fui fiera di ciò che mi disse, me lo ripeto anche ora e non ho questo tipo di saggezza, bensì  vorrei quella di Pia Pera, "di considerare ogni cosa come un passaggio e fare tesoro di ogni esperienza"

Con un libro in mano. 

Nella rosa dei 12 finalisti del Premio Strega con il suo Figli dello stesso padre, Romana Petri viene intervistata nell'aprile del 2013.

 Lei sta dicendo che avrebbe dovuto esserci Rocco Carbone in finale,  scrittore e suo amico, scomparso da pochi anni. Ricordo che lessi e rimasi legata con affetto a questa scrittrice che parlava del suo amico e me lo faceva conoscere proprio nel momento in cui era lei la protagonista. Non conoscevo affatto lo scrittore, ma trovai poi un altro articolo di Chiara Gamberale del 2008, di luglio 2008, proprio poco dopo la notizia dell'incidente in motorino, e la presenza di Rocco Carbone a casa mia cominciò a diventare fisica, lo vedevo. 

Lo vedevo, ero riuscita a trovare un suo video su internet, in cui parlava della sua esperienza di insegnante nel carcere di Rebibbia, il suo ultimo lavoro, di cui troviamo traccia nel libro "Libera i miei nemici" pubblicato da Mondadori nel 2006. 

 Rocco Carbone era diventato mio amico postumo, come si usa dire, non conoscendo ancora quante e quali siano le strade che ci portano ad un altro. Di Rocco Carbone leggo "Padre americano", pubblicato da Cavallo di Ferro, con prefazione di Romana Petri, e "Per il tuo bene" a cura di Emanuele Trevi. 

Nel 2014 Rocco stava a casa mia nel Regno della Litweb, il luogo inventatomi per sfuggire alla realtà troppo cattiva e insulsa. 

La breve vita felice di Rocco Carbone, scrive Emanuele Trevi nel 2009, nella prefazione a Per il tuo bene, pubblicato postumo, ed  io leggo e rileggo questa testimonianza di amicizia grande, unendola ora al libro Due vite, finalista al Premio Strega nel 2021. 

Il tempo fermo su Rocco Carbone e su Pia Pera, sono loro due gli amici di cui scrive Emanuele Trevi in Due vite.

Erano stati amici da giovani, avevano continuato a crescere in amicizia e si erano incoraggiati man mano continuando a essere presenti anche oltre la realtà ingiusta e crudele. Pia si ammala e muore, Rocco ha un incidente e muore, ma "la scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti, e consiglio a chiunque abbia nostalgia di qualcuno di fare lo stesso: non pensarlo ma scriverne, accorgendosi ben presto che il morto è attirato dalla scrittura, trova sempre un modo inaspettato per affiorare nelle parole che scriviamo di lui, e si manifesta di sua propria volontà, non siamo noi che pensiamo a lui, è proprio lui una buona volta"

Emanuele Trevi porta entrambi gli amici allo Strega, facendo fiorire e rifiorire quel giardino curato da Pia, che conosciamo da lei, dal suo " Al giardino ancora non l'ho detto" in una "Apparizione" di Rocco e insieme tutti noi, che crediamo possibile la Letteratura, li vedremo in finale con il sorriso gioioso dell'amicizia. 

Ippolita Luzzo

ps poi dirò ancora 


martedì 9 marzo 2021

Ioana Pârvulescu La vita comincia venerdì


 Vincitore del Premio dell’Unione Europea per la letteratura, il libro di Ioana Pârvulescu ci porta come se fossimo in "una stupefacente macchina del tempo" a Bucarest nel 1897. La scrittrice romena, ci dice Bruno Mazzoni, nella postfazione, è una saggista e critica letteraria ora giunta al romanzo storico, sì, ma con assoluta novità. L'autrice ci porta in una Bucarest alla fine dell'Ottocento, in un giorno, venerdì, e in altri pochi giorni che vanno dal 19 dicembre al 31 dicembre del 1897.

La città raccontata ci sembra un luogo delizioso e garbato, mi sembrano i racconti di mia madre, che nata nel 1924 in Calabria ricorda gli stessi stupori all'arrivo della luce. 

Siamo alla fine del secolo e a Bucarest sta arrivando l'illuminazione elettrica, il telefono, la città è percorsa da carrozze trainate da cavalli, i giornali escono due volte al giorno, e soprattutto si fanno ancora le visite nelle case. Nei salotti della buona società. 

C'era fiducia nel futuro. Iulia, la figlia del dottore Margulis, legge Vanity Fair in lingua originale, tiene un diario e attraverso il suo diario, in cui annota i preparativi per Natale e Capodanno troviamo l'elemento sorpresa. 

In una foresta nei pressi della città vengono rinvenuti due giovani, uno, ferito, morirà dopo qualche giorno, l'altro si riprende, ma non si sa chi sia e l'inchiesta viene affidata al poliziotto Costache. 

Nella lettura di Mircea Cărtărescu lo scrittore chiama il romanzo " a thing of beauty" un libro di una nostalgia affettuosa verso un modo di vivere pacato e disteso. Sembra un libro per l'infanzia, dice lo scrittore, eppure rimane pur sempre un ottimo libro per adulti, un libro di grande realismo e costruito con infinita pazienza nei dettagli precisi. 

Sono tredici i capitoli del libro e in ogni capitolo svariati personaggi raccontano gli stessi eventi con differente interpretazione, come se ci trovassimo davanti a un giallo di Agatha Christie. Ci troviamo a domandarci, leggendo, chi sia questo straniero, vestito in modo improbabile per il periodo storico, e con l'impressione che provenga da un altro mondo. Sembra che lo straniero sia nello stesso tempo del nostro, abbia vissuto come noi, e interdetto ora si chieda come sia possibile che si trovi in quegli anni come se avesse usato una macchina del tempo e fosse tornato indietro. 

Nel prologo troviamo proprio il ritorno al tempo di mia madre " Pochi anni prima del 1900 le giornate erano capienti. La gente vibrava come i fili del telegrafo, era ottimista e credeva, mai come prima e mai come dopo, nella forza della scienza, nel progresso e nel futuro. Capodanno, perciò, era diventato il momento più importante: l'inizio, continuamente rinnovato, del futuro" La Romania era in Europa, a Bucarest, la sua capitale, non c'era tempo per annoiarsi mai. "Prima del 1900 l'uomo credeva che Dio lo volesse immortale, nel senso più concreto della parola. Nulla sembrava impossibile .. Per il resto le persone assomigliavano molto e sotto ogni punto di vista a quelle che le avevano precedute e a quelle che sarebbero venute dopo." Pochi anni prima del 1900 le giornate erano capienti e la gente sognava il nostro mondo. Sognava noi. 

Vi piacerà moltissimo leggere questo racconto, tradotto da Mauro Barindi con perfetta adesione allo spirito e al tempo della scrittrice, pubblicato da Voland, nella collana Amazzoni, nel novembre 2020, in un tempo, il nostro, così sgualcito, in questi anni in cui dobbiamo volgerci indietro per trovare il tempo capiente che ora non è più. 

Nel Regno della Litweb noi andiamo a spasso nel tempo come lo straniero e sembriamo anche noi dei mutanti nel nostro tempo. Mutiamo per resistere nella bella letteratura che ci sostiene.

Ippolita Luzzo 


Ioana Pârvulescu

Scrittrice e saggista, è docente alla facoltà di Lettere di Bucarest. Già redattrice della rivista “România literară” e responsabile editoriale per Humanitas, è autrice di saggi sulla vita quotidiana romena del XIX e XX secolo e di romanzi tradotti in più di 10 lingue. La vita comincia venerdì ha vinto nel 2013 il Premio dell’Unione Europea per la letteratura.

venerdì 5 marzo 2021

Claudio Giunta Le alternative non esistono

 


La vita e le opere di Tommaso Labranca. 

Cinque anni fa, come oggi, Tommaso Labranca mi dà l'amicizia su Facebook. Io lo aggiungo al gruppo Litweb e lui mi toglie l'amicizia. A nulla valse il fatto che io mi scusassi su Messenger spiegando che Litweb ero sempre io. Lui, io credo, non è proprio andato a vedere le mie spiegazioni, ed io ho saputo della sua morte dal cordoglio di chi l'aveva conosciuto sempre sui social. Non lo avevo mai letto e non vedendo la televisione non sapevo neppure delle sue collaborazioni anche con Fabio Fazio. 

Ho letto però con grande commozione il libro, che a cinque anni dalla scomparsa, ha scritto Claudio Giunta su di lui. Un accuratissimo saggio. 

Ho conosciuto nel 2019 Claudio Giunta a Lamezia nel corso di una serata. Lui presentava con brio e intelligenza il suo libro "Come non scrivere. Consigli ed esempi da seguire, trappole e scemenze da evitare quando si scrive in italiano" (Utet) ed io ero estasiata di incontrare chi condivideva con me gli stessi pensieri riuscendo però ad esprimerli con tanta chiarezza e amabilità. 

Il saggio dedicato a Tommaso Labranca è dotato delle stesse caratteristiche: Chiarezza e Amabilità. 

Non conoscendo Tommaso Labranca ci affezioniamo a lui come ce lo propone Claudio e ripercorriamo i luoghi frequentati e le abitudini di Labranca come fosse un amico perso troppo presto. 

Ne seguiamo i suoi inizi, gli amici, gli amici che restano e quelli che vengono abbandonati senza una ragione, le sue passioni, una fra tutte quella fanciullesca per Orietta Berti, le sue stranissime feste a tema, e quando lui  incontra in Svizzera sul lago i due coniugi Miler che  chiama Eva Kent e Diabolik, così per celia. 

Guardo i video con Luca Rossi, ora rimasto a curare gli inediti, a pubblicare con la casa editrice che avevano messo insieme libri di nicchia. Nel 2013, assieme a Luca Rossi, avevano creato la  casa editrice 20090, dal codice di avviamento postale del paese.  "Tra i primi volumi pubblicati dalla neonata casa editrice figura Progetto Elvira. Dissezionando Il vedovo, un saggio sul film Il vedovo del 1959, diretto da Dino Risi. Nel 2015 la casa editrice 20090 e la Casa d'Arte Miller di Capolago, in Canton Ticino danno vita unitamente alla rivista Tipografia Helvetica. La rivista, guidata da Labranca e composta utilizzando il carattere Helvetica, si propone di raccontare "di arte, autori, libri, musiche, immagini, eventi e oggetti posti fuori dal mainstream editoriale, obliati, mai esplosi, felici di essere di nicchia".

Nel maggio del 2016, sempre per 20090, Labranca pubblica il saggio Vraghinaròda. Viaggio allucinante fra creatori, mediatori e fruitori dell'arte, incentrato sull'analisi del mondo dell'arte contemporanea. Nello stesso anno Labranca avrebbe dovuto iniziare una collaborazione con la rivista Linus, interrotta però dalla morte dello scrittore. Il primo articolo previsto per la rivista, Impressioni di settembre, esce postumo nel numero di settembre dello stesso anno. "

Fra le canzoni della sua vita Labranca mette una che io conosco e amo, "L'immensità2, qui cantata da Dorelli, ma era la canzone di Don Backy altro genio dalla carriera difficile e contrastata. 

"Rendere difficile un percorso semplice"  con queste parole di Labranca termina il saggio di Claudio Giunta, termina con il sogno di una "esistenza depistata, una esistenza così ben spesa e così buttata via" 

Resta in tutti noi il languore, il senso di vuoto, il desiderio di conoscerlo ancora, ed io comincio ad associare Labranca a Stirner, il filosofo anarchico dell'Unico, dell'Unicità. 

A Pantigliate, Garage della Maison Labranca il 18 febbraio del 2004 inaugura una decade di povertà, il 3 G sarà per gli anni zero quello che il muro di Berlino è stato per gli anni novante, scrive sull'invito. Una sensibilità aderente ai tempi lo portava a vedere i tempi scarnificati e gli orpelli veri orpelli, inutili a volte, troppe volte.

La dispersione, Dagli anni zero al 2016 Labranca si disperde in un po' di tutto, ed ora ci sembra altro, ci sembra quello sciupio che tante volte abbiamo osservato in esistenze segnate da "Una vita Difficile"

So che Labranca adorava Il vedovo di Alberto Sordi, io invece so a memoria Una Vita difficile e mi sembra sia questo il film che si srotola davanti a noi leggendo "Le alternative non esistono" lo stupendo libro di Claudio Giunta.

Ippolita Luzzo